L'aveva vista per la prima volta il
giorno precedente le vacanze di Natale.
Una neve sottile e scintillante
ricopriva il tetto della scuola, i davanzali delle finestre, i
cespugli radi che circondavano il campetto dietro la palestra. In
quel momento quasi tutti gli studenti erano in aula, a mangiare i
dolci e le pizzette che avevano portato da casa in occasione della
festa prima delle vacanze. Lui, invece, camminava tenendo le mani
affondate nelle tasche e lasciando spaziare lo sguardo sul cortile
imbiancato della scuola.
L'aveva sempre rilassato fare quattro
passi all'aria aperta, solo con i suoi pensieri. Quel giorno aveva
approfittato del suono della campanella, che segnava l'inizio
dell'intervallo, per alzarsi di scatto dal banco, afferrare un dolce
e fiondarsi fuori: non avrebbe sopportato di rimanere ancora
lì, in
quell'aula soffocante, con le voci e le risate dei suoi compagni che
gli trillavano in testa.
Sperava di
rientrare in tempo da quel breve giro. Fortunatamente il suo
professore di matematica era un ritardatario cronico.
Magari, se vede che stiamo
festeggiando e non vogliamo fare lezione, decide di saltare
l'appello...
Una musica
improvvisa interruppe il corso dei suoi pensieri.
Andrea si bloccò e
si guardò intorno, sbattendo le palpebre: era una bella
melodia, dal
ritmo vivace e accattivante. Una chitarra, forse? Era arrivato in
prossimità della palestra, una larga struttura quadrata che
si
ergeva in fondo al cortile, e sembrava che la musica provenisse
proprio dal campetto lì dietro.
Incuriosito,
affrettò il passo per attraversare il viale e
costeggiò la facciata
grigia della palestra, fino a raggiungere il campetto: mucchietti di
neve ne ricoprivano i gradini in pietra e il suolo rossiccio.
C'era un gruppo di ragazzi seduti su un
muretto, all'altra estremità dal campo. Andrea li
squadrò mentre
camminava lentamente nella loro direzione.
Erano i due al centro, con in mano un
paio di chitarre, che stavano suonando. Gli altri canticchiavano,
oppure parlavano e ridevano tra loro. Più si avvicinava,
meglio
riusciva a scorgere i loro visi: non li conosceva, ma erano tutti
piuttosto alti e un po' più grandi di lui, forse di
diciassette o
diciotto anni.
C'era solo una ragazzina che non ne
dimostrava più di quindici, il che attirò subito
la sua attenzione:
sedeva accanto a uno dei chitarristi e dondolava piano la testa,
mentre batteva un piede a terra seguendo il ritmo della musica. Aveva
un piccolo viso ovale, illuminato da un sorriso allegro, e uno
scombinato caschetto di capelli color mogano.
Ehi, è carina.
Lei si voltò
improvvisamente a guardarlo con i suoi occhi verdi, e Andrea
girò di
scatto la testa altrove, sentendosi infiammare per l'imbarazzo. Finse
indifferenza e si affrettò a sedersi sul muretto, a un paio
di metri
di distanza dai ragazzi. Gli sarebbe piaciuto rimanere lì ad
ascoltarli suonare, ma non gli interessava parlare con loro: a parte
per il fatto che erano più grandi, lui non era mai stato un
tipo
particolarmente socievole. Senza contare che era anche timido
come
un moccioso di prima media.
Quella ragazza... beh, avrà un anno
in meno di me.
La musica si
interruppe di colpo.
-Allora, Nicole,
scegli tu una canzone adesso.
Uno dei chitarristi
si era rivolto alla ragazzina con i capelli a caschetto. Andrea li
osservò mentre lei sorrideva, stringendosi nelle spalle.
-La conosci Rocket
Queen dei Guns N' Roses? È la mia preferita.
-Certo che la
conosco. Vada per Rocket Queen, allora...
Le dita dei ragazzi
erano corse alle corde delle chitarre, e l'aria si era subito
riempita di musica. Andrea chiuse gli occhi, con un sorriso che gli
aleggiava sulle labbra.
Rocket Queen. La
conosceva anche lui. Lui amava i Guns N' Roses fin da quando, a
tredici anni, suo cugino aveva deciso di farglieli ascoltare durante
un pomeriggio noioso. E quella era una delle sue canzoni preferite.
-If I said I don't
need anyone I can say these to you 'cause I can turn on anyone just
like I've turned on you...
Riaprì gli occhi e
lanciò uno sguardo alla ragazzina, Nicole: aveva preso a
cantare, le
labbra scattanti, con lo sguardo perso e fisso davanti a sé.
Come se
le parole della canzone l'assorbissero in un mondo di pensieri
remoti, scollegati dal resto della realtà.
Beh, in tal caso
poteva capirla. Era quello che gli succedeva ogni volta che ascoltava
una bella canzone.
-Here I am, and
you're a Rocket Queen... I might be a little young but honey I ain't
naive...
Aveva
anche una bella voce. Dolce, ma con un pizzico di decisione.
Trascinante.
Solo quando lei lo
guardò di nuovo, Andrea si rese conto che non era riuscito a
staccarle gli occhi di dosso. Avvampò e finse di essere
interessato
ai mucchietti di neve sul terreno.
-I've seen
everything imaginable pass before these eyes...
Si arrischiò a
darle un'altra occhiata. Nicole aveva gli occhi nuovamente persi,
mentre i ragazzi intorno a lei canticchiavano a voce bassa.
Decise che quella
ragazza gli piaceva. Possibile che non l'avesse mai vista in due anni
e mezzo di scuola? Forse aveva quindici anni, forse quattordici:
minuta com'era, gli risultava difficile credere che fosse una sua
coetanea.
Nicole, eh? Vedrò di informarmi.
Un nuovo lampo di
quegli occhi verdi, accesi di curiosità.
