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Autore: Alchimista    25/12/2012    2 recensioni
Un grido squarciò il silenzio della notte fredda, attraversando il castello, i suoi corridoi e le sue stanze con una drammaticità che, per quanto ormai non fosse nuova, sapeva di straziante dolore ogni volta.
Persival aprì gli occhi di scatto, trattenendo il fiato per alcuni istanti, in cuor suo sperando segretamente che quel suono avesse fatto solo parte del suo sonno, ma quando un secondo grido seguì il precedente, non ci furono dubbi.

SPOILER FINALE DELLA SERIE!
Ancora sotto shock per questo disarmante finale, mi sono gettata su word per dar libero sfogo ai pensieri. Non so con che risultato. Spero davvero che apprezzerete!
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Galvano, Merlino, Parsifal, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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If you were here.

 

 

Il mio destino... il nostro destino... è sempre stato il nostro destino...
Ma tu non sei qui con me nel momento del suo massimo splendore. Non sei qui con me. Arthur...

Un grido squarciò il silenzio della notte fredda, attraversando il castello, i suoi corridoi e le sue stanze con una drammaticità che, per quanto ormai non fosse nuova, sapeva di straziante dolore ogni volta.

Parsifal aprì gli occhi di scatto, trattenendo il fiato per alcuni istanti, in cuor suo sperando segretamente che quel suono avesse fatto solo parte del suo sonno, ma quando un secondo grido seguì il precedente, non ci furono dubbi.

Raggiunse con poche falcate la stanza interessata. All'interno la stessa scena di ogni notte da allora: Merlin steso sul letto, madido di sudore ed uno stanco Gaius al suo capezzale.

«La febbre è di nuovo alta», disse quello con voce sottile ed era sottinteso per il cavaliere l'ordine di  prendere un panno per bagnarlo d'acqua fredda e posarlo sulla fronte del ragazzo.

Parsifal si sedette sul bordo del letto ed accarezzò il viso contratto del ragazzo, mentre cercava di raffreddarlo per dargli un minimo sollievo. Osservò le rughe sottili di quello strazio, gli occhi stretti come a non voler mai più vedere e la linea tesa di quelle labbra troppo chiare. Era così ogni notte e  anche se con la luce le cose sembravano rasserenarsi un po', quando tornavano le ombre il passato lo assaliva.

«Il mio destino... non sei qui... ho fallito...», sussurrò, asserragliato dallo stesso incubo il giovane mago.

Ho fallito.

Il cavaliere si sentì morire dentro. Quelle... quelle erano state le ultime parole di Gwaine. La sua ultima convinzione, prima di lasciarlo era stata quella di aver sbagliato ogni cosa.

Si fece forza ed istintivamente portò a sé il ragazzo, stringendolo al petto e nascondendo in quell'abbraccio le proprie lacrime. Se Gwaine fosse stato con loro, avrebbe certamente saputo che cosa fare. Se Gwaine fosse stato lì con loro probabilmente Merlin non avrebbe sofferto in quel modo: lo avrebbe fatto ridere, sarebbe stato in grado di consolarlo, di far sì che si sfogasse e andasse avanti. Ma Gwaine non c'era e la sua assenza pesava nel petto come un macigno. E lacerava.

Non era vero che i cavalieri non soffrivano. Non era vero che non piangevano.

A Parsifal, Gwaine mancava in modo indicibile.

«Mia Regina...».

La voce del vecchio cerusico lo fece tornare in sé e sperando che la sua debolezza non fosse così evidente, il cavaliere, stringendo ancora con un braccio Merlin, si voltò verso la donna che aveva fatto il suo ingresso nella stanza, accanto a Leon.

«Come sta?», chiese Gwen, facendo qualche passo in avanti.

«Come ogni notte, mia signora: gli incubi lo fanno agitare ed è nuovamente salita la febbre».

La regina annuì, raggiungendo il capezzale del ragazzo e sedendosi sull'altro bordo, mentre il cavaliere lo adagiava di nuovo sul letto. Leggeva il proprio dolore su quel volto e gli occhi velati che d'improvviso la guardarono le fecero ricordare il riflesso che scorgeva ogni giorno nel proprio specchio.

