A/N: grandi spoiler per il capitolo 119. >_>
Il primo paragrafo
è una scena parafrasata di suddetto capitolo 119. ^^
But I do.
Bookman
non ha bisogno di un cuore.
[Ma ce
l’ha.
Tutti gli esseri umani hanno un cuore, purtroppo.
Il tuo
cuore farà bene ad essere di ghiaccio e pietra, moccioso.]
oOoOoOoOo
Ad occhio e croce, le bare disposte ordinatamente in fila
dovevano essere almeno cento.
Lavi pensò che non era affatto la migliore delle
accoglienze che l’Ordine oscuro potesse riservare a Bookman, ma ebbe il
buonsenso di tenere quest’osservazione per sé, lasciando scorrere lo sguardo
sulla scena più in basso, scostando una ciocca di capelli rossi dal campo
visivo.
Erano disposte tutte in fila, le bare, con una cura maniacale che a lui sembrò
del tutto superflua: erano sistemate mantenendo la medesima distanza l’una
dall’altra – cosa che sicuramente rendeva il tutto più comodo per la folla che
riempiva quegli spazi, ma che a conti fatti rendeva la scena semplicemente sbagliata.
Un catalogo di morti, niente di più.
Macchie di inchiostro cancellate dall’inesorabile scorrere della storia.
Nulla di nuovo, insomma.
L’odore pungente di disinfettante ed antisettico gli
riempiva le narici e la mente, causando quel fastidioso pulsare che premeva
contro le tempie.
Una donna con una divisa bianca – il cui braccio aveva
lasciato spazio ad un moncherino sanguinante - piangeva su una bara, una
semplice scatola di legno con su incisa una croce stilizzata.
I suoi capelli biondi scendevano, discreti, a nascondere quel dolore privato.
Più in là, un colosso con la stessa divisa della donna si poggiava su una
stampella, e nascondeva il viso nella manica sporca di terra, senza riuscire a
nascondere i singhiozzi che, da soli, riuscivano a farlo tremare. Era uno
spettacolo triste, vedere un uomo così imponente tremare a quel modo.
Accanto a lui, una ragazzina asiatica, sicuramente più
piccola di lui, era accasciata accanto alla sua flebo. Garze che sembravano
tenerla su alla meno peggio, come una bambola di porcellana infranta ormai
troppe volte per ritornare come prima. Pateticamente, piangeva e tremava.
Al perimetro del campo di bare, un ragazzino dai lunghi capelli neri,
disordinati, veniva controvoglia medicato da un infermiera dall’aria materna.
Gli occhi a mandorla guardavano fisso davanti a sé: il suo volto rifletteva la
stessa espressione apatica che Lavi sapeva di indossare ormai troppo spesso.
Nulla mi tocca.
Nulla.
Erano centinaia anche i vivi, lì in basso. Dalle scalinate,
poteva vederli ad uno ad uno con quell’occhio verde che mostrava al mondo.
Tanti nomi riuniti lì dallo stesso destino, riuniti lì per scrivere la stessa
storia: tante macchie di inchiostro, disposte diligentemente in fila come
soldati giocattolo.
Disposte in fila come vittime in attesa di quel proiettile che le avrebbe fatte
(finalmente) cadere.
“… è una battaglia persa, non è vero?” mormorò a nessuno.
E, come prevedibile, nessuno gli rispose.
oOoOoOoOo
“Devi cercare di essere cordiale e amichevole con gli
esorcisti, Lavi.”
Bookman glielo aveva ripetuto così tante volte, che ormai sentiva un’ondata di
nausea investirlo ogni volta che quel discorso veniva riportato a galla.
Annuiva, soffocando sbadigli e mezzi borbottii che lottavano per farsi strada e
sfuggire da quelle labbra.
Aveva preso – per ripicca – l’abitudine di batterlo sul tempo in quelle
raccomandazioni.
“Andiamo a fare i bravi con gli esorcisti, ne, vecchio
Panda?”
In quei casi, Bookman non rispondeva, ma si limitava a
sospirare e guardarlo dal basso, con quell’aria severa che Lavi si faceva
sempre scivolare addosso come acqua.