Andrea decise che poteva bastare: sarebbe morto, roso dall'imbarazzo, se fosse rimasto lì per qualche secondo in più. Si alzò e si sforzò di mantenere un passo regolare, mentre attraversava il campetto. Una volta che si fu allontanato abbastanza dalla palestra, si fermò in mezzo al viale e si voltò.
Da lì, quei ragazzi non erano che delle figure indistinte in lontananza. Ma poteva ancora udire la musica e distinguere le parole, seppur rese vaghe dalla distanza, che Nicole stava cantando.
Andrea decise che poteva bastare: sarebbe morto, roso dall'imbarazzo, se fosse rimasto lì per qualche secondo in più. Si alzò e si sforzò di mantenere un passo regolare, mentre attraversava il campetto. Una volta che si fu allontanato abbastanza dalla palestra, si fermò in mezzo al viale e si voltò.
Da lì, quei ragazzi non erano che delle figure indistinte in lontananza. Ma poteva ancora udire la musica e distinguere le parole, seppur rese vaghe dalla distanza, che Nicole stava cantando.
-I see you
standin', standin' on your own, it's such a lonely place for you, for
you to be...
Ok, forse è meglio se torno subito
in classe.
Il pensiero di
quella ragazzina dal caschetto scompigliato e la voce dolce non
l'avrebbe abbandonato per tutta la mattina.
Rocket Queen
era sempre stata la sua canzone preferita dei Guns N' Roses.
C'era qualcosa
nella sua musica e nelle sue parole che l'aveva conquistata al primo
ascolto, in un pomeriggio d'estate di quando lei aveva tredici anni.
Quella
canzone per lei era vita.
Era la scintilla
che le esplodeva dentro. Era un ritmo che rapiva tutti i suoi sensi,
un banchetto di suoni travolgenti e decisi, il bisogno pulsante di
muoversi e di liberare la voce, un incendio di pura adrenalina che
andava addolcendosi nella parte finale. Era l'emozione fatta musica.
Era un paradiso di sei minuti e tredici secondi.
Nicole aveva
riempito il suo diario di scuola di frasi prese da quella e altre
canzoni, scrivendole e riscrivendole fino alla noia. Quando lo
sfogliava, si soffermava spesso sulla scritta: You're a
Rocket
Queen. Le fissava, quelle semplici parole impresse a grandi
caratteri sul foglio bianco, finché non le sembrava che
stessero
risuonando nella sua mente.
You're a Rocket Queen, You're a
Rocket Queen.
Si sentiva come se
qualcuno glielo stesse sussurrando. Come se, in quel momento,
qualcuno si fosse finalmente premurato di prenderla in
considerazione, di sorriderle e rivelarle quanto lei fosse
importante.
Oh, figuriamoci. Non accadrà mai.
Non era mai stata
fidanzata, né qualcuno aveva mai mostrato di interessarsi a
lei. I
pochi amici che aveva erano alcuni ragazzi più grandi, una
sua
compagna di classe e una ragazza del corso del chitarra.
Non le importava.
Stava bene così, non le era mai pesato un
granché.
Le bastava poter
suonare, uscire con i jeans strappati e gli auricolari alle orecchie,
chiudersi in camera per sfogare i suoi pensieri su carta, fare un
giro alla biblioteca locale, fingere di prendere appunti a scuola
mentre in realtà disegnava.
Non le mancava
niente, in quei momenti. Era lei, era Nicole. Era se stessa. Con la
sua matita mangiucchiata, una pila di libri sul comodino o la
chitarra tra le mani.
Non sarebbe male incontrare
qualcuno., pensava
ogni tanto,
nel vedere le sue compagne di classe che si gettavano in lunghi
resoconti dei loro appuntamenti della sera prima.
Poi si
mordeva le labbra, sentendosi un po' stupida. Quelle persone avevano
storie così superficiali.
Non era ciò di cui lei aveva bisogno.
Interrompeva sempre
i suoi pensieri, a quel punto. Non voleva perdersi in riflessioni
sulla persona giusta: le sembrava di trasformarsi in una di quelle
ragazzine sdolcinate che aveva sempre disprezzato.
Smettila di pensarci. Aspettiamo e
vediamo.
Ma non aveva
davvero bisogno di un ragazzo che la facesse sentire importante. Per
il momento le bastava essere solo Nicole.
-Comunque, penso
che per la metà di aprile starò assente una
settimana. Io e i miei
andiamo a Napoli, dobbiamo fare visita a dei parenti...
-Sì.
-Mi stai
ascoltando?
-Certo.
Andrea si passò
una mano tra i capelli e rivolse a Michele un sorrisetto poco
convincente. Lui, in tutta risposta, alzò gli occhi al cielo.
-Puoi dirlo. Stavi
guardando lei.
-Io non...
-È da quando siamo
entrati al museo con quelli della D che hai due occhi da pesce lesso
e rispondi a monosillabi.
Stavolta Andrea
sospirò, con un lento cenno della testa. In qualsiasi altra
occasione della sua vita sarebbe stato ben lieto di ammirare i tesori
artistici esposti al Louvre di Parigi, dove i professori avevano
deciso di condurli per la gita dell'anno.
Ma non se a pochi
passi di distanza c'era lei.
-Giuro che quando
le parlerai per davvero ti costruirò una
statua e la farò
mettere qui.- iniziò Michele, un lampo ironico nello
sguardo. -Già
immagino la targhetta commemorativa...
-Stai zitto.-
sbottò lui, rosso in viso.
I suoi occhi
guizzarono nuovamente in avanti, verso il gruppetto dei ragazzi della
3° D. Lei, Nicole, era l'unica che
osservava estasiata i
quadri affissi alle pareti, invece di chiacchierare a voce alta.
Ai suoi occhi era
bella, dannatamente bella: anche senza trucco sul viso. Anche se non
portava né orecchini né collane. Anche se la sua
era la maglia
bianca più semplice del mondo, anche se calzava un paio di
scarpe di
ginnastica un po' consunte. Anche se era bassa. Il suo viso minuto e
i suoi occhi verdi bastavano a renderla bella.
