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Autore: Roxanne Potter    27/12/2012    4 recensioni
(Prima classificata al contest a turni "Pop vs Metal", squadra Metal.)
Lui non era uno di quei fidanzati sdolcinati che la riempiva di attenzioni galanti e parole melense. Non le aveva mai regalato un fiore, non le aveva mai dedicato una canzone o una poesia. Eppure, a modo suo, la faceva sentire importante. Con i sorrisi che le indirizzava, i baci caldi che le donava, la gentilezza che aveva sempre per lei. La faceva sentire la regina di quel loro piccolo universo d'amore. Una regina delle stelle. Rocket Queen.
Storia ispirata alla canzone "Rocket Queen" dei Guns N' Roses. Una canzone che entrambi i protagonisti, Nicole e Andrea, amano, e che li farà avvicinare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L'aveva vista per la prima volta il giorno precedente le vacanze di Natale.
Una neve sottile e scintillante ricopriva il tetto della scuola, i davanzali delle finestre, i cespugli radi che circondavano il campetto dietro la palestra. In quel momento quasi tutti gli studenti erano in aula, a mangiare i dolci e le pizzette che avevano portato da casa in occasione della festa prima delle vacanze. Lui, invece, camminava tenendo le mani affondate nelle tasche e lasciando spaziare lo sguardo sul cortile imbiancato della scuola.
L'aveva sempre rilassato fare quattro passi all'aria aperta, solo con i suoi pensieri. Quel giorno aveva approfittato del suono della campanella, che segnava l'inizio dell'intervallo, per alzarsi di scatto dal banco, afferrare un dolce e fiondarsi fuori: non avrebbe sopportato di rimanere ancora lì, in quell'aula soffocante, con le voci e le risate dei suoi compagni che gli trillavano in testa.
Sperava di rientrare in tempo da quel breve giro. Fortunatamente il suo professore di matematica era un ritardatario cronico.
Magari, se vede che stiamo festeggiando e non vogliamo fare lezione, decide di saltare l'appello...
Una musica improvvisa interruppe il corso dei suoi pensieri.
Andrea si bloccò e si guardò intorno, sbattendo le palpebre: era una bella melodia, dal ritmo vivace e accattivante. Una chitarra, forse? Era arrivato in prossimità della palestra, una larga struttura quadrata che si ergeva in fondo al cortile, e sembrava che la musica provenisse proprio dal campetto lì dietro.
Incuriosito, affrettò il passo per attraversare il viale e costeggiò la facciata grigia della palestra, fino a raggiungere il campetto: mucchietti di neve ne ricoprivano i gradini in pietra e il suolo rossiccio.
C'era un gruppo di ragazzi seduti su un muretto, all'altra estremità dal campo. Andrea li squadrò mentre camminava lentamente nella loro direzione.
Erano i due al centro, con in mano un paio di chitarre, che stavano suonando. Gli altri canticchiavano, oppure parlavano e ridevano tra loro. Più si avvicinava, meglio riusciva a scorgere i loro visi: non li conosceva, ma erano tutti piuttosto alti e un po' più grandi di lui, forse di diciassette o diciotto anni.
C'era solo una ragazzina che non ne dimostrava più di quindici, il che attirò subito la sua attenzione: sedeva accanto a uno dei chitarristi e dondolava piano la testa, mentre batteva un piede a terra seguendo il ritmo della musica. Aveva un piccolo viso ovale, illuminato da un sorriso allegro, e uno scombinato caschetto di capelli color mogano.
Ehi, è carina.
Lei si voltò improvvisamente a guardarlo con i suoi occhi verdi, e Andrea girò di scatto la testa altrove, sentendosi infiammare per l'imbarazzo. Finse indifferenza e si affrettò a sedersi sul muretto, a un paio di metri di distanza dai ragazzi. Gli sarebbe piaciuto rimanere lì ad ascoltarli suonare, ma non gli interessava parlare con loro: a parte per il fatto che erano più grandi, lui non era mai stato un tipo particolarmente socievole. Senza contare che era anche timido come un moccioso di prima media.
Quella ragazza... beh, avrà un anno in meno di me.
La musica si interruppe di colpo.
-Allora, Nicole, scegli tu una canzone adesso.
Uno dei chitarristi si era rivolto alla ragazzina con i capelli a caschetto. Andrea li osservò mentre lei sorrideva, stringendosi nelle spalle.
-La conosci Rocket Queen dei Guns N' Roses? È la mia preferita.
-Certo che la conosco. Vada per Rocket Queen, allora...
Le dita dei ragazzi erano corse alle corde delle chitarre, e l'aria si era subito riempita di musica. Andrea chiuse gli occhi, con un sorriso che gli aleggiava sulle labbra.
Rocket Queen. La conosceva anche lui. Lui amava i Guns N' Roses fin da quando, a tredici anni, suo cugino aveva deciso di farglieli ascoltare durante un pomeriggio noioso. E quella era una delle sue canzoni preferite.
-If I said I don't need anyone I can say these to you 'cause I can turn on anyone just like I've turned on you...
Riaprì gli occhi e lanciò uno sguardo alla ragazzina, Nicole: aveva preso a cantare, le labbra scattanti, con lo sguardo perso e fisso davanti a sé. Come se le parole della canzone l'assorbissero in un mondo di pensieri remoti, scollegati dal resto della realtà.
Beh, in tal caso poteva capirla. Era quello che gli succedeva ogni volta che ascoltava una bella canzone.
-Here I am, and you're a Rocket Queen... I might be a little young but honey I ain't naive...
Aveva anche una bella voce. Dolce, ma con un pizzico di decisione. Trascinante.
