Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: Kiki87    23/12/2012    3 recensioni
Kurtbastian Week di Dicembre
1) Playing In The Snow: una visita alla Dalton, nuovi incontri, vecchie conoscenze e una battaglia a palle di neve.
2) Mistletoe: una festa a casa di Rachel, un vischio traditore e una (non sperata) sorpresa.
3) Christmas Presents Beneath The Tree: è il primo Natale di Kurt e Sebastian nella loro casa. Aspettative e realtà a confronto.
4) Christmas Morning: un Natale amaro se lo si dovesse passare soli a NYC dopo una rottura ma se non fosse così solitario?
5) Santa Claus and The Reindeer: Babbo Natale arriva davvero in tutte le case, perché tutte le famiglie sono uguali, vero?
6) Family Fun: sei lettere per sei motivi per cui "apprezzare" il Natale secondo Sebastian Smythe.
7) Crossovers During The Holidays: ritorno nell'Upper East Side dopo un anno. Solita Gossip Girl ma solito Kurtbastian?
Genere: Comico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU, Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
6 FAMILY FUN  
Potrete immaginare la mia perplessità leggendo questa traccia e il timore, come già espresso, di scivolare in cliché già usati. E poi ecco che alla prima settimana di Dicembre, ho avuto l'illuminazione e ho deciso di far convergere questo tema in note molto più ironiche perché, diciamocelo, anche il periodo di festa ha degli aspetti poco gradevoli, soprattutto se sei Sebastian Smythe. Non aggiungo altro e vi auguro una buona lettura.
Ringrazio di cuore therentgirl che ha betato la storia poco dopo la stesura, soprattutto il benestare per le parti in francese, sperando di aver colto tutti i piccoli errori di dislessia e battitura ed eventuali modifiche da fare ;) Oltre a, come sempre, per il suo sostegno e le sue splendide recensioni.
Colgo l’occasione per dare un bentornato strapazzante anche alla mia Blaine

 

 

C'est la belle nuit de Noel
La neige etend son manteau blanc
Et les yeux leves vers le ciel
A genoux, les petits enfants
Avant de fermer les paupieres
Font une derniere priere.
 
Petit papa Noel
Quand tu descendras du ciel
Avec des jouets par milliers
N'oublie pas mon petit soulier.
Mais avant de partir
Il faudra bien te couvrir
Dehors tu vas avoir si froid
C'est un peu a cause de moi.
 
(Canzone natalizia
resa celebre da Tino Rossi, 1946)

 

FAMILY FUN

Christmas? No, thanks.

 

Detestava cordialmente le vacanze natalizie. E tutto ciò che esse comportavano. No, ripensandoci non era un odio “cordiale” ma un odio viscerale e profondo, radicato come una cancrena nel fondo del suo pancreas e già in uno stadio di metastasi avanzata.
Non che potesse darsi torto, non che una qualsiasi persona dotata di una minima dose di raziocinio potesse biasimarlo, se avesse osato passare un Natale come quello degli Smythe – Laurent[1].
Il solo ricordo di quel suicidio letale per le sue sinapsi nonché il suo istinto sessuale, era sufficiente a fargli correre un brivido gelido lungo la spina dorsale e la situazione di anno in anno non era affatto migliorata, tanto da poter lui stesso stendere una vera e propria classifica dei motivi per i quali fosse necessario smascherare le insidie delle vacanze e del cosiddetto tempo da trascorrere in famiglia.
Sei motivi per sei lettere.
 
