Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |       
Autore: Vals Fanwriter    27/12/2012    9 recensioni
Dal capitolo 4:
"Sebastian non si era mai sentito così strano, nel leggere una singola frase; provava un sacco di sentimenti contrastanti, in quel momento: dalla delusione all’esaltazione, dall’incredulità allo scetticismo. Tuttavia, non c’era altra spiegazione a quel fenomeno; era qualcosa di paranormale, una specie di varco, di macchina del tempo; era un intervallo che conteneva due anni, due anni che separavano Sebastian da Thad, due anni che separavano il passato dal futuro."
Thadastian, e un po' di Niff qua e là | Long-fic | Fluff, Romantico, Sentimentale, Triste, e molto altro… | AU | deliberatamente ispirata a "la casa sul lago del tempo"
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jeff Sterling, Nick Duval, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Nick/Jeff, Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Rating: Verde.

Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale, Triste, e molto altro…

Capitolo: 1/15 + epilogo.

Pairings: Thadastian e un pochettino di Niff qua e là.

Avvertimenti: AU; deliberatamente ispirata a “la casa sul lago del tempo”.

Note: Alla fine.

 

Se state leggendo questa storia, il merito è solo di Robs: lei che crede in me più di quanto non faccia io stessa. È per te.


 




Image and video hosting by TinyPic



[…] non potevano esservi stati altri due cuori così aperti,
altri gusti così simili, altri sentimenti così all'unisono.

~ JANE AUSTEN ~

 

Capitolo 1

 

 

 

Il tramonto. Amava tantissimo quando il sole calante e color arancio si specchiava nelle acque quieti del lago. Amava sedersi in veranda e osservare quel piccolo spettacolo. Era solo per lui. Amava quella casa, amava la tranquillità che vi aleggiava. Una morsa gli attanagliava lo stomaco al pensiero di lasciarla. I ricordi di una parte della sua vita erano racchiusi in essa. Doveva lasciarli indietro, prendere la valigia e andare via, ricostruirsi una vita. Ricominciare.

Afferrò il manico del trolley e fece un fischio a Jack.

«Andiamo, piccola.»

Lasciò che gli si avvicinasse, mentre anche lei si guardava indietro, restia a voler lasciare quel posto.

«È ora di andare, Jack.» la incitò Thad, chinandosi sulle ginocchia e accarezzando la testa della cagnetta. Entrambi guardarono un'ultima volta la casa sul lago avvolta dal bagliore rossiccio del sole e dal luccichio dell’acqua. Il ragazzo deglutì, si tirò su e strinse saldamente la presa su una busta da lettere.

«Vieni, bella.»

Si incamminò, con Jack al seguito, e attraversò il ponticello di legno che separava la casa dal resto del mondo, come un vialetto sospeso sull'acqua. Si fermò davanti alla cassetta delle lettere, la aprì e vi ripose dentro la busta con delicatezza, sospirando. La contemplò per un istante e poi richiuse il cilindro, pronto a lasciarsi tutto alle spalle.

Fece un passo indietro e poi si voltò.

«Andiamo.»

 

 

°*°*°*°

 

 

Sguardo fisso verso l'alba. Il cielo cominciava finalmente a schiarirsi, alle spalle della casa sul lago. Il sole si stava staccando dall'acqua, lasciando dietro di sé uno stormo di scaglie luccicanti. La casa si stava riempiendo di luce, oltre le vetrate, oltre il ponte di legno, oltre la cassetta delle lettere.

Quello spettacolo compensava il peso del viaggio. Sebastian ne aveva fatta di strada, aveva viaggiato tutta la notte, solo per raggiungere quel piccolo angolo di pace, lontano dalla confusione della città. Un posto perfetto per studiare "senza rotture tra i piedi", detto a parole sue.

«Paparino, questa casa è una meraviglia.» disse tra sé e sé. A guardarlo, si sarebbe detto che riuscisse a conversare meglio, con quel padre, quando quello non era presente. Ed era così. Quella casa era tutto l'affetto che suo padre non riusciva a dargli e, con gli anni, era riuscito a farsene una ragione.

«È il caso di sistemare i bagagli.»

Fece per tornare all'auto ma qualcosa lo fermò. Non seppe cosa, fatto sta che rimase impalato lì, attratto dalla ruggine sulla cassetta postale. Si avvicinò ad essa e gli spuntò una smorfia sul viso.

«Ho trovato una pecca, papà.» ghignò, rivolgendosi di nuovo a quel padre che non c'era - era proprio un vizio quello.