Solo quando lei lo guardò di nuovo, Andrea si rese conto che non era riuscito a staccarle gli occhi di dosso. Avvampò e finse di essere interessato ai mucchietti di neve sul terreno.
-I've seen everything imaginable pass before these eyes...
Si arrischiò a darle un'altra occhiata. Nicole aveva gli occhi nuovamente persi, mentre i ragazzi intorno a lei canticchiavano a voce bassa.
Decise che quella ragazza gli piaceva. Possibile che non l'avesse mai vista in due anni e mezzo di scuola? Forse aveva quindici anni, forse quattordici: minuta com'era, gli risultava difficile credere che fosse una sua coetanea.
Nicole, eh? Vedrò di informarmi.
Un nuovo lampo di quegli occhi verdi, accesi di curiosità.
Andrea decise che poteva bastare: sarebbe morto, roso dall'imbarazzo, se fosse rimasto lì per qualche secondo in più. Si alzò e si sforzò di mantenere un passo regolare, mentre attraversava il campetto. Una volta che si fu allontanato abbastanza dalla palestra, si fermò in mezzo al viale e si voltò.
Da lì, quei ragazzi non erano che delle figure indistinte in lontananza. Ma poteva ancora udire la musica e distinguere le parole, seppur rese vaghe dalla distanza, che Nicole stava cantando.
-I see you standin', standin' on your own, it's such a lonely place for you, for you to be...
Ok, forse è meglio se torno subito in classe.
Il pensiero di quella ragazzina dal caschetto scompigliato e la voce dolce non l'avrebbe abbandonato per tutta la mattina.

Rocket Queen era sempre stata la sua canzone preferita dei Guns N' Roses.
C'era qualcosa nella sua musica e nelle sue parole che l'aveva conquistata al primo ascolto, in un pomeriggio d'estate di quando lei aveva tredici anni.
Quella canzone per lei era vita.
Era la scintilla che le esplodeva dentro. Era un ritmo che rapiva tutti i suoi sensi, un banchetto di suoni travolgenti e decisi, il bisogno pulsante di muoversi e di liberare la voce, un incendio di pura adrenalina che andava addolcendosi nella parte finale. Era l'emozione fatta musica. Era un paradiso di sei minuti e tredici secondi.
Nicole aveva riempito il suo diario di scuola di frasi prese da quella e altre canzoni, scrivendole e riscrivendole fino alla noia. Quando lo sfogliava, si soffermava spesso sulla scritta: You're a Rocket Queen. Le fissava, quelle semplici parole impresse a grandi caratteri sul foglio bianco, finché non le sembrava che stessero risuonando nella sua mente.
You're a Rocket Queen, You're a Rocket Queen.
Si sentiva come se qualcuno glielo stesse sussurrando. Come se, in quel momento, qualcuno si fosse finalmente premurato di prenderla in considerazione, di sorriderle e rivelarle quanto lei fosse importante.
Oh, figuriamoci. Non accadrà mai.
Non era mai stata fidanzata, né qualcuno aveva mai mostrato di interessarsi a lei. I pochi amici che aveva erano alcuni ragazzi più grandi, una sua compagna di classe e una ragazza del corso del chitarra.
Non le importava. Stava bene così, non le era mai pesato un granché.
Le bastava poter suonare, uscire con i jeans strappati e gli auricolari alle orecchie, chiudersi in camera per sfogare i suoi pensieri su carta, fare un giro alla biblioteca locale, fingere di prendere appunti a scuola mentre in realtà disegnava.
Non le mancava niente, in quei momenti. Era lei, era Nicole. Era se stessa. Con la sua matita mangiucchiata, una pila di libri sul comodino o la chitarra tra le mani.
Non sarebbe male incontrare qualcuno., pensava ogni tanto, nel vedere le sue compagne di classe che si gettavano in lunghi resoconti dei loro appuntamenti della sera prima.
Poi si mordeva le labbra, sentendosi un po' stupida. Quelle persone avevano storie così superficiali. Non era ciò di cui lei aveva bisogno.
Interrompeva sempre i suoi pensieri, a quel punto. Non voleva perdersi in riflessioni sulla persona giusta: le sembrava di trasformarsi in una di quelle ragazzine sdolcinate che aveva sempre disprezzato.
Smettila di pensarci. Aspettiamo e vediamo.
Ma non aveva davvero bisogno di un ragazzo che la facesse sentire importante. Per il momento le bastava essere solo Nicole.

-Comunque, penso che per la metà di aprile starò assente una settimana. Io e i miei andiamo a Napoli, dobbiamo fare visita a dei parenti...
-Sì.
-Mi stai ascoltando?
-Certo.
Andrea si passò una mano tra i capelli e rivolse a Michele un sorrisetto poco convincente. Lui, in tutta risposta, alzò gli occhi al cielo.
-Puoi dirlo. Stavi guardando lei.
-Io non...
-È da quando siamo entrati al museo con quelli della D che hai due occhi da pesce lesso e rispondi a monosillabi.
Stavolta Andrea sospirò, con un lento cenno della testa. In qualsiasi altra occasione della sua vita sarebbe stato ben lieto di ammirare i tesori artistici esposti al Louvre di Parigi, dove i professori avevano deciso di condurli per la gita dell'anno.
Ma non se a pochi passi di distanza c'era lei.
-Giuro che quando le parlerai per davvero ti costruirò una statua e la farò mettere qui.- iniziò Michele, un lampo ironico nello sguardo. -Già immagino la targhetta commemorativa...
-Stai zitto.- sbottò lui, rosso in viso.
I suoi occhi guizzarono nuovamente in avanti, verso il gruppetto dei ragazzi della 3° D. Lei, Nicole, era l'unica che osservava estasiata i quadri affissi alle pareti, invece di chiacchierare a voce alta.
