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Autore: Naky94    28/12/2012    2 recensioni
Facciamo una passo indietro di una decina d'anni nella vita dei nostri cari paparini...
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Spiegazione rapida e concisa: Allora, come potrete vedere anche dal titolo pubblicato, questa mega-shot è tratta da Scherzo del Destino, la mia long. I personaggi qui citati ovviamente sono Rob, Jude, più un altro po’ di gente che ha più o meno a che fare con la nostra coppia.
Quindi, ora che sapete come orientarvi, vi auguro Buona lettura!
Ci si rilegge alla fine, a chi sopravvivrà......
Ah la storia è interamente Pov Robert.

 

 
First Meeting

 

 
Io e il natale non abbiamo sempre avuto un rapporto facile.
Come tutti i bambini, da piccolo ero fermamente convinto che Babbo Natale esistesse. Lo vedevo come un buon signore, che spendeva il suo tempo per far contenti tutti i bambini del mondo in una sola notte.
Per me, lui era l’unico che ogni anno non dimenticasse di farmi il regalo. I miei genitori erano sempre troppo impegnati col lavoro per festeggiare con me il mio compleanno, o per fare tutte quelle cose che le famiglie fanno nel periodo natalizio, come montare l’albero, abbellire la casa con le decorazioni, o cucinare i biscotti allo zenzero da lasciare in un piattino per Babbo Natale.
A tutte queste cose ci pensavano le persone della servitù.
Vedevo quindi Babbo Natale, come l’unica persona che si dedicasse esclusivamente a me, almeno una sera all’anno.
Detto questo, potrete benissimo immaginare quanto ci rimasi male, quando, per puro dispetto, quello che al tempo ritenevo il mio migliore amico mi rivelò che Babbo Natale non esiste.
Quell’anno, se non vado errato, avevo circa quattro o cinque anni. Mi arrabbiai moltissimo con il mio amico, e in un primo momento non voletti credergli.
Ma dovetti ricredermi quando la successiva vigilia di natale, provato ormai dal tarlo del dubbio, mi decisi a passare la notte sotto l’albero di natale, aspettando che Babbo Natale arrivasse.
Aspettai e aspettai, finché non caddi addormentato sotto l’albero. Fu solo alle prime luci dell’alba che un leggero rumore mi fece sussultare. Aprii leggermente le palpebre e vidi una figura indistinta che si avvicinava al grosso albero con qualcosa fra le mani. Misi a fuoco l’immagine e riconobbi la mia governante che appoggiava  un grosso pacco incartato fra gli altri regali.
Non so come fece a non vedermi, probabilmente perché ero nascosto dietro l’albero, o magari perché non ci vedeva più così bene alla sua età, comunque appena se ne andò balzai fuori dal mio nascondiglio e andai a leggere il cartellino, su cui era scritto il nome della persona a cui era destinato il regalo.
Vi stupisce che a cinque anni un bambino sappia già leggere? Posso solo dire che i miei genitori, anche se non facevano niente per dimostrarmi il loro amore, erano abbastanza attenti e pretenziosi sulla mia istruzione, e avevano già chiamato un istitutore privato che mi facesse imparare delle prime nozioni basilari.
Ma torniamo al mio rapporto travagliato col natale... presi il pacco in mano e lessi il nome sul cartoncino.
C’era scritto solo “A Robert, da Babbo Natale”.
In quel momento credo che mi si spezzò per la prima volta il cuore.
Mi sentii tradito dall’unica persona a cui pensavo di importare. Mi sentii preso in giro da tutti, e dovetti riconoscere che il mio amico aveva ragione.
Lasciai immediatamente il regalo e corsi in camera mia, per buttarmi sul letto e piangere tutte le mie lacrime. Da quel giorno in poi non credetti più in Babbo Natale.

 
Crescendo, poi, cominciai a vedere il natale come un periodo dell’anno in cui tutte le persone si comportavano in modo farlo, unicamente per ricevere e fare dei regali che non sarebbero piaciuti a nessuno o che sarebbero stati riciclati come regali a persone che non si sopporta.
Mi chiedevo, perché comportarsi come tanti agnellini in vista di soli due giorni, quando quotidianamente la vita non ti insegna altro che la dura legge della giungla, dove vive solo chi riesce a combattere per  la propria salvaguardia.
Lo consideravo ipocrita, e lo considero tutt’ora...

 
A dir la verità, c’è stato un avvenimento che per un lasso di tempo abbastanza ampio, mi ha fatto riscoprire il piacere di passare le feste in famiglia, la nascita di Indio.
Quando mio figlio nacque, mi ripromisi che non avrei fatto lo stesso sbaglio dei miei genitori, e che avrei sacrificato una parte della mia brillante carriera di avvocato, per essere una figura presente nella vita di mio figlio.
Ma la vita, come purtroppo so bene, gioca spesso dei brutti scherzi. E l’ennesimo “scherzo” se così lo si può chiamare, si materializzò sotto la forma del divorzio fra me e Deborah, la madre di Indio.
Probabilmente fu una decisione frutto di una serie di sbagli, miei e suoi.
Per quanto cercassi di essere presente, il mio lavoro mi obbligava spesso a spostarmi da uno stato all’altro dell’America. E quando Val, il mio socio, decise di aprire una filiale a Londra e di lasciare la guida della filiale americana a me, il carico di lavorò si duplicò.
Cominciai così ad essere sempre più assente, e questo fece deteriorare i rapporti fra me e mia moglie.
Lei per altro, invece di parlare dei nostri problemi con me, andava a confidarsi con il suo nuovo assistente e da cosa nasce cosa e il passo dalla fedeltà al tradimento è abbastanza rapido, soprattutto se ci si sposa  non per amore, ma per la voglia di dare una famiglia ad un bambino in arrivo.
Quando scoprii il tradimento di Deborah, non me la presi con lei ma anzi cercammo di mettere bene le cose in chiaro fra di noi e quindi di contattare un avvocato per la separazione.
Fu il proprio il primo natale senza mio figlio, a ricordarmi quanto io odiassi quel periodo così falso ed infimo, e decisi di chiudere per sempre il mio cuore al natale.
O almeno così pensavo, fino all’incirca 10 anni fa.
Ed è proprio un episodio di 10 anni fa quello che vi voglio raccontare...

