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Autore: yllel    29/12/2012    8 recensioni
Sherlock e' tornato. Ma dopo due anni, deve affrontare le conseguenze della sua finta morte e del suo ritorno. Per ognuna delle persone a lui care, perderlo ha significato qualcosa... ma anche ritrovarlo e' difficile. Ambientata dopo la seconda serie.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si lo so, non e’ molto originale, ma penso che quasi tutti abbiamo provato la curiosita’ di scrivere delle reazioni al ritorno di Sherlock. E credo che tutti ci immaginiamo che i personaggi non siano stati molto felici, durante la sua assenza. E forse sono un po’ arrabbiati, dopo aver scoperto che e’ vivo. Almeno per questo Sherlock della BBC (che no, assolutamente non mi appartiene!)
Cosi ecco la mia versione personale, visto che nelle altre storie non ho molto approfondito questo aspetto (e chiedo scusa, c’e’ una parolaccia. Ma ci stava). No, non ho proprio saputo resistere alla tentazione di tornare a scrivere.
Quattro capitoli. E poi... vedremo.
 

CONSEGUENZE
JOHN

 
Quando John Watson si ritrovo’ di fronte Sherlock Holmes, a distanza di quasi due anni dalla sua “morte”, era reduce da un turno di  trentasei ore consecutive all’ospedale dove lavorava.
Aveva un principio di influenza e l’unica cosa che era riuscito a mettere tra i denti nelle ultime ventiquattro ore, era un pessimo panino al prosciutto che sicuramente aveva visto tempi migliori, preso al distributore automatico del secondo piano.
Era cosi stanco, che dubitava sarebbe riuscito ad arrivare al suo appartamento senza crollare, cosi aveva deciso di farsi un pisolino nella stanza dei dottori, col rischio che lo richiamassero in servizio interpretando il suo rimanere in ospedale, come un’ennesima prova di buona volonta’ e disponibilita’.
E cosi, quando Sherlock gli si paro’ dinnanzi nel corridoio e lo saluto’ con noncuranza, come se lui non lo avesse visto buttarsi da un tetto e sfracellarsi a terra, John sbarro’ gli occhi, li chiuse e li riapri’, strizzandoli incredulo un paio di volte.
Poi svenne.

***

“Non riesco a crederci”
John si porto’ di nuovo il ghiaccio alla testa, dove stava spuntando un bel bernoccolo.
Contemporaneamente, dal lettino su cui era stato steso da due infermieri, alzo’ piano lo sguardo verso l’uomo appoggiato al muro dall’altra parte della stanzetta, il quale aveva le braccia incrociate al petto, gli occhi fissi su di lui.
“Hai un aspetto orribile” gli senti’ dire.
John strinse le labbra e poi fece un profondo sospiro.
No.
Non comincera’ a buttarmi addosso le sue analisi.
“Si” comincio’ quindi prevenendolo “ho lavorato per quasi due giorni di seguito.
Si, ho la febbre e non mi sono alimentato e idratato correttamente, nelle ultime ore.
E si” concluse rivolgendogli finalmente uno sguardo che spero’ essere di fuoco “ sono un po’ sorpreso dalla tua resurrezione ma a pensarci bene, forse neanche tanto. Ti si addice, questa cosa della messa in scena... suppongo avessi i tuoi motivi. Non voglio saperli” alzo’ una mano per interrompere Sherlock che aveva aperto bocca.
“Non mi interessa, sul serio. Non ora, per lo meno. Forse non mi interessera’ mai.” John cerco’ di mantenere il tono della voce fermo,  guardandolo fisso per assicurarsi che non fosse un fantasma.
E’ tornato. E’ davvero ritornato.
“Ti sei sposato” riusci’ infine a commentare Sherlock.
A quell’affermazione, John rinuncio’ a contenersi.
Non riesce proprio a farne a meno.
Lacrime di frustrazione e nervosismo rischiarono di spuntare nei suoi occhi.
Li chiuse, cercando di fermarle.
Non ha nessun diritto di farlo. Non puo’ ritornare come se niente fosse e riprendere a parlare, a dedurre, come se gli ultimi due anni non fossero mai successi.
Non glielo permettero’.
John si alzo’ di scatto dal lettino e per un attimo barcollo’ per il gesto improvviso: vide Sherlock fare un movimento istintivo per sostenerlo, ma lo blocco’ di nuovo alzando ancora la mano.
“No. Non posso, sul serio... tu... non posso.
Vado a casa”
Sherlock ritorno’ ad appoggiarsi al muro, sul viso un’espressione neutra.
“A fare cosa? Tu e Sarah avete divorziato da quanto... Due?  No, tre mesi. Nonostante  cio’, tu porti ancora la fede, ma lei se ne e’ andata da un pezzo e non avete possibilita’, o volonta’, di riconciliarvi. Si e’ trasferita. Tua sorella e’ di nuovo in riabilitazione, perche’ ha ripreso a bere. Il tuo appartamento e’ vuoto, nessuno ti sta aspettando.
Io sono qui, invece. Sono tornato”
John si blocco’ con la mano sulla maniglia della porta.
“Vaffanculo, Sherlock”