«Mi dispiace...», sussurrò Merlin, non appena comprese la situazione «Questa scena sarà diventata per voi fin troppo familiare».

Il sorriso debole della donna cercò di rassicurarlo senza successo.

«Il tuo dolore è il mio, Merlin», gli disse allora, ma il mago scosse la testa, distogliendo lo sguardo.

«Dovrebbe essere solo vostro, mia regina e non riguardarmi affatto, mentre ecco che ogni sera siete voi ad essermi accanto».

La formalità di quelle parole lasciò senza fiato Gwen, improvvisamente privata degli occhi chiari del suo migliore amico. Improvvisamente capì che Merlin semplicemente non si sentiva degno di tale dolore, come se non lo meritasse – se poi qualcuno potesse meritare un simile tormento.

«Tutti, ognuno a modo proprio, stanno soffrendo per... Nessuno può dirti che non ne hai diritto».

«Ma ho fallito! Io ho fallito. Siamo qui per causa mia. Quale diritto potrei avere-».

Le sue parole furono spezzate dai singhiozzi improvvisi della regina, che si gettò tra le sue braccia come la più debole delle creature. Lei che stava tenendo testa a tutti coloro che credevano che un regno governato da una vedova fosse debole, lei che sorrideva al popolo ed invocava la loro forza per superare tale perdita, lei che guardava a testa alta in futuro ed il destino perché non l'avevano di certo sconfitta, la notte non poteva evitare di piangere per il vuoto che sentiva nel petto.

«Il dolore è qualcosa che nessuno potrà mai portarti via, Merlin. Neanche volendo».

Il mago la strinse forte, cercando di calmarsi per lei. In fondo avrebbe dovuto sostenerla, starle accanto e non lasciare che tutto quello la consumasse. Di giorno le offriva il braccio e la seguiva ovunque andasse. Di notte, si riducevano a questo.

«Tornate a dormire, mia regina. Nella giornata di domani arriveranno le contrade del Regni di Shedar: dovete essere riposata», le consigliò, con voce forzatamente ferma, prima di guardare Leon con tacita richiesta.

Il cavaliere attese che la donna si ricomponesse e le offrì il braccio, lasciando con lei la stanza. Merlin sospirò, poggiando la testa al cuscino e osservando il volto pallido di Parsifal e quello stanco di Gaius.

«Andate a riposare anche voi», suggerì all'anziano mentore «Sto meglio».

L'uomo annuì, lasciando che la mano indugiasse per qualche istante sulla spalla del ragazzo e poi lo lasciò solo con Parsifal. Il cavaliere non staccò gli occhi dal mago e si adagiò con lui sul letto, guardando il soffitto appena illuminato da una candela. Avrebbe detto qualunque cosa per dissipare la cortina di dolore che c'era nel castello dai giorni della morte di Arthur, ma non ne aveva cuore.

«All'alba vorrei andare in un posto», sussurrò Merlin «Mi accompagneresti?».

Parsifal annuì lentamente, senza guardare e sentì l'altro sospirare.

 

~***~

 

Non entrava nella Caverna dei Cristalli dal giorno in cui aveva visto suo padre, il giorno in cui era cominciata la fine di tutto: vederla ora, con quel che significava, faceva più male di quanto Merlin aveva immaginato. Si voltò indietro, scorgendo Parsifal che si guardava intorno con fare circospetto e quell'immagine gli portò alla mente l'ultima volta che aveva visto Gwaine: lo aveva protetto fino a quel punto, rischiando per lui senza chiedere nulla, come sempre. Gwaine, che era stato il suo migliore amico, alle volte l'unico su cui davvero poteva contare nelle difficoltà.

Non aveva potuto neanche dirgli addio. Non aveva neanche potuto dirgli che era un mago. Non lo avrebbe mai conosciuto davvero.

«Che posto è questo?», chiese il cavaliere, riportando su di lui l'attenzione.

«Entra con me e non temere», fu tutto quello che gli concesse il giovane mago, prima di cominciare a far strada.

Ricordava così bene i passi da fare che non aveva bisogno di far luce in qualche modo, ma camminava lentamente per permettere al cavaliere alle sue spalle di non perderlo di vista, fino a che non ce ne fu più bisogno e la caverna rivelò le sue lucenti meraviglie.