Ai suoi occhi era bella, dannatamente bella: anche senza trucco sul viso. Anche se non portava né orecchini né collane. Anche se la sua era la maglia bianca più semplice del mondo, anche se calzava un paio di scarpe di ginnastica un po' consunte. Anche se era bassa. Il suo viso minuto e i suoi occhi verdi bastavano a renderla bella.
-Senti, siamo in un museo.- disse Michele, giocherellando con la macchina fotografica che portava appesa al collo. -Quindi perché non ne approfitti? Ti avvicini e le chiedi se le piace un quadro.
-Ma se non la conosco...
-Non fa niente. Siamo due classi in gita insieme. Penserà che tu sia solo un ragazzo appassionato di arte che vuole fare una chiacchierata.
-Non capirà che è solo una scusa?
-Forse. Ma ne vale la pena. Vuoi o non vuoi una statua con targhetta più una piazza in tuo nome per aver compiuto questa gloriosa impresa?
Andrea ridacchiò, sentendo il nodo in gola sciogliersi. Uno dei pregi di Michele era la sua tendenza ad ironizzare su tutto.
-Ma se poi lo capisce...
-Intanto sarà un gran passo in avanti per avvicinarti, dopo tre mesi che quando vuoi parlarle diventi un pezzo di ghiaccio. E poi lei non può avere una brutta impressione di te. Non ti conosce, anche se crederà che si tratti di una scusa non ci penserà più di tanto...
Andrea non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma c'era qualcosa in quelle parole che saldò improvvisamente la sua decisione. Forse quelle rassicurazioni, forse la consapevolezza che erano passati tre mesi da quando quella ragazza aveva iniziato a piacergli.
In ogni caso, si disse che non sarebbe uscito da quel museo senza aver rivolto la parola a Nicole.
-Senti, io ora vado.- mormorò. -Se vedi che torno indietro prendimi a calci o spingimi contro di lei, è chiaro?
-Con molto piacere.
Oggi. Adesso o mai più.
Accelerò il passo e camminò rasente al muro, lanciando finte occhiate interessate ai quadri; Nicole era qualche passo davanti a lui. Lentamente, si affiancò alla ragazza: fu attraversato da una violenta ondata di imbarazzo e il cuore prese a battergli furiosamente.
Ma non poteva stare zitto, ora. Doveva parlare.
Una semplice idea lo attraversò nel tempo di un millesimo di secondo, mentre si girava verso di lei.
-Scusa, ti impedisco la visuale, giusto?
La sua voce aveva pronunciato quelle parole. E forse la sua voce non gli apparteneva più, perché non poteva credere di essersi rivolto finalmente a lei.
Io ora muoio. Spero solo che Michele mi costruisca davvero quella statua.
Si sentiva quasi svuotato da ogni emozione concreta mentre la guardava negli occhi. Come se si trovasse in un sogno.
Lei sorrise subito e si affrettò a rispondere: -No, figurati. Cammina pure dove vuoi, vedo lo stesso.
Vista la sua statura minuta, non era molto propenso a crederle, ma in quel momento gli sarebbe andata bene anche una frase totalmente priva di senso.
-Oh, ok.
Risposta brillante. Beh, almeno non balbettava come era successo quasi due mesi prima, quando le aveva parlato per la prima e unica volta per chiederle dove si trovasse la biblioteca scolastica, di cui lui conosceva l'ubicazione fin dal primo giorno del suo primo anno. Lei aveva risposto gentile ma sbrigativa, per poi allontanarsi subito.
Non poteva finire così rapidamente anche quella volta.
-Ti piacciono i quadri?- aggiunse, prima che Nicole potesse distogliere lo sguardo da lui. -Direi di sì, ho notato che sei l'unica della tua classe che li guarda.
Da dove gli veniva tutta quella sicurezza? Fino ad un secondo prima, Andrea non avrebbe mai creduto di poter parlare con tale disinvoltura ad una ragazza. Specialmente a lei.
Ebbe un tuffo al cuore quando Nicole rise.
-Lo so, penso che i musei non piacciano a nessuno di loro. A me sì, invece.
-Anche a me. Sono solo negato a disegnare.
-Io invece passo il tempo sui fogli.
Dopo un istante di silenzio, Nicole aggiunse: -Cioè, fogli sia per disegnare che per scrivere. Faccio entrambe le cose.
Andrea avrebbe voluto dirle che anche lui scriveva, ma non riusciva a ragionare. Le parole gli stavano affiorando automatiche alle labbra, senza lasciargli il tempo di pensarci su.
-Tu sei della D, giusto?
-Sì. Tu della C, immagino. A proposito, come ti chiami?
-Andrea.
Gli ci volle un grande sforzo di volontà per pronunciare il suo nome in tono fermo.
-Io Nicole, piacere.
Non riusciva a credere che stessero conversando, né che lei gli avesse appena sorriso. Un sorriso rivolto a lui. Pensava che non sarebbe mai stato possibile. Aveva trascorso tre mesi ad osservarla da lontano, troppo imbarazzato per parlarle davvero, e adesso erano arrivati a presentarsi.
-Nicole... forse ti conosco. Cioè, di vista. Mi ricordo che l'ultimo giorno di scuola, prima delle vacanze di Natale, c'erano dei ragazzi che suonavano dietro la palestra. Per caso c'eri anche tu?
-Certo.
-Quindi eri tu che cantavi Rocket Queen?
Per un attimo gli occhi della ragazza si illuminarono, mentre il suo viso arrossiva lievemente.
-Sì. Io mi ricordo di te, sei rimasto per qualche minuto e poi te ne sei andato.
