15
L’orco
avanzò verso Eric, facendo tremare la terra sotto il peso dei propri piedi
ciclopici, mentre il ragazzo lo fissava in volto con aria apparentemente di
sfida.
Visto che non poteva scappare, l’unica
soluzione infondo era combattere. Non aveva con sé Izanami,
ma con un po’ di fortuna, e contando sulla sua abilità, c’era qualche
possibilità di riuscire a prevalere.
Il mostro lanciò un urlo sordo e assordante,
quindi cercò di schiacciarlo con un pugno a mani giunte, ma anche se Eric
riuscì a spostarsi quel colpo per poco non fracassò il pavimento della stanza,
già fragile di suo in quanto sospeso sul niente.
Peggio di tutto, l’energia sprigionata dalla
faglia tellurica, opportunamente incanalata e usata come fonte per alimentare
l’intera struttura, aveva su Eric e i suoi poteri di vampiro l’effetto di un
potente campo magnetico, che li limitava e li condizionava, un effetto
imprevisto persino per don Bongianno.
Questo fatto divenne evidente quando, cercando
di creare la solita bolla temporale per sorprendere il nemico e averne ragione
facilmente, si accorse che questa aveva ottenuto il potere contrario, di modo
che il tempo rallentava solo per lui; grazie al cielo se ne accorse in tempo,
altrimenti avrebbe fatto la fine di una gomma da masticare venendo schiacciato
sotto uno di quei piedi giganteschi, ma questo non lo metteva in una bella
situazione.
Per fortuna l’orco non sembrava
particolarmente intelligente, e tutto quello che sapeva fare era caricare o
menare pugni che facevano fischiare l’aria, senza impostare una vera strategia.
Eric continuò a schivare e scappare, cercando
di quando in quando di rispondere agli attacchi, ma i suoi pugni potevano fare
ben poco per danneggiare quel mostro, che invece non sembrava sentire per nulla
quel fastidioso campo elettromagnetico.
A quanto pare, si disse Eric guadando verso il
foro, l’unica era cercare di buttare quel mostro di sotto, perché a mani nude
molto difficilmente sarebbe riuscito ad averne ragione, almeno nella sue
attuali condizioni.
Dall’alto della sua stanza blindata, don Bongianno si godeva lo spettacolo con piena soddisfazione,
affiancato ad un certo punto anche dal misterioso figuro dai lunghi capelli
castani che aveva contribuito a far precipitare Flyer in quel pozzo da cui non
sarebbe più uscito.
«Sta diventando monotono.» disse il don
riferendosi al continuo schivare e scappare di Eric «Movimentiamo un po’ la
cosa».
La stanza, oltre che di uno scarico per le
cavie, era provvista anche di un sistema di armamenti teleguidati e
termosensibili per eliminare i soggetti più riottosi e violenti, costituiti da
una decina di lenti al laser a forma di telecamere che sbucavano fuori dalle
pareti.
Eric per poco non venne centrato alle spalle
da uno di questi laser, ma riuscì ad accorgersene in tempo e ad evitare di
finire incenerito; il raggio colpì invece il piede dell’orco all’altezza del
tallone, riuscendo incredibilmente a superare la sua pelle di coccodrillo e
provocandogli, a giudicare dalla sua reazione, un dolore non indifferente.
Forse poteva essere la soluzione al problema;
se quei laser potevano danneggiarlo, se opportunamente usati avrebbero potuto
aiutare Eric ad uscire vivo da quella situazione.
L’unico problema era che si trattava di mirini
termosensibili, tarati a dovere per prendere di mira bersagli che non
superassero i trenta gradi centigradi, temperatura assolutamente standard per i
vampiri ma ben al di sotto di quella di quel mostro.
Eric tentò di agire di riflesso, lasciandosi
prendere di mira per poi spostarsi all’ultimo momento, e per un paio di
tentativi la strategia parve funzionare, permettendogli di infliggere
considerevoli danni alle mani e alle gambe dell’orco, che più veniva colpito e
più sia arrabbiava, diventando ancor più aggressivo.
Poi, però, accadde l’imprevisto.
