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Autore: clakis    26/12/2012    0 recensioni
Lo sconosciuto mi guardava come se avesse visto il sole per la prima volta. E in fondo era proprio così, Luca non ricordava nulla del suo passato e alla vista di Alice il suo cuore si riempie di un sentimento del tutto nuovo e sconosciuto e si sente come un neonato che messo al mondo inizia a scoprire ogni piccolo dettaglio di ogni cosa. Alice si è persa nel mondo, Luca non ricorda nulla di tutto ciò che lo circonda. Due cuori soli e persi non devono ritrovarsi prima o poi?
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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            Primo Capitolo: Insecurity

Alice pensava che tutta la sua vita fosse incentrata su un piccolo particolare ormai divenuto il suo ossigeno giornaliero: La pallavolo era il suo centro di sfogo perenne. Si adagiava sulla convinzione che non ci fosse nulla di così appagante come liberarsi dei propri malumori schiacciando una palla e passare metà delle sue giornate in quelle quattro mura ormai così familiari da distinguerne i lievi contorni levigati e le crepe di ogni parete malandata. Pensava che la sua tristezza, ormai divenuta incessante, era un sentimento che non poteva cambiare e che attraversava gran parte delle sue giornate . Come se la felicità fosse una meta troppo alta da poter raggiungere. Come se non la meritasse mai abbastanza.
Ogni piccolo contorno di quelle domeniche quasi infinite, trascorreva le sue ore di riposo sdraiata comodamente nel suo letto e con gli occhi rivolti verso il soffitto bianco e quasi spoglio, sperando di essere inghiottita da esso. In fondo, come con tutte le cose bianche, lei ne era terrorizzata. Non sapeva bene il perché di quell’angoscia improvvisa quando trovava davanti un foglio bianco, un muro bianco o perfino una porta bianca. Vedeva in quest’ultime la paura di rimanere sola, immobile, persa. Forse perché il bianco esprime soltanto il nulla. E lei del nulla ne aveva il terrore. Le giornate erano troppo brevi perché lei potesse appagarsi completamente di quelle ore che erano libere. Così i giorni erano un susseguirsi di date, di cui lei, non faceva nemmeno caso. Il tempo scorreva lentamente, quasi a singhiozzo. Ma l’estate era vicina, quasi palpabile. Non sapeva se essere contenta o no di quel dettaglio. In fondo solo un tipo come lei poteva vedere nell’estate una completa solitudine. L’odore dell’imminente stagione afosa era ovunque. Ne sentiva l’odore da ogni angolazione di visuale del mondo. Il sole illuminava gran parte del cielo come se ne fosse il completo padrone e i suoi raggi si espandevano a misure elevate trasportando le persone a mettersi davanti a esso, soprattutto nell’ore più calde come l’una e le due, e a bruciarsi completamente. Alice non aveva di questi problemi, lei non amava sbandierare la sua pelle candida e bianco latte, al sole. Trovava sempre dei posti all’ombra per potersi rifugiare dal mondo. Lei non si sentiva al suo posto, pensava di essere nata in un territorio  sbagliato o magari in un mondo dove non centrava affatto. Si sentiva persa e sola. Non sapeva bene il perché si trovasse sempre fuori luogo, come se non avesse mai avuto veramente una cittadinanza. Le ragazze della sua età erano tutte diverse da lei, sembrava si trovassero bene in qualsiasi situazione e Alice segretamente ne era invidiosa. Non esprimeva mai i suoi sentimenti perché credeva che nessuno al mondo potesse capirli. E infondo era proprio così , le persone sono tutte prese da qualsiasi stupido problema per accorgersi del mondo che gli gira attorno. Alice pensava che prima o poi avrebbe trovato qualcuno che fosse come lei, un perso nel mondo. Ma non osava cercarlo perché aveva anche paura di questo. Paura di condividere con un essere umano i suoi pensieri, i suoi problemi, i suoi aspetti drammatici del mondo e soprattutto i suoi sogni. E Alice in fondo, era felice che la sua vita si trovasse nel nulla e confinasse con il niente.
 
