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Autore: dreamrauhl    28/12/2012    2 recensioni
“mi guardai allo specchio e tutto ciò che provai fu solo disprezzo.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

Scesi in fretta le scale e per poco caddi con la faccia a terra, presi le chiavi della macchina e uscii in fretta dal garage, facendo poca attenzione a dove andavo e di questo me ne pentii nel momento esatto in cui urtai la macchina parcheggiata del mio vicino, Mark.
Feci finta di niente e mi diressi verso la casa dei miei genitori.
Arrivai una decina di minuti dopo, suonai il campanello e appena mi aprirono la porta entrai in casa, riassaporando l'odore della casa dove ero cresciuta e rimpiangendo quegli attimi felici che a stento ricordavo.
Mi riportò alla realtà mia madre, che sbattendomi addosso la lettera della scuola, mi squadrò dalla testa ai piedi storcendo le labbra e cacciandomi letteralmente fuori.
Alzai gli occhi al cielo e qualche secondo dopo le prime goccioline di pioggia iniziarono a cadere.
Mi affrettai a raggiungere la macchina, salii lasciando il motore spento e aprii la lettera.
In poche parole diceva che avevo fatto troppe assenze il primo quadrimestre e mi avevano sospesa finché non avessi messo la testa a posto.
Era da un po' che ci pensavo, era da tanto che volevo lasciare la scuola.. la lettera fu la scusa giusta per mollare.
Accesi il motore e sfrecciai lungo la tangenziale, convinta della mia scelta e pronta ad andare dal direttore della scuola per abbandonarla definitivamente.
Mi ritrovai di fronte alla grande facciata dell'istituto che frequentavo, non mi era mai piaciuto. Mamma e papà mi avevano costretta a frequentare il liceo scientifico e a stento arrivavo a fine anno col 6 in ogni materia.
Non era la scuola per me eppure nessuno mai si preoccupò che forse quella non era la vita che volevo, che non era il futuro che avevo previsto per me, che non era il sogno nel cassetto che custodivo con tanta cura.
A dire il vero non sapevo nemmeno cosa fare 'da grande', anche se ormai i miei diciotto anni mi imponevano se non di frequentare la scuola almeno di trovare un lavoro serio e pagarmi l'affitto e le bollette a fine mese, giusto per vivere un minimo dignitosamente.
Non desideravo una villa né un lussuoso loft in centro, desideravo solo realizzarmi come donna, avere una famiglia, dei figli... eppure questi pensieri sembravano ancora troppo grandi ed ambiziosi per me che, appena maggiorenne, mi sentivo ancora una ragazzina, una piccola Peter Pan.
Entrai e salii le tre rampe di scale fino a raggiungere una porta. Era alta e scura, la targhetta indicava che era l'ufficio del preside Flynn.
Bussai due volte finché non sentii una voce sottile dire “avanti” ed a me sembrò più un bisbiglio che una frase sicura, decisa.
Mi si presentò davanti agli occhi una donna non molto alta, portava i tacchi alti circa dieci centimetri eppure era ancora più bassa di me. Ero convinta che il direttore dell'istituto fosse un uomo.
Gli occhi vispi si illuminarono appena mi videro. Subito pensai “appena sentirà quello che avrò da dire cambierà espressione e si toglierà quel sorrisino”.
Nonostante i miei pensieri contrastassero con ciò che in realtà provavo per quella donna, li lasciai lì, a marcire, senza che riuscissero ad avere voce in capitolo riguardo a quello che avrei detto a quella donnina che m'ispirava tanta tenerezza.
Si accomodi”, mi disse lei indicandomi la poltrona rossa di fronte alla scrivania.
Mi sedetti e mi guardai intorno: l'ufficio era grande, un ampio armadio in mogano occupava quasi tre quarti della parete ad est. Alle spalle della poltrona e della scrivania si trovava una finestra, enorme, che mi permise di vedere dall'alto parte della mia città e dei suoi grattacieli, New York.
