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Autore: AriiiC_    23/12/2012    4 recensioni
Will si sentiva in colpa. Will amava la ragazza del suo parabatai.
Ma Jem stava morendo: era questione di giorni, e Jem non ci sarebbe stato più.
[Dal testo]
Tutto ciò che uscì dalle sue labbra, fu un patetico e misero « Scusa. »
« Non si chiede scusa perché si ama. » riuscì a ribattere il malato prima che un colpo di tosse frenetico scuotesse il suo corpo. Si mise seduto per un paio di secondi, prima che la fidanzata gli porgesse un fazzoletto in stoffa. Lo prese rapido e lo portò davanti alla bocca. Con grande orrore di William, quando lo scostò il candido bianco del cotone era diventato rosso.

{Cassandra Clare ci ha praticamente detto che Jem morirà in "The clockwork Princess", così ecco come immagino quel momento}
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Carstairs, Theresa Gray, William Herondale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Se morirai, verrò con te. »

 
 




 
 
 « Come sta? » chiese Will preoccupato alla cameriera accovacciata per terra nel corridoio al secondo piano dell’Istituto, davanti alla porta della stanza di Jem.

 « Come vuoi che stia? » rispose lei acida. Era vero, provava un sentimento per il ragazzo dai capelli argentei e non aveva ancora accettato l’idea del suo matrimonio imminente. Will avrebbe potuto dirle che la capiva, perché era vero. Ormai, non riusciva più a guardare in viso Tessa senza vedere il viso di quella ragazza che l’aveva allontanato nel salone, dicendogli che si sarebbe sposata. Con Jem. Il diciottenne si sentì di nuovo mancare l’aria. Jem. Suo fratello. Il suoparabatai. Ma la colpa non era sua: non lo sapeva, non poteva immaginare che Will amasse Tessa più di quando avesse fatto con chiunque altro. Ma l’aveva persa; aveva garantito al suo migliore amico una serenità negli ultimi mesi che non avrebbe mai avuto senza di lei.

 « In fondo, era questione di giorni. – si ritrovò a pensare. – Forse è meglio così: smetterà di soffrire. »
  Si accorse con orrore che la maschera di cinismo che aveva indossato in tutti quegli anni stava prendendo il sopravvento su di lui. Non era più lo stesso William Herondale che Ella era morta per salvare. Era nuovo. Peggiore. E solo ora se ne stava rendendo conto appieno: l’amore ti cambia. L’amore ti uccide.

 « Allora, notizie? » chiese Cecily, i capelli neri legati in modo disordinato sopra la testa e gli occhi blu sconvolti. La camicia da notte bianca e sbarazzina slacciata sul davanti. La somiglianza tra lei e il fratello non andava oltre il fisico. Erano come il sole e la luna: lui cupo, lei raggiante.

 « La signorina Tessa è ancora dentro. – rispose Sophie, alzando per un breve istante gli occhi dal pavimento. – Charlotte pensa che, con lei accanto, la morte gli farà meno male. »

 « E voi davvero ci credete?! – sbottò Will. – Io sono il suo parabatai, non lei! Sono io quello che dovrebbe stargli accanto in questo momento, non lei! »
 
 Chiuse rapido la bocca, ritrovandosi a pensare a come avrebbe dovuto iniziare a misurare parole e tono di voce prima di scattare. Sicuramente lo avevano sentito. Sicuramente li avrebbe distrutti.

 « Will… - disse Cecily grave. – Sappiamo tutti quanto tu voglia bene a Jem, ma ora a lui serve Tessa. È lei che ama. »

 Prima che se ne potesse rendere conto, il ragazzo tirò un pugno al muro, abbastanza forte da potersi spaccare un dito o due. Tutti avrebbero interpretato quello come un gesto di frustrazione – e, in effetti, lo era – per la morte imminente dell’amico. Solo lui sapeva che c’era ben altro: c’era dolore, c’era delusione. C’era rabbia. C’era lo stesso fuoco che l’aveva bruciato quando aveva baciato Theresa per la prima volta, lo stesso odore di acqua santa e sangue. C’era il freddo austero del tetto dell’edificio, quando l’aveva mandata via in malo modo, sperando che non lo amasse. C’era il sapore di limonata che s’era celato nelle sue labbra alla festa di Mortmain, quando lei era diventata Jessamine nella speranza di ingannare il fratello. C’era quella felicità quasi inumana che aveva provato quando aveva scoperto che la maledizione non esisteva, che sarebbero potuti stare insieme senza alcuna paura. C’era lo scoppiettio del camino, il buio della stanza col tappeto buono quando lei gli aveva detto che non sarebbe mai stata davvero sua. La sua voce, quando gli disse di non peggiorare le cose, era suonata come una preghiera, un’invocazione, una richiesta disperata di aiuto che nessuno avrebbe mai accontentato. Le chiese se amava Jem, le fece promettere che lo avrebbe reso felice, che non gli avrebbe fatto male come stava facendo a lui. E lei promise, lo fece davvero. Allora, Will se ne andò. Il giorno dopo aveva fatto le congratulazioni ai novelli fidanzatini come se nulla fosse. Ma sapeva che non era così: moriva dentro dalla voglia di urlare che Tess – la sua Tess – non avrebbe dovuto fargli questo. Ma la lasciò sorridere, accanto al suo amico e confidente che, però, non aveva mai saputo nulla di quei suoi sentimenti tanto intimi e nascosti. Li lasciò abbracciarsi, annunciare a tutti la loro felicità. Perché questo vuol dire amare.

