Prologo
È strano
per me trovarsi in quest’aula di tribunale. Ho provato ad immaginare mille e più
volte questa scena, ma solo ora mi rendo conto che mai e poi mai avrei potuto
immagine cosa davvero mi aspettasse.
Lui
è già al suo posto, la cravatta sciolta e il viso pallido. Potrebbe quasi
sembrare pentito a vederlo ora; potrebbe sembrare che si sia finalmente accorto
della bestialità di quanto ha fatto, e abbia deciso di accettare la pena che
gli verrà inflitta. Potrebbe sembrare umano.
Ma i
suoi occhi – quello sguardo d’antracite pura e affilata – dimostrano l’esatto
contrario di quanto riesce a simulare. Sono gli stessi occhi che aveva poche
settimane fa; forse anche gli stessi di quella notte.
All’improvviso
si volta e mi osserva. Sapeva che sarei venuta: è la sua condanna oggi, il suo
tempo di trovarsi davanti ad un giudice e di dover rispondere delle proprie
azioni. È il giorno che ho atteso così a lungo, e che per un breve attimo ho
quasi creduto non arrivasse mai.
Lo
osservo anche io, con disprezzo. Vorrei che si rendesse conto di quanto ha
fatto, del dolore di cui è stato artigiano; vorrei che sentisse l’orrore che
provo io nel fissarlo, che vedesse se stesso attraverso i miei occhi. Forse
sarebbe questa la giusta punizione per quanto ha fatto. Ma non sta a me
decidere ciò. È compito del giudice. E io spero con tutto il cuore che quel
giudice emetta la sentenza definitiva che anche tu aspetti da troppo tempo.