-Senti, siamo in un
museo.- disse Michele, giocherellando con la macchina fotografica che
portava appesa al collo. -Quindi perché non ne approfitti?
Ti
avvicini e le chiedi se le piace un quadro.
-Ma se non la
conosco...
-Non fa niente.
Siamo due classi in gita insieme. Penserà che tu sia solo un
ragazzo
appassionato di arte che vuole fare una chiacchierata.
-Non capirà che è
solo una scusa?
-Forse. Ma ne vale
la pena. Vuoi o non vuoi una statua con targhetta più una
piazza in
tuo nome per aver compiuto questa gloriosa impresa?
Andrea ridacchiò,
sentendo il nodo in gola sciogliersi. Uno dei pregi di Michele era la
sua tendenza ad ironizzare su tutto.
-Ma se poi lo
capisce...
-Intanto sarà un
gran passo in avanti per avvicinarti, dopo tre mesi che quando vuoi
parlarle diventi un pezzo di ghiaccio. E poi lei non può
avere una
brutta impressione di te. Non ti conosce, anche se crederà
che si
tratti di una scusa non ci penserà più di tanto...
Andrea non avrebbe
saputo spiegare il motivo, ma c'era qualcosa in quelle parole che
saldò improvvisamente la sua decisione. Forse quelle
rassicurazioni,
forse la consapevolezza che erano passati tre mesi da quando quella
ragazza aveva iniziato a piacergli.
In ogni caso, si
disse che non sarebbe uscito da quel museo senza aver rivolto la
parola a Nicole.
-Senti, io ora
vado.- mormorò. -Se vedi che torno indietro prendimi a calci
o
spingimi contro di lei, è chiaro?
-Con molto piacere.
Oggi. Adesso o mai più.
Accelerò il passo
e camminò rasente al muro, lanciando finte occhiate
interessate ai
quadri; Nicole era qualche passo davanti a lui. Lentamente, si
affiancò alla ragazza: fu attraversato da una violenta
ondata di
imbarazzo e il cuore prese a battergli furiosamente.
Ma non poteva stare
zitto, ora. Doveva parlare.
Una semplice idea
lo attraversò nel tempo di un millesimo di secondo, mentre
si girava
verso di lei.
-Scusa, ti
impedisco la visuale, giusto?
La sua voce aveva
pronunciato quelle parole. E forse la sua voce non gli apparteneva
più, perché non poteva credere di essersi rivolto
finalmente a lei.
Io ora muoio. Spero solo che Michele
mi costruisca davvero quella statua.
Si sentiva quasi
svuotato da ogni emozione concreta mentre la guardava negli occhi.
Come se si trovasse in un sogno.
Lei sorrise subito
e si affrettò a rispondere: -No, figurati. Cammina pure dove
vuoi,
vedo lo stesso.
Vista la sua
statura minuta, non era molto propenso a crederle, ma in quel momento
gli sarebbe andata bene anche una frase totalmente priva di senso.
-Oh, ok.
Risposta brillante. Beh,
almeno non balbettava come era successo quasi due mesi prima, quando
le aveva parlato per la prima e unica volta per chiederle dove si
trovasse la biblioteca scolastica, di cui lui conosceva l'ubicazione
fin dal primo giorno del suo primo anno. Lei aveva risposto gentile
ma sbrigativa, per poi allontanarsi subito.
Non poteva finire
così rapidamente anche quella volta.
-Ti piacciono i
quadri?- aggiunse, prima che Nicole potesse distogliere lo sguardo da
lui. -Direi di sì, ho notato che sei l'unica della tua
classe che li
guarda.
Da dove gli veniva
tutta quella sicurezza? Fino ad un secondo prima, Andrea non avrebbe
mai creduto di poter parlare con tale disinvoltura ad una ragazza.
Specialmente a lei.
Ebbe un tuffo al
cuore quando Nicole rise.
-Lo so, penso che i
musei non piacciano a nessuno di loro. A me sì, invece.
-Anche a me. Sono
solo negato a disegnare.
-Io invece passo il
tempo sui fogli.
Dopo un istante di
silenzio, Nicole aggiunse: -Cioè, fogli sia per disegnare
che per
scrivere. Faccio entrambe le cose.
Andrea avrebbe
voluto dirle che anche lui scriveva, ma non riusciva a ragionare. Le
parole gli stavano affiorando automatiche alle labbra, senza
lasciargli il tempo di pensarci su.
-Tu sei della D,
giusto?
-Sì. Tu della C,
immagino. A proposito, come ti chiami?
-Andrea.
Gli ci volle un
grande sforzo di volontà per pronunciare il suo nome in tono
fermo.
-Io Nicole,
piacere.
Non riusciva a
credere che stessero conversando, né che lei gli avesse
appena
sorriso. Un sorriso rivolto a lui. Pensava che non sarebbe mai stato
possibile. Aveva trascorso tre mesi ad osservarla da lontano, troppo
imbarazzato per parlarle davvero, e adesso erano arrivati a
presentarsi.
-Nicole... forse ti
conosco. Cioè, di vista. Mi ricordo che l'ultimo giorno di
scuola,
prima delle vacanze di Natale, c'erano dei ragazzi che suonavano
dietro la palestra. Per caso c'eri anche tu?
-Certo.
-Quindi eri tu che
cantavi Rocket Queen?
Per un attimo gli
occhi della ragazza si illuminarono, mentre il suo viso arrossiva
lievemente.
-Sì. Io mi ricordo
di te, sei rimasto per qualche minuto e poi te ne sei andato.
Si ricordava di
lui. Altro colpo.
-Beh, dovevo
tornare in classe.- rispose, gettando un'occhiata al quadro accanto a
lui senza vederlo davvero. -Quindi... ti piacciono i Guns N' Roses?
Si rese subito
conto di quanto quella domanda dovesse suonare stupida. Non era ovvio
che le piacessero? Connetti, Andrea, connetti!
-Tantissimo.- Da
quando avevano toccato quell'argomento, una nuova nota di entusiasmo
le venava la voce. -Immagino che piacciano anche a te.