C’erano almeno una decina di laser posizionati
tutto attorno alla stanza, e riuscire a tenerli d’occhio tutti era quasi
impossibile, anche per lui.
Così, alla fine, proprio dopo essere riuscito
a colpire l’orco di riflesso per l’ennesima volta, un raggio lo centrò, per fortuna
solo di striscio, ad una gamba, mentre era di spalle, e quel bestione fulmineo
ne approfittò, afferrandolo nelle sue mani ciclopiche, sollevandolo per aria e
prendendo a stritolarlo come un uovo sodo.
Eric sentì le ossa scricchiolargli, e
probabilmente se non fosse stato un vampiro si sarebbero anche sbriciolate; per
quanto ci provasse, non gli riusciva di liberarsi, e ogni secondo era
un’agonia, tanto che a stento riusciva ad evitare di urlare come un disperato.
Come se la situazione non fosse già abbastanza
grave, una delle sentinelle laser si preparò a dargli il colpo di grazia
mettendo la sua testa, la sola parte del suo corpo che non fosse inglobata e
stritolata tra le mani dell’orco, proprio al centro del mirino.
Il giovane se ne avvide, e per un attimo pensò
che quella fosse davvero la fine – esattamente lo stesso pensiero, accolto però
con tutt’altro spirito, di don Bongianno –;
all’ultimo, però, gli venne l’idea giusta, pregando di riuscire a trovare in
quel supplizio le forze necessarie a metterle in pratica.
Aveva solo un tentativo; sarebbe stata la
salvezza o la morte.
La telecamera inquadrò il suo obiettivo,
concentrò le particelle, quindi sparò; e nello stesso istante Eric, nonostante
la vista appannata e il dolore lancinante in tutto il corpo, all’ultimo piegò
la testa di lato più che poteva, sentendo la punta dei capelli incenerirsi e
l’orecchio ustionarsi per l’estremo calore del laser.
Il fascio di luce, preciso e letale, centrò in
pieno l’occhio sinistro dell’orco, procurandogli più dolore di tutti gli altri
colpi incassati fino a quel momento messi insieme.
Istintivamente lasciò Eric, che rantolò a
terra tossendo per l’apnea, portandosi le mani sulla faccia e prendendo a
lanciare urla assordanti e colpi alla ceca in egual misura.
«Che cosa!?» ringhiò furente il don.
Eric approfittò subito di quell’occasione
favorevole.
Ripresosi quanto bastava, prese a correre e a
saltare da una parte all’altra come un grillo, sfruttando la confusione
bestiale in cui era caduto il suo avversario per portare attacchi mirati e
potenti lì dove era sicuro che avrebbero avuto il miglior effetto.
Stavolta l’orco incassò senza poter reagire,
grazie anche ad un improvviso, e per certi versi inspiegabile, allentamento del
campo elettromagnetico generato dalla faglia, quindi venne il momento del colpo
di grazia; il mostro era arretrato fin sul bordo del pozzo senza rendersene
conto.
Eric prese una bella rincorsa, spiccò un
salto, si diede la spinta sulla pancia debordante della creatura e quindi,
arrivatogli all’altezza del volto, lo colpì dritto in mezzo agli occhi con un
calcio tremendo, che lo fece cadere inesorabilmente all’indietro, dritto verso
il suo destino.
Rendendosi conto di stare precipitando la
creatura tentò di aggrapparsi, ma le sue mani, per quanto gigantesche, si
rivelarono incapaci di sostenere la sua enorme mole, e dopo pochi secondi perse
la presa, scomparendo urlante nelle viscere della terra.
Eric aveva vinto, ma era così stanco e provato
che dovette sedersi in terra a riprendere fiato.
Ovviamente, la cosa non fu presa per niente
bene da Bongianno, passato in un istante da sadica
soddisfazione a rabbia manifesta.
«Sembra tu abbia puntato sul cavallo
sbagliato.» gli disse sarcastico il giovane castano.
Di certo non gli avrebbe permesso di uscire vivo
da lì.
«Maledetto moccioso!» disse schioccando le
dita.
