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Autore: Winry977    22/12/2012    2 recensioni
Quando tutto ti opprime, ti schiaccia, ci sarà sempre qualcosa che ti potrà fare riemergere da quel buio. Non soccombere. Io ci sarò sempre.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sheianne entrò in casa sbattendo il portone d'entrata. Era stanca di tutto: dei suoi compagni, dei trattamenti della sua famiglia che era costretta a subire, degli amici falsi che si ritrovava, del bullismo che subiva senza alcun limite. Era stanca di tutto. Si accorse che in casa non c'era nessuno, e salendo a passi pesanti le scale si diresse nella sua camera in fondo al corridoio. Ovviamente i suoi genitori le avevano concesso un “buco” come stanza, anzi uno stanzino, perché non aveva neanche una finestra e la lampadina attaccata al soffitto penzolava da un semplice filo in plastica. Accese la luce e cominciò a cercare tra le sue cose quella dannata lametta che accompagnava i suoi momenti di tristezza e rabbia. La aveva nascosta sotto il materasso del letto, e non appena se la trovò tra le mani, non esitò un attimo a fare quello che stava per realizzarsi. Premette la lama contro l'avambraccio sinistro e cominciò a farla strisciare lungo la pelle, aprendo la carne e facendone uscire sangue. Cominciò a piangere, ma non dal dolore, per la depressione, la tristezza, la rabbia. Uno, due, tre tagli. Al quarto decise di interrompere, perché ora il sangue gocciolava lungo il braccio e macchiava i suoi jeans, neri per fortuna e sui quali non si sarebbero intraviste le macchie. Si alzò, sciolse la cintura e impresse una serie di tagli anche sul suo fianco destro, in segno di alto disprezzo per il suo corpo. Si odiava, ed era una cosa certa. Il suo fisico la disgustava, odiava la sua faccia, il suo carattere. Stava per passare all'altro fianco ma si bloccò. Su di esso si stagnava un grosso livido violaceo. Sapeva chi lo aveva provocato, eccome. Era stato Gordon, il bullo della scuola. Quello che la odiava, la picchiava con tutta la forza che aveva in corpo, quello che la umiliava davanti a tutti: per i corridoi della scuola, a mensa, nel cortile dell'istituto, ovunque. Come poteva non desiderare la morte? Come poteva essere ancora viva? Il mondo la respingeva in tutti i modi possibili, perché doveva ancora combattere contro di esso?

Semplice. C'era una sola persona per cui viveva, e quella era Christian, il suo migliore amico. Ma dov'era ora? Dov'era quando aveva bisogno di lui?

Non aveva uno straccio di numero di telefono, non sapeva dove abitasse, non sapeva nulla su come rintracciarlo e la cosa le dava abbastanza disperazione, perché non aveva alcun modo per parlargli, tranne quando lui la veniva a cercare.

Rimase ferma, in piedi, con lo sguardo puntato su quella macchia violacea. Poi si spogliò, restando con addosso solo un paio di pantaloncini trovati in un cassetto e un top a fascia sul seno. Quel giorno la avevano pestata per bene: l'ematoma sul fianco non era l'unico, ce n'erano altri sparsi sulle costole -che miracolosamente non si erano rotte-, sulle tibie, sulle ginocchia -di cui una perdeva pure sangue a causa di una spinta che la aveva fatta finire sul cemento-, sulle braccia, sullo zigomo destro...

Fissò il braccio che fissava la lametta. Lì, si stagnavano delle cicatrici di vecchie “ingiurie”, e sapeva che se ci avesse giocherellato un po', si sarebbero irritate.

Sospirò. Ogni santa cosa che faceva era come una punizione per il suo corpo. Si odiava.

Si portò davanti lo specchio attaccato all'armadio vecchio e mal andato che i suoi genitori le avevano dato, giusto per riporci quei pochi vestiti che si ritrovava, e rimase a fissarsi.

Sciolse i capelli neri e leggermente mossi dalla coda in cui li aveva relegati, e quelli scesero lungo la schiena e il costato arrivando fino alla fine di esso. Osservò le lentiggini sparse per le sue guance, gli occhi azzurri che si ritrovava e... e ricominciò a piangere. Non c'era altro che potesse fare. Odiava la sua immagine, con tutto il cuore.

A furia di sentirsi dire gli insulti che le lanciava Gordon, aveva finito per crederci e per convincersi di quello che diceva. Le aveva urlato che non doveva vivere, che era solo un verme, che era una stracciona... le sue urla le rimbombarono nelle orecchie e si portò le mani su di esse nella speranza di placare quella voce aspra nella sua mente, ma non c'era verso.

Il braccio ferito intanto non smetteva di perdere sangue, e quando entrò a contatto con il viso lo macchiò di una striscia rossa della quale lei non si accorse minimamente.

-Perché?!- urlò poi. -Perché mi hanno creata se questo era il mio destino?!- continuò a strillare, benedicendo il fatto che la sua stanza era isolata da tutte e quindi insonorizzata. Urlava, si sfogava invano piangendo e prendendola con la sua immagine riflessa nello specchio.

Col respiro ansimante, si bloccò ad un tratto e continuando ad osservarsi, strinse un pugno e lo tirò contro la superficie fredda dello specchio. Si fece male, ma solo un po'. Lo specchio non si ruppe, e fu allora che lei cominciò a tirare pugni a raffica, finché non si intravide la prima spacca, che man mano cominciò a diramarsi. Cadde la prima scheggia dello specchio, vicino i piedi nudi della ragazza. La osservò un attimo, poi rivolse il suo sguardo alle mani. Le nocche erano arrossate, e su quella dell'anulare c'era impresso un piccolo taglietto, che però non sanguinava.