Rimasi a bocca aperta e senza parole tanto che quando mi chiese il perché di quella visita rimasi in silenzio per qualche secondo di troppo.
Signorina, come mai è qui?”, ripeté la donna avvicinandosi.
Mi è arrivata la lettera dalla scuola, sono pienamente consapevole della mia non buona condotta scolastica. Di conseguenza ho deciso che voglio abbandonare gli studi
Ma signorina...”, iniziò lei.
No, nessuna obiezione. È già da un po' che ci penso ed ho preso la mia decisione
E' una scelta sua”, disse lei a malincuore e come mi ero immaginata il suo sguardo si abbassò. Non in segno di rispetto o di sottomissione come succede in questi casi, ma come segno di delusione.
Se non sono troppo indiscreta, lei ha un lavoro signorina?
Lavoro part-time presso uno studio di avvocati
Abita con i suoi genitori?
Questi sono affari miei
Non voleva assolutamente essere un modo per impicciarmi degli affari suoi signorina, volevo solo darle una mano
No, vivo da sola”, risposi alzando gli occhi al cielo.
Ed il suo lavoro le permette di pagare l'affitto e tutte le bollette che ne conseguono avendo una casa autonomamente?
Purtroppo no, i miei genitori mi danno una mano.. ma non sono molto contenti di ciò. Ci sono stati diverbi tra di noi che ora rimpiango ma so che non si possono sistemare e chiarire in un giorno
Mi sorpresi di me stessa: stavo raccontando tutte queste cose ad una donna che nemmeno conoscevo, che non avevo mai visto, di cui non avevo mai letto il nome se non sulle circolari che ci arrivavano ogni tanto in classe.
Le stavo raccontando dei miei genitori, del fatto di essermene andata di casa per ripicca, della mia maleducazione e smania di apparire, dei divertimenti senza freni, delle serate a bere fino a star male.
Restai da lei quasi due ore, tanto che dopo mezz'ora la vidi dire all'assistente che non avrebbero dovuto disturbarla per alcun motivo.
Le raccontai tutto dalla A alla Z e mi sorpresi che lei stesse ad ascoltarmi, senza dire una parola. Aveva capito ciò di cui avevo bisogno: di essere ascoltata, capita. E lei lo stava facendo, come mai nessuno aveva fatto, nemmeno la mia migliore amica Lindsay.
Sa, anche io ho un figlio e anche lui non è un santo. Ha lasciato la scuola nonostante io sia la preside di un istituto abbastanza prestigioso in questa zona di New York e se n'è andato, lontano da qui, inseguendo la sua passione. L'ho capito solo dopo che aveva bisogno di essere ascoltato
Ah, mi dispiace...”, fu tutto ciò che riuscii a dire.
E' morto, tre anni fa. Si trovava in vacanza in California ed ha avuto un incidente”
Mi scese una lacrima. Lo disse con tanta tranquillità che mi turbò.
Non deve essere stato facile per lei
I sensi di colpa sono tanti
Lo capisco
No, non capisce cosa significa per una madre perdere un figlio dopo averlo lasciato andare senza averlo mai ascoltato e appoggiato
Lei non può dirmi cosa capisco e cosa no
Ed ecco ritornare la me scontrosa.
Torni dai suoi, chieda loro scusa e dica loro che ha solo bisogno di essere capita ed ascoltata. Io intanto le troverò un lavoro
Squillò il telefono: era il mio capo, Tom.
Signorina Evans, la stiamo aspettando da quasi mezz'ora! Aveva delle pratiche da completare e fotocopiare entro le cinque del pomeriggio!
Mi dispiace Tom, mi licenzio” e chiusi la chiamata sentendolo imprecare dall'altro capo del telefono.
Questo è il mio numero, tienga”, disse la signora Flynn.
Grazie” ed uscii dalla porta senza nemmeno salutare.
Da domani comincia una nuova vita con una nuova me”, sentenziai una volta che ebbi raggiunto la macchina e tornai a sfrecciare sulla tangenziale.


 

  
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