Al suo ordine, tutti i laser puntarono contro
Eric, che stanco e senza vie d’uscita non poté fare altro che alzarsi
faticosamente in piedi e starli a guardare.
«Muori!».
Invece, accadde il miracolo.
Una volta tanto, la sorte decise di stare
dalla parte giusta. Del resto, nessuno poteva sapere cosa potesse comportare
gettare in una faglia sismica tre tonnellate di gigante, con una pelle tanto
dura da essere resistente persino alla lava e per nulla intenzionato a morire
facilmente.
Nel tentativo disperato di sottrarsi al fiume
di magma che lo stava letteralmente sciogliendo vivo, l’orco aveva preso fin da
subito a tirare pugni a destra e a sinistra contro le pareti, proprio lì dove
si trovavo le apparecchiature della struttura scientifica per l’assorbimento
dell’energia geotermica.
Fu sufficiente spaccarne uno, che subito il
danno si propagò a catena lungo tutta la linea di alimentazione, arrivando fino
a uno dei generatori che, inevitabilmente, andò in sovraccarico per poi
esplodere travolgendo tutti coloro che vi erano nei pressi.
Ne conseguì un tremendo, anche se breve,
terremoto generale, oltre ad un calo di energia che mandò in corto molte
apparecchiature, tra cui il sistema di laser perimetrali.
«Ma cosa…» bofonchiò
il Don cercando di restare in piedi.
Peggio di tutto, l’esplosione del generatore e
i conseguenti danni collaterali provocati dal terremoto ben presto causarono
una serie di altre rotture, di modo che da un istante all’altro l’intera struttura
fu tutta un allarme per sovraccarichi, esplosioni diffuse e corto circuiti
vari.
«Signore, la struttura sta collassando!» gridò
terrorizzato uno dei tecnici prima di venire travolto e ucciso da un cedimento
del soffitto
«Maledizione! Andiamocene di qui!».
Sotto la spinta devastante del terremoto, il
pavimento del pozzo, già fragile di suo, diede segno di stare per crollare.
Eric rischiava di essere condannato in ogni
caso, ma per fortuna ad andare in frantumi un attimo prima del suolo sotto i
suoi piedi fu il vetro della stanza panoramica. Contemporaneamente, con la
caduta del campo elettromagnetico, Eric si sentì ritornare tutte le forze, e
nell’istante stesso in cui la terra gli veniva a mancare, aprendo una
spaventosa voragine sotto di lui, il ragazzo riuscì, con una serie di salti e
rallentando il tempo, a raggiungere la fenditura nella parete.
Sperava di imbattersi subito nel caro amico
che lo aveva gettato lì sotto, ma quando arrivò don Bongianno
se la stava già filando assieme al giovane castano tramite un ascensore di
emergenza che sicuramente conduceva fino in superficie.
Di aspettarlo non c’era tempo, con il pozzo di
scarico che sicuramente sarebbe stato il primo posto a sprofondare appena le
strutture portanti avessero iniziato a cedere, quindi bisognava andarsene in
fretta.
Localizzata una scala di servizio, Eric vi
s’infilò, la percorse il più velocemente possibile, quindi uscì nella stessa
stanza da dove era stato gettato di sotto; come aprì la porta che immetteva nel
resto dell’edificio, però, uno scenario da incubo gli apparve davanti agli
occhi.
Ovunque era un trionfo di fiamme, crolli,
allarmi che rimbombavano a tutto spiano ed energia elettrica che andava a
momenti alterni.
Era come trovarsi in un incubo.
Nel
mentre, Peter era ancora intento ad intrattenersi con le due avvenenti e
procaci locali che aveva rimorchiato quella mattina, del tutto immemore o quasi
del vero motivo che lo aveva portato lì in Sicilia.
Stava prendendo con loro un aperitivo ad un
bar all’aperto sulla spiaggia, sempre forte del suo talento di seduttore e
intrattenitore, quando uno strano botto, come un fuoco d’artificio, catturò
l’attenzione di alcuni, inclusa la sua.