N di nonni. Oh, sì, il Natale, per quale arcano motivo, è il periodo prediletto per trascorrere il tempo con vegliardi raggrinziti come tartarughe plurisecolari che avrebbero potuto sfidare la mummia di Tutankhamon in una fiera della vanità horror. Che poi proporzionalmente, nel tempo, la loro invadenza diventasse direttamente proporzionale all’alzheimer incombente nonché all’incapacità di ricordare il nome di battesimo degli adorabili nipotini di cui amavano circondarsi, quello era evidentemente un mero dettaglio. Una questione di puntigliosità.
Se avesse ricevuto un centesimo di euro o un penny per ogni volta che suo padre gli avesse lanciato l’occhiata (un misto di “abbi pazienza”, “loro sono la tua famiglia” e “no, non puoi uscire per locali gay la sera della vigilia”) probabilmente a quel punto avrebbe avuto abbastanza denaro non soltanto per frequentare la Dalton, ma persino per comprarla. E così rispedire, con un calcio nel culo  e una raccomandata di sola andata, le versione biondastra, americanizzata e stereotipata del temibile Boss Artiglio[2] e di quel gatto ibernato che avrebbe volentieri affisso per la coda a mo’ di nuova bandiera dell’istituto (chissà dove erano finiti i suoi schizzi, tra l’altro).
In verità, tra tanti discorsi aulici sull’importanza della famiglia e del trascorrere del tempo insieme (tradotti nella sua mente da un continuo “blablablablabla diabete, blablablabla stronzate, blablablabla, ma quando finirai di parlare?” ), si sentiva una voce missionaria, un ambasciatore della verità.
Il tempo trascorso coi parenti era una forma volontaria e legalizzata di “stupro con un clistere” che gli avrebbe succhiato via la linfa vitale e la voglia di vivere, almeno fino a quando dal veglione di Capodanno non avrebbe potuto festeggiare a modo suo. (E con festeggiare, sì, intendeva trapanare quanti più bei ragazzi potesse, prima del rientro alla Dalton).
 
“Ci vediamo a Gennaio, Miss Hummel”.
“E’ una promessa o una minaccia?”.
 
 
 
 
A di amore. Perché era ciò intorno a cui ruotava tutta quella atmosfera da glicemia gratuita: un sacco di chiacchiere e di belle favolette su come in quel periodo dell’anno sarebbe stato opportuno trascorrerlo con le persone più care. Perché niente faceva tanto Natale quanto il ritrovarsi intorno alla stessa tavola, a raccontarsi le reciproche giornate, gli acciacchi della vecchiaia, di quel parente che era riuscito a raggiungere la laurea o, ancora, di quello che stava per sposarsi. A quel punto, era spontanea la domanda circa la sua fidanzata di cui non parlava mai perché evidentemente troppo timido per quel genere di confidenze. Era qualcosa divenuto ormai "tradizione" se così la si poteva definire. Qualcuno ne alludeva (di solito la nonna o la zia, o la cugina, insomma sempre una donna perché era loro diritto di intromettersi nella vita altrui; ossimoro davvero interessante!) e a quel punto i genitori si scambiavano uno sguardo guardingo. Quello sguardo nel quale sembravano chiedersi se fosse davvero opportuno cercare di ricordare loro della sua identità sessuale. Cercava di ignorare i sorrisi divertiti delle zie o dei cugini e si limitava, solitamente, a morsicarsi la lingua per poi sollevare gli occhi al cielo.
Di anno in anno, se lo prometteva, sarebbe riuscito in quella dichiarazione che avrebbe probabilmente congelato la tavola: probabilmente la nonna avrebbe cominciato a sciorinargli il rosario addosso o invocare un santo della sessualità (?) perché il suo povero disgraziato e sventurato nipote trovasse una Via di Damasco per tornare sulla retta via. O, probabilmente, avrebbe cosparso la sua camera di santini e di bibbie a mo' di aglio contro i vampiri e/o costretto ad immergersi in una piscina di acqua benedetta. O forse le sarebbe semplicemente venuto un infarto.
Suo nonno avrebbe avuto bisogno che la parola fosse scandita almeno una mezza dozzina di volte, ognuna delle quali con tono sempre più alto per poi scoprire che il suo apparecchio uditivo era stato spento. Probabilmente avrebbe rischiato che le proprie tonsille gli finissero direttamente nell'esofago prima che potesse riprendersi. A quel punto lo avrebbe guardato con occhi sgranati. Per dieci, quindici secondi (dopo aver messo gli occhiali e aver strabuzzato gli occhi come un barbagianni). A quel punto si sarebbe voltato verso la figlia.
"Che vuol dire gay?".
Mhm, sarebbe valsa la pena provarci.
 