-Sono uno dei miei
gruppi preferiti, infatti. Qual è la tua loro canzone
preferita?
-Proprio Rocket
Queen. I miei amici dicono che sono una fissata, la
canticchio
sempre. La tua?
-Anche la mia.-
sorrise Andrea, sentendosi invadere da una piacevolissima sensazione
di leggerezza. -O meglio, la metterei al secondo posto dopo Civil
War.
Le labbra di Nicole
si mossero per rispondergli, ma la loro conversazione venne
interrotta da un tono secco, acido e tristemente familiare.
-Ragazzi,
smettetela di fare confusione e ascoltate la guida!
Con una veloce
occhiata intorno a sé, Andrea si accorse che tutti gli altri
ragazzi
si stavano radunando intorno all'uomo che faceva loro da guida da
quando erano entrati nel museo.
-Mi scusi.- disse
con falsa cortesia, rivolgendo un sorrisetto tirato all'insegnante
che squadrava lui e Nicole con due scuri occhi severi. Se quella
donna non avesse avuto il potere di decidere della sua condotta
scolastica, avrebbe tentato di ucciderla con lo sguardo.
-Se vuoi possiamo
continuare a parlare dopo.- mormorò Nicole, mentre i due si
avvicinavano agli altri studenti. -Quando quel tizio ha finito.
-Come vuoi tu.-
riuscì a risponderle Andrea, in un sussurro cauto. Non aveva
quasi
il controllo di ciò che gli usciva dalla bocca. Era ormai
totalmente
assorbito dall'incredulità: davvero il sorriso e le parole
di quella
ragazza erano rivolte a lui? Davvero i suoi occhi lo stavano
guardando?
Rimasero fermi, uno
accanto all'altro, mentre l'uomo iniziava a spiegare qualcosa a cui
Andrea non prestò il minimo ascolto.
Respirò a fondo
per calmarsi e, mentre si guardava intorno, incrociò lo
sguardo
soddisfatto di Michele. Gli occhi del ragazzo erano colmi di
divertimento, e sembrava che si stesse mordendo un labbro per
impedirsi di ridere.
“Ottimo lavoro.”
sembrava dirgli quell'espressione. Andrea non poté fare a
meno di
ricambiarla con un sorriso.
Il sole di inizio
luglio picchiava sui tetti delle case e sulle aiuole che la
circondavano, donando riflessi splendenti all'acqua cristallina che
scorreva nel fiumiciattolo del parco.
Nicole trattenne un
sospiro mentre si sedeva su una panchina insieme a Irene e lasciava
spaziare lo sguardo sugli alberi dalle foglie verdeggianti. La
ragazza accanto a lei, una delle sue poche amiche e compagna del
corso di chitarra, le scoccò un'occhiata a metà
tra il divertito e
l'esasperato.
-Come mai
quell'aria malinconica?
-Niente,
figurati...- Nicole scosse la testa, ma gli occhi azzurri di Irene la
fissavano con il solito sguardo intelligente e indagatore. Sapeva che
mentirle era perfettamente inutile.
-Andiamo, si vede
lontano un miglio che c'è qualcosa che ti preoccupa.
Due mesi fa lei e Andrea avevano camminato proprio lungo quel vialetto. Ricordava ancora con chiarezza com'era avvampata quando lui le aveva dato una lieve pacca sulla spalla per salutarla, come si era sentita sprofondare il cuore per la prima volta davanti al suo sorriso gentile.
Due mesi fa lei e Andrea avevano camminato proprio lungo quel vialetto. Ricordava ancora con chiarezza com'era avvampata quando lui le aveva dato una lieve pacca sulla spalla per salutarla, come si era sentita sprofondare il cuore per la prima volta davanti al suo sorriso gentile.
-Ma che dici? Sto
benissimo.
Irene tossì per
mascherare una risata. Nicole si lasciò andare ad un sospiro
e la
guardò.
-Va bene.
Semplicemente venivo spesso qui con un mio amico, che non vedo da
quando è finita la scuola, perciò mi manca un
po'. E questo posto
me lo ricorda. Sei contenta, adesso?
-Ho capito, stai
parlando di Andrea.- rispose tranquilla Irene. -Quello che ti piace.
-Non mi piace.
-Allora devi
spiegarmi perché prima della fine della scuola non sapevi
neanche
dell'esistenza di una cosa chiamata telefono cellulare, mentre ora ci
stai incollata tutto il tempo...
-Perché ci
messaggio!- esclamò Nicole, sicura di essere arrossita. -Che
c'è di
male a messaggiare con un amico?
-Dev'essere un
amico proprio stretto se una come te è diventata dipendente
dal
telefono...- scherzò Irene.
-Appunto, un amico
stretto. E non è vero che sono dipendente.
Come a smentire
quel che aveva appena detto, Nicole si portò una mano alla
tasca dei
jeans: ecco la rassicurante pressione del suo cellulare. L'oggetto di
cui non le era mai importato quasi niente. Ma da quando era finita la
scuola non poteva fare a meno di lanciargli un'occhiata ogni pochi
minuti. Non poteva fare a meno di sorridere con aria sognante ogni
volta che udiva uno squillo. Significava che lui l'aveva pensata. Che
le aveva appena scritto.
-Non c'è niente di
male se ti piace qualcuno, sai?- ribatté Irene. -Non sono
una di
quelle ragazzine stupide convinte che dire a qualcuno di essere
innamorato sia una presa in giro...
-Lo so, hai
ragione. Ma non sono innamorata.
Tornò a guardare
il viale, sapendo perfettamente di star mentendo.
Poteva quasi
vedersi, la se stessa di pochi mesi fa, camminare proprio davanti
quella panchina a fianco di un ragazzo biondo e più alto di
lei.
Poteva rievocare i ricordi di tutte le volte che si erano incontrati
lì, ogni tanto in compagnia di qualche altro amico, le loro
chiacchierate intorno ai tavolini del bar all'angolo. Conversazioni
che vertevano principalmente sulla musica che ascoltavano.