Tutti alzarono gli occhi, immaginando di
vedere lo spettacolo di luce e scintille tipico delle notti d’estate, ma
nessuno vide niente, poi qualcuno notò uno strano rossore vermiglio in
lontananza, proveniente all’apparenza del suolo.
I danni prodotti dall’esplosione, infatti, si
erano propagati dal laboratorio sotterraneo fino in superficie, trovando nelle
cataste di legna e nei contenitori del cemento il combustibile ideale per
svilupparsi.
«Che sarà successo?» domandò una delle due
ragazze, visto che da quella angolazione non era possibile scorgere il
cementificio in mezzo a tutti quei tetti e caseggiati che lo circondavano.
Peter, invece, intuì subito quale dovesse
essere l’origine di tutto quel trambusto.
«Ehi, dove stai andando?» chiese l’altra
ragazza vedendolo andare via
«Mi piacerebbe tanto continuare a farvi
gemere, tesori miei.» rispose lui salendo al volo sulla sua cabriolet con cui
le aveva scarrozzate a destra e a manca per tutto il giorno «Ma ora temo
proprio di dover andare.» e detto questo mise in moto e partì a tutta velocità,
lanciando un ultimo bacio alle sue ennesime conquiste «Omaggi!».
Mentre viaggiava verso il cementificio, poi,
aprì lo scomparto segreto nascosto sotto il sedile del passeggero, pieno di
quanto era riuscito a mettere insieme dalla visita ad un suo vecchio amico: due
9mm, un MP5, un paio di granate, dell’esplosivo al plastico e caricatori quanti
bastavano.
Da sotto il sedile, poi, sembrava sbucare
anche qualcos’altro, come una specie di impugnatura.
«Dovrebbe bastare.» disse tra sé prima di
spingere ulteriormente l’acceleratore.
Facendosi
strada tra fuoco e macerie Eric arrivò nella zona delle celle di contenimento,
e già il fatto che fossero quasi tutte spalancate o divelte non lasciava
presagire niente di buono.
Regnava un silenzio inquietante, rotto solo
dal risuonare intermittente dell’allarme, ma sulle pareti e sul pavimento era
un trionfo di sangue, interiora e cadaveri squartati.
Il corto circuito aveva mandato in tilt i
sistemi di contenimento.
Le creature si erano liberate, e avevano
provveduto a ringraziare i loro aguzzini per ciò che era stato fatto loro in anni
di esperimenti e macchinazioni.
Eric non si illuse neppure per un secondo di
essere solo in quella enorme e lunghissima stanza, piena di gabbie e loculi in
cui poteva nascondersi qualsiasi cosa, ma certo non si aspettava che la
minaccia potesse arrivare addirittura dal soffitto.
Stava camminando lentamente lungo il corridoio
centrale, cercando per quanto possibile di restare indifferente a quell’orrendo
spettacolo, quando uno strano rumore di gocciolio catturò la sua attenzione.
Non era un tubo dell’acqua divelto, o il
frutto di una condensazione prodotta dal fuoco.
A gocciolare, scoprì avvicinandosi, era
sangue, che cadendo ininterrottamente con inquietante cadenza aveva formato una
piccola pozza rosso vermiglio proprio in mezzo alla strada.
Eric la guardò, e prima che potesse deciderlo
autonomamente, uno spaventoso sibilo lo convinse ad alzare lo sguardo sopra la
propria testa.
Appeso al soffitto a testa in giù, col
cadavere di uno degli scienziati parzialmente mangiato stretto tra le zanne, stava
un essere che era a metà tra un rettile e una salamandra, pelle coperta da
squame nere, braccia che erano tre volte quelle di un essere umano a fronte di
gambe sostanzialmente normali, mani quasi o del tutto assenti, fatta eccezione
per cinque artigli che parevano sciabole tanto erano lunghi ed affilati, una
bocca armata di tre file di denti per ogni arcata ed una testa pulsante, color
rosso carne, come fosse sul punto di esplodere per la spinta dall’interno del
cervello.
«Oh, mio Dio…»
mormorò incredulo.
Ma che diamine di esperimenti avevano fatto lì
dentro? Che fine poteva mai avere la creazione di mostri simili?