Fece scivolare la levetta della cassetta postale su e giù un paio di volte, a fatica.

«Mi sa che questa devo sistemarla.»

La porticina si spalancò al quarto tentativo e gli occhi di Sebastian si fermarono su quel rettangolo bianco e sottile che giaceva all'interno del cilindro.

«E questa?» la prese e se la rigirò in mano, quella lettera, curioso, «Mi era parso di capire che di lettere non ne arrivassero qui.»

Rimase a guardarla per una manciata di minuti che parvero interminabili, poi convenne che, forse, era il caso di leggerne il contenuto. Dunque aprì la busta e tirò fuori un foglio. Era ricolmo di una grafia tondeggiante e ordinata. La studiò un attimo, dall'alto in basso, poi tornò in alto e prese a leggere.

La lettera recitava più o meno così:

 

Gentile neo proprietario della casa sul lago,
mi chiamo Thad Harwood e abitavo prima di lei alla suddetta dimora. Per una serie di motivi che ora non sto qui a spiegarle, mi sono trasferito in città e, come da norma, ho effettuato il cambio di residenza all'ufficio postale. Tuttavia, come lei può ben immaginare, certi disguidi possono capitare. Pertanto le sarei grato se mi rispedisse la posta indirizzata a me all'indirizzo in calce. La ringrazio in anticipo.

T. Harwood

P. S. Per quanto riguarda la casa, le impronte di zampe sul ponte c'erano già al mio arrivo, così come lo scatolone su in soffitta.

12/04/2014

 

Rimase perplesso davanti alla cassetta delle lettere, la bocca dischiusa e la fronte aggrottata.

No, non era stata la data, in fondo al testo a sconvolgerlo. Quella, lui non l'aveva neanche lontanamente notata.

No, nemmeno le impronte di zampe erano state, sebbene, in tutti gli anni della sua infanzia trascorsi in quella casa, di impronte di zampe sul ponte non ve n'erano mai state. Figurarsi poi lo scatolone in soffitta... Una soffitta deserta e impolverata da che ne aveva memoria.

No, era stato...

«Neo proprietario?!»

Sì, il vedersi disfatto della proprietà di suo padre, questo lo aveva lasciato di stucco. Appena due estati fa, il suo vecchio era stato chiaro a tal proposito. La casa sul lago non si sarebbe venduta, né sarebbe stata affittata. Poteva restare chiusa per anni, degradarsi nel tempo, ma sarebbe rimasta comunque lì, solo per Sebastian e sua madre.

E allora perché quel tale aveva scritto quelle cose?

Scrollò le spalle. Forse era solo uno scherzo. Si avvicinò alla sua auto, libero dall'incanto del destino che lo aveva bloccato davanti alla cassetta delle lettere. Si mise il foglietto tra i denti e con le mani afferrò saldamente le sue valigie, incamminandosi sul ponte di legno, diretto all'ingresso. Si arrestò a metà strada e, come un flash, ricordò che qualcos'altro non quadrava. Si guardò intorno, studiò ogni singola asse di legno, ma di impronte di zampe neanche l'ombra.

Si sentì preso in giro, i nervi a fior di pelle, ma quello non bastò a tenerlo buono. Qualcosa, dentro di lui, gli diceva di controllare la soffitta; così, giusto per emettere una risata sarcastica ed esclamare: «Soddisfatto, Signor Harwood?» come se fosse lì, quel misterioso personaggio, come se fosse qualcun'altro di invisibile con cui disquisire.

Dunque salì la scaletta, fece scorrere a fatica il vecchio pannello che conduceva in soffitta e, a metà tra il secondo piano e l'ultimo - la testa che spuntava appena oltre il pavimento - osservò il piccolo spazio di cui constava quel luogo impolverato.

Nessuno scatolone. Emise un rantolo infastidito, poi una risata ben poco allegra, dalla nota quasi isterica, e infine proferì, come da copione: «Soddisfatto, Signor Harwood?»

 

 

°*°*°*°

 

 

Fotografare è scrivere con la luce.

La scelta dell'obbiettivo determina tutto il resto, dall'inquadratura alla profondità del campo.

Il fotografo attento non deve farsi prendere dall'automatismo di posizionare il soggetto al centro del mirino.

L'inquadratura deve dare equilibrio all'immagine.

«Dio, hai fatto o no, Thad? È più di mezz'ora che cambi posizione!» tuonò una voce che tutto era, fuorché soave, interrompendo la stesura di quella lista accurata.

