Il diario di un condannato
Ho perso la cognizione del tempo da quando i Ra'Zac mi hanno catturato , costringendomi a vivere in quella che loro chiamano roccaforte. Personalmente, ritengo che questo termine non soddisfi affatto l'edificio: lo squallore è palpabile ovunque, carcasse in putrefazioni sono visibili in ogni angolo. E nel caso non fossero così esposte, l'odore pregna comunque l'aria: proprio per queste caratteristiche ritengo che l'unico termine che con cui si possa descrivere l'edificio è prigione, esso infatti non ha niente da invidiare alle carceri che, a parer mio, si trovano nel castello di Urû'baen. Sempre che siano presenti, personalmente credo che non ci sia punizione peggiore se non il vivere con questi disgustosi animali venerati da alcuni al pari di divinità.
L'unica cosa che mi salva
dalla follia,
è Katrina, lei è la mia luce, la ragione per cui
ho ancora la forza
di combattere tra la vita e la morte. Perché la
verità è che, se
non fosse per la forza che il nostro amore mi trasmette, sarei
già
morto, oppure avrei preferito farmi mangiare da questi essere.
Katrina, lei è la mia speranza, la
luce che mi permette di vedere, il magnete verso cui punta la mia
bussola, la mia speranza. Ed è per lei, solo per lei, che ho
ancora
la forza di oppormi e credere in un futuro migliore.
Perché arriverà, ho il forte
presentimento che le cose stiano per cambiare.
O almeno lo spero.
Per ora, me ne resto in attesa – come un condannato che
attende la
sentenza che lo dichiarerà colpevole.