If you
were here.
Il mio destino... il
nostro destino... è sempre stato il nostro destino...
Ma tu non sei qui con me nel momento del suo massimo splendore. Non sei qui con
me. Arthur...
Un grido squarciò il silenzio
della notte fredda, attraversando il castello, i suoi corridoi e le sue stanze
con una drammaticità che, per quanto ormai non fosse nuova, sapeva di
straziante dolore ogni volta.
Parsifal aprì gli occhi
di scatto, trattenendo il fiato per alcuni istanti, in cuor suo sperando
segretamente che quel suono avesse fatto solo parte del suo sonno, ma quando un
secondo grido seguì il precedente, non ci furono dubbi.
Raggiunse con poche
falcate la stanza interessata. All'interno la stessa scena di ogni notte da
allora: Merlin steso sul letto, madido di sudore ed uno stanco Gaius al suo capezzale.
«La febbre è di nuovo
alta», disse quello con voce sottile ed era sottinteso per il cavaliere
l'ordine di prendere un panno per
bagnarlo d'acqua fredda e posarlo sulla fronte del ragazzo.
Parsifal si sedette sul
bordo del letto ed accarezzò il viso contratto del ragazzo, mentre cercava di
raffreddarlo per dargli un minimo sollievo. Osservò le rughe sottili di quello
strazio, gli occhi stretti come a non voler mai più vedere e la linea tesa di
quelle labbra troppo chiare. Era così ogni notte e anche se con la luce le cose sembravano
rasserenarsi un po', quando tornavano le ombre il passato lo assaliva.
«Il mio destino... non
sei qui... ho fallito...», sussurrò, asserragliato dallo stesso incubo il
giovane mago.
Ho fallito.
Il cavaliere si sentì
morire dentro. Quelle... quelle erano state le ultime parole di Gwaine. La sua ultima convinzione, prima di lasciarlo era
stata quella di aver sbagliato ogni cosa.
Si fece forza ed
istintivamente portò a sé il ragazzo, stringendolo al petto e nascondendo in
quell'abbraccio le proprie lacrime. Se Gwaine fosse
stato con loro, avrebbe certamente saputo che cosa fare. Se Gwaine
fosse stato lì con loro probabilmente Merlin non avrebbe sofferto in quel modo:
lo avrebbe fatto ridere, sarebbe stato in grado di consolarlo, di far sì che si
sfogasse e andasse avanti. Ma Gwaine non c'era e la
sua assenza pesava nel petto come un macigno. E lacerava.
Non era vero che i
cavalieri non soffrivano. Non era vero che non piangevano.
A Parsifal, Gwaine mancava in modo indicibile.
«Mia Regina...».
La voce del vecchio
cerusico lo fece tornare in sé e sperando che la sua debolezza non fosse così
evidente, il cavaliere, stringendo ancora con un braccio Merlin, si voltò verso
la donna che aveva fatto il suo ingresso nella stanza, accanto a Leon.
«Come sta?», chiese
Gwen, facendo qualche passo in avanti.
«Come ogni notte, mia
signora: gli incubi lo fanno agitare ed è nuovamente salita la febbre».
La regina annuì,
raggiungendo il capezzale del ragazzo e sedendosi sull'altro bordo, mentre il
cavaliere lo adagiava di nuovo sul letto. Leggeva il proprio dolore su quel
volto e gli occhi velati che d'improvviso la guardarono le fecero ricordare il
riflesso che scorgeva ogni giorno nel proprio specchio.
«Mi dispiace...»,
sussurrò Merlin, non appena comprese la situazione «Questa scena sarà diventata
per voi fin troppo familiare».
Il sorriso debole della
donna cercò di rassicurarlo senza successo.
«Il tuo dolore è il
mio, Merlin», gli disse allora, ma il mago scosse la testa, distogliendo lo
sguardo.
«Dovrebbe essere solo
vostro, mia regina e non riguardarmi affatto, mentre ecco che ogni sera
siete voi ad essermi accanto».