Parsifal non sapeva dove guardare e non potendo raccogliere tutto quello che lo circondava con un solo sguardo, spostava gli occhi lentamente da una cosa all'altra, troppo estasiato per poter fare altro. Il mago, pochi passi davanti a lui, sentiva una morsa stringerlo al petto e non sapeva se temere di più ciò che stava facendo o la delusione se non ci fosse riuscito.

Ma aveva visto suo padre lì dentro e, certo, sapeva che era stata una concessione fin troppo grande, ma in cuor suo non riusciva a non sperare che anche stavolta, magari...

«Non dovreste essere qui... Non avresti dovuto portare Parsifal qui...».

La sua voce, per quanto non del tutto uguale a quella che gli era appartenuta in vita, fece scendere le prime lacrime sul volto di Merlin semplicemente risuonando tra le pareti ruvide. Non ebbe la forza di rispondere, sopratutto quando individuò la sua figura grigia pochi passi davanti a sé. In fondo gli bastava vederlo...

«Sire...».

La voce sconvolta del cavaliere spostò l'attenzione del fantasma su di lui e non dovette passare che qualche istante prima che un altro spettro evanescente comparisse, brillante, accanto al primo. Parsifal non sapeva che cosa stesse succedendo di preciso, ma in quel momento non gli importava affatto: d'improvviso aveva accanto a sé tutto ciò che desiderava e non avrebbe fatto nulla perché quel sogno finisse.

Dopo tanto tempo, finalmente un sogno.

«Non puoi prendere così alla leggera queste cose, Merlin», continuò la voce di Gwaine, accompagnando il precedente rimprovero di Arthur «Noi non dovremmo essere qui».

«Io... ho semplicemente pregato. È bastato poco...», spiegò il mago, senza poter evitare di sorridere, gli occhi che riflettevano la brillantezza dei cristalli e dei due spettri.

«Il vostro dolore è percepibile a tal punto che non è servito altro».

Parsifal, intanto, aveva fatto qualche passo, avvicinandosi a Gwaine quasi volesse sfiorarlo, dimentico della sua natura inconsistente. Vide il suo compagno d'armi sorridergli, gli occhi che brillavano come se fosse commosso dall'incontro quanto lui.

«É bello poterti rivedere, amico mio», sussurrò e l'altro non ebbe forza che per annuire.

Merlin ed Arthur invece non avevano ancora parlato, ma i loro sguardi si limitavano a trasportare sentimenti ed emozioni che nessuno dei due sarebbe stato in grado di tramutare in parole.

«Vorrei ci fosse un modo più facile per voi... Sento quello che provi».

«Lo so... io vorrei avercela fatta, Arthur».

Il Re scosse la testa e si avvicinò al mago, fino a stargli così vicino da averne potuto sentire il respiro se solo fosse stato vivo.

«“Solo... tienimi, ti prego”... è quello che ti ho chiesto, la sola, ultima cosa che ti ho chiesto di fare. E tu sei stato lì, l'hai fatto per me. Come sempre. Non c'è nulla che tu abbia fatto, Merlin. Nulla. Non puoi continuare ad accusarti in questo modo di aver fallito, perché non è così».

Il mago scosse appena la testa, rendendosi improvvisamente conto che era per quello che era andato alla Caverna e che probabilmente Arthur gli era apparso per la stessa ragione: il suo era un rimorso così grande che anche lo spettro del Re lo avvertiva.

«Camelot è in pace adesso... e tu non sei qui per vederla. Il popolo piange il suo Re, Gwen suo marito...».

«Le chiedo perdono ogni istante, se posso anche quando mi vede nei suoi sogni. Cerca di starle accanto».

La voce dello spettro era incrinata, come se stesse soffrendo per un dolore che non avrebbe dovuto appartenergli. Eppure lo sguardo che Merlin vedeva era lucido di emozioni inespresse e in quel momento non avrebbe voluto fare altro che stringerlo a sé: sarebbe stato così liberatorio, così salvifico...

«Osservo Camelot. Ed osservo te», continuò Arthur «Smettila di farti male e vivi ciò che abbiamo costruito insieme come se potessi farlo anche io, Merlin. Non voglio altro».