 
Era la notte della vigilia di natale e Debh mi aveva trascinato a teatro.
Indio era ad una festa con amici del liceo e io avrei tranquillamente preferito passare la serata disteso sul divano a guardare la televisione. Ma la mia ex-moglie non era d’accordo, per cui mi costrinse ad uscire fuori di casa, con una tormenta alle porte, per andare a teatro a vedere l’Amleto.
Ora, vorrei soffermarmi un attimo sugli attori della compagnia...
Pensateci, costretti a lavorare la vigilia. O dovevano essere un branco di inetti, che non avevano altro nella vita che quella produzione, o il loro agente doveva essere proprio un grande stronzo per farli lavorare persino il giorno che tutto il mondo generalmente passa in famiglia.
Ma tornando a noi... stavo dicendo che Debh mi costrinse ad andare con lei, tra l’altro con una scusa patetica, “Il regista è un mio carissimo amico e mi ha riservato due biglietti”.
Sinceramente non avrei voluto trovarmi li, ma dato che c’ero cercai di trarre il meglio possibile dalla situazione. Inoltre gli attori non erano affatto male; soprattutto quello che interpretava Amleto, veramente bravo.
Purtroppo per me, però, lo strazio non si esaurì con la fine dello spettacolo, infatti la mia ex mi obbligò a farle compagnia mentre parlava col regista, un certo Jack Black.
Il suddetto, dopo i classici convenevoli, ci invitò a conoscere i membri del cast. Fu così che mi ritrovai nei camerini, sommerso da un infinità di persone che mi porgevano la mano per salutarmi. Fra gli altri, conobbi anche la costumista, Cameron, una biondina con un sorriso enorme; il scenografo, Ewan, alto leggermente più di me, scuro di capelli e con una parlantina niente male; e poi lui... un angelo sceso in terra.
Quella sera aveva un jeans blu scuro, una camicia azzurra lasciata fuori dai pantaloni e che si intravedeva sotto il maglioncino  ceruleo, che metteva in risalto i suoi magnifici occhi azzurri. In quegli occhi ci si poteva perdere all’infinito, e non si sarebbe comunque stati capaci di esprimere a parole la loro bellezza.
Rimasi estasiato a guardarlo finché Debh non mi riportò sulla terra facendomi capire che avevo fatto la figura del fesso.
Ah non vi ho detto come si chiama l’angelo, bhe lui era, o meglio è Jude.
A quel tempo era un attore della compagnia, ora invece credo che la diriga o una cosa simile, ma non ci giurerei.
Comunque, tornando a quella sera di 10 anni fa... dopo le presentazioni, Jake ci propose di andare tutti insieme a cena, e devo dire che non fui poi così tanto restio a quell’idea, anzi tutto il contrario.
Ci dirigemmo quindi ad un ristorante molto rinomato di New York, e incredibilmente trovammo anche abbastanza facilmente un tavolo libero. Sinceramente credevo che sarebbe stato impossibile trovarlo, ma forse quella sera la fortuna volle aiutarci.
Ci sedemmo e ordinammo, tutto nel silenzio assoluto. Solo quando il cameriere se ne fu andato, dopo aver preso i nostri ordini, Jack si rivolse a Deborah e Cameron ed Ewan cominciarono a parlare fra di loro, lasciando me e Jude nell’imbarazzo.
Cercai più volte di cominciare una discussione, ma lui tutte le volte rispondeva  monosillabi o dava risposte vaghe, facendomi chiaramente capire che non era intenzionato ad intavolare una civile conversazione.
In più lo vedevo lanciare di tanto in tanto delle occhiate preoccupate fuori dal locale, come se stesse cercando di controllare il tempo, che per altro era peggiorato ed era ormai chiaro che la tormenta ci avrebbe colpito da un momento all’altro.
La sua impazienza era rivelata, inoltre, dal continuo guardare il suo cellulare, come se aspettasse la chiamata di qualcuno. 
Passai buona parte della serata ad analizzare il suo comportamento, che via via peggiorava, e proprio quando ormai avevo perso le speranze di creare una qualche via di comunicazione, lo vidi alzarsi repentinamente dalla sedia e dirigersi velocemente verso il bagno.
Lo seguì con lo sguardo finché non entrò nei bagni e a quel punto, dopo aver preso l’ultimo sorso dalla mia seconda birra, decisi di seguirlo per accertarmi che fosse tutto a posto.
Lo feci presente ai miei commensali e mi diressi verso la porta che recava la scritta “toilette”.
Quando entrai, lo trovai con le braccia appoggiate al lavandino, che prendeva delle grosse boccate d’aria per cercare di calmarsi.
“Ehi amico va tutto bene?” gli chiesi, e lui si girò di scatto verso di me guardandomi spaventato. Quando sembrò riconoscermi, attese qualche attimo prima di parlare e poi disse.
“Si, è tutto a posto. La ringrazio.”
“A me non sembra che lei stia del tutto bene. E’ proprio sicuro che vada tutto bene?”. Non so perché in quel momento premetti tanto per farmi gli affari suoi, ma di sicuro, pur essendo leggermente brillo per le due birre, non ero un mostro senza cuore, e se vedevo una persona in difficoltà ero portato a soccorrerla.
O forse in definitiva era solo colpa di Jude, dato che quella era la prima volta che mi ritrovavo a cercare di aiutare un perfetto sconosciuto.
Lui comunque non rispose alla mia domanda, ma anzi guardò ancora una volta lo schermo del telefono, e il suo sguardo si rabbuiò.
No, proprio le cose non gli stavano andando del tutto bene...
“E’ solo che...” mi ero già diretto all’uscita quando lo sentii parlare.
Ritornai a rivolgere la mia attenzione a lui e aspettai che continuasse.
“E’ solo che... i miei figli sono con la mia ex-moglie questa sera, e gli avevo detto di chiamarmi, e non lo hanno ancora fatto. E ho paura che Sedie li abbia lasciati ancora da soli.... E domani dovrei tornare a Londra, ma con questa tempesta alle porte non so se potrò mantenere la promessa, e...” ma non continuò perché quell’ultima frase era stata interrotta da un singhiozzo. In quel momento sentii un moto di compassione e comprensione verso quell’uomo apparentemente sconosciuto ma col quale avevo appena scoperto di condividere un’infinità di cose.
Passammo la restante parte della serata a parlare. Era bello stare ad ascoltarlo. Ed anche se ci dividevano sette anni, era incredibilmente maturo per la sua età.
Mi raccontò della sua passione per il teatro, coronata col lavoro alla compagnia. Dell’amore incondizionato che aveva per i suoi figli.
Io da parte mia, gli parlai di Indio, facendogli capire quanto in realtà fossimo simili. E gli accennai anche del mio lavoro e del fatto che Val avesse deciso di aprire una filiale a Londra.
Quando toccai questo tasto, vidi i suoi occhi illuminarsi. Non so se quello che vidi fosse effettivamente gioia, ma mi piace sperare che così fu.
Non ci accorgemmo neanche del trascorrere del tempo, e quando tutti gli altri commensali del ristorante esultarono allo scoccare della mezzanotte, noi ci ritrovammo travolti da una baraonda di auguri. Dopo aver fatto gli auguri a Debh, mi girai per festeggiare con Jude, ma lo vidi allontanarsi dal marasma generale con il telefono all’orecchio.
Stavamo già brindando, con i calici pieni di spumante, quando tornò, con un sorrisone enorme in faccia, e per un po’ mi persi a guardare la sua figura che incedeva verso di noi.
Sembrò quasi che il tempo si fosse fermato. In quel momento, tutto si era annullato attorno a me, e riuscivo solo a guardare Jude che mi si avvicinava.
Ricordo il suo sorriso, felice e sereno. I suoi occhi che risplendevano di gioia. L’aura speciale che sembrava spandere intorno a se, e che ti faceva sperare, anche per un singolo istante che niente sarebbe andato storto.
Davanti a quell’epifania di bellezza e magnificenza, mi riscoprii a provare gratitudine verso quella magica notte di natale, che mi aveva dato la possibilità di conoscere una persona così bella e speciale.
Non pensavo, a quel tempo, che lo avrei mai detto, ma per una volta ero felice che fosse Natale.