La formalità di quelle
parole lasciò senza fiato Gwen, improvvisamente privata degli occhi chiari del
suo migliore amico. Improvvisamente capì che Merlin semplicemente non si
sentiva degno di tale dolore, come se non lo meritasse – se poi qualcuno
potesse meritare un simile tormento.
«Tutti, ognuno a modo
proprio, stanno soffrendo per... Nessuno può dirti che non ne hai diritto».
«Ma ho fallito! Io ho
fallito. Siamo qui per causa mia. Quale diritto potrei avere-».
Le sue parole furono
spezzate dai singhiozzi improvvisi della regina, che si gettò tra le sue
braccia come la più debole delle creature. Lei che stava tenendo testa a tutti
coloro che credevano che un regno governato da una vedova fosse debole, lei che
sorrideva al popolo ed invocava la loro forza per superare tale perdita, lei
che guardava a testa alta in futuro ed il destino perché non l'avevano di certo
sconfitta, la notte non poteva evitare di piangere per il vuoto che sentiva nel
petto.
«Il dolore è qualcosa
che nessuno potrà mai portarti via, Merlin. Neanche volendo».
Il mago la strinse
forte, cercando di calmarsi per lei. In fondo avrebbe dovuto sostenerla, starle
accanto e non lasciare che tutto quello la consumasse. Di giorno le offriva il
braccio e la seguiva ovunque andasse. Di notte, si riducevano a questo.
«Tornate a dormire, mia
regina. Nella giornata di domani arriveranno le contrade del Regni di Shedar: dovete essere riposata», le consigliò, con voce
forzatamente ferma, prima di guardare Leon con tacita richiesta.
Il cavaliere attese che
la donna si ricomponesse e le offrì il braccio, lasciando con lei la stanza.
Merlin sospirò, poggiando la testa al cuscino e osservando il volto pallido di Parsifal
e quello stanco di Gaius.
«Andate a riposare
anche voi», suggerì all'anziano mentore «Sto meglio».
L'uomo annuì, lasciando
che la mano indugiasse per qualche istante sulla spalla del ragazzo e poi lo
lasciò solo con Parsifal. Il cavaliere non staccò gli occhi dal mago e si
adagiò con lui sul letto, guardando il soffitto appena illuminato da una
candela. Avrebbe detto qualunque cosa per dissipare la cortina di dolore che
c'era nel castello dai giorni della morte di Arthur, ma non ne aveva cuore.
«All'alba vorrei andare
in un posto», sussurrò Merlin «Mi accompagneresti?».
Parsifal annuì
lentamente, senza guardare e sentì l'altro sospirare.
~***~
Non entrava nella Caverna
dei Cristalli dal giorno in cui aveva visto suo padre, il giorno in cui era
cominciata la fine di tutto: vederla ora, con quel che significava, faceva più
male di quanto Merlin aveva immaginato. Si voltò indietro, scorgendo Parsifal che
si guardava intorno con fare circospetto e quell'immagine gli portò alla mente
l'ultima volta che aveva visto Gwaine: lo aveva
protetto fino a quel punto, rischiando per lui senza chiedere nulla, come
sempre. Gwaine, che era stato il suo migliore amico,
alle volte l'unico su cui davvero poteva contare nelle difficoltà.
Non aveva potuto
neanche dirgli addio. Non aveva neanche potuto dirgli che era un mago. Non lo
avrebbe mai conosciuto davvero.
«Che posto è questo?»,
chiese il cavaliere, riportando su di lui l'attenzione.
«Entra con me e non
temere», fu tutto quello che gli concesse il giovane mago, prima di cominciare
a far strada.
Ricordava così bene i
passi da fare che non aveva bisogno di far luce in qualche modo, ma camminava
lentamente per permettere al cavaliere alle sue spalle di non perderlo di
vista, fino a che non ce ne fu più bisogno e la caverna rivelò le sue lucenti
meraviglie.
Parsifal non sapeva
dove guardare e non potendo raccogliere tutto quello che lo circondava con un
solo sguardo, spostava gli occhi lentamente da una cosa all'altra, troppo
estasiato per poter fare altro. Il mago, pochi passi davanti a lui, sentiva una
morsa stringerlo al petto e non sapeva se temere di più ciò che stava facendo o
la delusione se non ci fosse riuscito.