Le mancava. Era
un'emozione del tutto nuova, quella che aveva iniziato a provare: un
languore piacevole nel vederlo, nell'ascoltare la sua voce. Un'estasi
pacata quando incrociava i suoi occhi. La sensazione di essere al suo
posto, insieme a lui, di essere giusta, completa.
E, per
quei tre mesi estivi in cui non l'avrebbe visto, lei si sarebbe
sentita una persona sbagliata.
Da quando si erano
rivisti, all'inizio di quell'anno scolastico, Andrea sentiva che era
cambiato qualcosa.
Sapeva di aver
preso una cotta per lei, una cotta che non era passata nonostante
tutti quei mesi. Ma non era pronto alla sensazione che lo travolse
nell'incontrarla, il primo giorno di scuola: una pura ondata di
calore che l'aveva fatto sentire felice come poche volte in vita sua.
Un tuffo al cuore che aveva poi preso a battergli furiosamente, un
nodo che gli aveva quasi impedito di parlare. Invece gli occhi di
Nicole si erano illuminati, quando avevano incrociato i suoi, e
l'espressione annoiata della ragazza aveva lasciato spazio ad un
entusiasmo a malapena celato.
Fu la prima volta
che lui credette di poterle davvero piacere.
Anche Nicole era
cambiata, in un certo senso. Almeno con lui, era la ragazza allegra
di sempre, ma i momenti che passavano insieme sembravano possedere
un'intensità silenziosa, delle parole non dette dietro i
loro
sguardi.
Il semplice fatto
di darle una pacca sulla spalla a mo' di saluto gli faceva tremare le
dita. Non poteva fare a meno di immaginare la sua mano che indugiava,
che si sollevava verso il viso della ragazza per sfiorarle una
guancia, fino ad arrivare a un contatto fisico più profondo.
Quando
parlavano, a volte notava gli occhi di Nicole che scorrevano
lentamente su di lui e si soffermavano per qualche istante sulle sue
labbra. Finché non tornava a fissarlo negli occhi, il
rossore che le
si spandeva sulle gote.
Ormai, ogni volta
che si sedeva per scrivere e puntava la penna sulla carta immacolata,
l'immagine del viso di Nicole gli balzava in mente. E finiva quasi
sempre per tracciare il suo nome.
Avrebbe
disperatamente voluto metter fine a tutto. Trovare il coraggio di
interrompere una delle loro conversazioni per... sì,
per cosa?
Come diavolo ci si dichiarava ad una ragazza? A volte Andrea
si
sentiva un completo idiota. Aveva diciassette anni e l'esperienza
sentimentale di un tredicenne alla sua prima cotta.
Avrebbe voluto
baciarla. Annullare la distanza tra i loro volti quando si trovavano
a parlare, talmente vicini che il cuore gli esplodeva in gola, e
poteva leggere negli occhi di lei un imbarazzo misto a quella che
sembrava una scintilla di desiderio.
E fu quel desiderio
crescente ed impulsivo che lo spinse a metter fine ai loro silenzi.
Il viale del parco
era cosparso di piccole pozzanghere, mentre dal cielo gonfio di nubi
grigie venivano giù grosse gocce di pioggia. Nicole trovava
piacevole la sensazione dell'acqua che le tamburellava sul volto per
poi scorrerle, gelida, sulla pelle e nei vestiti. La pioggia le era
sempre piaciuta, soprattutto quella invernale; da piccola si
divertiva ad osservarla, col naso incollato al vetro della finestra,
cullata dal suo fragore.
-Ti accompagno a
casa, va bene?
Si girò a guardare
Andrea, che camminava accanto a lei stringendosi nel cappotto scuro,
le ciocche di capelli bagnati incollate alla fronte. Scosse
lentamente la testa.
-Oh, andiamo.
Stiamo in giro ancora per qualche minuto. A me piace un sacco la
pioggia.
Il ragazzo sgranò
gli occhi.
-Tu sei tutta
matta. Io non voglio rischiare di beccarmi neanche un raffreddore...
-Sei il solito
esagerato.- lo interruppe Nicole, con un sorrisetto. -Non è
mica un
acquazzone.
-Allora dimmi. Che
cosa facciamo adesso?
-Semplicemente
continuiamo a camminare.
Rimasero in
silenzio per alcuni istanti. Nicole puntò lo sguardo sul
terreno
bagnato e sdrucciolo, sulle sue scarpe da ginnastica inzaccherate di
fango. Fino a tre ore fa, quel pomeriggio di fine novembre si era
prospettato piacevole: il cielo era pulito e illuminato da un pallido
sole. Per quello lei e Andrea avevano deciso di uscire, senza
sospettare che avrebbe presto iniziato a piovere.
Non che la cosa le
dispiacesse tanto, anzi.
-Non sai neanche
sopportare un po' d'acqua, eh?- ironizzò, levando lo sguardo
verso
Andrea. Lui sbuffò e ricambiò con un'occhiata a
metà tra il
seccato e il divertito.
-Non mi piace, non
mi è mai piaciuta. Spiegami cosa ci trovi.
Nicole non avrebbe
mai potuto immaginare quanto le sue parole sarebbero state
importanti.
-Beh, la pioggia è
poetica.- disse, convinta. -Uno come te, che scrive, dovrebbe
rendersene conto. Non so, mi ha sempre affascinata... e ha un
qualcosa di romantico. Se mai dovessi baciare un ragazzo per la prima
volta, vorrei che succedesse proprio sotto la pioggia.
Si bloccò,
sentendosi avvampare nonostante la temperatura. Che cosa
aveva
appena detto? Non era da lei lasciarsi andare a certe
osservazioni che normalmente avrebbe definito sdolcinate.
Eppure quel
pensiero era stato una costante nella sua vita; quando era una
bambina e i suoi parenti le chiedevano scherzosamente se le piacesse
qualcuno, lei rispondeva di no per poi precisare con entusiasmo
infantile che, quando avesse trovato la persona giusta, l'avrebbe
baciata in un giorno piovoso.