15 Giugno 2010

L’anno scolastico era scivolato via come tutti gli anni precedenti, come se qualcuno avesse spinto l’acceleratore facendo saltare ogni secondo, settimana, mese. Era giugno e lo si poteva notare benissimo dall’aria ormai divenuta intollerabile. Il caldo, quasi incessante, era diventato parte delle mie giornate troppo lunghe per essere vissute completamente. In soli 10 giorni avevo letteralmente letto quattro libri, facendomi venire le occhiaie per le letture notturne. E con ogni santissima ultima pagina un brandello di me volava via, come la storia finita del libro. Cosa mi piaceva nel leggere le storie d’amore? Perché in segreto, in cuor mio, immaginavo di essere la protagonista e cercavo di immedesimarmi in ogni situazione riflettendo il mio carattere con quello di lui o lei. Le storie che leggo finiscono sempre con il lieto fine perché credo che c’è sempre una prima o seconda possibilità per tutto. Mi piace immedesimarmi in una vita che non è la mia perché nel profondo spero sempre di perdermi nel libro e diventare tutt’uno con il personaggio. Solo per il gusto di andare via da lì. Ma quasi sempre mi trovo con i piedi per  terra in quello spazio di vita che non credo possa essere il mio. Cercai di divincolarmi dal letto, cercando con tutta me stessa la forza di mettere i piedi per terra. Quasi ci riuscii ma mi trovai in bilico nello spessore rettangolare destro e proprio quando stavo per alzarmi persi l’equilibrio. Il mio corpo cadde con un rumore quasi forzato e il mio ginocchio arrivò per primo sul pavimento. Un dolore quasi bruciante si allargò dentro la pelle doppia della parte di gamba dove vi era anche il mio ginocchio. Sulle prime pensai “cazzo si è rotto” ma successivamente mi accorsi che il contorno del dolore divenne sempre più lieve fino a diventare un solletichino quasi inesistente. Mi alzai con la forza delle mie braccia e in quel preciso istante squillò il mio cellulare. In un primo momento mi sentì perplessa perché il mio cellulare squillava pochissime volte e soprattutto per i casi d’emergenza. Poi pian piano presi lucidità e impugnai il telefono premendo il tasto verde.

-Ciao Ali.
Era una voce femminile, un suono quasi impercettibile e lento, come se avesse dovuto fare un enorme sforzo per emetterlo. Sulle prime mi sentì confusa perché Catrin non mi aveva mai chiamata e a pensarci su nemmeno mai salutata. E poi come faceva ad avere il mio numero?

-Ciao.

Il mio respiro divenne quasi a sforzo, come se qualcuno mi avesse tolto l’ossigeno che mi circondava. La mia mente fu varcata da fili di pensieri aggrovigliati e quasi tutti gli stessi. Non capivo il perché di quella chiamata e non sapere mi creava fastidio.

-Stiamo andando tutti al mare, alla terza Cala, ci vieni?

All’inizio in senso di meraviglia si fece spazio dentro di me legato anche al pensiero di indifferenza di quell’invito. Sentivo dalla sua voce l’obbligo della chiamata dettato da qualcuno che io sicuramente non conoscevo. Pensai diverse volte di rifiutare ma l’immagine di quella lunga giornata vuota che mi aspettava  si distendeva dinnanzi a me. Calcolai bene di avere ancora ossigeno nei miei polmoni e poi dettai un ‘si’ accompagnato da un sospiro lento che nemmeno mi accorsi di avere emesso.

-Perfetto allora. Alle 10 ci vediamo lì.  A presto.

Restai con la mente soffermata su quei “tu tu” che sembravano infiniti. Li contai a bassa voce, perdendomi nel contare i secondi che gli distaccavano. Cercai con tutte le forze di non aver notato la delusione nella voce di Catrin come se avesse sperato costantemente in un mio rifiuto. A passi lenti mi avviai verso il bagno dove lo specchio enorme ritraeva il mio viso pallido e macchiato di lentiggini che sembravano tanti chicchi di lenticchie. Con il palmo cercai di nasconderle e mi concentrai sui miei occhi. Erano di un marrone intenso, del colore della terra arata nei campi. Erano leggermente distaccati e il naso pronunciato con una punta quasi a patata mi creava fastidio. Mi girai nervosamente.  Mi preparai velocemente come se il tempo mi scappasse dalle mani. Cercai di dar spazio ai miei pensieri incoerenti e non ne trovai. Infine mi sdraiai nel letto e contai il tempo che mi separava da quell’evento nuovo e quasi straordinario . Avevo un’ora abbondante per perdermi nella tristezza ed essere risucchiata da essa.
 

Terza Cala . Un’ora e mezza dopo.

Sdraiata accanto all’asciugamano di Catrin cercavo di contenere un tono abbastanza alto per i suoi profili. Aveva invitato altre tre sue amiche e io rimasi quasi abbagliata dalle loro lunghe e sottili gambe nude che erano parte di loro. Cercai di annuire a ogni loro parola e di concentrarmi su tutto ciò che dicevano. Per lo più delle volte non ci riuscii ma loro non ci fecero nemmeno caso. Parlavano di qualunque cosa fosse inutile, almeno per me. Mi ritrovai a sorridere a commenti del tipo guarda il sedere di quello, sembra scolpito!” oppure “ non trovi che il mio smalto sia di un colore seducente?”. Le guardai imbarazzata perché in quel momento senti nella mia mente un pensiero nuovo e inaspettato: avrei voluto essere in un altro posto. Abbassai lo sguardo per non far si che quel pensiero fosse leggibile nei miei occhi, non avrebbero capito. Alexia, la ragazza dalle grosse gote rosse mi sorrise e io non potrei fare altrimenti che ricambiare quel gesto inaspettato.