 « Dove sono Charlotte ed Henry? » domandò di nuovo la ragazzina.

 « Alla Città di Ossa. – prima di essere interrotta, la cameriera continuò. – So, e lo sanno anche loro, che neppure i Fratelli Silenti possono aiutare, in questo caso. Ma la signorina Branwell avvertiva dei dolori, così hanno preferito andare per controllare come stesse il bambino. – disse, tutto d’un fiato. – Cyril è andato con loro. Lui guidava la carrozza… »

 « Ovviamente si portano via Cyril ma ci lasciano la pazza sclerata che canta canzoni lugubri dalla mattina alla sera, no? » disse Will, alludendo a Bridget che, come se non aspettasse altro che essere nominata, dalla cucina cominciò ad intonare:
 


Non posso combattere affinché vada via tutto;
non posso sperare che vada via tutto;
non posso gridare affinché vada via tutto.
Ooh, via tutto.
Ooh, via tutto.
Ma la risposta è sempre lì:
niente viene mai veramente scordato.
Perché muoio anch’io.
Perché muoio anch’io.
Perché muoio anc…*
  

 

« Giuro che, se continua, scendo giù e la strozzo! » sentenziò il ragazzo dal viso d’angelo, che odiava già abbastanza le uscite fuori luogo della cuoca. Come se quelle dei morti ammazzati durante il pranzo non bastassero, adesso che il sangue demoniaco stava uccidendo Jem, lei continuava a cantare. Ed era peggio del solito: le ballate scozzesi non avevano un vero senso, ma quella strana filastrocca musicata sì. Un senso che fece rabbrividire il giovane Herondale, che si sforzò per tenere a freno le lacrime.

 « Su, Will, non essere così ingiusto. » lo esortò la sorella.

 « Ingiusto? – chiese di rimando. – Il mio migliore amico sta morendo, e lei gode nel peggiorare tutto. Oh, certo: sono davvero ingiusto! » Quell’eccesso di sarcasmo non richiesto gli fece guadagnare un’occhiata assassina dalla tredicenne. Possibile che riuscisse sempre a farlo sentire una merda?

 Eppure, lei non capiva: non poteva farlo. Lei era giovane, era cresciuta con qualcuno che le voleva bene, senza doversi preoccupare del fatto che sarebbe potuto morire.

 « Io ti maledico.– aveva detto il demone blu, e lui lo ricordava così bene perché lo rivedeva ogni notte in sogno. – Tutti quelli che ti amano moriranno. L’amore per te sarà la loro rovina. Ci vorranno pochi istanti, o magari anni, ma chiunque ti guarderà con amore morirà, a meno che tu non lo abbandoni per sempre. »

 Quelle parole avevano condizionato tutta la sua vita. L’avevano fatto scappare all’Istituto, rinnegare la sua famiglia come se non la conoscesse. L’avevano portato a farsi odiare da chiunque, tranne che da Jem. Lui era la sua eccezione: sarebbe morto comunque, e l’unica cosa che la maledizione avrebbe potuto fare era accelerare le cose. Ma non esisteva nessuna maledizione, niente di niente. E avrebbe dovuto capirlo da subito, da quel primo bacio in soffitta. Lei lo amava; lei era ancora viva.

 Dei passi echeggiarono in tutta la chiesa, ma nessuno ebbe la forza di chiedersi chi fosse: Sophie pregava, Cecily osservava il fratello, ora poggiato al muro come se una sedia invisibile lo tenesse in piedi. Will ripercorse il filo dei suoi ultimi pensieri, rendendosi conto che lui sapeva. Lui aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato. Forse, il punto era che non aveva mai immaginato che avrebbe fatto così male.