Crescendo, quella
parte romantica di lei si era un po' persa. Ma c'erano ancora dei
momenti in cui Nicole si trovava a fantasticare di trovare quel
qualcuno. E allora non poteva fare a meno di figurarsi quel suo
immaginario primo bacio in una strada battuta dalla pioggia.
-Oh, questo è
decisamente poetico.
La voce di Andrea
interruppe il flusso dei suoi pensieri. Nicole lo guardò e,
davanti
al sorriso del ragazzo, sentì il proprio cuore accelerare i
battiti.
Ok. L'ho detto proprio davanti a
lui. Fantastico.
Naturalmente, da
qualche mese a quella parte il protagonista di quelle non
più tanto
occasionali fantasie era stato Andrea.
Cercò di domare
l'imbarazzo mentre rispondeva: -Sì, è un mio
desiderio di quando
ero bambina. Dicevo sempre di voler dare il mio primo bacio sotto la
pioggia. Una cosa abbastanza infantile, non trovi?
Emise un risolino
che le suonò forzato. Quando lanciò un'altra
occhiata ad Andrea, fu
colpita dall'espressione seria che lesse sul suo viso. La stava
fissando con una pacata compostezza, come se... sì, come se
la
stesse scrutando attentamente.
-Capisco.- commentò
lui. -E... dimmi, lo vorresti ancora?
-Co... cosa?
Stava balbettando.
Non andava bene. Doveva recuperare il controllo, doveva mostrarsi
sicura di sé e indifferente a tutto quel che aveva detto.
Andrea si fermò
d'improvviso in mezzo al vialetto. Nicole si bloccò a sua
volta,
squadrandolo con una perplessità che sperava mascherasse il
suo
disagio.
-Intendo...- iniziò
lui, con il tono più tranquillo e disinvolto che gli avesse
mai
udito. -Desideri ancora baciare il tuo primo ragazzo sotto la
pioggia?
C'era qualcosa in
quella domanda che andava oltre la curiosità, e lei lo
capì subito.
Le mani iniziarono a tremarle leggermente, le gambe si fecero
instabili. Non udiva quasi più il fragore della pioggia
intorno a
loro. Riusciva solo a fissare gli occhi scuri di Andrea, quegli occhi
così calmi che la stavano paralizzando sul posto.
-Io... cioè...
Non riuscì a
parlare. Il cuore le batteva talmente forte che sembrava essere sul
punto di esploderle nel petto. Lui si avvicinò di un passo,
sempre
padroneggiando quella calma disarmante.
-Lo vorresti
ancora?- ripeté.
-Sì.
Non ragionò nel
rispondere. Lo disse e basta, spinta dall'impulso. Ma, nel momento
stesso in cui udì la sua voce pronunciare quel semplice
monosillabo,
comprese di aver detto la verità e capì quello
che sarebbe
accaduto.
Andrea le passò un
braccio intorno alle spalle e l'attirò a sé,
mentre lei chiudeva
gli occhi di scatto. Le loro labbra si incontrarono per la prima
volta e presero a muoversi, insieme, con la lentezza impacciata di
due ragazzi inesperti.
Nicole trovò umida
la pressione sulla sua bocca. Umida, fredda, ma stranamente
piacevole. Le mani di Andrea le strinsero delicatamente le spalle,
salirono lente a sfiorarle il viso bagnato di pioggia. Pelle
contro pelle. Si sentì attraversare da un brivido
di eccitazione
e un calore le pervase l'intero corpo, inebriandola.
Si staccarono dopo
alcuni secondi che sembrarono un'ora, e lui allentò
lievemente la
presa sul viso della ragazza. Nicole rimase ferma, respirando a fondo
per mantenere la calma; la sua mente era un vortice di idee, di grida
silenziose, domande e parole taciute.
Avrebbe voluto
ridere e piangere dalla felicità. Avrebbe voluto accostare
le labbra
alle sue per sussurrargli “Sono innamorata di te”,
prima di
baciarlo nuovamente.
Invece tutto quel
che disse fu: -Da quando?
-Dall'anno scorso,
il giorno prima delle vacanze di Natale. Quando ti ho sentita cantare
quella canzone.
Lui le lasciò il
volto, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, e per Nicole fu
come un brusco ritorno alla realtà: si rese finalmente conto
del
freddo e delle gocce che cadevano su di loro. Era assurdo. Aveva
davvero dato il suo primo bacio sotto la pioggia. La pioggia...
Scoppiò in una
risata improvvisa e Andrea la fissò inarcando le
sopracciglia, con
una punta di sconcerto nello sguardo.
-Come mai ridi?
-Non te ne sei reso
conto?- ribatté lei. Non aveva mai avuto un sorriso
più largo e
luminoso.
-No, spiegami.
-Mi hai conosciuta
sentendomi cantare Rocket Queen. E adesso ci siamo
baciati
sotto la pioggia di novembre.
Quel che trovò in
Andrea era ciò che Nicole aveva sempre cercato.
C'era qualcosa nel
loro rapporto che andava al di là del semplice romanticismo,
di uno
scambio di baci, di una parola dolce. Era condivisione.
Era la sicurezza
che non sarebbero più rimasti soli.
Nei momenti in cui
Nicole veniva assalita da picchi di rabbia e tristezza, aveva sempre
dovuto cavarsela da sé. Si rannicchiava contro la porta
della sua
camera immersa nel buio, i pugni stretti e le lacrime che lottavano
per uscire, dicendosi che alla fine sarebbe andato tutto bene. Ma non
c'era nessuno accanto a lei a confortarla, ad ascoltare i suoi
sfoghi. Nessuno che per lei fosse abbastanza importante da poter
condividere la parte più profonda di sé. Nessuno
di cui si fidasse
a sufficienza.
Finché non aveva
conosciuto lui.