Comunque, l’Ordine non gli piaceva per niente, ma forse
era a causa della semplice atmosfera lugubre che seguiva inesorabilmente ogni
guerra. Dopo quattro giorni dal suo arrivo, gli capitava di vedere ancora
qualcuno guardare nel vuoto, a pranzo. Qualcuno piangeva ancora.
Aveva provato a fare domande in giro su quel che era successo – una sorta di
compito a casa che il vecchio Panda gli aveva assegnato come esercizio – ma non
aveva ancora ottenuto risposta, nonostante fosse stato cordiale, amichevole e
tutto.
Cominciava ad sentirsi leggermente frustrato.
“Ovunque andiamo, ci sono sempre battaglie, battaglie,
battaglie! Guarda che l’ho capito, che gli uomini sono stupidi!”
Non aveva certo bisogno di andare a chiederlo a qualcuno.
“Se non riesci a fare una cosa del genere, come pretendi
di poter diventare il mio successore, moccioso?”
Ma avrebbe dovuto stare a contatto con la gente.
Avrebbe dovuto davvero.
Di nascosto - quando decideva di essersi annoiato abbastanza - sgattaiolava
nella biblioteca dell’Ordine, da cui era rimasto affascinato sin dal primo
giorno. Migliaia su migliaia di libri, la polvere che li ricopriva, l’odore di
vecchio ed il silenzio quasi rispettoso che tutto quel sapere inspirava in
chiunque camminasse fra quegli scaffali.
Scorreva l’indice sui titoli, cercando
qualcosa di nuovo che non avesse ancora letto e conosciuto.
Quando lo trovava, il viso gli si illuminava di uno di quei pochi sorrisi veri
che si concedeva.
Quattro giorni dopo il suo arrivo, incontrò nella biblioteca quel ragazzino
malridotto e medicato alla meno peggio che aveva visto in quel campo di bare:
era seduto ben dritto ad uno dei lunghi tavoli di legno massiccio, rovinati
dalle tarme.
I capelli scuri diligentemente legati in un corto codino
sulla nuca, puliti. Il viso senza quel taglio che lo aveva rovinato qualche
giorno prima. Le sopracciglia crucciate in concentrazione, mentre quegli occhi
scorrevano vacui sul testo che aveva davanti.
Sembrava perfettamente in salute, sebbene quattro giorni prima avesse avuto una
cera orribile.
Era rimasto lì, con il libro in mano, ed aveva chinato appena il capo d’un
lato, prima di poggiarlo sulla stessa superficie di legno, con un piccolo
tonfo. L’asiatico l’aveva guardato, con uno sguardo seccato.
Lavi aveva sorriso, quel sorriso un po’ beota che tanto ispirava simpatia nella
gente che lo circondava.
Lo sguardo torvo del ragazzino non cambiò affatto.
“Sei guarito in fretta, ne?” aveva cantilenato Lavi,
poggiando il mento sul palmo della mano, tentando l’approccio più semplice,
nell’ulteriore tentativo di svolgere quel compito a casa.
Per un attimo, l’altro aveva battuto ciglio, con quell’espressione irritata,
prima di riportare controvoglia l’attenzione sul libro. “Non ti conosco.”
Replicò, dopo qualche attimo di silenzio, pronuncia incerta che strascicava
sulle parole, inciampando sull’ultima sillaba.
Lavi sbuffò, riportando l’attenzione sul libro che lui stesso aveva scelto.
Tamburellò le dita sul tavolo, arricciando appena il naso. Per un attimo, quel
sorriso beota scomparve, ben nascosto dalla mano che reggeva il viso.
Il ragazzino asiatico, più in là, aveva cominciato a
borbottare qualcosa, probabilmente leggendo fra sé e sé, senza staccare lo
sguardo dalla pagina.
Lavi pensò che doveva essere tremendamente seccante, dover vivere in un paese
con una lingua talmente diversa dalla propria.
“Beh, sono Lavi.” Spiegò, facendo spallucce. “Allievo di
Bookman. Piacere!”