 
Purtroppo però non saremmo potuti rimanere in eterno in quel locale, e di conseguenza arrivò anche il momento di salutarsi. Non volevo fare la donnina isterica e salutarlo piangendo o sventolando un fazzoletto bianco; ma allo stesso tempo non volevo neanche salutarlo con una semplice stretta di mano. In fondo era grazie a lui che mi ero goduto la serata. Ma vuoi per imbarazzo, vuoi per orgoglio, quando ci toccò salutarci me ne rimasi lì impalato come un perfetto idiota. Per fortuna però ci pensò lui a salvare la situazione.
Vedendo che ero restio a fare qualsiasi movimento, mi abbracciò, stringendomi a forte a se. Non mi vergogno a dire che, superato il momento di stupore, sentii un leggero calore irradiarsi per tutto il corpo. E molto probabilmente avrei dovuto capire qualcosa già in quel momento ma non lo feci e invece di farmi un serio esame di coscienza, lo abbracciai a mia volta, godendomi quell’ultimo attimo insieme a lui.
“Grazie per la bella serata Robert. Grazie di tutto”. Mi disse lui, sussurrandomelo all’orecchio. Dovetti reprimere un brivido per evitare di fargli notare la mia reazione, ma non potetti impedirmi di rispondergli con un sorriso.
Quella notte, al caldo delle mie lenzuola mi ritrovai a sperare di poter rincontrare almeno una volta nella mia vita quel bellissimo angelo che mi aveva fatto riscoprire la bellezza del Natale.

 
***

 
E chi mai avrebbe potuto immaginare come si sarebbe concluso il nostro secondo incontro? Io non di certo.
Ero a Londra, la sua patria, ma di certo non penavo che sarei stato così fortunato da rincontrarlo.
Val mi aveva obbligato a prendere parte all’annuale festa di fine anno che davamo allo studio; o che almeno lui dava nella filiale londinese, dacché io ero più propenso a non entrare neanche nell’edificio della sede americana, non il 31 Dicembre comunque.
Dicevo, Val mi aveva obbligato a fare quella traversata oceanica, e io avevo preso la palla al balzo per concedermi qualche giorno di vacanza in più nella capitale Britannica. Così, la sera del 28, mi trovavo a zonzo, per le strade londinesi, in cerca di un pub nel quale passare una tranquilla serata in solitaria.
Caso volle che mi ritrovai a cenare all’Irish Pub.
Era un locale davvero niente male. Tavoli e sedute in legno, pareti ricoperte da scuri pannelli d’ebano, e un enorme bancone che correva per tutta una parete.
Per altro il bancone era adibito a bar e sulla superficie in marmo nero sostavano dei variopinti cocktail.
Era un bel posto, l’ho già detto? Comunque, dopo essere entrato ed essermi torto la sciarpa, gli inglesi tengono i riscaldamenti a palla, lo sapevate?. Quindi dopo aver tolto la sciarpa, ero alla disperata ricerca di una cameriera, una cassiera, un cuoco, un maitre, insomma un qualcosa che mi indicasse un tavolo libero in cui potermi sedere.
E poi, quando stavo già pensando di andarmene e cambiare locale, i miei occhi caddero sui sgabelli da bar posizionati davanti al bancone. E lì lo vidi... il mio angelo caduto dal cielo.
Jude.
Era seduto su uno sgabello, e guardava dalla parte opposta alla mia. Ma evidentemente in mezzo a tutta quella folla non dovette riconoscermi.
Eppure era lì, in tutto il suo splendore, con quegli occhi magici in cui mi era così facile perdermi.
Mi avvicinai a lui silenziosamente, e quando gli fui davanti, fu con un po’ di esitazione che alzai la mano per posizionarla sul suo braccio.
A quel tocco appena accennato, lo vidi girarsi verso di me, e spalancare gli occhi nel più completo stupore. Rimasi a fissare il suo volto, attraversato prima da sorpresa e poi da gioia.
“Ciao!!! Ma cosa ci fai qui?” mi chiese, invitandomi a prendere posto accanto a lui.
“Ehm impegni di lavoro. Anzi a dir la verità festa di fine anno alla filiale. E tu invece? Cosa ti porta lontano dai tuoi figli?” sapevo quanto tenesse a loro, e mi sembrò un po’ strano che non fosse con loro dato che mi aveva detto che quello era uno dei giorni in cui gli era permesso vederli.
“Bhe, vedi, domani è il mio compleanno, e dato che li avrò tutto il giorno con me, ho deciso di prendermi questa serata tutta per me.”
“Oh, quindi domani è il tuo compleanno?” chiesi imbarazzato. Veramente ero mooolto imbarazzato, ma questo non diciamoglielo.
“Si, domani faccio 30 anni. Ma non parliamo di questo, mi sento già abbastanza vecchio” e nel dirlo abbassò gli occhi timidamente.
Volevo tirargli su il morale, in qualche modo. Per di più non avrei neanche potuto fargli un regalo come si deve, e già questo mi metteva in forte disagio.
Per farla breve, forse trovai proprio il modo meno opportuno per consolarlo, dacché gli alzai delicatamente il volto con due dita e gli sussurrai.
“Non dirlo neanche per scherzare. Non sei vecchio, sei ancora un’adorabile ragazzino” e dopo di che gli lasciai un piccolo bacio all’angolo delle labbra.
Non so perché lo feci, probabilmente perché era da quando ci eravamo conosciuti che volevo farlo, o forse perché non sapevo in quale altro modo aiutarlo; da quel momento però non riuscimmo più a continuare a conversare come due semplici conoscenti.
C’era una qualcosa in più, che tutti e due avvertivamo, ma che nessuno dei due sapeva ben chiamare.
Lo vedevo dai piccoli gesti che inconsciamente ci scambiavamo, piccole carezze, o sguardi profondi e indagatori. Lo capivo dalle nostre parole, sempre più curiose ed allusive.
Eppure, però, sembrava che ci fosse ancora qualcosa che ci tratteneva. Forse la consapevolezza di avere già delle vite troppo complicate a cui dover far fronte. Forse il non voler guastare un qualcosa che era, prima di tutto, nato come una stupenda amicizia. Forse la paura di mettersi in gioco. Sta di fatto che quando, a fine serata, decidemmo di salutarci e tornare ognuno alle proprie case, lui sembrò salutare quella decisione con un gran sospiro di sollievo.
Ma, quella volta, io non ero del suo stesso parere.
Era appena scoccata la mezzanotte, e il Big Bang scandiva i suoi rintocchi, quando con uno scatto repentino afferrai il suo braccio e lo spinsi contro il muro del vicolo nel quale stavamo camminando.
“Rob ma cos....” provò a chiedermi, ma non gli diedi neanche il tempo di finire la sua domanda che gli chiusi le labbra con le mie.
Inizialmente non risposte al bacio, forse frastornato dalla rapidità degli eventi, ma dopo qualche attimo, in cui le nostre labbra avevano continuato ad essere le une sulle altre, lo sentii arrendersi e rispondere al bacio. Le nostre lingue entrarono in contatto e subito cominciarono a scontrarsi e rincorrersi, in un gioco di passione e lussuria.
Ci ritrovammo abbracciati, impegnati a percorrere il corpo dell’altro con le mani, per esplorarci e conoscerci.
Percorsi tutto il suo corpo, partendo dai suoi capelli morbidi e setosi, per poi scendere giù alle spalle e continuare oltre sul suo torace muscoloso ed infine arrestarmi sui suoi fianchi, che artigliai per spingermelo maggiormente contro.
In quel momento un gemito ci costrinse entrambi ad interrompere il bacio per poter prendere il respiro, ormai fattori sempre più rapido. Decisi così di dedicarmi al suo collo, ma non prima di avergli sussurrato.
“Buon Compleanno Jude!”. Già, non avevo assolutamente dimenticato l’importanza di quella data.
Lo sentii sorridere leggermente, e poi lui infilò una mano fra i miei capelli, probabilmente per avvicinarmi ancora una volta a se, ma ancora una volta non ero della sua stessa opinione.
Scesi a baciargli il collo, colpendolo con impercettibili colpi di lingua, attraverso i quali potevo gustare a pieno il sapore del suo profumo. Era veramente meraviglioso!
Non saprei come descrivervelo, nonostante io oramai conosca tutte le sfaccettature di quel profumo, posso solo dirvi che su di lui stava divinamente.
Eravamo ancora addossati al muro, quando il suono di un telefonino si insinuò fra di noi. Fummo costretti a sciogliere il nostro abbraccio e a guardarci nelle tasche, alla ricerca dell’infernale aggeggio che ci aveva interrotti.
Era il suo a suonare, e quando vide il mittente della chiamata, i suoi occhi si oscurarono. Non rispose neanche, rifiutando la chiamata, ma quando i suoi occhi ritornarono a guardarmi, potetti chiaramente vedere in essi una nota di rabbia e rammarico.
“Robert mi dispiace ma è meglio che non ci vediamo più” disse fermamente convinto delle sue parole. Non nascondo che rimasi sbigottito da questo suo cambio repentino.
“Ma... ma perché?” balbettai; davvero in quel momento non ci stavo capendo più niente.
“Perché è meglio così. Sarebbe troppo complicato andare avanti.” rispose abbassando lo sguardo.
Per la prima volta da quando ci eravamo conosciuti, pensai che stesse scherzando. Non poteva essere che proprio quando la vita sembrava finalmente avermi dato un attimo di  respiro e felicità, arrivasse lui a distruggere tutto. Ancora sconvolto, mi avvicinai a lui e dopo averlo preso per le spalle, iniziai a scuoterlo e ad urlargli contro.
“No, tu non stai dicendo sul serio. Non può essere finito tutto così! Cosa è successo Jude? Dimmelo!” lo implorai, anche con lo sguardo, ma lui non mi diede risposta.
Rimanemmo nel più completo silenzio per svariati minuti, mi sembrava di essere tornati alla sera in cui ci eravamo conosciuti, rinchiusi in quel bagno nel quale lo avevo visto in preda all’ansia per i suoi bambini.
Quella volta però lui aveva deciso di confidarsi con me, questa invece sembrava non averne alcuna intenzione.
Lo vidi rialzare lo sguardo e guardarmi con dolore.
“Credimi, è meglio smettere subito, prima di complicare ulteriormente le cose” e così dicendo, dopo avermi scoccato un bacio sulla guancia, ed avermi sussurrato all’orecchio un “E’ stato bello conoscerti”, si liberò dalla mia presa e mi lasciò lì, solo in quel vicolo oscuro.