Poco importa” pensò. “Voglio solo cancellare la mia stupida immagine da questo specchio!” e tirò un altro pugno, facendo cadere un altro coccio. Nello stesso momento suonarono al campanello del piano di sotto, ma lei non era in grado di andare ad aprire, quindi si convinse che se ne sarebbero andati, e riprese a scalfirsi le mani.

Continuò, ed ad un tratto, quando ormai avevano preso a sanguinare anche le nocche, urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni.

-Io voglio scomparire da questo mondo!- in preda al dolore e al sangue smise di rompere lo specchio. Era quasi tutto in frantumi: al centro di esso si stagnava una macchia di legno dell'armadio.

Si sedette a terra, scostando qualche scheggia di vetro, e portandosi le ginocchia al petto, stringendole con le braccia, e affondando il viso tra di esse. -Dove sei Chris?- chiese al silenzio piangendo. Ormai piangeva da chissà quanto tempo. Alzò di poco lo sguardo, verso le schegge di varia dimensione sparpagliate davanti a lei. Gli si avvicinò, e vide la sua immagine stagnata in esse. Una di quelle, una particolarmente grande, si macchiò del sangue che perdeva dalla mano sinistra, coprendo la sua immagine.

In quello stesso momento bussarono alla porta e a Sheianne prese un colpo. Immaginò che fossero i suoi genitori, ma loro erano fuori città, e si ricordò che sarebbero tornati una settimana dopo dalle vacanze in cui non la avevano voluta portare, e poi non bussavano mai quando si trattava di disturbarla.

Si alzò di scatto, in preda alla paura e prese in mano alcuni dei suoi vestiti portandoli al ventre e stringendoli. -C...Chi è?

La maniglia della porta si abbassò e la aprì, e davanti alla ragazza si stagnò l'immagine accigliata del suo migliore amico: Christian. Lei rimase sbalordita a quella visione.

-Shei... che cos...- non finì neanche la frase. Lo spettacolo che si stagnava sotto i suoi occhi aveva un che di inquietante, e lei era seminuda, segnata da tagli e lividi, piangente e pallida.

Lei lasciò cadere i vestiti per terra, e ignorando le schegge che le si conficcavano sotto i piedi, corse verso l'amico e lo abbracciò, scoppiando di nuovo in lacrime, mentre il suo calore la riscaldava sotto le braccia che cercavano di consolarla.

Non le interessava come fosse entrato, come aveva capito che aveva bisogno di un solo e singolo conforto. Lui era lì. E questo le bastava.

Lui la scostò di poco, e la squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulle ferite. Non disse nulla, si tolse la giacca in pelle che indossava e gliela mise sulle spalle, poi la fissò dritto dritto negli occhi. Lei li abbassò. Finalmente avevano smesso di lacrimare, ma in cuor suo, continuavano ancora. La strinse a sé, chiudendo gli occhi.

-Perdonami. Non c'ero quando dovevo esserci.- a lei si formò un nodo alla gola. -Vieni, disinfettiamo queste ferite, e mi racconti cos'è successo.- le lasciò un braccio attorno alla spalla, e si diressero verso il bagno. Sotto i suoi piedi si stagnavano le piastrelle bianche e fredde che ad ogni passo la facevano rabbrividire. Si sedette sulla superficie fredda della vasca da bagno, e dopo aver parlato un po' con l'amico emise un lungo sospiro.

-Chris...- lui alzò lo sguardo dalla ferita sul braccio che stava medicando. -Voglio scomparire. Non ce la faccio più.

Lui si fermò, prese uno sgabello messo sotto il lavandino e si sedette su di esso, trovandosi al livello di altezza di Sheianne.

-Tu non devi scomparire, chiaro? Se tu scompari, io ti seguo. Lo so che dovrei esserci più spesso, ma purtroppo ho un lavoro che mi prende troppo tempo, e tu lo sai. Adesso però, il mio Tour è finito, e non lascerò che ti accadano ancora queste cose. Ora ti seguirò ovunque andrai, sarò la tua ombra, e nessuno ti dovrà toccare, perché allora arriverò io a gonfiarlo di botte. Ora... tu verrai a stare da me.

La ragazza alzò lo sguardo, sorpresa di quell'invito. La presenza dell'amico le aveva riscaldato il cuore, non piangeva più e le sue parole la rassicuravano più di ogni altra cosa. Ogni volta che lui apriva bocca, le sue parole venivano assorbite subito come una spugna. Lo amava pure più di quanto si poteva amare un fratello. Però con quell'invito non voleva neanche essere un peso.

-Chris... io... non vorrei essere un incomodo...

-Shei... questo non è un invito. La mia è un'affermazione che non ammette repliche. Tu non puoi, non devi restare da sola per nessuna ragione al mondo. Non voglio che questo...- indicò le sue mani, le sue braccia e il livido sullo zigomo. -... si ripeta.

Il labbro inferiore di lei tremò, ma lui ci mise sopra un dito. -Shei... promettimi una cosa...- si interruppe, e lei alzò lo sguardo verso di lui. -Promettimi che non lo farai più. Promettimi che questi scompariranno dal tuo corpo e non torneranno più.

Lei lo fissò per un momento, poi annuì, e lui la strinse a sé. -Bene. E ora... andiamo a casa... prendiamo la tua roba...

  
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