Si ricordava di lui. Altro colpo.
-Beh, dovevo tornare in classe.- rispose, gettando un'occhiata al quadro accanto a lui senza vederlo davvero. -Quindi... ti piacciono i Guns N' Roses?
Si rese subito conto di quanto quella domanda dovesse suonare stupida. Non era ovvio che le piacessero? Connetti, Andrea, connetti!
-Tantissimo.- Da quando avevano toccato quell'argomento, una nuova nota di entusiasmo le venava la voce. -Immagino che piacciano anche a te.
-Sono uno dei miei gruppi preferiti, infatti. Qual è la tua loro canzone preferita?
-Proprio Rocket Queen. I miei amici dicono che sono una fissata, la canticchio sempre. La tua?
-Anche la mia.- sorrise Andrea, sentendosi invadere da una piacevolissima sensazione di leggerezza. -O meglio, la metterei al secondo posto dopo Civil War.
Le labbra di Nicole si mossero per rispondergli, ma la loro conversazione venne interrotta da un tono secco, acido e tristemente familiare.
-Ragazzi, smettetela di fare confusione e ascoltate la guida!
Con una veloce occhiata intorno a sé, Andrea si accorse che tutti gli altri ragazzi si stavano radunando intorno all'uomo che faceva loro da guida da quando erano entrati nel museo.
-Mi scusi.- disse con falsa cortesia, rivolgendo un sorrisetto tirato all'insegnante che squadrava lui e Nicole con due scuri occhi severi. Se quella donna non avesse avuto il potere di decidere della sua condotta scolastica, avrebbe tentato di ucciderla con lo sguardo.
-Se vuoi possiamo continuare a parlare dopo.- mormorò Nicole, mentre i due si avvicinavano agli altri studenti. -Quando quel tizio ha finito.
-Come vuoi tu.- riuscì a risponderle Andrea, in un sussurro cauto. Non aveva quasi il controllo di ciò che gli usciva dalla bocca. Era ormai totalmente assorbito dall'incredulità: davvero il sorriso e le parole di quella ragazza erano rivolte a lui? Davvero i suoi occhi lo stavano guardando?
Rimasero fermi, uno accanto all'altro, mentre l'uomo iniziava a spiegare qualcosa a cui Andrea non prestò il minimo ascolto.
Respirò a fondo per calmarsi e, mentre si guardava intorno, incrociò lo sguardo soddisfatto di Michele. Gli occhi del ragazzo erano colmi di divertimento, e sembrava che si stesse mordendo un labbro per impedirsi di ridere.
“Ottimo lavoro.” sembrava dirgli quell'espressione. Andrea non poté fare a meno di ricambiarla con un sorriso.

Il sole di inizio luglio picchiava sui tetti delle case e sulle aiuole che la circondavano, donando riflessi splendenti all'acqua cristallina che scorreva nel fiumiciattolo del parco.
Nicole trattenne un sospiro mentre si sedeva su una panchina insieme a Irene e lasciava spaziare lo sguardo sugli alberi dalle foglie verdeggianti. La ragazza accanto a lei, una delle sue poche amiche e compagna del corso di chitarra, le scoccò un'occhiata a metà tra il divertito e l'esasperato.
-Come mai quell'aria malinconica?
-Niente, figurati...- Nicole scosse la testa, ma gli occhi azzurri di Irene la fissavano con il solito sguardo intelligente e indagatore. Sapeva che mentirle era perfettamente inutile.
-Andiamo, si vede lontano un miglio che c'è qualcosa che ti preoccupa.
Due mesi fa lei e Andrea avevano camminato proprio lungo quel vialetto. Ricordava ancora con chiarezza com'era avvampata quando lui le aveva dato una lieve pacca sulla spalla per salutarla, come si era sentita sprofondare il cuore per la prima volta davanti al suo sorriso gentile.
-Ma che dici? Sto benissimo.
Irene tossì per mascherare una risata. Nicole si lasciò andare ad un sospiro e la guardò.
-Va bene. Semplicemente venivo spesso qui con un mio amico, che non vedo da quando è finita la scuola, perciò mi manca un po'. E questo posto me lo ricorda. Sei contenta, adesso?
-Ho capito, stai parlando di Andrea.- rispose tranquilla Irene. -Quello che ti piace.
-Non mi piace.
-Allora devi spiegarmi perché prima della fine della scuola non sapevi neanche dell'esistenza di una cosa chiamata telefono cellulare, mentre ora ci stai incollata tutto il tempo...
-Perché ci messaggio!- esclamò Nicole, sicura di essere arrossita. -Che c'è di male a messaggiare con un amico?
-Dev'essere un amico proprio stretto se una come te è diventata dipendente dal telefono...- scherzò Irene.
-Appunto, un amico stretto. E non è vero che sono dipendente.
Come a smentire quel che aveva appena detto, Nicole si portò una mano alla tasca dei jeans: ecco la rassicurante pressione del suo cellulare. L'oggetto di cui non le era mai importato quasi niente. Ma da quando era finita la scuola non poteva fare a meno di lanciargli un'occhiata ogni pochi minuti. Non poteva fare a meno di sorridere con aria sognante ogni volta che udiva uno squillo. Significava che lui l'aveva pensata. Che le aveva appena scritto.
-Non c'è niente di male se ti piace qualcuno, sai?- ribatté Irene. -Non sono una di quelle ragazzine stupide convinte che dire a qualcuno di essere innamorato sia una presa in giro...
-Lo so, hai ragione. Ma non sono innamorata.
Tornò a guardare il viale, sapendo perfettamente di star mentendo.