***

NON C’E’ ALCUN MOTIVO LOGICO PERCHE’ TU NON DEBBA TORNARE A BAKER STREET. SH

John lesse il messaggio sul cellulare e poi, getto’ quest’ultimo sul tavolino del salotto con un gesto nervoso.
Inutile chiedersi come Sherlock avesse ottenuto il suo nuovo numero di telefono: aveva dovuto cambiarne quattro, prima che i giornalisti smettessero finalmente di dargli il tormento per conoscere la sua “versione dei fatti” sul suicidio, offrendogli compensi per interviste esclusive.
Sorrise amaramente: adesso i giornalisti avrebbero avuto di che parlare, non c’era dubbio ma lui, come allora, non era affatto desideroso di rilasciare una dichiarazione o un commento sul ritorno di Sherlock Holmes.
Non gli importava.
Non voleva permettere che gli importasse.
Si passo’ una mano fra i capelli.
Se ne era andato dall’ospedale senza voltarsi indietro, senza piu’ guardare quell’uomo che un tempo era il suo migliore amico e per il quale, non aveva esitato piu’ volte a rischiare la vita. Lui aveva finto la sua morte e questo pensiero gia’ bastava a mandarlo in bestia, ma ora a quanto pareva pretendeva di tornare alla loro esistenza di prima, senza pensare a tutte le conseguenze che il suo imbroglio aveva portato.
Il cellulare segno’ un nuovo messaggio in entrata.