"Oh, mon petit Sébastien" aveva chiocciato la nonna e Sebastian aveva dovuto improvvisare il suo sorriso da "bravo ragazzo", quello che ingollava ogni volta che Hunter prendeva presidenza delle riunioni dei Warblers e lui immaginava di prendere il manico del martelletto ed infilarglielo su per-
"Dis-moi la verité: quelle est la femme qui a volé ton coeur?[3]" cantilenò anche quell'anno, appoggiandogli la mano sul braccio.
Sospirò. Levò lo sguardo sui genitori e quel silenzio sceso tra loro.
Contemplò la nonna, lo sguardo speranzoso misto ad una luce di preoccupazione e Sebastian si odiò perché tutto ciò che riuscì a bofonchiare fu un:
"Aucune femme par le moment [4]" a meno che non assomigli a Jensen Ackles, aveva aggiunto tra sé.
Mentre questa si chinava a lasciargli un bacio umido e salivante sulla guancia, tutto quello che riuscì a fare fu stringere il pugno.
C'è sempre l'anno prossimo, vecchia mummia, non provocarmi.
 
T di trombosi. No, purtroppo non vi era alcun riferimento porno o malizioso seppur avesse sempre, nello spirito, natalizio, pensato di poter far cantare ad un ragazzo un "OH,OH,OH" in una tonalità ben diversa da quello degli spastici bambolotti di Babbo Natale affissi ovunque (e che si premuniva di calpestare o gettare per terra).
Quell'anno, durante le vacanze familiari, sua nonna era afflitta proprio da quella forma di disturbo della circolazione che la costringeva, per la maggior parte del tempo, a restare stesa o coricata. Il che sarebbe potuto essere non poco vantaggioso, se ciò non fosse equivalso a quel suo spasmodico e melodrammatico bisogno di attenzioni e di vezzi per i quali Sebastian avrebbe amorevolmente voluto gettarla giù dalla rampa di scale e costringerla così a rimettersi in piedi e smetterla con quella commediola che l'avrebbe resa sicuramente un'attrice degna di Broadway, in grado di competere con la mestruata e melodrammatica Rachel Berry e le sue smorfie improponibili mentre agganciava un acuto.
Decisamente quell'anno si erano superati nella scala dell'orrore ma non avrebbe saputo e voluto immaginare ciò che avrebbero potuto riservargli l'anno successivo, ragione per cui era più che preferibile sostare in quella comunemente nota come "beata ignoranza".
 
"Sébastian, est-ce que vous pouvez me lire la Bible? [5]"
Ecco, appunto.
 
A di amore (bis). Certo, per tutti quegli anni gli avevano propinato i soliti e dolci racconti su come ad ogni Natale ciò che fosse davvero, davvero importante, fossero i sentimenti, soprattutto riscoprire un po' più di saggezza nel proprio cuore.
Dopo una settimana trascorsa tra quelle pareti, cercando di evitare i parenti in una sorta di flipper fisico e familiare, bevendo di nascosto e scappando dalla finestra della propria camera e lasciandosi cadere dalla tettoia del porticato, attento a non slogarsi una caviglia; sì, aveva fatto del suo meglio per schivare il concetto.
A quel punto era necessario attendere l'intervento di un vecchio amico di infanzia per poi abbandonare il quartiere di sobborgo e raggiungere la vera Parigi natalizia.
Checché ne dicessero i parenti quell'anno, no, non era per alcun motivo distratto. Non cercava costantemente in un ragazzo da rimorchiare, un paio di iridi azzurre e tanto meno una voce da controtenore (che avrebbe definito da uomo-senza-palle), ed era stata una casualità il fatto che, trovato un tipo disponibile al sacro trapanamento, qualcosa non fosse accaduto.
Aveva proceduto il percorso a ritroso, accompagnandosi ad un rosario di invettive nei confronti di Miss Hummel, prima di lasciarsi cadere sul proprio letto.
Solo e, soprattutto, sessualmente frustrato.
E con quel volto fin troppo vivido nella propria memoria.
 