Thad si immobilizzò al centro della piazza - l'occhio ancora fisso sull'inquadratura della sua macchina fotografica - e tutti gli appunti, che la sua mente aveva ordinatamente stilato, si dissolsero, come fracassati dalla consistenza di quella voce dal tono tediato.

«Diamine, Jeff, c'ero quasi.» sospirò, lanciando un'occhiata truce al suo migliore amico, «Ora dovrò rifare tutto da capo.»

Il ragazzo di nome Jeff scrollò le spalle.

«Tanto lo avresti fatto comunque.» rispose, passandosi distrattamente una mano tra i capelli biondissimi.

«Invece no!»

Lo rimproverò con lo sguardo e quello tacque, sbuffò e infine si costrinse a sedersi su una panchina e a placare l'impazienza armeggiando con i tasti del suo cellulare.

«Va bene, va bene, però sbrigati. Ho un appuntamento con Nick.»

Thad sorrise e tornò a guardare nell'obbiettivo.

«Faccio subito, promesso.»

Luce, inquadratura, profondità del campo.

Automobili, autobus, confusione.

Non era proprio il suo genere, quel paesaggio; era troppo caotico. A lui piaceva la natura. Ne aveva fatte tante di foto alla casa sul lago, era quello il posto in cui si sentiva a suo agio, in cui si sentiva se stesso.

Ma quel corso di fotografia lo avrebbe portato lontano. Finalmente aveva la possibilità di fare qualcosa che gli piaceva davvero. Bastava solo una foto del Dealey Plaza, in tutto il suo trambusto pomeridiano, e il compito della settimana era andato.

Luce, inquadratura, profondità del campo, caos e poi...

Click!

Come se uno scatto potesse provocare un cataclisma, Thad vide, al riaprirsi del mirino, una serie di auto cozzare tra loro e un autobus finire fuoristrada, contro un palo della luce, accompagnato da un rumore stridente di freni.

Nella piazza il tempo si fermò, tutti voltati verso il disastro, tutti zitti a guardare. Perfino Jeff aveva sollevato lo sguardo dal cellulare, le labbra dischiuse e gli occhi sgranati in un'espressione sconvolta. Ma fu Thad quello che sbiancò completamente. Abbassò la macchina fotografica, mentre i bisbigli si sollevavano dalla folla e alcuni si avvicinavano all'ammasso di ferraglia informe che erano ormai le auto coinvolte nell'incidente. E poi esplosero le urla sul ciglio della strada. Un misto di parole confuse, che Thad non provò neanche ad ascoltare. Gli arrivarono all'orecchio solo pochi dettagli mentre il sudore si addensava sulla sua fronte e le mani iniziavano a tremargli.

«Ambulanza... Investito...»

Poche parole cruciali.

Barcollò in avanti, col fiato corto per l'ansia, e intravide una mano esangue, che giaceva sul selciato. Istintivamente, serrò gli occhi, la testa iniziò a girargli e fu sul punto di crollare sul marciapiede, se non che un paio di mani si strinsero saldamente sulle sue spalle. Sollevò le palpebre e trovò Jeff, davanti a sé, lo sguardo serio e preoccupato insieme.

«Respira, Thad. Non è lui.» bisbigliò dolcemente, «Non è lui.»

Gli si riempirono gli occhi di lacrime e, d'improvviso, si rilassò, annuendo vigorosamente.

«Sì, hai ragione...»

I ricordi erano capaci di riemergere in ogni momento. Bastava distrarsi un attimo e quelli erano lì, che bussavano prepotentemente per entrare. E a questo, Thad era abituato ormai. Ci conviveva da giorni con quegli incubi; da quando si era trasferito in città a dirla tutta. Riusciva a domarli sempre i sogni, ma riviverli, come fossero veri, senza potersi svegliare, quello era un altro conto. Era intrappolato lì, col l'odore di morte nelle narici e il magone allo stomaco. Solo la voce di Jeff era riuscita a farlo tornare al Dealey Plaza, più calmo certo, ma con le guance ugualmente rigate dalle lacrime.

«Hai ragione... Non è papà...»

 

 

°*°*°*°

 

 

Aveva giurato a se stesso che non sarebbe tornato indietro, che non avrebbe preso la macchina per tornare là. Ma ne aveva bisogno, doveva respirare, doveva tornare dove gli incubi si dissolvevano, lui e Jack, al luogo a cui appartenevano.