“A me non interessa.”
Non aveva neanche alzato lo sguardo dal libro, e sembrava
essere davvero di cattivo umore.
Irritante.
Riprese a tamburellare distrattamente le dita, continuando a guardarlo con la
coda dell’occhio.
Dopo qualche minuto, fu il ragazzino a sollevare lo sguardo crucciato. “Basta.”
“Neee, dovresti essere più amichevole.” Strascicò
l’allievo di Bookman, mezzo sorriso sulle labbra. “E’ la compagnia, che ti
salva in periodi come questi. Non è così che dicono?”
Lo sguardo che ottenne come risposta, gli fece intuire che
la risposta era no.
“… studi inglese? Mi sembra tu sia in grado di parlarlo
già discretamente.”
“Che vuoi?”
Lavi sospirò, e fu un sospiro rassegnato. “Uh, ecco,
colpito nel segno.” Sforzò una risata frammentata, poggiando entrambi i gomiti
sul banco “Mi piacerebbe sapere cos’è successo cinque giorni fa, sai? Il motivo
per tutte quelle bare messe in mostra, così. A meno che non sia un’usanza…”
Le labbra dell’altro si strinsero in un gesto di stizza, e
per qualche attimo seguì solo silenzio. Lavi ebbe paura, per un attimo, che si
sarebbe messo a piangere anche lui – come aveva fatto l’altra ragazzina
asiatica a cui aveva tentato di porre quella domanda, in infermeria. Ma il
volto del ragazzino rimase impassibile, se non un po’ seccato e concentrato,
quasi a scavare nel suo vocabolario straniero, quasi il solo dover articolare
la risposta lo seccasse più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Ma tutto lì.
Niente occhi lucidi, niente voce tremante.
“Gli akuma.” Rispose infine, facendo spallucce e tornando
a portare attenzione al libro.
“Illuminante.” Mugolò Lavi, distrattamente. “L’Ordine è
stato attaccato, allora?”
“Mh.”
“Perché?”
L’altro riportò lo sguardo esasperato su di lui, incredulo
e leggermente frustrato. “… avevano inseguito alla squadra di Finders da un
villaggio qui vicino. Ora, se non ti annoia, studio.”
“… avevano inseguito la squadra.” Lo corresse
automaticamente Lavi, sorriso sornione sulle labbra, guadagnandosi un’occhiata
decisamente storta. Non ci fece caso.
Allora, i Finders sapevano qualcosa di più. Erano ancora
vivi, quei Finders? Significava fare altre ricerche, e la cosa lo indisponeva
un po’ – ma era pur sempre un punto di partenza, decisamente più utile dei
singhiozzi ottenuti dalla ragazzina.
“Ah, farò meglio ad andare.” Sbottò, alzandosi facendo perno su entrambe le mani.
“Lo penso anche io.”
Lavi ridacchiò ancora una volta, stiracchiandosi sul
posto. “Com’è che ti chiami?”
“Kanda Yu.” Concesse il ragazzino, più per il desiderio
d’essere lasciato in pace, che per vera e propria voglia di rispondere.
Tuttavia, dopo qualche attimo, s’acciglio, prima di ripetere. “Yu Kanda.”
“… avevo sentito la prima volta.” Mormorò Lavi, battendo
ciglio. Fu colpito ancora una volta da quello sguardo truce.
“L’ordine, no?”
“… che c’entra l’Ordine?”
“L’ordine del nome, baka!”
Annotò mentalmente che non aveva molta pazienza, nonostante non sapesse esprimersi soddisfacentemente.
“Quindi? Qual è il tuo nome, scusa?”
“Yu. Yu Kanda.”
“… non so se fosse il tuo obiettivo, ma mi stai facendo
venire davvero mal di testa.”
E per un attimo, gli sembrò di vedere un sorriso
pienamente soddisfatto sulle labbra del ragazzino.
oOoOoOoOo
La ragazzina asiatica che aveva pianto si chiamava
Lenalee, venne a sapere Lavi. Venne anche a sapere che si trattava della
sorella del Supervisore, Komui Lee, e che Komui Lee era una persona veramente,
veramente inquietante.