Il mostro, che si manteneva appeso al soffitto
restandoci attaccato con gli artigli, gettato via il proprio pasto si lasciò
cadere, voltandosi in aria ed atterrando in posizione eretta, già pronto allo
scontro.
Ancora una volta, Eric era a mani nude, ma per
fortuna quel nuovo avversario non si rivelò al livello del precedente; come
scattò, tentando di balzargli addosso, prima schivò, quindi afferratagli la
testa, gliela sfracellò al suolo, facendogliela esplodere vista la sua mollezza
e fragilità.
«Attenzione!» annunciò improvvisa una voce
all’altoparlante «Rischio biologico oltre la soglia critica. Avviare procedura
di sterilizzazione».
Le bocchette antincendio disseminate
dappertutto a quel punto si attivarono, ma invece di acqua presero a spruzzare
senza sosta puro etanolo chimico, mentre dal terreno presero ad emergere, a
distanze regolari, delle colonnine di una trentina di centimetri, ognuna terminante
in quella che aveva tutta l’aria di essere una superficie di accensione.
Peggio di tutto, proprio quando Eric era
convinto che le cose non potessero mettersi peggio, una serie di lugubri rumori
preannunciò la comparsa, tutto attorno a lui, di una miriade di creature
differenti, rimaste fino a quel momento per buona parte rintanate nelle gabbie,
ma che la pioggia di etanolo aveva fatto uscire.
E tutti questi mostri, ben presto si
concentrarono su di un solo obiettivo: lui.
«Oh, merda.» mormorò Eric lasciandosi sfuggire
una delle poche parolacce della sua vita.
Subito dopo, veloce come un fulmine, se la
diede a gambe, prontamente inseguito dalle creature.
Correndo il più rapidamente possibile il
giovane attraversò corridoi, spalancò porte, cercando ogni volta di seminare
ostacoli per rendere più difficile il cammino ai suoi inseguitori.
In qualche modo riuscì a raggiungere l’ultima
parte del tragitto, il lungo e stretto corridoio che conduceva fino
all’ascensore dal quale era arrivato; aveva un certo vantaggio sulle creature,
ma tenendo anche conto dei quindici secondi che mancavano alla
“sterilizzazione” del laboratorio, se l’ascensore non fosse stato lì ad
attenderlo per lui non ci sarebbe stato scampo.
Nell’istante in cui premeva il bottone, le
creature riuscirono a sfondare l’ultima porta, avvicinandosi a lui a passo
spedito e più infervorate che mai; grazie al cielo l’ascensore non si era mai
mosso da quel punto, perché nessuno aveva avuto il tempo di raggiungerlo o era
fuggito per altre strade che Eric non conosceva, così poté buttarcisi dentro e
spingere subito il bottone di risalita.
Il mostro che stava in testa al gruppo tentò
di raggiungerlo con un balzo, ma andò a sfracellarsi la testa contro le robuste
porte di acciaio, le quali si chiusero nel momento esatto in cui il timer del
conto alla rovescia raggiungeva lo zero.
All’unisono, le colonnine piazzate in ogni
dove generarono delle piccole scintille, più che sufficienti visto tutto
l’etanolo che c’era nell’aria e l’ambiente chiuso, e l’intera struttura fu
praticamente sventrata dall’interno da un susseguirsi incontrollabile di
esplosioni che incenerirono ogni cosa.
Eric era consapevole che in questo modo tutto,
comprese le prove di cosa suo nonno stesse davvero facendo, era andato in fumo,
ma ora l’importante era uscirne vivi.
L’onda di fuoco raggiunse anche la tromba
dell’ascensore, risalendola ad una velocità impressionante, ma grazie al cielo
quando arrivò finalmente in superficie Eric fece in tempo a scendere prima che
la cabina venisse letteralmente sparata via come il tappo di una bottiglia,
sventrando l’edificio principale e facendone crollare una buona parte.
In qualche modo, Eric ce l’aveva fatta ancora
una volta.
Il laboratorio era perduto, il cementificio in
fiamme, ma almeno era vivo, e di nuovo all’aperto; i posti chiusi decisamente
non facevano per lui, meno che meno se si trovavano sottoterra.