"Dis-moi la verité: quelle est la femme qui a volé ton coeur?" era stata la cantilena che aveva sentito al proprio orecchio. Il fatto che la stessa pronunciando mentre ne carezzava i capelli in quel punto debole che gli consentiva di rilassarsi, avrebbe dovuto farlo arretrare stizzito.
"Mademoiselle Hummel" si era sentito dire, quasi sovrappensiero.
"Donc est-ce que tu est tombé amoreux?[6]". Aveva chiesto, il tono sereno e commosso, intensificando il ritmo di quelle carezze e il giovane aveva scosso il capo.
"Au contraire, grand-mère. Je suis tombé dans un empasse. Je lui veux etre loin[7]". Aveva dichiarato, le braccia incrociate al petto e lo sguardo ostinato.
"C'est la peur, mon petit, a t'arreter[8]" aveva sussurrato in risposta.
"Je n'ai pas peur. Il faut oublier ce que nous ne voulons pas[9]".
"Tu n'es pas sincère, n'est-ce pas?[10]" uno scintillio benevolo nello sguardo, malgrado il sorriso sbarazzino.
"Touché[11]".
 
L di lamento. In fondo, anche quello sarebbe potuto divenire un simbolo e una tradizione familiare, in fondo la famiglia avrebbe dovuto sostenersi reciprocamente, anche in quell’accezione del termine. In fondo, nessuno avrebbe potuto biasimarlo di fronte alla sua stoica sopportazione che, ancora una volta, si vedeva cercare di trattenersi dallo sbattere la testa contro la parete. Ripetutamente. Nel tentativo di procurarsi una commozione cerebrale che gli facesse dimenticare momentaneamente tutto quanto o che, se avesse avuto fortuna, lo facesse allontanare da quella casa, almeno fino a quando il periodo dei festeggiamenti non fosse davvero concluso. O magari sarebbe stato più saggio attendere che i genitori gli avessero già preparato le valigie e acquistato il biglietto aereo per il rientro in America.
Cercava di ignorare il lamento della sua metà sotto la cinta che si era vista letteralmente privata dei suoi di festeggiamenti o il pensiero di quanti lamenti avrebbe potuto procurare nel diffondere il suo concetto di “amore” e di “generosità” nei locali gay parigini.
Cercava di pensare al lamento continuo che era la voce di quella “faccia da checca” ogni volta che lo avesse visto, quel suo sollevare gli occhi al cielo, mostrarsi totalmente insofferente, per poi affermare, con lo stesso tono melodrammatico, che lui avesse iniziato un vero e proprio stalking nei suoi confronti. Immaginare che altro lamento gli avrebbe strappato se avesse osato insudiciare i suoi abiti o attentare alla sua pettinatura e quei colpi di sole che sembravano conferire nuova luce al volto e allo sguardo. Storse le labbra alla portata diabetica di quei pensieri, probabilmente e naturale conseguenza di tutta la quantità di zucchero e di cibi che sua nonna gli avesse fatto ingerire nelle ultime settantadue ore, condite con quel clima al miele difficile da deglutire almeno quanto una palla di polistirolo infilata giù per le narici.
Un lamento ad un casuale (quasi causale) scontro.
 
“Ahi, Sebastian! Ti è così difficile coordinare occhi e piedi se non canti qualcosa di discutibile gusto?”.
“Dovresti vedere quanto so essere coordinato al buio”.
“…”.
 
E di eccitazione. Erano passati gli innocenti (più o meno) tempi dell’infanzia in cui era la credenza di un pancione con problemi di costipazione, che si faceva calare in camino, a rendere la mattina di Natale degna di considerazione. Quando, allora, la più grande fonte di gioia e di fibrillazione era svegliarsi presto per correre giù dalle scale alla ricerca della pila dei propri regali. Osservò con le braccia incrociate al petto i bambini che si rincorrevano per la casa prima di gettarsi letteralmente ai piedi dell’albero e sperò soltanto che, dopo aver improvvisato un sorriso di fronte alle telecamere, potesse crogiolarsi nella sua beata solitudine disintossicante prima di scoprire di avere un pericoloso procinto di emorroidi.
Dopotutto non fu difficile, invece, improvvisare il sorriso quando giunse il momento della separazione, persino quando sua nonna lo strinse in un ulteriore abbraccio e lo trattenne. Sembrò voler siglare quel momento come fosse particolarmente importante, tanto che avrebbe potuto quasi sentirsi in colpa. Aggrottò le sopracciglia, un rapido ripercorrere quelle ultime e disastrose vacanze e scosse il capo deliberatamente.
Scosse stizzito il capo fino a quando non percepì la carezza della donna tra i capelli.
“Bonne chance, Sébastien[12]”.
“Pourquoi?”.
“Tu le sais, mon petit”.
 