Ma aveva visto suo
padre lì dentro e, certo, sapeva che era stata una concessione fin troppo
grande, ma in cuor suo non riusciva a non sperare che anche stavolta, magari...
«Non dovreste essere
qui... Non avresti dovuto portare Parsifal qui...».
La sua voce, per quanto
non del tutto uguale a quella che gli era appartenuta in vita, fece scendere le
prime lacrime sul volto di Merlin semplicemente risuonando tra le pareti
ruvide. Non ebbe la forza di rispondere, sopratutto
quando individuò la sua figura grigia pochi passi davanti a sé. In fondo gli
bastava vederlo...
«Sire...».
La voce sconvolta del
cavaliere spostò l'attenzione del fantasma su di lui e non dovette passare che
qualche istante prima che un altro spettro evanescente comparisse, brillante,
accanto al primo. Parsifal non sapeva che cosa stesse succedendo di preciso, ma
in quel momento non gli importava affatto: d'improvviso aveva accanto a sé
tutto ciò che desiderava e non avrebbe fatto nulla perché quel sogno finisse.
Dopo tanto tempo,
finalmente un sogno.
«Non puoi prendere così
alla leggera queste cose, Merlin», continuò la voce di Gwaine,
accompagnando il precedente rimprovero di Arthur «Noi non dovremmo essere qui».
«Io... ho semplicemente
pregato. È bastato poco...», spiegò il mago, senza poter evitare di sorridere,
gli occhi che riflettevano la brillantezza dei cristalli e dei due spettri.
«Il vostro dolore è
percepibile a tal punto che non è servito altro».
Parsifal, intanto,
aveva fatto qualche passo, avvicinandosi a Gwaine
quasi volesse sfiorarlo, dimentico della sua natura inconsistente. Vide il suo
compagno d'armi sorridergli, gli occhi che brillavano come se fosse commosso
dall'incontro quanto lui.
«É bello poterti
rivedere, amico mio», sussurrò e l'altro non ebbe forza che per annuire.
Merlin ed Arthur invece
non avevano ancora parlato, ma i loro sguardi si limitavano a trasportare
sentimenti ed emozioni che nessuno dei due sarebbe stato in grado di tramutare
in parole.
«Vorrei ci fosse un modo
più facile per voi... Sento quello che provi».
«Lo so... io vorrei
avercela fatta, Arthur».
Il Re scosse la testa e
si avvicinò al mago, fino a stargli così vicino da averne potuto sentire il
respiro se solo fosse stato vivo.
«“Solo... tienimi, ti
prego”... è quello che ti ho chiesto, la sola, ultima cosa che ti ho chiesto di
fare. E tu sei stato lì, l'hai fatto per me. Come sempre. Non c'è nulla che tu
abbia fatto, Merlin. Nulla. Non puoi continuare ad accusarti in questo modo di
aver fallito, perché non è così».
Il mago scosse appena
la testa, rendendosi improvvisamente conto che era per quello che era andato
alla Caverna e che probabilmente Arthur gli era apparso per la stessa ragione:
il suo era un rimorso così grande che anche lo spettro del Re lo avvertiva.
«Camelot
è in pace adesso... e tu non sei qui per vederla. Il popolo piange il suo Re,
Gwen suo marito...».
«Le chiedo perdono ogni
istante, se posso anche quando mi vede nei suoi sogni. Cerca di starle
accanto».
La voce dello spettro
era incrinata, come se stesse soffrendo per un dolore che non avrebbe dovuto
appartenergli. Eppure lo sguardo che Merlin vedeva era lucido di emozioni
inespresse e in quel momento non avrebbe voluto fare altro che stringerlo a sé:
sarebbe stato così liberatorio, così salvifico...
«Osservo Camelot. Ed osservo te», continuò Arthur «Smettila di farti
male e vivi ciò che abbiamo costruito insieme come se potessi farlo anche io,
Merlin. Non voglio altro».