 
***

 
I due giorni seguenti li passai rinchiuso nella mia camera d’albergo, nella più completa apatia. Non volevo uscire, non volevo incontrare nessuno, o parlare con qualcuno. Volevo solo poter ritornare a casa e passare un po’ di tempo con mio figlio.
Ma purtroppo avevo promesso a Val che ci sarei stato alla festa, così il pomeriggio del 31 mi costrinsi a lasciare il divano della suit e a prepararmi.
Feci una rapida doccia calda, che mi diede almeno un minimo di calma in più, mi vestii e dopo aver lasciato la chiave della camera alla reception, fermai un taxi e mi feci accompagnare alla festa.
Quando arrivai erano da poco passate le 20 e alla festa non c’era praticamente nessuno.
“Oh finalmente sei arrivato!” disse Val e senza neanche darmi il tempo di appoggiare il cappotto, mi mandò a sistemare gli ultimi festoni nelle varie stanze.
Feci un rapido giro di tutti gli uffici, che per l’occasione erano stati dotati di comodi divani in pelle rossa, e sistemai delle decorazioni qua e là. Dopo aver finito il giro, mi diressi al bar per prendere il primo di quello che sarebbe stata una lunga serie di cocktail, o almeno così speravo.
“Ancora a rifugiarci nell’alcol eh?” chiese Val, guardandomi con commiserazione.
Gli avevo raccontato a grandi linee dei miei problemi, e lui molto gentilmente mi aveva consigliato di fregarmene e godermi la vita. Infondo è Capodanno solo una volta l’anno, ed è proverbiale che in questa notte non si debba pensare ai problemi.
Lo guardai tristemente e dopo aver preso un sorso dal mio bicchiere gli dissi.
“Sai che se tu non mi avessi costretto a venire, ora io sarei a casa con Indio, vero?”.
“Oh su dai Rob! Pensa a tutte le belle ragazze che verranno sta sera. Ti assicuro che ci sarà da divertissi”e finendo di parlare mi strizzò l’occhio.
Dei due Val era sempre stato quello più frivolo.
Ci eravamo conosciuti al college alla festa di inizio corsi, e il giorno dopo ci eravamo ritrovati nello stesso corso. Abbiamo passato tutti e cinque gli anni di laurea a divertirci e bivaccare, e infine passata la tesi avevamo deciso di fare l’apprendistato nello stesso studio legale.
Avevamo avuto la stessa carriera brillante, il che ci aveva permesso di aprire uno studio tutto nostro con doppia sede. Nonostante questo però, sapevamo ancora come divertirci, e organizzare una festa a capodanno era il modo migliore per svagarsi un po’.
Feci scontrare il mio bicchiere col suo e sorridendo leggermente gli dissi.
“Allora sta sera tutto fracasso e spasso!”.
In quello stesso momento sentimmo il campanello della porta suonare. Gli ospiti stavano cominciando ad arrivare e lo show poteva cominciare.