-Andiamo a farci un bagno?

Il mio cuore balbettò e sembrò essermi uscito dal petto. Le mani iniziarono a sudarmi incontrollate. Non potevo dirle che non riuscivo a nuotare, che nessuno si era mai posto il dovere di impararmelo. Cercai una scusa fattibile ma non ne trovai. Mi divincolai su una scusa del tutto nuova come quella di avere il ciclo anche se nella mia vita non ne avessi avuto mezzo ma non fui abbastanza credibile.

-Cazzo Ali.. sei una palla! Dai andiamo.

Catrin mi prese il braccio con la forza di una bambina e in quel momento capii che non avevo alternative. La paura prese possesso del mio corpo, la sentivo ovunque. Cercai di avere un tono calmo e maturo ma non riuscivo a far smettere al mio cuore di rimbalzare furioso. Scesi piano piano le rocce che silenziosamente mi graffiavano la pianta del piede. Sentivo i quattro paia di occhi fissarmi maliziosi. L’acqua era a due centimetri da me e sembrava volermi risucchiare dentro. Lanciai uno sguardo allarmato a Catrin che ricambiò con un sorriso compiaciuto.

-Ali tu ti butti da lì ok?

Con il braccio destro indicò uno scoglio alto una decina di metri e contornato di pietre nere e affilate. Cercai di non fare caso all’altezza e alla consapevolezza che tra 20 secondi a quella parte sarei morta. Le mani iniziarono a bruciarmi e non riuscivo a fare mezzo passo. La bionda ossigenata accanto ad Alexia mi trascinò con forza alla punta del mio trampolino di lancio. Tutt’e quattro scoppiarono a ridere della mia paura che era leggibile da 200 mila metri. Con una nota di masochismo guardai sotto e mi accorsi che non era poi così tanto alto. Ma non dirti cazzate Alice.

-Ma ti vuoi muovere? Sei proprio una fifona!

Ero in un di quei momenti dove ti vedi passare tutta la tua vita davanti e capisci dell’importanza di ogni piccolo dettaglio di cui non hai mai fatto caso. Qualcuno mi fece pressione al centro delle spalle e il mio corpo si gettò  in avanti, spinto da 4 mani. Il volo che feci fu ,per me, immenso. L’adrenalina mi scorreva furiosa dentro le vene e nessuna figura, suono o qualsiasi altra cosa , era coerente nel mio cervello. Per la prima volta mi sentì libera, svuotata da qualsiasi pensiero. Per la prima volta mi sentì felice perché mi avevano dato ciò che volevo, la libertà della mia anima. L’impatto con l’acqua fredda non fece che aumentare la mia emozione di quel salto. Il sale entrò da ogni direzione, inondandomi la gola. Il mio corpo immobile non riusciva ad emettere alcun gesto e non ne aveva nemmeno l’intenzione. Scendevo silenziosamente ed ero tutt’uno con quello spazio di quiete infinita. Impercettibilmente aprii gli occhi per vedere ciò che mi circondava, ciò che avrei visto per l’ultima volta. Un viso angelico, corrugato di pura preoccupazione, mi guardava smarrito. I suoi occhi sembravano essere cielo e mare, scombinati in un colore mai visto prima. Le sue labbra sottili e rosse erano distorte da una smorfia di terrore. Il suo corpo cercava inutilmente di raggiungermi ma le onde lo trascinavano via da me. Gli sorrisi e fu un gesto quasi inaspettato, come se tutti i nervi del mio corpo si fossero messi d’accordo per compierlo.Improvvisamente sentì quasi una consapevolezza attraversare ogni mia cellula, quelli occhi mi erano familiari, ogni dettaglio del suo viso lo conoscevo, sapevo impercettibilmente in che modo si fossero mosse in sincrono le sue braccia. Non avevo la minima idea di chi fosse, era un estraneo ai miei occhi ma non al mio cuore. Sentivo il bisogno di afferrare le sue grandi braccia e di stringerlo forte al mio petto ed esclamare “io sono qui”, senza una ragione logica. Ma una potenza maggiore ci distaccava, le onde impetuose ci trascinavano in direzione opposte senza chiederci perdono. Improvvisamente qualcuno o qualcosa mi spinse verso di se e in quel preciso istante la mia riserva di aria cessò, portandomi verso il nulla.
 



Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.
-- Giacomo Leopardi .
   
 
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