Poteva quasi vedersi, la se stessa di pochi mesi fa, camminare proprio davanti quella panchina a fianco di un ragazzo biondo e più alto di lei. Poteva rievocare i ricordi di tutte le volte che si erano incontrati lì, ogni tanto in compagnia di qualche altro amico, le loro chiacchierate intorno ai tavolini del bar all'angolo. Conversazioni che vertevano principalmente sulla musica che ascoltavano.
Le mancava. Era un'emozione del tutto nuova, quella che aveva iniziato a provare: un languore piacevole nel vederlo, nell'ascoltare la sua voce. Un'estasi pacata quando incrociava i suoi occhi. La sensazione di essere al suo posto, insieme a lui, di essere giusta, completa.
E, per quei tre mesi estivi in cui non l'avrebbe visto, lei si sarebbe sentita una persona sbagliata.

Da quando si erano rivisti, all'inizio di quell'anno scolastico, Andrea sentiva che era cambiato qualcosa.
Sapeva di aver preso una cotta per lei, una cotta che non era passata nonostante tutti quei mesi. Ma non era pronto alla sensazione che lo travolse nell'incontrarla, il primo giorno di scuola: una pura ondata di calore che l'aveva fatto sentire felice come poche volte in vita sua. Un tuffo al cuore che aveva poi preso a battergli furiosamente, un nodo che gli aveva quasi impedito di parlare. Invece gli occhi di Nicole si erano illuminati, quando avevano incrociato i suoi, e l'espressione annoiata della ragazza aveva lasciato spazio ad un entusiasmo a malapena celato.
Fu la prima volta che lui credette di poterle davvero piacere.
Anche Nicole era cambiata, in un certo senso. Almeno con lui, era la ragazza allegra di sempre, ma i momenti che passavano insieme sembravano possedere un'intensità silenziosa, delle parole non dette dietro i loro sguardi.
Il semplice fatto di darle una pacca sulla spalla a mo' di saluto gli faceva tremare le dita. Non poteva fare a meno di immaginare la sua mano che indugiava, che si sollevava verso il viso della ragazza per sfiorarle una guancia, fino ad arrivare a un contatto fisico più profondo. Quando parlavano, a volte notava gli occhi di Nicole che scorrevano lentamente su di lui e si soffermavano per qualche istante sulle sue labbra. Finché non tornava a fissarlo negli occhi, il rossore che le si spandeva sulle gote.
Ormai, ogni volta che si sedeva per scrivere e puntava la penna sulla carta immacolata, l'immagine del viso di Nicole gli balzava in mente. E finiva quasi sempre per tracciare il suo nome.
Avrebbe disperatamente voluto metter fine a tutto. Trovare il coraggio di interrompere una delle loro conversazioni per... sì, per cosa? Come diavolo ci si dichiarava ad una ragazza? A volte Andrea si sentiva un completo idiota. Aveva diciassette anni e l'esperienza sentimentale di un tredicenne alla sua prima cotta.
Avrebbe voluto baciarla. Annullare la distanza tra i loro volti quando si trovavano a parlare, talmente vicini che il cuore gli esplodeva in gola, e poteva leggere negli occhi di lei un imbarazzo misto a quella che sembrava una scintilla di desiderio.
E fu quel desiderio crescente ed impulsivo che lo spinse a metter fine ai loro silenzi.

Il viale del parco era cosparso di piccole pozzanghere, mentre dal cielo gonfio di nubi grigie venivano giù grosse gocce di pioggia. Nicole trovava piacevole la sensazione dell'acqua che le tamburellava sul volto per poi scorrerle, gelida, sulla pelle e nei vestiti. La pioggia le era sempre piaciuta, soprattutto quella invernale; da piccola si divertiva ad osservarla, col naso incollato al vetro della finestra, cullata dal suo fragore.
-Ti accompagno a casa, va bene?
Si girò a guardare Andrea, che camminava accanto a lei stringendosi nel cappotto scuro, le ciocche di capelli bagnati incollate alla fronte. Scosse lentamente la testa.
-Oh, andiamo. Stiamo in giro ancora per qualche minuto. A me piace un sacco la pioggia.
Il ragazzo sgranò gli occhi.
-Tu sei tutta matta. Io non voglio rischiare di beccarmi neanche un raffreddore...
-Sei il solito esagerato.- lo interruppe Nicole, con un sorrisetto. -Non è mica un acquazzone.
-Allora dimmi. Che cosa facciamo adesso?
-Semplicemente continuiamo a camminare.
Rimasero in silenzio per alcuni istanti. Nicole puntò lo sguardo sul terreno bagnato e sdrucciolo, sulle sue scarpe da ginnastica inzaccherate di fango. Fino a tre ore fa, quel pomeriggio di fine novembre si era prospettato piacevole: il cielo era pulito e illuminato da un pallido sole. Per quello lei e Andrea avevano deciso di uscire, senza sospettare che avrebbe presto iniziato a piovere.
Non che la cosa le dispiacesse tanto, anzi.
-Non sai neanche sopportare un po' d'acqua, eh?- ironizzò, levando lo sguardo verso Andrea. Lui sbuffò e ricambiò con un'occhiata a metà tra il seccato e il divertito.
-Non mi piace, non mi è mai piaciuta. Spiegami cosa ci trovi.
Nicole non avrebbe mai potuto immaginare quanto le sue parole sarebbero state importanti.
-Beh, la pioggia è poetica.- disse, convinta. -Uno come te, che scrive, dovrebbe rendersene conto. Non so, mi ha sempre affascinata... e ha un qualcosa di romantico. Se mai dovessi baciare un ragazzo per la prima volta, vorrei che succedesse proprio sotto la pioggia.