 La porta si spalancò senza preavviso, facendo vedere una ragazza dal viso cadaverico e stravolto. I pallidi occhi grigi e infossati avevano un’espressione di dolore che non avevano mai assunto – neppure dopo aver scoperto del tradimento di Nate – ed erano rossi di pianto. Le labbra sottili erano curvate con gli angoli rivolti verso il basso, mentre i capelli castani lisci erano sciolti e le ricadevano sulle spalle. Portava un abito nero, dall’ampia gonna a balze, con corpetto stretto, maniche lunghe e collo alto. Un fazzoletto stretto nella mano che non teneva il pomello.

 « Allora, come sta? » domandò Sophie, alzandosi per la prima volta da quando il corridoio s’era riempito. Era visibilmente addolorata: se possibile, la cicatrice in volto era ancora più evidente a causa della smorfia di tristezza che aveva dipinto in volto. Tutto il suo corpo trasmetteva un dolore infinito. Un dolore quasi disumano. Pareva fosse sul punto di urlare, ma non lo fece mai.

 Tessa fece finta di non aver sentito e si voltò verso Will. I loro occhi si scontrarono per un rapido secondo, prima che lei distogliesse lo sguardo. Il ragazzo avrebbe giurato di averla vista arrossire,  se la situazione fosse stata diversa. « Ha detto che vuole parlarti. Penso sia giusto che entri… » e si scostò dall’uscio, lasciando vedere appena quello che c’era nella stanza. Will entrò senza esitare, mentre Tessa chiuse fuori le ragazze, allontanandole da quel piccolo mondo solo loro.

 Le tende scure erano tirate davanti al vetro della finestra. L’unica luce era quella di una candela posata sul comodino accanto al letto, dove Jem di solito teneva il contenitore con la droga che gli allungava al vita. Il violino era posato sul tavolino di legno attaccato al muro. Al ragazzo parve di vedere il parabatai in piedi guardando la luna, l’archetto in una mano e lo strumento nell’altra. Era uno dei pochi momenti in cui si sentiva davvero vivo, gliel’aveva confidato in una notte scura mentre era andato ad aiutarlo per far passare una crisi. Come in preda ad un riflesso involontario, si inginocchiò al capezzale dell’amico, stringendo una mano tra le sue. I suoi capelli erano sparsi a raggera intorno al capo, sopra il cuscino, e parevano essere più argentei del solito, mentre i suoi occhi naturalmente chiari risultavano neri a causa dell’eccessiva dilatazione delle pupille. La sua pelle era come quella di Camille quando non mangiava da troppo tempo. Aveva la stessa sfumatura di quella della vampira, il che non era esattamente quello che si poteva definire un bene. Una pezza fredda sulla fronte aveva lo scopo di tenere la temperatura corporea a bada. Ormai, però, risultava asciutta a causa della pelle bollente del ragazzo che pareva non avere intenzione  di rinfrescarsi.

 Le labbra di Jem si mossero piano: « Pulvis et umbras sumus. »

 Siamo polvere ed ombra., il motto dei cacciatori. William ricordò di aver spiegato il suo significato a Tess, una delle tante sere in biblioteca. I cacciatori muoiono giovani, e vengono bruciati per poi svanire nelle ombre della notte e nelle luci del giorno.

 « Che intendi, James? » gli chiese Will con un tono calmo e pacato che non gli apparteneva. Sentì le sue dita serrarsi attorno al suo polso, tirandolo debolmente verso di sé per farlo avvicinare. William accolse la sua richiesta e si mise con il naso attaccato alla guancia di Jem. Eppure, nel profondo, Herondale sentiva di non potersi rammaricare nulla: aveva abbandonato Tessa senza esitazioni, perché si trattava di lui. Certo, aveva pensato più e più volte di andare e dirgli tutto una volta per tutte: dirgli che lo stava uccidendo, che non poteva togliergli tutto ciò per cui respirava. Ma era stato zitto, rinchiudendosi nella sua ombra, nella speranza che avesse capito da solo. Ma Jem amava, e allora non capiva. E Will aveva taciuto, lasciando a lui il suo unico amore.

 « Che doveva accadere. Non è colpa tua… anzi, hai fatto tutto il possibile. Più di quanto ti fosse dato fare… » sussurrò, quasi a capire che stesse passando nella mente del ragazzo.

 « Andiamo, piantala. Sei il mio parabatai, le nostre anime sono legate. Ciò che faccio per te non è mai troppo. » sputò quelle parole quasi senza rendersi conto del tono che la sua voce aveva assunto. Sembrava freddo, distaccato. Ma lui non voleva: gli sarebbe piaciuto riuscire a stargli accanto, a credere a quello che diceva. Ma non poteva. Non con Tessa sulla porta che li osservava, sul punto di scoppiare di nuovo in lacrime.