Il mago, ormai in lacrime, annuì: sentiva ancora che era ingiusto, che quello non sarebbe dovuto essere il suo destino, ma qualcosa nel suo cuore si stava alleggerendo: la consapevolezza non rendeva le cose più facili, ma scioglieva la rabbia dell'incomprensione.

«Merlin non è il solo ad avere un motivo per essere qui. Tu l'hai accompagnato, ma c'è qualcosa che ti preme dire».

La voce di Gwaine fece sussultare Parsifal. Era il tono calmo, basso e serio dei momenti davvero importanti, quello che da lui davvero non ti aspetteresti, dedito com'era a scherzare ogniqualvolta ce ne fosse occasione, ma che assumeva per questo il doppio della forza.

Il cavaliere osservò lo spettro come a chiedersi che cosa cercasse di dirgli: davvero non sapeva che cosa lo avrebbe aspettato in quella caverna e di certo non era stata sua intenzione arrivare fin lì. Eppure..

«Non hai fallito», sussurrò «L'ultima cosa che mi hai detto è stata che avevi fallito... ma non hai fallito. Sei stato uno dei cavalieri migliori che Camelot abbia mai avuto, Gwaine. Volevo solo che tu lo sapessi, perché te ne sei andato mentre te lo dicevo ed io non sapevo se mi avess-».

Le lacrime e la voce troppo incrinata bloccarono l'ultima frase e stavolta fu lo spettro del cavaliere a desiderare di poter abbracciare l'amico come se fosse in vita.

«Lo so, Percival. Ti ringrazio», disse con lo stesso tremolio nella propria di voce « E... Merlin, credo che una parte di me avesse capito da subito che eri speciale, in qualche modo. Ti ho conosciuto davvero. Non tormentarti più».

Il mago annuì ancora e in quel momento sentì che era tempo di separarsi. Era quello il vero addio: aveva in sé la consapevolezza che era mancata la prima volta. Per questo era stato loro concesso. Perché andassero avanti.

Parsifal e Merlin si avvicinarono l'un l'altro, bisognosi di sentire calore umano mentre le figure di Arthur e Gwaine scomparivano con la stessa velocità con cui erano apparse, lasciandoli definitivamente soli. I due rimasero tra i cristalli brillanti ancora per un po', prima di capire che non sarebbe successo altro e decidersi ad andare.

Quando montarono in sella il sole era alto nel cielo.

«Pensi che dovremmo star meglio dopo le loro parole? Pensi che questo ci darà pace?», chiese il cavaliere, a metà fra lo speranza e consapevolezza.

«No, Parsifal».

Suonò come una triste condanna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_________________________

Precisiamo che questa non è una shot ma uno sfogo. Ho pensato che lasciando che i miei pensieri prendessero vita sarei stata un pochino meglio… non è stato proprio così, ma va bene comunque.

Poi… boh, io ogni tanto torno alle origini, a questo account, che lo ammetto un po’ mi era mancato, e pubblico. Abbiate pietà di me e di questa cosetta… spero che non risulti troppo OOC (soprattutto Percival), anche se sono stata rassicurata dalla carissima Thalia che nulla dovrebbe essere troppo fuori posto… E nulla, ho cercato di immaginare un dopo che non fosse così dopo e a come Camelot stia senza il suo Re.

Personalmente, sto seriamente male. Sapevo che sarebbe andata così, una parte di me ne era certa… eppure determinate scene e determinati dialoghi proprio non ce l’ho fatta a reggerli.

Quel “Solo... tienimi, ti prego” voleva essere una traduzione del “Just… hold me please”, ma mi rendo conto che in italiano non rende allo stesso modo.

Inoltre, non ho messo avvertimenti del tipo “Slash” perché tecnicamente non sono palesati sentimenti del genere. Sia il rapporto Merlin/Arthur che quello Percival/Gwaine possono essere visti tanto come amore quanto come stretta amicizia. Io sinceramente li intendo in entrambi i modi e li apprezzo in entrambi i modi xD

 

Umh… non penso ci sia altro.

Grazie per l’attenzione e a presto!

Alchimista ♥

 

 

   
 
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