Il mago, ormai in
lacrime, annuì: sentiva ancora che era ingiusto, che quello non sarebbe dovuto
essere il suo destino, ma qualcosa nel suo cuore si stava alleggerendo: la
consapevolezza non rendeva le cose più facili, ma scioglieva la rabbia
dell'incomprensione.
«Merlin non è il solo
ad avere un motivo per essere qui. Tu l'hai accompagnato, ma c'è qualcosa che
ti preme dire».
La voce di Gwaine fece sussultare Parsifal. Era il tono calmo, basso e
serio dei momenti davvero importanti, quello che da lui davvero non ti
aspetteresti, dedito com'era a scherzare ogniqualvolta ce ne fosse occasione,
ma che assumeva per questo il doppio della forza.
Il cavaliere osservò lo
spettro come a chiedersi che cosa cercasse di dirgli: davvero non sapeva che
cosa lo avrebbe aspettato in quella caverna e di certo non era stata sua
intenzione arrivare fin lì. Eppure..
«Non hai fallito»,
sussurrò «L'ultima cosa che mi hai detto è stata che avevi fallito... ma non
hai fallito. Sei stato uno dei cavalieri migliori che Camelot
abbia mai avuto, Gwaine. Volevo solo che tu lo
sapessi, perché te ne sei andato mentre te lo dicevo ed io non sapevo se mi avess-».
Le lacrime e la voce
troppo incrinata bloccarono l'ultima frase e stavolta fu lo spettro del
cavaliere a desiderare di poter abbracciare l'amico come se fosse in vita.
«Lo so, Percival. Ti
ringrazio», disse con lo stesso tremolio nella propria di voce « E... Merlin,
credo che una parte di me avesse capito da subito che eri speciale, in qualche
modo. Ti ho conosciuto davvero. Non tormentarti più».
Il mago annuì ancora e
in quel momento sentì che era tempo di separarsi. Era quello il vero addio:
aveva in sé la consapevolezza che era mancata la prima volta. Per questo era
stato loro concesso. Perché andassero avanti.
Parsifal e Merlin si
avvicinarono l'un l'altro, bisognosi di sentire calore umano mentre le figure
di Arthur e Gwaine scomparivano con la stessa
velocità con cui erano apparse, lasciandoli definitivamente soli. I due
rimasero tra i cristalli brillanti ancora per un po', prima di capire che non
sarebbe successo altro e decidersi ad andare.
Quando montarono in
sella il sole era alto nel cielo.
«Pensi che dovremmo
star meglio dopo le loro parole? Pensi che questo ci darà pace?», chiese il
cavaliere, a metà fra lo speranza e consapevolezza.
«No, Parsifal».
Suonò come una triste
condanna.
_________________________
Precisiamo che questa
non è una shot ma uno sfogo. Ho pensato che lasciando
che i miei pensieri prendessero vita sarei stata un pochino meglio… non è stato
proprio così, ma va bene comunque.
Poi… boh, io ogni tanto
torno alle origini, a questo account, che lo ammetto un po’ mi era mancato, e
pubblico. Abbiate pietà di me e di questa cosetta… spero che non risulti troppo
OOC (soprattutto Percival), anche se sono stata rassicurata dalla carissima Thalia che nulla dovrebbe
essere troppo fuori posto… E nulla, ho cercato di immaginare un dopo che non
fosse così dopo e a come Camelot stia senza il suo Re.
Personalmente, sto
seriamente male. Sapevo che sarebbe andata così, una parte di me ne era certa…
eppure determinate scene e determinati dialoghi proprio non ce l’ho fatta a
reggerli.
Quel “Solo... tienimi,
ti prego” voleva essere una traduzione del “Just… hold
me please”, ma mi rendo conto che in italiano non
rende allo stesso modo.
Inoltre, non ho messo
avvertimenti del tipo “Slash” perché tecnicamente non sono palesati sentimenti
del genere. Sia il rapporto Merlin/Arthur che quello Percival/Gwaine possono essere visti tanto come amore quanto come
stretta amicizia. Io sinceramente li intendo in entrambi i modi e li apprezzo
in entrambi i modi xD
Umh…
non penso ci sia altro.
Grazie per l’attenzione
e a presto!
Alchimista ♥