 « Pensi che non abbia visto come la guardi? » e lo spettro di un sorriso animò il suo volto. Checché se ne dicesse, James era davvero forte. Abbastanza da riuscire a sorridere davanti all’amore che il suo migliore amico aveva sempre covato per la sua fidanzata. Perché, alle volte, Will nascondeva le cose. Ma Jem trovava sempre il modo per portarle a galla, per accorgersi di ciò che non andava e discuterne.

 Anche davanti alla morte.

 « Oh, no. Jem, davvero, non… » ma venne interrotto dalla calda mano di Tessa che gli si posò sulla spalla in modo fraterno, quasi affettuoso. Non si ritrasse: era inutile.

 « James… James, guardami. » disse la ragazza con una voce spezzata, distrutta dal dolore che s’era concentrato nelle ultime ore.

 E James Cairstairs obbedì, e la guardò.

 « Se stai anche solo pensando che non ti ami, allora ti sbagli. – guardò in modo complice Will, prima di continuare a parlare. – Non è così. »

 « Non ne dubito, – rispose allora. – ma temo che neppure Will ti sia indifferente. »

 Quelle parole fecero male più del morso di un vampiro o di un lupo mannaro, più di una brutta caduta o di una runa tracciata male. I ragazzi sentirono ribollire la vergogna dentro sé. Il sangue affluì alle guance di Tessa, mentre Will cercava qualcosa da dire. Tutto ciò che uscì dalle sue labbra, fu un patetico e misero « Scusa. »

 « Non si chiede scusa perché si ama. » riuscì a ribattere il malato prima che un colpo di tosse frenetico scuotesse il suo corpo. Si mise seduto per un paio di secondi, prima che la fidanzata gli porgesse un fazzoletto in stoffa. Lo prese rapido e lo portò davanti alla bocca. Con grande orrore di William, quando lo scostò il candido bianco del cotone era diventato rosso.

 « Ma si chiede scusa perché si delude. » rispose appena il ragazzo si coricò di nuovo. Le sue pupille iniziarono a restringersi, il petto che faceva su e giù freneticamente rallentò. Delle lacrime bagnarono il viso di Tessa, che si sentì morire dentro. Aveva rinunciato a Will, per Jem. Aveva combattuto per amarlo. E appena aveva iniziato, era arrivato il momento per lui di morire. E forse era questo a farle male, a farle spingere via Will e ad inginocchiarsi accanto al ragazzo morente. Le sue labbra si posarono rapide su quelle di Jem, mentre il giovane Herondale si era messo in piedi poco lontano da loro. Quel bacio, ne ricordò a Tessa un altro, forse meno disperato. Lo stesso calore della febbre, la camicia da notte sbottonata, il violino sul tavolo, il petto di lui nudo. Le parole che s’erano sussurrati prima che le labbra si toccassero, il movimento brusco del braccio che aveva fatto cadere lo yin fen che s’era sparso a terra come polvere di stelle.

 « Se morirai, verrò con te. » biascicò allora, un secondo prima che Jem l’attirasse di nuovo a sé, posando delicatamente la bocca sulla sua.

 « No. Peggioreresti solo le cose. So che puoi andare avanti senza di me. – disse, e si rivolse a Will. – Sei stato il miglior parabatai che avessi potuto avere. – esitò, poi aggiunse: – Prenditi cura di lei. »

 Il ragazzo non ebbe il tempo per ribattere, che un raggio di luna attraversò le tende. Gli occhi di James erano ancora aperti, ma le palpebre iniziavano a calare piano. Tessa guardò Will. Will guardò Tessa. Le iridi blu di lui si riversarono in quelle grigiazzurre di lei, mentre si sedeva sul materasso, accanto all’amico che non aveva mai meritato e che, anche nella morte, aveva pensato più agli altri che a sé.

 Le parole preoccupate di Charlotte ed Henry riecheggiarono nel corridoio, insieme alla risposta triste di Sophie e ai passi di Cecily.

 Jem chiuse gli occhi per l’ultima volta, e solo allora Will capì: ecco cosa significava amare davvero qualcuno.
 
 
 












 
 

 
 *: parole da Understanding degli Evanescence. Non conosco canti tipici scozzesi, quindi ho usato questa.

















































 

 Adolf's corner:

 Allora...
 Ho finito le origini da un po', e mi è rimasto l'amaro in bocca per il finale del Principe. Così ecco la mia visione assolutamente personale della morte di Jem (dato che Cassandra ci ha detto che "qualcuno morirà nella Principessa, ma non è un mistero")
 Mi piacerebbero dei vostri pareri, se siete arrivati fin quaggiù, dato che è la mia prima ff in questo fandom e vorrei sapere se me la cavo o è meglio che mi dia all'ippica (?)
 A presto, forse!
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall (i miei quattro neuoroni ùù)





ps. Ci tengo a dire che non odio Jem, ma preferisco di gran lunga Will ùù

  
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