Non era eccitazione, si era detto, il riconoscere una particolare fisionomia nella consueta caffetteria e, ancor meno, quello strano ed insolito rimescolio di viscere prima di cingerne il fianco da dietro e chinarsi al suo orecchio.
“Ti sono mancato?”.
Lo aveva sentito sussultare visibilmente, si era immerso in quel profumo delicato e stuzzicante prima che si scostasse, le sopracciglia aggrottate nel voltarsi ad osservarlo. Le braccia incrociate al petto e il mento sollevato. Sembrò scrutarlo come a voler determinare quanto e se fosse serio prima di sollevare gli occhi al cielo.
“Trattengo a stento la commozione”. Aveva scosso il capo prima di pagare il suo caffè, prendere il bicchiere ed allontanarsi. O almeno era la sua intenzione, prima di sentirsi nuovamente avvincere dalla sua stretta.
“Cosa stai facendo?” .
“Ti trattengo” fu la semplice replica.
“Lo vedo e perché, soprattutto, lo stai ancora facendo?”. Stava scrutando la sua mano, quasi si trattasse di qualcosa di contaminante, quasi stesse deliberatamente infettandolo.
“Un consiglio della nonna”. Un sorriso sincero nel dirlo, un guizzo di divertimento che fece ulteriormente inarcare le sopracciglia dell'altro.
“Sei ubriaco?”.
“Non ancora”.
“Mi lasci andare?”.
“No”. Si era chinato a cingerne la guancia, aveva sospirato sul suo viso, un sorriso più voluttuoso al vederlo irrigidirsi, gli occhi sgranati nei propri, mentre alitava sulle sue labbra.
“Decisamente no”.
 
 
 
Spero che tra le imprecazioni di Sebastian, il suo dubbio spirito natalizio e qualche commento molto blasfemo, la storia vi abbia fatto sorridere. E vi auguro, soprattutto, che il vostro divertimento in famiglia non sia lontanamente paragonabile a questo.
Non mi resta che darvi appuntamento a domani con l’ultima traccia, un sequel della mia prima “Gossip Glee” (per chi non l’avesse letta, la troverete cliccando qui ).
Buona Domenica!
Kiki87


[1]     Cognome (naturalmente inventato) dei parenti francesi di Sebastian, da parte materna.

[2]     Boss Artiglio o Dottor Gang è uno dei protagonisti del cartone di “L’ispettore Gadget”. Un cartone che adoravo da bambina. Francamente non lo ricordo molto ma appena ho visto Hunter e la scena della poltrona che si gira per accogliere Blaine, carezzando il gatto, il paragone è stato inevitabile.

[3] “Oh mio piccolo Sebastian… dimmi la verità: quale ragazza ha rubato il tuo cuore?”.

[4] “Nessuna per il momento”.

[5] “Sebastian, puoi leggermi la Bibbia?”.

 

[6] “Allora ti sei innamorato?”.

[7] “Al contrario, nonna. Sono caduto in un bivio. Voglio stargli lontano” (Sebastian lo intende al maschile – ve lo traduco così – ma in francese si usa la parola “lui” come complemento di termine sia al maschile che al femminile per cui la nonna può ancora ritenere si parli di una ragazza).

[8] “E’ la paura, piccolino, a fermarti”.

 

[9] “Non è la paura. Bisogna dimenticare ciò che non vogliamo”.

 

[10] “Non sei sincero, vero?”.

[11] “Beccato”. Letteralmente sarebbe “toccato” ma diciamo che si usa per esprimere uno stato d’animo dove si riconosce che la provocazione altrui ha colto nel segno.

[12] “Buona fortuna Sebastian”.

“Per cosa?”

“Lo sai, piccolino”.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Kiki87