Si bloccò, sentendosi avvampare nonostante la temperatura. Che cosa aveva appena detto? Non era da lei lasciarsi andare a certe osservazioni che normalmente avrebbe definito sdolcinate.
Eppure quel pensiero era stato una costante nella sua vita; quando era una bambina e i suoi parenti le chiedevano scherzosamente se le piacesse qualcuno, lei rispondeva di no per poi precisare con entusiasmo infantile che, quando avesse trovato la persona giusta, l'avrebbe baciata in un giorno piovoso.
Crescendo, quella parte romantica di lei si era un po' persa. Ma c'erano ancora dei momenti in cui Nicole si trovava a fantasticare di trovare quel qualcuno. E allora non poteva fare a meno di figurarsi quel suo immaginario primo bacio in una strada battuta dalla pioggia.
-Oh, questo è decisamente poetico.
La voce di Andrea interruppe il flusso dei suoi pensieri. Nicole lo guardò e, davanti al sorriso del ragazzo, sentì il proprio cuore accelerare i battiti.
Ok. L'ho detto proprio davanti a lui. Fantastico.
Naturalmente, da qualche mese a quella parte il protagonista di quelle non più tanto occasionali fantasie era stato Andrea.
Cercò di domare l'imbarazzo mentre rispondeva: -Sì, è un mio desiderio di quando ero bambina. Dicevo sempre di voler dare il mio primo bacio sotto la pioggia. Una cosa abbastanza infantile, non trovi?
Emise un risolino che le suonò forzato. Quando lanciò un'altra occhiata ad Andrea, fu colpita dall'espressione seria che lesse sul suo viso. La stava fissando con una pacata compostezza, come se... sì, come se la stesse scrutando attentamente.
-Capisco.- commentò lui. -E... dimmi, lo vorresti ancora?
-Co... cosa?
Stava balbettando. Non andava bene. Doveva recuperare il controllo, doveva mostrarsi sicura di sé e indifferente a tutto quel che aveva detto.
Andrea si fermò d'improvviso in mezzo al vialetto. Nicole si bloccò a sua volta, squadrandolo con una perplessità che sperava mascherasse il suo disagio.
-Intendo...- iniziò lui, con il tono più tranquillo e disinvolto che gli avesse mai udito. -Desideri ancora baciare il tuo primo ragazzo sotto la pioggia?
C'era qualcosa in quella domanda che andava oltre la curiosità, e lei lo capì subito. Le mani iniziarono a tremarle leggermente, le gambe si fecero instabili. Non udiva quasi più il fragore della pioggia intorno a loro. Riusciva solo a fissare gli occhi scuri di Andrea, quegli occhi così calmi che la stavano paralizzando sul posto.
-Io... cioè...
Non riuscì a parlare. Il cuore le batteva talmente forte che sembrava essere sul punto di esploderle nel petto. Lui si avvicinò di un passo, sempre padroneggiando quella calma disarmante.
-Lo vorresti ancora?- ripeté.
-Sì.
Non ragionò nel rispondere. Lo disse e basta, spinta dall'impulso. Ma, nel momento stesso in cui udì la sua voce pronunciare quel semplice monosillabo, comprese di aver detto la verità e capì quello che sarebbe accaduto.
Andrea le passò un braccio intorno alle spalle e l'attirò a sé, mentre lei chiudeva gli occhi di scatto. Le loro labbra si incontrarono per la prima volta e presero a muoversi, insieme, con la lentezza impacciata di due ragazzi inesperti.
Nicole trovò umida la pressione sulla sua bocca. Umida, fredda, ma stranamente piacevole. Le mani di Andrea le strinsero delicatamente le spalle, salirono lente a sfiorarle il viso bagnato di pioggia. Pelle contro pelle. Si sentì attraversare da un brivido di eccitazione e un calore le pervase l'intero corpo, inebriandola.
Si staccarono dopo alcuni secondi che sembrarono un'ora, e lui allentò lievemente la presa sul viso della ragazza. Nicole rimase ferma, respirando a fondo per mantenere la calma; la sua mente era un vortice di idee, di grida silenziose, domande e parole taciute.
Avrebbe voluto ridere e piangere dalla felicità. Avrebbe voluto accostare le labbra alle sue per sussurrargli “Sono innamorata di te”, prima di baciarlo nuovamente.
Invece tutto quel che disse fu: -Da quando?
-Dall'anno scorso, il giorno prima delle vacanze di Natale. Quando ti ho sentita cantare quella canzone.
Lui le lasciò il volto, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, e per Nicole fu come un brusco ritorno alla realtà: si rese finalmente conto del freddo e delle gocce che cadevano su di loro. Era assurdo. Aveva davvero dato il suo primo bacio sotto la pioggia. La pioggia...
Scoppiò in una risata improvvisa e Andrea la fissò inarcando le sopracciglia, con una punta di sconcerto nello sguardo.
-Come mai ridi?
-Non te ne sei reso conto?- ribatté lei. Non aveva mai avuto un sorriso più largo e luminoso.
-No, spiegami.
-Mi hai conosciuta sentendomi cantare Rocket Queen. E adesso ci siamo baciati sotto la pioggia di novembre.

Quel che trovò in Andrea era ciò che Nicole aveva sempre cercato.
C'era qualcosa nel loro rapporto che andava al di là del semplice romanticismo, di uno scambio di baci, di una parola dolce. Era condivisione.
Era la sicurezza che non sarebbero più rimasti soli.
Nei momenti in cui Nicole veniva assalita da picchi di rabbia e tristezza, aveva sempre dovuto cavarsela da sé. Si rannicchiava contro la porta della sua camera immersa nel buio, i pugni stretti e le lacrime che lottavano per uscire, dicendosi che alla fine sarebbe andato tutto bene. Ma non c'era nessuno accanto a lei a confortarla, ad ascoltare i suoi sfoghi. Nessuno che per lei fosse abbastanza importante da poter condividere la parte più profonda di sé. Nessuno di cui si fidasse a sufficienza.