MORIARTY VI AVEVA SOTTO TIRO: TU, LESTRADE E LA SIGNORA HUDSON. VI AVREBBE UCCISI. SH

Ma certo. Un grande e nobile gesto, ecco la sua giustificazione... e l’aspetto paradossale era che John sapeva.
Era sicuro che Sherlock non fosse una bufala, per cui sapeva che lui doveva essersi buttato per una qualche motivazione profonda, per qualche nobile causa o semplicemente per uno scopo “intellettuale” (lo riteneva capace di provare affetto, a suo modo, ma lo sapeva anche capace di un profondo egocentrismo).
Non era questo il punto, no.
Il punto era che lui l’aveva fatto.
Qualsiasi fosse il motivo, aveva scelto.
Da solo.
Senza di lui, senza fargli sospettare nulla, senza permettergli di provare a fargli cambiare idea.
L’aveva lasciato indietro.
L’aveva lasciato solo.
E per John era cominciato un periodo buio nel quale era sprofondato giorno dopo giorno, senza possibilita’ di appiglio. E in quel periodo buio aveva trascinato con se’ altre persone, avvelenandole con la sua inadeguatezza, la sua incapacita’ di reagire e di andare avanti.
Harry  aveva avuto una ricaduta e lui non se ne era accorto, non le era stato accanto, non le aveva mai telefonato e quando lei si era messa alla guida ubriaca, per poco non si era uccisa.
Dopo che John era andato a vivere con Sherlock, lui e sua sorella avevano ricominciato a parlarsi, a tentare di ricostruire il loro rapporto e in qualche modo c’erano riusciti.
Dopo la morte di Sherlock, John non era stato in grado per settimane di occuparsi di se’ stesso, figurarsi di qualcun altro.
Quando Harry aveva avuto l’incidente,  era stato avvertito una settimana dopo e quando finalmente si era mosso per andare a trovarla, lei gli aveva detto chiaramente che non aveva bisogno di lui.
Non le sarebbe stato di nessun aiuto, nelle sue attuali condizioni.
Al momento, non si parlavano da un sacco di tempo, dalla fredda telefonata di congratulazioni per il suo matrimonio con Sarah.
Sarah.
Quando lei gli aveva telefonato per dirgli che le dispiaceva per Sherlock e sapere come stava, lui era stato tentato di liquidarla con un semplice grazie, per tornare a chiudersi nella sua solitudine. Ma poi, l’istinto di sopravvivenza aveva avuto la meglio: sapeva di aver bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno che non continuasse a chiedergli perche’ non si fosse accorto di niente, perche’ non fosse riuscito a impedirlo, perche’ era ancora cosi sicuro che lui  fosse un brav’uomo, il migliore che avesse mai conosciuto.
Qualcuno che evitasse a lui stesso di continuare a porsi mille e mille volte ancora quelle stesse domande.
Potevano parlare di altro, era sicuro che potesse esserci altro nella sua vita.
Le si era aggrappato come un naufrago a una zattera in mezzo all’oceano e per un breve periodo, quello in cui era riuscito a ritornare a sorridere (o a provarci, per lo meno) aveva avuto la certezza
No, la speranza
di riuscire a restare a galla.
Invece erano sprofondati insieme.
Era stato un matrimonio deciso d’improvviso: si erano ritrovati, avevano ricominciato a frequentarsi e poi, lui le aveva chiesto di sposarlo nel giro di pochi mesi.
John Watson era un uomo che credeva davvero nel matrimonio e nell’impegno di portarlo avanti per sempre. Ci aveva creduto veramente.
Fino a che non erano ricominciati gli incubi
...quel giorno al St. Bart’s, la sagoma che cadeva nel vuoto.
Fino a che non era cominciata la noia
...gli mancavano i casi, le indagini... persino le corse a perdifiato per inseguire o scappare.
Fino a che non erano cominciate le lacrime silenziose di Sarah la notte, quando pensava che lui non potesse sentirla, i suoi sguardi sempre piu’ tristi e impotenti di fronte alla loro incapacita’ di parlare, i suoi sorrisi sempre piu’ rari e la sua perdita di peso.
Lei stava male, male davvero. Non riusciva a capire come aiutarlo ad essere di nuovo felice, a costruirsi una nuova vita.
Allora John aveva smesso di sperare.
E Sarah aveva smesso con lui.
Una sera, era tornato a casa e l’aveva trovata vuota. Lei se ne era andata, dimostrando di essere comunque la piu’ forte tra i due.
Di essere riuscita a fuggire, prima che lui la risucchiasse definitivamente nel suo vortice di autodistruzione.
Persino il loro divorzio aveva rispecchiato il loro matrimonio: rispettoso, silenzioso, veloce e senza discussioni.
Non avevano davvero nulla in comune per cui valesse la pena litigare.
Dopo la sentenza, Sarah gli aveva dato un bacio sulla guancia e gli aveva augurato di riuscire a provare, per lo meno provare, ad essere di nuovo felice.
John portava ancora la fede non per una qualche forma di nostalgia o rimpianto, ma solo per pigrizia.
O forse per paura di ammettere il grosso sbaglio che aveva commesso, pensando di potersi ricostruire un’esistenza diversa... e nonostante provasse vero affetto per Sarah, questo non era bastato, l’aveva fatta davvero soffrire.
E ora, al colmo dell’ironia,  scopriva che Sherlock non era nemmeno morto sul serio. 
Ma questo, non significava che tutto potesse tranquillamente ricominciare ad essere come prima.
John sapeva, che il suo sbaglio piu’ grande era stato credere che Sherlock Holmes rappresentasse un punto fermo della sua esistenza, qualcosa che sarebbe durato per sempre.
Qualcosa di cui fidarsi e a cui affidarsi.
Non avrebbe commesso questo sbaglio un’altra volta.

***

L’ULTIMO CASO ERA ASSOLUTAMENTE NOIOSO. NEANCHE UN QUATTRO. LESTRADE INSISTE IN QUESTA SUA PICCOLA E INUTILE RAPPRESAGLIA. SH