 
Erano le 21:30 e la sede era piena di gente che chiacchierava, rideva, e ballava, intrattenuta dal dj che faceva il suo lavoro egregiamente.
Mi misi alla ricerca di Val, impensierito da fatto che non lo avessi più visto dopo che erano arrivati il sindaco e la sua signora. Lo trovai alla porta d’ingresso, intento a guardare pensieroso il suo orologio.
“Aspetti qualcuno Val?” gli chiesi incuriosito.
“Oh si, sto aspettando Ben. Mi ha chiamato poco fa dicendomi che stava andando a prendere il suo accompagnatore, e che in dieci minuti sarebbe stato qua. Ma non è ancora arrivato. Sto cominciando a preoccuparmi” disse. Gli sorrisi benevolo e cercai di consolarlo.
“Non ti preoccupare, vedrai che sta per arrivare. Magari avrà trovato traffico per strada, non è nulla di che. E poi Benny ormai è grande e sa badare a se stesso.” Per quanto io cercassi, ogni volta, di convincere Val ad allentare la presa su quel ragazzo, lui stava sempre li a preoccuparsi.
Val adorava indiscutibilmente suo nipote Benedict. Unico figlio della sorella con cui aveva più legato, Ben era anche il figlioccio di Val, ed oltretutto era anche un nostro dipendente, se così lo potevamo considerare.
Il ragazzo non aveva mai fatto mistero allo zio di voler seguire le sue orme una volta arrivato al college, e dopo che ebbe preso la laurea fu un piacere per Val prenderlo a fare il praticantato con se. Avevo conosciuto Benedict qualche anno dopo che aveva cominciato a lavorare alla sede londinese, e devo dire che era un bravo ragazzo, molto educato e diligente nei suoi incarichi.
“E se invece avesse avuto problemi col suo ragazzo?” Val mi richiamò dai miei pensieri con quella domanda.
“Ehi non sapevo che il piccoletto si fosse fidanzato” dissi sorpreso.
“Bhe l’anno scorso gli ho affidato un divorzio, e lui ha finito per innamorarsi del suo cliente. Ovviamente ha aspettato che il caso si fosse concluso prima di manifestare il suo interesse, nel pieno delle regole dell’etica, ma te lo devo proprio dire Rob, quel ragazzo c’ha proprio gusto in fatto di uomini. Se non fossi un etero convinto ci avrei fatto un pensierino anch’io su quel bel faccino.” e lo vedo alzare gli occhi con sguardo sognante.
E quindi Benny ha trovato qualcuno con cui stare. Sono proprio felice per lui. Se mi abbia stupito che il ragazzo fosse gay? No, certo che no, lo sapevamo da tempo ormai.
Mentre stavamo ancora parlando, sentiamo suonare alla porta e Val va ad aprire.
“Oh Buona sera, siete arrivati finalmente!” lo sento dire allegramente, ma quando Val si spostò di lato per far entrare i due nuovi ospiti, io rimasi immobile a fissare atterrito le due persone che avevo davanti. Perché...
... perché insieme a Benedict c’era anche...
Jude.
Rimasi esterrefatto a guardarli. Vedevo ben che alternava il suo sguardo confuso fra me, lo zio e Jude. E vedevo Jude, bello come sempre che mi guardava sconvolto. Non so se per la spiacevole situazione in cui ci eravamo ritrovati, o semplicemente per quello che ci eravamo detti solo due giorni prima. Non so cosa stesse provando in quel momento, ma di certo c’era molto dolore nei suoi occhi, e questo mi fece pensare che ci dovesse essere molto di più di quelle stupide scuse che mi aveva rivolto.
Ma in quel momento non mi sentivo in condizioni di chiedergli spiegazioni, volevo solo scomparire e ritornare a crogiolarmi nella mia disperazione.
Lentamente, molto lentamente, presi un respiro e poi parlai.
“Vogliate scusarmi, ma mi stanno chiamando e dovrei andare”. Non so come riuscii a pronunciare tutte le parole, senza mostrare il turbinio di emozioni che mi stava assalendo, ma dopo aver parlato, mi girai e andai a chiudermi nel mio studio.
Ogni volta che non sapevo affrontare una situazione, mi rifugiavo nell’asocialità; ho sempre fatto così e così continuo a fare ogni volta, anche se dopo il mio più grande errore, ora sto cercando di lavorare su questo mio problema. Ma questa è un’altra storia, torniamo a quella sera di Dicembre.
Eravamo rimasti a quando mi ero rintanato nel mio ufficio per sfuggire a Jude...
Bene, stavo ancora analizzando la dura realtà, cioè stavo prendendo coscienza che avevo dovuto mandare in fumo una potenziale bellissima amicizia, che magari si stava per trasformare in qualcosa di più, il tutto per uno stupido ragazzino. Ma proprio quando ero ormai deciso a lasciare la festa e a prendere il primo volo disponibile per l’America, bussarono alla porta.
Non mi diedi nemmeno la pena di chiedere chi fosse. Non ero in vena di chiacchiere in quel momento; ma i pugni alla porta si intensificavano e intensificavano, finché non sentii distintamente...
“Rob, lo so che sei li dentro. Fammi entrare, ti prego!”. Ovviamente era Jude, che ve lo dico a fare?.
“Vattene via Jude, non ho voglia di parlare” ed era la santa verità, dopo tutto.
“Lo so che non vuoi parlare. Sono io che voglio farlo.” Mi supplicò.
“E perché mai dovresti farlo? Per dirmi che fin ora mi hai preso in giro, e che il bacio che ci siamo dati non è stato altro che uno sbaglio? Grazie ma queste cose le so già da solo, non c’è bisogno del tuo intervento. E ora puoi anche andartene dal tuo ragazzo, per quanto mi riguarda” gli dissi sprezzante. Eravamo veramente in una strana situazione, abbastanza vicini da poter parlare, ma divisi da un oceano di incomprensione ed orgoglio, rappresentati da quella porta che ci divideva e che mi ostinavo a non aprire.
“No, Rob. Se solo tu mi lasciassi spiegare...” ma non continuò, forse capendo che con me non avrebbe concluso niente.
“Va bene. Come vuoi Robert, me ne vado” e non lo sentii più parlare. Mi sedetti sul divano ed aspettai una buona decina di minuti, prima di alzarmi e dirigermi alla porta per uscire.
Aprii leggermente la porta, lasciando giusto uno spazio esiguo per permettermi di poter uscire, ma evidentemente dovetti fare i conti male, perché nell’esatto momento in cui aprii la porta, due mani mi spinsero, costringendomi ad indietreggiare, ed ebbi solo il tempo di udire lo scocco della chiave che veniva girata nella serratura prima di rendermi conto di essere bloccato all’interno della stanza insieme a Jude. Dove si fosse nascosto non volle mai dirmelo.
“Perché ci hai chiusi qui dentro?” chiesi arrabbiato, mi sentivo braccato, e questo non mi piaceva affatto.
“Perché sapevo che era l’unico modo per parlare; anzi per costringerti ad ascoltarmi.” Rispose con risolutezza.
“Bhe hai fatto i tuoi conti male, perché non ti ascolterò lo stesso.” e così dicendo mi andai a sedere alla mia scrivania, dandogli le spalle.
“Fa niente, tanto anche se farai finta di niente, so che mi ascolterai” e si sedette sul divano iniziando a spiegare.
“Vedi, le cose con Ben non vanno più bene come all’inizio. Lui... bhe lui è stato il primo, dopo mia moglie di cui mi sia innamorato, o almeno così credevo” fece una pausa, probabilmente per ordinare le idee e poi riprese.
“Dopo il divorzio con Sadie, ero fermamente deciso a dedicarmi unicamente al lavoro ed ai miei figli. Un paio di giorni dopo aver chiuso la pratica legale, Benedict mi propose di prendere un caffè. In quel periodo mi era stato molto vicino, e quindi non ci vidi niente di male. Fu così che iniziammo ad uscire. All’inizio era solo per una o due sere la settimana, ma ben presto questi appuntamenti diventarono più frequenti. Ci rendemmo conto che andavamo d’accordo e che insieme stavamo molto bene, e il passo dall’amicizia alla camera da letto fu molto breve.” Tacque di nuovo, ed io incuriosito dal suo silenzio, girai lentamente la sedia per poter tornare a guardarlo.
Si stava contorcendo le mani, in preda al dispiacere ed al rimorso, ma non ebbi il coraggio di andare a fermarlo. Poi però riprese a parlare.
“Non nascondo che dopo quella prima serata, rimasi sconvolto. Non tanto perché ero andato a letto con un uomo, ma perché non riuscivo a capire se lo avessi fatto solamente perché sentivo il bisogno di essere consolato o perché lo volevo davvero. Dopo quella prima volta gli chiesi del tempo per pensare, e lui fu così comprensivo da non chiedermi niente.
Pensai per vari giorni a quello che era successo, e alla fine arrivai alla conclusione che l’unica cosa che mi interessasse veramente fosse non perdere la sua amicizia.” Alzò gli occhio verso di me, e lo vidi sorpreso di vedermi lì intento ad ascoltarlo; ma fortunatamente non accennò in alcun modo alla cosa.
"Quando lo richiamai per dirgli cosa avevo deciso, lui accettò di buon grado le mie parole, anche se mi fu subito chiaro che non erano quelle che avrebbe voluto sentirsi dire. Ricominciammo ad uscire, ma ormai non c’era più quell’alchimia che c’era stata un tempo, e l’avevamo capito tutti e due. Poi però, una sera, ci ubriacammo talmente tanto da non capire neanche quello che stavamo facendo, e ci ricademmo.
Quando la mattina dopo lo trovai ancora addormentato nel mio letto, non riuscii più a capire niente, e molto probabilmente presi una decisione erronea, o magari no, ma non lo cacciai di casa, e da quel momento... bhe semplicemente aprimmo un nuovo capitolo nella nostra storia”.  
Rimasi fermo ad aspettare che continuasse a parlare, ma non lo fece. Non riuscivo a capire perché avesse iniziato col dirmi che fra lui e Ben le cose non andavano più, per poi proseguire con questa sdolcinata love story, degna di una ragazzina adolescente.
“Perché mi stai raccontando queste cose?” chiesi sussurrando.
“Perché... da quando ci siamo conosciuti la notte del 24, ho cominciato a riflettere sul mio rapporto con Ben, e ho capito che in tutto questo tempo non ho fatto altro che illudermi di essermi innamorato ancora una volta; ma soprattutto ho illuso lui, che fin da subito è stato sincero sui suoi sentimenti per me. E non mi va più di continuare con questa farsa. Per questo avevo deciso di parlare chiaramente con Ben.” Prese un respiro e poi guardandomi fisso continuò.
“Poi ci siamo rincontrati due giorni fa, e più capivo quanto noi due avessimo in comune, più mi convincevo che avevo preso la decisione giusta, scegliendo di fare chiarezza nella mia vita. Ma poi mi hai baciato, e non ci ho capito più niente.”
Eccoci al dunque, sapevo che c’era qualcosa di più a spingerlo a scappare quella sera, ma da bravo codardo avevo preferito pensare solo a me stesso, senza chiedergli le adeguate spiegazioni.
“Ero... ero sconvolto! Nel preciso momento in cui le nostre labbra si sono sfiorate per la prima volta, ho avuto la terribile paura che quando tutto sarebbe finito, io ti avrei perso. Pensavo che se avessimo affrettato le cose, ci sarebbe andata di mezzo la nostra amicizia, e questo non lo volevo.” Si fermò ancora una volta, e lo vidi mordersi il labbro inferiore, preda dell’indecisione. 
Vederlo così indeciso, preda della paura di distruggere l’amicizia che eravamo stati capaci di costruire in così poco tempo, mi fece stringere il cuore in una morsa di tenerezza. Infondo fra i due sarei dovuto essere io il più grande, quello più maturo, ed invece fino ad ora mi ero mostrato solo un grande egoista, capace solo di pensare a me stesso.
Decisi di alzarmi dalla mia poltrona e di raggiungerlo. Arrivato davanti a lui, mi inginocchiai fra le sue gambe, e gli presi il viso fra le mani, incoraggiandolo con lo sguardo a continuare a parlare.
Lui alzò lo sguardo su di me, senza dire niente, e così rimanemmo per molto tempo finché non lo vidi sospirare per poi ricominciare a parlare.
“Mentre mi stavi baciando, ho cominciato a sentire qualcosa di strano e diverso allo stesso tempo. Una cosa che non avevo mai sentito con Ben. Una sorta di eccitazione, come quando si è bambini e si riceve un regalo. In quel momento pensavo veramente che tu fossi un regalo che la vita mi stava facendo e...” arrossii e abbassò ancora una volta lo sguardo. Ma avete la minima percezione di quanto fosse tenero in quel momento? No? Ecco! Peggio per voi... Perché vi siete perse proprio un bello spettacolo.
Ma torniamo a noi...
Gli accarezzai una guancia, e sporgendomi verso di lui gli lasciai un bacio sulla fronte, per poi andargli a sussurrare “Sei dolcissimo Judsie! Va avanti”.
Ma non lo fece subito, o almeno non prima di avermi rivolto un sorriso stupendo che mi riscaldò il cuore.
“Beh credo di non doverti dire che se non ci fosse stata quella maledetta telefonata, ora non saremmo in questa situazione.” E  mi lanciò uno sguardo malizioso, subito sostituito dalla serietà che si impossessò ancora una volta di lui.
“Ma la telefonata c’è stata, ed era Benedict che voleva farmi gli auguri.
Quel momento di lucidità mi fece capire che stavamo correndo troppo, e che non ne sarebbe uscito niente di buono, per questo ho preferito scappare. Ma ti giuro Rob, me ne sono pentito subito!” e parlando mi prese le mani con le sue, e me le strinse, probabilmente per farmi capire che era veramente sincero.
“Ho passato questi ultimi due giorni a torturarmi per le parole che ti avevo detto. Ho chiarito con Ben e ci siamo praticamente lasciati, anche se avevamo già accettato di venire a questa festa e non abbiamo potuto mandare tutto a monte, dato che praticamente ci siamo lasciati qualche ora fa, ecco perché abbiamo fatto tardi.
E sinceramente non avevo idea che tu fossi il socio di Val, e puoi benissimo immaginare la mia sorpresa quanto ti ho visto. Ma.... ma ora sono qui, e ti sto chiedendo scusa Rob, scusami se mi sono comportato come un codardo!” disse le ultime parole senza neanche prendere respiro, e io non potetti far altro che rimanere ad ascoltare quel fiume in piena.
Quando finalmente lo vidi calmarsi, gli sorrisi dolcemente, e gli risposi.
“Certo che ti perdono Jude. Tu avrai sicuramente le tue colpe, ma anche io ho preferito pensare solo a me, nonostante avessi percepito che c’era molto di più di quello che mi avevi detto. E anche io, poco fa, mi sono comportato male verso di te, quindi io ti perdono ma solo se anche tu perdoni me”.
Non se lo fece ripetere due volte, dopo avermi gridato una “Certo che ti perdono!” mi si buttò fra le braccia, facendomi rischiare di cadere, data la mia posizione di equilibrio precario.
Ora, per cortesia, qualcuno mi saprebbe spiegare perché non abbiamo continuato sempre a confidarci tutto ciò che ci accadeva? Invece di cominciare con le bugie?
Forse perché siamo entrambi dei masochisti? O forse per il troppo orgoglio? Non lo so, ma di sicuro una soluzione la dobbiamo trovare, siete d’accordo con me?
Ma come? Non sapete che problemi abbiamo al momento? Ah già! Voi non avete ancora finito di leggere la storia.... No, non parlo di questa, parlo della storia in se, questo è solo un salto nel tempo.
Comunque, lamentatevi pure con la scrittrice, io non ho colpa!