Finché non aveva conosciuto lui.
Lui era capace di asciugare ogni sua lacrima con un sorriso. Non era un ragazzo perfetto, con quelle sue costanti insicurezze che lo portavano a chiudersi, a diventare quasi cupo ed eccessivamente paranoico.
Ma per Nicole era la persona che aveva sempre cercato.
Il suo sguardo per lei spegneva ogni scintilla di rabbia, ogni ombra di malinconica. Scacciava ogni pensiero che non fosse la sua voce rassicurante, il suo tocco caldo sulla pelle.
Lui faceva svanire tutto il mondo che li circondava, chiudendo le porte su ogni voce e ogni sguardo. Quando poteva incontrarlo, parlargli e assaporare le sue labbra, lei si sentiva finalmente libera da ogni disagio e ogni preoccupazione. Poteva sentirsi, anche se solo per un paio d'ore, solamente una ragazza innamorata come tante, una ragazza spensierata e senza problemi.
Lui non era uno di quei fidanzati sdolcinati che la riempiva di attenzioni galanti e parole melense. Non le aveva mai regalato un fiore, non le aveva mai dedicato una canzone o una poesia. Eppure, a modo suo, la faceva sentire importante. Con i sorrisi che le indirizzava, i baci caldi che le donava, la gentilezza che aveva sempre per lei. La faceva sentire la regina di quel loro piccolo universo d'amore. Una regina delle stelle. Rocket Queen.
E, anche molto tempo dopo, Nicole avrebbe ricordato quegli anni come uno dei migliori periodi della sua vita.

-Quindi... sei proprio sicura di voler andare a quel conservatorio?
-Sì.
Calò il silenzio. Nicole puntò lo sguardo sul viale acciottolato che dava nel cortile della scuola, sul flusso di ragazzi che camminavano chiacchierando davanti al muretto dov'erano seduti lei e Andrea.
Erano allegri, i visi della maggior parte di quei ragazzi. Illuminati dal sollievo di chi si prepara alle ultime settimane scolastiche prima dei tre mesi di libertà.
Quei mesi che lei avrebbe trascorso tra libri di musica e scatoloni da trasportare.
Trattenne un sospiro e lanciò un'occhiata ad Andrea. Quando gli aveva comunicato la scelta della sua famiglia di trasferirsi per poterle permettere di frequentare un conservatorio musicale, si era resa conto dell'ombra che aveva attraversato gli occhi del ragazzo. Un'ombra che ancora non l'aveva abbandonato.
-Andiamo... non sarò poi lontanissima. Possiamo sempre vederci quando ho un po' di tempo libero, deve esserci per forza qualche treno per venire qui. Mi informerò.
-Sì. Anche se non è la stessa cosa.- replicò lui, senza riuscire a nascondere una nota amara nella voce.
Un fiume di ragazzi camminava sul viale, e qualcuno lanciava loro delle occhiate che, per quanto casuali e sfuggenti, facevano sentire Nicole a disagio.
Suona tra cinque minuti, dannazione. E c'è tutta quella gente... no, devo dirglielo ora.
-Hai ragione. Senti, Andrea...
Lui si girò per guardarla negli occhi, senza dire una parola, aspettando che continuasse. Lei dovette tirare un respiro profondo prima di concludere la frase.
-Capisco se da quest'estate non vorrai più stare con me.

Faceva insolitamente caldo, per essere una serata di ottobre. Le luci del pub dove avevano cenato scintillavano nella notte, e il piccolo cortile sul retro del locale era illuminato dalla tela di stelle che puntellavano la volta scura del cielo.
Andrea slacciò i primi bottoni della giacca che indossava, prima di lanciare un'occhiata a Nicole, seduta accanto a lui sulla panchina.
Era così strano vederla, vederla per davvero, dopo quasi tre mesi di lontananza. Era stato strano avvertire nuovamente la pressione della sua mano fresca e fissare il verde dei suoi occhi, invece di limitarsi a richiamarlo nei suoi ricordi.
-Sai, ero quasi sicura che ti saresti perso per venire qui...- disse d'improvviso Nicole, spezzando il silenzio che era calato su di loro da qualche minuto.
-Grazie per la fiducia.- replicò ironico Andrea. -Il mio senso dell'orientamento non è poi così terribile.
-Lo so.- sorrise lei. -Quando pensi di poter tornare?
-Non ne ho idea. Non immaginavo che l'università fosse così impegnativa. Forse tra un mese, se tutto va bene...
Un'ombra passò negli occhi della ragazza, che annuì e puntò lo sguardo a terra. Il suo leggero sorriso si era spento.
-Sapevo che non aveva senso.- disse a voce bassa, quasi impercettibile. Ma lui la sentì lo stesso.
-Cosa?
Andrea sentì il cuore balzargli in gola. Naturalmente sapeva di cosa stava parlando, ma fino ad allora avevano evitato l'argomento. La serata era trascorsa tra chiacchiere futili sui loro esami dell'anno passato, sul conservatorio di lei e sulla facoltà di Lettere di lui. Ma era inevitabile che fossero finiti lì.
-Una frequentazione del genere.- rispose lei, alzando lo sguardo. -Non ha senso poter vedere il proprio ragazzo una volta al mese, forse anche di meno. Non l'avrei sopportato, quindi forse è meglio esserci lasciati...
-No, per me non è meglio.