John lesse il messaggio e scosse la testa, evitando di rispondere come aveva fatto per tutti quelli precedenti.
Due mesi.
Erano passati due  mesi da quando Sherlock era tornato, ma non si erano piu’ visti.
Sapeva che Greg gli stava facendo pagare cara la sua morte fasulla, chiamandolo solo per casi facili e assurdamente noiosi.
Sapeva che era tornato a Baker Street in pianta stabile, perche’ la signora Hudson gli aveva raccontato che era piu’ rumoroso e creativo del solito nell’inventarsi situazioni ed esperimenti pericolosi o maleodoranti, o che facevano temere per la struttura stessa della casa.
Sherlock gli mandava piu’di un sms al giorno: per invitarlo a uscire con lui per un caso, per raccontargli di alcune ricerche che stava facendo, persino per commentare il tempo.
Stava cercando di riallacciare i contatti e costringere John ad un confronto, senza imporre la sua presenza, bisognava dargliele atto. Ma il Dottore aveva deciso di non cedere.
John non rispondeva mai, piu’ che deciso a non riprendersi quell’ingombrante presenza nella sua vita.
Sherlock  era l’uomo che l’aveva salvato la prima volta, quando era tornato ferito e traumatizzato dall’Afghanistan... ma era anche l’uomo che in un solo giorno, con una grande, enorme bugia, l’aveva trasformato di nuovo in un fantasma, incapace di dare amore e di amarsi a sua volta.
Se Sherlock era convinto che ne fosse assolutamente valsa la pena beh, lui non la pensava proprio allo stesso modo.
“Mi restera’ la cicatrice?” il bambino che stava medicando al pronto soccorso lo guardo’ speranzoso.
John si riscosse dai suoi pensieri e suo malgrado,  sorrise.
“Molto probabile” gli strizzo’ l’occhio, mentre la signora dietro al ragazzino alzava lo sguardo al cielo.
“James Victor Conn! Non andrai in giro a vantarti di esserti arrampicato su un albero ed essere caduto! Potevi farti male seriamente!”
“Mamma...” si lamento’ il piccolo paziente.
John assunse un’aria seria.
“Tua madre ha ragione, giovanotto... arrampicarsi sugli alberi puo’ essere divertente, ma anche molto pericoloso. Ora stai fermo, ti metto qualche punto”
“Forte!” esclamo’ James, facendolo sorridere di nuovo.
Non appena ebbe finito di sistemare il ginocchio, John senti’ di nuovo il telefonino segnalare un sms.

ANCHE TU, INSISTI IN QUESTA PICCOLA E INUTILE RAPPRESAGLIA. SH

Rimise il telefono in tasca con un gesto rabbioso.
Piccola e inutile rappresaglia? Chi si crede di essere? Stronzo sociopatico che non capisce quando le persone hanno dei motivi legittimi per essere arrabbiate!
“Non vedo l’ora di mostrarlo a Paul!”all’esclamazione di James segui’ un altro sguardo esasperato della mamma.
“Tu e quel tuo amico... scommetto che e’ stato lui a farti venire l’idea di salire sull’albero! Quel ragazzino e’ una vera peste, i suoi genitori dovrebbero avere piu’ controllo su di lui, non capisco davvero come”
“Mamma! E’ mio amico!”
Negli occhi di James passo’ un lampo fiero.
“Il tuo migliore amico?” gli chiese John con un altro sorriso.
Il ragazzino annui’.
“Si! Lui e’ in gamba, ci divertiamo un sacco insieme! Tu ce l’hai un migliore amico, dottore?”
Il sorriso scomparve dallo sguardo di John.
“Ce l’avevo...” si ritrovo’ a dire “adesso non piu’. Abbiamo... litigato, se cosi si puo’ dire”
James lo guardo’ in modo confuso.
“Oh. Ma anche io e Paul litighiamo... poi pero’ facciamo sempre pace. Perche’ tu e il tuo amico non potete fare pace?”
John rimase interdetto.
Perche’ lui mi ha mentito.
Perche’ a causa sua e delle sue bugie sono stato molto male, e ho fatto soffrire una brava persona.
Perche’ non sono sicuro di potermi ancora fidare di lui.
Perche’ lui deve sempre fare di testa sua, non importa come gli altri reagiranno o si sentiranno.
“Dottore?”
“James, basta. Non insistere, smetti con tutte queste  domande”
“Si, mamma. Pero’ posso invitare Paul a casa, oggi? Prometto che staremo buoni a giocare con i video games”
John riusci’ a salutare e sorridere educatamente ai due, prima di allontanarsi.
Si appoggio’ al muro e chiuse gli occhi.
Perche’ ho paura che se torniamo ad essere amici, prima o poi lo perdero’ di nuovo.