 
Ma tornando fra le braccia di Judsie, cioè... dai che avete capito, tornando alla storia che vi sto raccontando...
Era veramente bello poterlo riabbracciare, mi era mancato, anche se apparentemente ci conoscevamo da una decina di giorni, più o meno.
Passammo qualche minuto in quella posizione, finché ormai in equilibrio precario, molto precario, ripresi a parlare.
“Jude che ne dici di sederci come si deve? Sto per cadere..” e così facendo lui mi concesse di potermi sedere sul divano di pelle rossa.
Una volta che mi fui seduto, Jude appoggiò la testa sul mio petto e mi circondò il torace con le braccia. All’inizio trovai la cosa leggermente buffa, ma poi cambiai idea.
“Jude, cosa stai facendo?” chiesi sorridendo.
“Ti abbraccio, è bellissimo poterlo rifare” rispose, ma senza guardarmi.
Lo abbracciai a mia volta e iniziai ad accarezzargli i capelli; era meraviglioso poter immergere le dita in quella coltre morbida e setosa. Mi stregarono da subito i suoi capelli, o forse è meglio dire che mi stregò lui, da subito.
“Che stai facendo Rob?” mi chiese con la voce che leggermente gli tremava.
“Ti accarezzo i capelli, perché?” gli chiesi, non capivo quella reazione. Anche quando l’avevo baciato ero finito con l’accarezzarglieli, ma non mi era sembrato che gli fosse dispiaciuto.
“E’... e’ una cosa che mi piace...” sussurrò sempre più flebilmente.
“...ma non voglio correre, ricordi?” finii e finalmente tutto mi sembrò più chiaro. Sorrisi vittorioso, e cominciai lentamente a far scendere la mano che avevo nella sua testa, continuando con l’altra a trattenerlo su di me, in modo da impedirgli di potersi allontanare.  
“E se invece io volessi correre un po’?” gli sussurrai provocante all’orecchio.
Percepii chiaramente il brivido che lo percosse quando gli parlai.
“Rob, ti prego, non distruggiamo tutto ancora una volta” mi implorò, ormai col respiro alterato, ma io non cessai di percorrere il suo collo con la mano.
“E chi ha parlato di distruggere, Jude? Io voglio costruire...” e così dicendo sostituii la mia mano con la bocca, cominciando a tempestare il suo magnifico collo di baci, mentre le mie mani scorrevano sul suo corpo, ancora imprigionato dalle mie braccia.
Era completamente in balia dei miei movimenti, potevo percepirlo chiaramente, tant’è che quando una mia mano iniziò ad esplorare ciò che nascondeva sotto la camicia, lo sentii trattenere a stento un gemito.
Sorrisi ancora una volta, certo che ormai mancasse pochissimo alla sua resa incondizionata, e poi ricominciai a sussurrare.
“Hai dieci secondi per decidere Jude! Fa che sia la scelta giusta”.
In quel momento, sentimmo arrivare un gran vociare fuori dalla porta. Il conto alla rovescia verso il nuovo anno era appena cominciato.
10...
Allentai la presa delle braccia attorno al suo torace.
9...
Feci risalire le mie mani sulle sue spalle e lo spinsi per farlo distendere sul divano.
8...
Ricominciai a percorrere il suo corpo, sta volta cominciando a slacciare i primi bottoni della sua camicia.
7...
Ad ogni bottone aperto, un bacio andava a ricoprire la parte di pelle appena scoperta.
6...
“Rob, non vogl...ah!” tentò di dirmi qualcosa, ma il piccolo morso che gli lasciai all’attaccatura della spalla, lo costrinse a tacere.
5...
“Voglio una frase completa Judsie” gli soffiai ed in risposta lo sentii avvinghiarsi ai miei fianchi.
4...
Ritornai con la bocca sulla sua; mi era mancato sentire il suo sapore, era così buono che dubitai che me ne sarei mai saziato.
3...
Nel frattempo le mie mani erano arrivate al capolinea. Aprii la camicia e potetti godermi lo spettacolo di Jude a torso nudo.
2...
Ero seduto a cavalcioni su di lui, quando guardandomi con occhi pieni di passione, si alzò e mi disse.
“Una sola notte!”.
Sorrisi trionfante a quella concessione.
1...
“Great decision Honey!” e ritornai a baciarlo.