Diede uno sguardo alla cagnetta, accovacciata al suo fianco, al posto del passeggero. Aveva il naso premuto contro il vetro del finestrino e scodinzolava nel veder scorrere, davanti agli occhi, luoghi a lei familiari. In cuor suo, forse, sapeva che l'auto era diretta proprio alla casa sul lago e una scintilla di felicità luccicava in quegli occhietti scuri e curiosi. Thad sorrise dolcemente a quella scena e qualcosa, dentro di lui, si mise in moto, inducendo l'ansia che gli si era avvinghiata addosso al Dealey Plaza a scivolare via. Fu come accendere un focolare in pieno inverno - ti fa sentire a casa - e Thad, parcheggiando nel vialetto, davanti alla distesa di acqua limpida che faceva da sfondo ad una casa dalle grandi vetrate trasparenti, si sentì improvvisamente al suo posto.

Spense il motore e rimase un attimo ad osservare ciò che aveva davanti. Si avvolse la sua sciarpa preferita intorno al collo e scese dall'auto, mentre Jack lo seguiva, sgusciando fuori dalla stessa apertura. Thad aggrottò la fronte quando si accorse di dove era diretta. Jack era corsa a perdifiato davanti alla cassetta delle lettere e ora stava cercando di raggiungerne la cima con le zampe anteriori.

«Cosa c'è, Jack?»

Il ragazzo si avvicinò a lei che, per tutta risposta, stava raschiando con una zampa il paletto conficcato nel terreno. Quando Thad fu abbastanza vicino, la cagnetta si fermò.

E di nuovo, come se il destino, nelle sembianze di un cane, avesse cercato di comunicargli qualcosa di particolare, anche Thad mosse quella stessa levetta una sola volta, facendo spalancare la porticina del cilindro.

«Ma questa non è la mia...»

La casa era ancora evidentemente disabitata, perciò si stupì di trovare un rettangolo di carta ingiallito, al posto del suo, perfettamente bianco. Lo prese tra le mani e ne lesse il destinatario: al Sign. Thad Harwood c'era scritto. Così Thad la aprì, curioso, mentre Jack sfrecciava spensierata intorno a lui tra l'erba. E rimase perplesso.

E no, non fu per le insinuazioni offensive nelle quali il mittente gli dava del vecchio rimbambito e decrepito, in maniera tutt'al più rozza.

Non fu nemmeno l'accusa di aver mandato apposta un cane pazzo ad imbrattargli il ponte per fargli uno scherzo.

E se proprio vogliamo aggiungercelo, non fu neanche la velata proposta di fare del sesso con lui. Quello sì che avrebbe dovuto sconvolgerlo.

E invece, c'era qualcos'altro che lo lasciava sconcertato.

«13 Aprile 2012?» lesse a piè di pagina, con una smorfia in volto, che comprendeva un sopracciglio anche troppo inarcato.

La lettera era firmata da un certo Sebastian Smythe.




 



 

Direte voi, come ci sono arrivata IO a scrivere una long?

È accaduto una sera di quest’estate; avevo Bisogno – Bisogno con la B maiuscola, sì – di rivedere uno dei miei film preferiti, uno di quelli che so a memoria, insomma. Mi viene ogni tanto questo “spiripicchio”. E così, mi sono messa – pc, letto, eccetera eccetera – e sono partiti i titoli di testa di Lake House. Non ho visto neanche la prima scena, non ho fatto neanche finire i titoli di testa, ecco, che ho afferrato il cellulare e “mi è appena venuta un’idea per una long!” – a Robs, chi altro? E il suo entusiasmo è bastato a convincermi, come al solito.

Quindi dopo circa quattro mesi, eccomi qua. Finora ho scritto solo i primi 6 capitoli, iniziando a seguire la trama del film e distaccandomici man mano. Spero che quindi vorrete seguire questa mia versione Thadastian – che si prospetta piena di feelings, tra l’altro – e magari darmi un parere, anche uno piccolo piccolo. Ci tengo tantissimo a questa storia e ho passato l’ultima settimana con l’ansia addosso – solo l’ultima settimana, Vals?

E nulla, spero che l’inizio vi abbia incuriosito abbastanza e che i personaggi fino ad ora siano stati di vostro gradimento.

Al prossimo capitolo, con la partecipazione straordinaria di una “mia” personale guest star!

Bear hugs.

 

Vals

 

Link utili: Pagina | Facebook | Twitter

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Vals Fanwriter