Stava ancora cercando di riprendere fiato,
quando una serie di passi pesanti e affannosi gli fece capire di non essere
solo.
Fulmineo si alzò, mettendosi in guardia, salvo
poi trovarsi a tu per tu proprio con don Bongianno.
Era da solo, e non sembrava stare bene;
camminava barcollando, attraversato da strani ed inquietanti scatti del corpo
che non pareva capace di controllare, sudava copiosamente, stringeva i denti e
aveva gli occhi fuori dalle orbite.
«Sei ancora qui?» gli domandò prima di
rendersi conto delle sue condizioni
«Perché?» domandò incurante della presenza del
ragazzo «Perché mi hanno fatto questo?».
Cadde in ginocchio, ed Eric gli andò incontro
per tentare di aiutarlo.
«Che cosa facevate qui?» disse strattonandolo
«A cosa sta lavorando mio nonno?»
«Lui…» rispose il
Don con le sue ultime forze, forse nel tentativo di alleggerirsi la coscienza
«Lui parlava di un momento importante. Della resurrezione. Diceva che tutto
sarebbe cambiato».
Solo in un secondo momento Eric si avvide
della siringa che il don aveva piantata nel collo e si alzò, mettendo nuova
distanza tra sé e Bongianno.
«Maledetto! Maledetto per l’eternità!» urlò il
don prima che gli spasimi del corpo diventassero incontrollabili.
Di colpo, tutto il suo corpo iniziò come a
ribollire, poi a gonfiarsi, fino a strappare i vestiti, mentre quel poveretto,
verso il quale Eric per la prima volta sentì di provare un po’ di pena,
assumeva toni sempre più mostruosi, neanche paragonabili a ciò che il ragazzo
aveva visto lì sotto.
Quella trasformazione inarrestabile finì per
tramutare il capo della famiglia Bongianno in un
essere simile ad un gigantesco gorilla, con gambe piccolissime e un busto
sproporzionato, come sproporzionate erano le braccia e le mani, grosse e
potenti come non ne esistevano nel regno animale; le mani, cinque volte quelle
di un normale essere umano, avrebbero potuto fracassare il diamante; anche la
testa era piccola, quasi completamente assorbita all’interno del torace, con
l’occhio destro che si era ingigantito fino ad essere più del doppio del
sinistro.
Il mostro raggiunse una tale mole da risultare
incapace si sostenersi sulle sue piccole gambe, tanto che dovette puntellarsi
al suolo con i pugni per non cadere, ma questo non toglieva nulla alla sua possenza, né al terrore che veniva dal trovarselo di
fronte.
Dall’alto di un edificio poco distante, il
giovane castano assisteva alla scena aiutandosi con un binocolo.
«A quanto pare, questo nuovo Vermillion è ancora parecchio instabile.» disse sorridendo
«Cerca di dimostrare la tua utilità almeno per una volta.» e detto questo salì
sull’elicottero alle sue spalle, già pronto alla partenza.
Eric, di fronte al mostro, indietreggiò, ma
ormai era stato puntato, e provato com’era dalla fuga e dall’essersi salvato
per un soffio non era sicuro di poter affrontare anche quell’ennesimo scontro.
Il mostro lanciò un urlo selvaggio e si
scagliò all’attacco; Eric riuscì ad evitare il primo pugno, ma non il secondo,
che lo sparò come una palla di cannone contro una delle torri del cementificio,
con una potenza tale da incrinarla.
Come precipitò, quel bestione cercò subito di
insistere facendo per caricare, ma prima che potesse anche solo muoversi fu
investito alla schiena dall’esplosione di una granata che lo scaraventò a
terra, e nello stesso momento la macchina di Peter sfondava la recinzione di
semplice fildiferro e compariva nel piazzale.
«Ti sono mancato?» disse spuntando dal
polverone prodotto dalla lunga sgommata con quel suo faccione sorridente e
l’MP5 tra le mani
«Potevi anche arrivare un po’ prima! Te la sei
presa comoda.»