 
Eravamo ancora persi nel nostro bacio quando un boato di “Auguri!” e “Buon Anno!” ci giunse dal di fuori. Conscio che la serata era appena cominciata, come pure il nuovo anno, mi scostai da lui, interrompendo il bacio e mi alzai.
“Rob ma?” lo sentii chiedermi. Lo guardai ed era ancora accaldato, col fiato corto e la camicia aperta. Come resistere? vi chiederete...
Mi riavvicinai a lui e quando oramai i nostri visi erano separati solo da qualche centimetro, e io potevo sentire il suo respiro sulle mie labbra gli dissi.
“Non avrai pensato di farlo qui? Dai vieni! Ho una stanza affittata all’hotel qui sotto” e con un sorriso gli lasciai una piccolo bacio.
Lui mi guardò sbalordito. Infondo potevo capirlo, chi prenderebbe una camera in affitto sotto il proprio ufficio? Diciamo che io e Val avevamo preferito avere un posto in cui poter passare le notti in cui ci capitava di fare tardi per studiare un caso, e così dato che avevamo scelto come sede degli uffici l’attico di un enorme grattacielo che conteneva anche un’ hotel, prendere una camera in affitto ci era sembrata la cosa più semplice.
Diedi il tempo a Jude di rivestirsi, prima di aprire la porta della camera ed inoltrarci nella marea di gente che stava ballando il tipico trenino di inizio anno.
Sinceramente non so come facemmo ad evitare che Val ci bloccasse, magari la fortuna ci mise lo zampino, ma quando finalmente riuscimmo ad uscire dalla festa, quasi non ci credemmo.
Percorremmo di corsa il corridoio che conduceva all’ascensore, e quando vi entrammo, avemmo giusto il tempo di far chiudere le porte, prima di scoppiare entrambi a ridere.
Eravamo insieme, eravamo felici e ci stavamo divertendo. Cosa avremmo potuto volere di più?
Quando le porte si aprirono sul piano indicato, eravamo ancora ansanti per le risate. Lo presi per mano e ci avviammo per il corridoio, certi che finalmente nessun problema ci avrebbe ostacolato. Arrivati alla porta, inserii il pass opportuno e la aprii. Feci entrare prima lui e quando infine potetti chiudermi la porta alle spalle, lo tirai per un braccio e lo feci scontrare ancora una volta contro di me.
“Ora ci divertiamo un po’.” sorrisi e subito ricominciai a baciarlo.