Lui era capace di
asciugare ogni sua lacrima con un sorriso. Non era un ragazzo
perfetto, con quelle sue costanti insicurezze che lo portavano a
chiudersi, a diventare quasi cupo ed eccessivamente paranoico.
Ma per Nicole era
la persona che aveva sempre cercato.
Il suo sguardo per
lei spegneva ogni scintilla di rabbia, ogni ombra di malinconica.
Scacciava ogni pensiero che non fosse la sua voce rassicurante, il
suo tocco caldo sulla pelle.
Lui faceva svanire
tutto il mondo che li circondava, chiudendo le porte su ogni voce e
ogni sguardo. Quando poteva incontrarlo, parlargli e assaporare le
sue labbra, lei si sentiva finalmente libera da ogni disagio e ogni
preoccupazione. Poteva sentirsi, anche se solo per un paio d'ore,
solamente una ragazza innamorata come tante, una ragazza spensierata
e senza problemi.
Lui non era uno di
quei fidanzati sdolcinati che la riempiva di attenzioni galanti e
parole melense. Non le aveva mai regalato un fiore, non le aveva mai
dedicato una canzone o una poesia. Eppure, a modo suo, la faceva
sentire importante. Con i sorrisi che le indirizzava, i baci caldi
che le donava, la gentilezza che aveva sempre per lei. La faceva
sentire la regina di quel loro piccolo universo d'amore. Una regina
delle stelle. Rocket Queen.
E, anche molto
tempo dopo, Nicole avrebbe ricordato quegli anni come uno dei
migliori periodi della sua vita.
-Quindi... sei
proprio sicura di voler andare a quel conservatorio?
-Sì.
Calò il silenzio.
Nicole puntò lo sguardo sul viale acciottolato che dava nel
cortile
della scuola, sul flusso di ragazzi che camminavano chiacchierando
davanti al muretto dov'erano seduti lei e Andrea.
Erano allegri, i
visi della maggior parte di quei ragazzi. Illuminati dal sollievo di
chi si prepara alle ultime settimane scolastiche prima dei tre mesi
di libertà.
Quei mesi che lei
avrebbe trascorso tra libri di musica e scatoloni da trasportare.
Trattenne un
sospiro e lanciò un'occhiata ad Andrea. Quando gli aveva
comunicato
la scelta della sua famiglia di trasferirsi per poterle permettere di
frequentare un conservatorio musicale, si era resa conto dell'ombra
che aveva attraversato gli occhi del ragazzo. Un'ombra che ancora non
l'aveva abbandonato.
-Andiamo... non
sarò poi lontanissima. Possiamo sempre vederci quando ho un
po' di
tempo libero, deve esserci per forza qualche treno per venire qui. Mi
informerò.
-Sì. Anche se non
è la stessa cosa.- replicò lui, senza riuscire a
nascondere una
nota amara nella voce.
Un fiume di ragazzi
camminava sul viale, e qualcuno lanciava loro delle occhiate che, per
quanto casuali e sfuggenti, facevano sentire Nicole a disagio.
Suona tra cinque minuti, dannazione.
E c'è tutta quella gente... no, devo dirglielo ora.
-Hai ragione.
Senti, Andrea...
Lui si girò per
guardarla negli occhi, senza dire una parola, aspettando che
continuasse. Lei dovette tirare un respiro profondo prima di
concludere la frase.
-Capisco se da
quest'estate non vorrai più stare con me.
Faceva
insolitamente caldo, per essere una serata di ottobre. Le luci del
pub dove avevano cenato scintillavano nella notte, e il piccolo
cortile sul retro del locale era illuminato dalla tela di stelle che
puntellavano la volta scura del cielo.
Andrea slacciò i
primi bottoni della giacca che indossava, prima di lanciare
un'occhiata a Nicole, seduta accanto a lui sulla panchina.
Era così strano
vederla, vederla per davvero, dopo quasi tre mesi
di
lontananza. Era stato strano avvertire nuovamente la pressione della
sua mano fresca e fissare il verde dei suoi occhi, invece di
limitarsi a richiamarlo nei suoi ricordi.
-Sai, ero quasi
sicura che ti saresti perso per venire qui...- disse d'improvviso
Nicole, spezzando il silenzio che era calato su di loro da qualche
minuto.
-Grazie per la
fiducia.- replicò ironico Andrea. -Il mio senso
dell'orientamento
non è poi così terribile.
-Lo so.- sorrise
lei. -Quando pensi di poter tornare?
-Non ne ho idea.
Non immaginavo che l'università fosse così
impegnativa. Forse tra
un mese, se tutto va bene...
Un'ombra passò
negli occhi della ragazza, che annuì e puntò lo
sguardo a terra. Il
suo leggero sorriso si era spento.
-Sapevo che non
aveva senso.- disse a voce bassa, quasi impercettibile. Ma lui la
sentì lo stesso.
-Cosa?
Andrea sentì il
cuore balzargli in gola. Naturalmente sapeva di cosa stava parlando,
ma fino ad allora avevano evitato l'argomento. La serata era
trascorsa tra chiacchiere futili sui loro esami dell'anno passato,
sul conservatorio di lei e sulla facoltà di Lettere di lui.
Ma era
inevitabile che fossero finiti lì.
-Una frequentazione
del genere.- rispose lei, alzando lo sguardo. -Non ha senso poter
vedere il proprio ragazzo una volta al mese, forse anche di meno. Non
l'avrei sopportato, quindi forse è meglio esserci lasciati...
-No, per me non è
meglio.
Aveva trovato il
coraggio di dirlo. Si sentiva come la prima volta che le aveva
parlato o quando si erano baciati: impacciato, nervoso, roso
dall'imbarazzo. Ma ci era riuscito, così come era riuscito a
rivolgerle la parola in quella giornata di alcuni anni prima.
-Non è affatto
meglio. Se continuiamo a incontrarci quando possiamo, alla fine
sarà
come se fossimo ancora insieme. E io ci starei male allo stesso modo,
perché... non so se per te è lo stesso, ma io
sono ancora
innamorato di te.