***

John Waston si fermo’ sulla soglia del suo vecchio appartamento in Baker Street.
La sensazione di dejavu che lo colse, fu cosi forte e improvvisa che dovette appoggiarsi allo stipite.
Sherlock seduto in poltrona, che pizzicava oziosamente le corde del violino che aveva tra le mani.
Il solito, indescrivibile caos che regnava ovunque... il caos ordinato e strampalato del consulente investigativo.
Come se non fosse successo nulla.
“Ci avevo messo un sacco a ripulire questo posto, quando me ne sono andato... vedo che tu non hai perso tempo a ricacciarlo nel solito marasma”
Finalmente si decise ad entrare.
Non sapeva bene neanche lui perche’ alla fine avesse deciso di parlare con Sherlock, non intendeva assolutamente tornare a vivere o lavorare con lui.
No.
“Per la verita’, avevi cacciato tutte le mie cose nella mia stanza... la signora Hudson non ha buttato nulla e Mycroft ha continuato a pagare per l’appartamento, naturalmente”
John fece un sorriso triste: e cosi,  Mycroft sapeva.
Naturalmente.
“Solo perche’ senza il suo aiuto non sarei riuscito ad uscire dal paese e credimi... si accerta di rinfacciarmelo e farmelo pesare, ognuna delle poche volte che ci sentiamo” gli disse Sherlock con una smorfia, intuendo come sempre i suoi pensieri.
John non rispose e rimase in piedi, le mani ficcate in tasca.
“Sei tornato” aggiunse l’altro, continuando a torturare le corde del violino.
“No”
Sherlock sbuffo’ annoiato.
“Per quanto ancora pensi di continuare con questa inutile”
“Per quanto ne avro’ voglia. Per quanto ne avro’ bisogno. In sostanza, anche per tutta la vita, se mi andra’!” ora le mani di John erano strette a pugno.
Sherlock non rispose subito, ma dopo qualche attimo di silenzio appoggio’ il violino, si alzo’ in piedi e gli si avvicino’, fino a che non gli fu di fronte.
“Credi che urlarmi contro ti farebbe stare meglio?” comincio’ “Fallo.
Vuoi picchiarmi? Fallo.
Ma poi torniamo ad essere quello che eravamo prima. Per favore” concluse con un sussurro.
John strinse gli occhi e poi scosse il capo.
Non era per capriccio o per abitudine. Sherlock aveva davvero bisogno di riprendere la sua vecchia vita, di cancellare quelli che, probabilmente, erano stati due anni difficili e solitari.
Questo, John lo comprendeva.
Ma non era abbastanza.
“Urlarti contro non ha mai funzionato. E non voglio picchiarti. Cioe’, forse un pochino si. Ma non ora.
Quello che vorrei piu’ di tutto pero’... e’ capire. Credo... no, sono sicuro, di averne bisogno... ho bisogno di capire, perche’ in questi due anni  hai lasciato che tutti noi stessimo cosi male. Io ho mandato all’aria il mio matrimonio, perche’ non riuscivo a superare quello che era successo... e tutto senza un motivo. Tu eri vivo!
“Sei vivo anche tu. E Lestrade. E la signora Hudson”
John gemette.
“Due anni, Sherlock!”
Negli occhi dell’altro, passo’ un lampo fugace.
“E’ stata piu’ lunga di quanto avessi previsto” ammise infine, volgendo altrove lo sguardo.
E dura. E difficile. E dolorosa.
Per tutti.
A quel pensiero, John capitolo’.
Tutti avevano sofferto, ognuno alla propria maniera.
Anche Sherlock.
Non potevano incolparlo di come avessero reagito alla sua morte. Di come si fossero sentiti impotenti e avessero fatto fatica ad andare avanti con le loro vite.
Di come un matrimonio fosse stato deciso per i motivi sbagliati, nella disperata ricerca di un po’ di serenita’.
Sherlock non aveva colpa dell’affetto che provavano nei suoi confronti.
Cosi come non era colpa di John, di Lestrade o della Signora Hudson, se lui aveva dovuto affrontare tutto quello che aveva affrontato,  perche’ teneva a loro.
Era successo.
Era il passato.
Era il suo migliore amico, ed era tornato.
“Ho bisogno di tempo per sistemare le cose al mio appartamento, prima di trasferirmi di nuovo qui” disse infine.
Sherlock si limito’ a chinare il capo.
“Va bene”
“E ho un lavoro, ora. Non ti seguiro’ in tutti i casi che Lestrade prima o poi ricomincera’ a darti”
Sherlock questa volta sorrise.
Tempo. Ci sarebbe voluto del tempo, ma le cose forse potevano aggiustarsi.
John si sedette sulla poltrona, poi sembro’ cambiare idea e se ne ando’ in cucina, dove prese  il bollitore per il te.
Dopo che lo ebbe riempito e messo sul fuoco, si giro’ verso il suo amico e gli sorrise.
“E adesso, racconta”
 
Prossimo capitolo: Lestrade.
Buon inizio 2013!
  
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