Aveva trovato il coraggio di dirlo. Si sentiva come la prima volta che le aveva parlato o quando si erano baciati: impacciato, nervoso, roso dall'imbarazzo. Ma ci era riuscito, così come era riuscito a rivolgerle la parola in quella giornata di alcuni anni prima.
-Non è affatto meglio. Se continuiamo a incontrarci quando possiamo, alla fine sarà come se fossimo ancora insieme. E io ci starei male allo stesso modo, perché... non so se per te è lo stesso, ma io sono ancora innamorato di te.
Non servì che lei gli rispondesse, almeno non con le parole.
Le labbra di Nicole furono subito sulle sue. Per alcuni minuti, Andrea dimenticò quello che era successo negli ultimi mesi. Dimenticò che si erano lasciati, anche se nessuno di loro due lo voleva davvero, e che ormai erano troppo lontani per continuare a vedersi normalmente.
Lei era lì, non si era dimenticata di lui. Aveva temuto che Nicole l'avesse lasciato perché, in realtà, era stanca di una relazione che andava avanti da quasi due anni. Oppure che in quei mesi avesse realizzato di aver fatto la scelta giusta, perché non provava più niente nei suoi confronti.
Non sarebbe stato tanto strano: avevano entrambi diciannove anni, non più sedici o diciassette. Quasi sicuramente lei aveva conosciuto altri ragazzi, forse qualcuno che le piaceva...
Almeno, così aveva pensato prima di quella sera. Tutte le sue paure svanirono mentre la baciava, mentre lasciava scorrere le mani sui suoi fianchi e il calore di Nicole premeva contro il suo corpo.
Fu lei a fermare il bacio, ma rimase aggrappata a lui, le braccia che lo cingevano stretto e il volto affondato sulla sua spalla.
Andrea tirò un respiro profondo, cercando di calmare i battiti accelerati del suo cuore. Quel contatto, nella sua semplicità, era il paradiso. Sarebbe potuto rimanere così per sempre.
-Qualche giorno fa ho scritto una cosa su di te.
A quelle parole, Nicole alzò di scatto lo sguardo e lo fissò con occhi pieni di sconcerto.
-Davvero?
La ragazza si sentì quasi avvampare. Aveva sempre saputo che ad Andrea piaceva scrivere, e ogni tanto lui accettava le sue insistenti richieste di farle leggere qualcosa. Ma non le aveva mai dedicato nulla, non aveva mai accennato di aver scritto qualcosa su di lei.
-Sì.- rispose lui. -Beh, non solo qualche giorno fa. Se consideri che ci conosciamo da tre anni...
Nicole tentò invano di trattenere un sorriso.
-Mi faresti leggere?
Andrea arrossì visibilmente.
-Se vuoi... ho il foglio qui.
-Cioè, stai cercando di dirmi che non hai scritto questa cosa al computer ma su un foglio? Sei sicuro di non essere nato due secoli fa?- ironizzò lei.
-È esattamente quello che sto cercando di dirti.
Andrea si staccò da lei per frugare in una tasca della giacca, e ne tirò fuori un foglio di carta tutto spiegazzato, fitto di scrittura. Quando glielo tese, Nicole notò il tremito improvviso delle sue dita.
-È una cosa stupida, davvero.- balbettò lui. -L'ho scritta in fretta, e forse non ti piacerà...
-Oh, stai zitto.
Nicole prese il foglio e lo dispiegò, con il cuore che batteva a mille. Il piccolo lampione alle loro spalle, dietro il cancelletto del cortile, gettava una luce sufficiente per permetterle di distinguere la familiare grafia marcata di Andrea e il titolo scritto in stampatello.
Ebbe un tuffo al cuore nel leggere: Rocket Queen.
-Rocket Queen?
I suoi occhi brillavano quando levò lo sguardo verso Andrea. Lui le rivolse un sorriso imbarazzato.
-Ti ricordi? Al nostro terzo anno di liceo, il giorno prima delle vacanze di Natale... ho sempre pensato che fosse per merito di quella canzone se ti ho conosciuta. Ecco, di certo tu non sei come la ragazza della canzone, ma il titolo si riferisce a te. Per me è come se tu fossi...
-Anche io l'ho sempre pensato.- lo interruppe lei. Sentì delle lacrime premere contro i suoi occhi, ma fece di tutto per trattenerle. -Sei stato la prima persona a farmi sentire importante, a farmi sentire come... beh, sai cosa vuol dire il titolo.
-Lo so.
Andrea le prese il viso tra le mani e la baciò di nuovo, dolcemente, muovendo con lentezza le labbra sulle sue. Nicole si sentì pervadere da un'ondata di calore e dalla ferma consapevolezza che era ancora innamorata di lui, esattamente come la era stata a sedici anni.
E in quel momento non le importò di cosa sarebbe successo dopo, se sarebbero tornati insieme e quali difficoltà avrebbero dovuto affrontare in quel caso.
Le importava solo del fuoco che si era acceso nel suo cuore, del suo tremito d'emozione, del languore dolce e totalizzante di quel bacio. Le importava solo che lui non avesse intenzione di lasciarla ancora una volta.
Le importava di poter tornare ad essere, anche se fosse stato per una sola sera, la sua rocket queen.

Note.

Mi piacerebbe scrivere delle note più lunghe, ma purtroppo non ho molto tempo, perché la mia connessione potrebbe saltare da un momento all'altro. Comunque spero che la storia vi sia piaciuta, che siate fan dei Guns N' Roses o no. Non posso ancora credere che si sia classificata prima.<3 Al più presto aggiungerò il giudizio che ha ricevuto, ora non ho proprio tempo da perdere, quindi cerco di sbrigarmi il più velocemente che posso.
A presto, e auguri a tutti per il 2013!;)
   
 
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