 
***

 
Quando la mattina dopo mi svegliai aggrovigliato al lenzuolo del letto e ancora nudo, non mi sorpresi di ritrovarmi da solo. Quello che invece mi sorprese, fu trovare il vassoio della colazione sul letto, nel posto che aveva occupato Jude tutta la notte.
Vassoio che oltre agli usuali piatti conteneva anche una rosa rossa e un biglietto ripiegato con su scritto il mio nome.
Lo presi subito e lo lessi.

 
“Buon anno Robert!
 E’ stata davvero una notte meravigliosa. Mi sarebbe piaciuto tanto rimanere, ma oggi ho i bambini   a casa, quindi non ho potuto.
Mi spiace solo di non averti potuto svegliare degnamente.
Baci! Jude.

 

Ps. Ricorda: Chi fa sesso a Capodanno.....

 

 
Anche a me avrebbe sicuramente fatto piacere trovarlo ancora qui al mio risveglio, ma sapevamo tutti e due che i nostri figli sarebbero sempre venuti prima.
Certo era che se pensava in quel modo di essersi sbarazzato di me, si sbagliava di grosso. Perché da quello stesso giorno, cominciò la nostra personale lotta.
Una lotta per...

 

 
«Informiamo i signori passeggeri che l’atterraggio per l’aeroporto di  Heathrow di Londra sta per cominciamo, vi preghiamo di spegnere qualsiasi apparecchiatura di natura elettronica e di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie per aver viaggiato con la nostra compagnia.»
La voce dell’altoparlante si spegne, e io devo dare un taglio netto ai miei pensieri.
Certo che rimembrare il passato è sempre un buon modo per passare le noiose ore dei viaggi in aereo, e io lo so bene.
Ma questa volta il viaggio è di natura particolare. Sto tornando a Londra, si, ma non per lavoro.
Cioè non solo.
L’altro giorno ho detto una piccola, piccola bugia a Jude, e ora non mi vuole più parlare.
Ma sapete una cosa? Quasi mi piace quando lo fa, perché poi il nostro modo per fare pace, è sempre, come dire? Speciale....
Ed ora, se mi permettere, io avrei un viaggio da portare a termine, quindi sono costretto a lasciarvi.
A rivederci bella gente, è stato un piacere!

 

 

 

 
FINE

 

 
Note: No, grazie non ditemelo che sono pazza, lo so già di mio.
Piaciuta questa pazzia? No? Si? Oh poveri cari.....
Allora, andando con ordine: Prima di tutto, lo so, questi due sembrano completamente diversi da quelli che vi ho presentato nella long. Ma se avete ben letto, ciò che Rob racconta è quello che è accaduto tra il 24 Dicembre e l’1 Gennaio dell’anno in cui si sono conosciuti, quindi tanto tanto tempo fa; e tra quei giorni e il momento raccontato nella long sono successe cose che voi ancora non conoscete, e che sono il perno su cui si fonda Scherzo del Destino e che per questo non vi ho ancora rivelato.
Altra cosa da specificare, se qualcuno non avesse ben compreso... Il tutto è raccontato da Rob mentre è in aereo e si sta dirigendo a Londra, quindi, almeno nella mia testa, le domande al presente o le incursioni del narratore onnisciente ci stanno a meraviglia e mi sono anche divertita a scriverle.
Ma se non mi sono spiegata a dovere, chiedete pure. Io sto qua anche per questo...

 
Ora passiamo ai ringraziamenti:
Prima di tutto ringrazio Judsie (la scrittrice non il coccolo) che mi ha spronato a scrivere nonostante i miei enormi dubbi. E che mi ha anche permesso di utilizzare alcuni concetti espressi nella prima parte della shot, e che telepaticamente ci siamo passate, anche se lei sostiene di no. Grazie carissima!
Ti ringrazio inoltre per quell’idea magnifica del bacio alla mezzanotte del 28/29. L’ho adorata in “Life like a Love Song” e me ne sono innamorata. Scusami se non ti ho detto niente, ma è il tuo regalo di natale. Mi perdoni? *le fa gli occhi dolci*
Certo che mi perdoni, vero? *-*
E parlando sempre di “citazioni” rubate, la scena di Rob che va a teatro a vedere Jude recitare l’Amleto..... L’avete riconosciuta?
Ma certo! E’ proprio lei!!!! E’ proprio ripresa da una capitolo della magnifica storia “After School Lover” di LadyElric. Scusami anche tu se non ti ho chiesto niente, ma se lo avessi fatto non ci sarebbe stata sorpresa. Ti ringrazio inoltre per le bellissime storie che scrivi e per i pensieri nelle note. Grazie infinite!
Infine grazie a voi che seguite la long, e che avete letto questo delirio di storia. Grazie a tutti e Buon Natale (anche se in ritardo) e Felice Anno Nuovo (anche se in anticipo).
Baci a tutti!
Naky!!!

   
 
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