Non servì che lei
gli rispondesse, almeno non con le parole.
Le labbra di Nicole
furono subito sulle sue. Per alcuni minuti, Andrea dimenticò
quello
che era successo negli ultimi mesi. Dimenticò che si erano
lasciati,
anche se nessuno di loro due lo voleva davvero, e che ormai erano
troppo lontani per continuare a vedersi normalmente.
Lei era lì, non si
era dimenticata di lui. Aveva temuto che Nicole l'avesse lasciato
perché, in realtà, era stanca di una relazione
che andava avanti da
quasi due anni. Oppure che in quei mesi avesse realizzato di aver
fatto la scelta giusta, perché non provava più
niente nei suoi
confronti.
Non sarebbe stato
tanto strano: avevano entrambi diciannove anni, non più
sedici o
diciassette. Quasi sicuramente lei aveva conosciuto altri ragazzi,
forse qualcuno che le piaceva...
Almeno, così aveva
pensato prima di quella sera. Tutte le sue paure svanirono mentre la
baciava, mentre lasciava scorrere le mani sui suoi fianchi e il
calore di Nicole premeva contro il suo corpo.
Fu lei a fermare il
bacio, ma rimase aggrappata a lui, le braccia che lo cingevano
stretto e il volto affondato sulla sua spalla.
Andrea tirò un
respiro profondo, cercando di calmare i battiti accelerati del suo
cuore. Quel contatto, nella sua semplicità, era il
paradiso.
Sarebbe potuto rimanere così per sempre.
-Qualche giorno fa
ho scritto una cosa su di te.
A quelle parole,
Nicole alzò di scatto lo sguardo e lo fissò con
occhi pieni di
sconcerto.
-Davvero?
La ragazza si sentì
quasi avvampare. Aveva sempre saputo che ad Andrea piaceva scrivere,
e ogni tanto lui accettava le sue insistenti richieste di farle
leggere qualcosa. Ma non le aveva mai dedicato nulla, non aveva mai
accennato di aver scritto qualcosa su di lei.
-Sì.- rispose lui.
-Beh, non solo qualche giorno fa. Se consideri che ci conosciamo da
tre anni...
Nicole tentò
invano di trattenere un sorriso.
-Mi faresti
leggere?
Andrea arrossì
visibilmente.
-Se vuoi... ho il
foglio qui.
-Cioè, stai
cercando di dirmi che non hai scritto questa cosa al computer ma su
un foglio? Sei sicuro di non essere nato due secoli fa?-
ironizzò
lei.
-È esattamente
quello che sto cercando di dirti.
Andrea si staccò
da lei per frugare in una tasca della giacca, e ne tirò
fuori un
foglio di carta tutto spiegazzato, fitto di scrittura. Quando glielo
tese, Nicole notò il tremito improvviso delle sue dita.
-È una cosa
stupida, davvero.- balbettò lui. -L'ho scritta in fretta, e
forse
non ti piacerà...
-Oh, stai zitto.
Nicole prese il
foglio e lo dispiegò, con il cuore che batteva a mille. Il
piccolo
lampione alle loro spalle, dietro il cancelletto del cortile, gettava
una luce sufficiente per permetterle di distinguere la familiare
grafia marcata di Andrea e il titolo scritto in stampatello.
Ebbe un tuffo al
cuore nel leggere: Rocket Queen.
-Rocket Queen?
I suoi occhi
brillavano quando levò lo sguardo verso Andrea. Lui le
rivolse un
sorriso imbarazzato.
-Ti ricordi? Al
nostro terzo anno di liceo, il giorno prima delle vacanze di
Natale... ho sempre pensato che fosse per merito di quella canzone se
ti ho conosciuta. Ecco, di certo tu non sei come la ragazza della
canzone, ma il titolo si riferisce a te. Per me è come se tu
fossi...
-Anche io l'ho
sempre pensato.- lo interruppe lei. Sentì delle lacrime
premere
contro i suoi occhi, ma fece di tutto per trattenerle. -Sei stato la
prima persona a farmi sentire importante, a farmi sentire come...
beh, sai cosa vuol dire il titolo.
-Lo so.
Andrea le prese il
viso tra le mani e la baciò di nuovo, dolcemente, muovendo
con
lentezza le labbra sulle sue. Nicole si sentì pervadere da
un'ondata
di calore e dalla ferma consapevolezza che era ancora innamorata di
lui, esattamente come la era stata a sedici anni.
E in quel momento
non le importò di cosa sarebbe successo dopo, se sarebbero
tornati
insieme e quali difficoltà avrebbero dovuto affrontare in
quel caso.
Le importava solo
del fuoco che si era acceso nel suo cuore, del suo tremito
d'emozione, del languore dolce e totalizzante di quel bacio. Le
importava solo che lui non avesse intenzione di lasciarla ancora una
volta.
Le importava di
poter tornare ad essere, anche se fosse stato per una sola sera, la
sua rocket queen.
Note.
Mi piacerebbe scrivere delle note più lunghe, ma purtroppo non ho molto tempo, perché la mia connessione potrebbe saltare da un momento all'altro. Comunque spero che la storia vi sia piaciuta, che siate fan dei Guns N' Roses o no. Non posso ancora credere che si sia classificata prima.<3 Al più presto aggiungerò il giudizio che ha ricevuto, ora non ho proprio tempo da perdere, quindi cerco di sbrigarmi il più velocemente che posso.
A presto, e auguri a tutti per il 2013!;)
Note.
Mi piacerebbe scrivere delle note più lunghe, ma purtroppo non ho molto tempo, perché la mia connessione potrebbe saltare da un momento all'altro. Comunque spero che la storia vi sia piaciuta, che siate fan dei Guns N' Roses o no. Non posso ancora credere che si sia classificata prima.<3 Al più presto aggiungerò il giudizio che ha ricevuto, ora non ho proprio tempo da perdere, quindi cerco di sbrigarmi il più velocemente che posso.
A presto, e auguri a tutti per il 2013!;)