«Avevo del lavoro da fare».
Purtroppo Bongianno,
o quello che restava di lui, impiegò poco a rimettersi in sesto; il colpo di
granata lo aveva danneggiato, ma era ancora più che in grado di creare
problemi.
«Coriaceo l’amico.»
«E per di più ora l’hai fatto anche
arrabbiare».
Ora, pensò Eric, pensare di affrontarlo a mani
nude era un vero e proprio azzardo, tanto più che non si era ancora ripreso
dalle fatiche degli scontri già sostenuti.
«Aspetta, credo di avere quello che fa per
te!» gli disse Peter vedendolo assumere una posa di guardia.
Il biondino affondò quindi una mano dentro la
macchina, prendendone fuori una katana che Eric ben conosceva, e che le
disposizioni dell’Associazione lo avevano costretto a lasciare a casa, in mano
ad una persona fidata.
«Ma quella…»
«Un piccolo regalo del nostro caro amico Negi.» rispose Eisen
lanciandogliela.
Eric la prese al volo, e come l’ebbe tra le
mani poté subito percepirne l’incredibile energia.
«Ora sì che ragioniamo.» disse sfoderandola.
Non aspettò neppure che il nemico si fosse
ripreso per partire alla carica, forte di un ritrovato vigore; con agilità e
precisione schivò due pugni in successione, quindi menò un fendente preciso che
segò di netto la mano destra del mostro.
La creatura urlò per il dolore, ma non diede
segno di volersi arrendere, e anzi reagì con una furia ancor più bestiale;
stavolta però, era Eric ad avere il coltello dalla parte del manico. I suoi
movimenti erano tornati ad essere sinuosi e rapidi, e i suoi colpi precisi,
degni di un vero Hunter e di un ancor più vero vampiro.
Il colpo di grazia, però, lo diede Peter,
approfittando della prima occasione utile, fulminando il mostro in piena fronte
con un solo proiettile 9mm sparato dal suo mitra, un colpo preciso al millimetro
che non lasciò scampo al bersaglio.
La creatura, piegata sotto le ferite e i colpi
subiti, spirò quasi subito, rovinando rumorosamente a terra per poi seguire il
destino di qualsiasi altro vampiro, mutandosi in fredda cenere.
«Ecco fatto.» disse Eisen
soffiando sulla canna del fucile «Se Dio vuole, è finita».
Era finita sì.
Ma, pensava Eric, non certo nel migliore dei
modi.
Il laboratorio distrutto, Bongianno
morto, e quel tipo che lo aveva scaraventato nel pozzo sicuramente già sparito
chissà dove, senza che avesse neppure avuto la possibilità di vederlo
distintamente.
A conti fatti, quel colpo di testa che
sicuramente gli sarebbe costato caro non aveva portato assolutamente niente, né
sollevato in alcun modo il velo su ciò che il conte stava realmente facendo.
Pertanto, di ragioni per festeggiare Eric ne
vedeva ben poche, e sicuramente una volta rientrato alla Cross ne avrebbe avute
ancora meno.
Nota
dell’Autore
Eccomi
qua!^_^
Nel giorno
del mio compleanno, ritorno con un nuovo capitolo tutto per voi!^_^
Vogliate
scusare questa prolungata assenza, ma come sicuramente molti di voi sapranno
durante le feste natalizie sono ben poche le occasioni di starsene in pace con
il proprio computer, tanto più che io dal 24 sto folleggiando stabilmente in
Svizzera, dove resterò fino al tre dell’anno prossimo.
Però,
guardiamo il lato positivo! L’esame che mi aveva tormentato per quattro mesi è
stabilmente e felicemente alle spalle, e l’anno nuovo dovrebbe potermi
garantire molto più tempo libero.
Per quanto
riguarda il prosieguo di questa storia, non escludo una breve sosta di una
settimana o poco più, perché avendo io ricevuto una recensione su di una fic lasciata in sospeso da tempo e povera di lettori, ho
trovato lo stimolo giusto per riprenderla in mano.
Non garantisco
niente, si vedrà
A
presto!^_^
Carlos Olivera