Quando si arrabbiava.
Si arrabbiava di rado, tuttavia, ma sempre in difesa –
strenua, continua, esagerata – della sorellina.
Quando non era occupata a piangere, Lenalee Lee era una ragazzina che sorrideva sempre ed era amichevole con tutti nell’Ordine. Distrattamente, Lavi considerò che questa era una cosa davvero ammirabile, perché riusciva ad essere amichevole anche con il ragazzino torvo della biblioteca.
Davanti a lei, lui non aveva quell’aria imbronciata e
truce, bensì una di esasperata frustrazione. Quasi non riuscisse a capire
perché diamine il suo comportamento riusciva a preservarlo delle seccature
degli altri, ma non da quelle della ragazzina.
Era una frustrazione del tutto comprensibile.
Alla fine, Lavi concluse che doveva essere semplicemente
feeling asiatico. Non c’era altra spiegazione.
Tutti sembravano tremendamente eccitati dalla sua entrata
nell’ordine.
Da quando l’aveva saputo, Lenalee non aveva smesso di sedersi al tavolo con
lui, ai pasti, raggiante e radiante gioia da tutti i pori. Non perdeva
occasioni di scusarsi – educatamente, con quel piccolo inchino che le faceva
ondeggiare i capelli scuri - per essere scoppiata a piangere in quel modo alle
sue domande. Si era già scusata otto volte, in poco più di un mese.
Jhonny, il tipo della Scientifica che si era premurato
ardentemente di confezionargli l’uniforme – con tanto di bandana, come piccolo
‘regalo di benvenuto’ – gli aveva spiegato che tutti erano contenti perché
l’entrata di un nuovo esorcista nell’Ordine significava sempre che Dio non li
aveva abbandonati.
Lavi si era voltato ad osservare il refettorio, battendo ciglio con quell’unico occhio verde smeraldo. Aveva spostato lo sguardo su Lenalee, che intercettò il suo sguardo e azzardò un sorriso dopo aver inghiottito il boccone.
Più in là, Yu – alla fine, non era riuscito ancora a
capire per bene come si chiamasse - sedeva da solo, mento poggiato
sul palmo della mano, sguardo distratto sul piatto di fronte a lui.
Aveva riportato lo sguardo su Jhonny, ed aveva sorriso con
entusiasmo. “Grazie.”
Non poté fare a meno di pensare che, un giorno, anche
tutte queste persone sarebbero state cancellate dalle pagine della storia.
oOoOoOoOo
“Kanda, è stato veramente… come dire, gentile, da
parte tua, ma guarda che avrei potuto occuparmene benissimo anche da sola. Sai,
essendo anch’io un’esorcista e tutto.”
Lo schioccare della lingua da parte del giapponese fu
un’indicazione di quanto il ragazzo fosse scettico sull’argomento.
Lenalee sembrò afferrare il concetto, perché sbuffò appena
contrita.
Se Lavi non ci avesse avuto a che fare fin troppe volte, avrebbe potuto pensare
che fosse arrabbiata.
Ma non lo era davvero.
Non lo era mai davvero.
“Alla fine, non mi fai fare mai nulla!” accusò, con un
velo di esasperazione “A questo punto mi chiedo a che pro mi mandino in
missione con voi due!”
“Me lo chiedo anch’io.” Fu la caustica risposta di Yu.
Lavi non poté fare a meno di soffocare una risatina, che
dissimulò in consecutivi colpi di tosse.
“Lavi!” lo rimproverò la ragazza, volto arrossato.
Rabbia? Imbarazzo? La seconda opzione era decisamente più probabile della
prima, conoscendola.
“Ma dai, Lenalee-chan! Non te la devi mica prendere!”
strascicò il rosso, poggiandole una mano sul capo. “Concedevo a Yu-chan la
soddisfazione di una risata, per una di quelle volte che riesce a tirar fuori
qualcosa di vagamente divertente!” Le scompigliò i capelli, ignorando del tutto
le proteste di lei circa l’acconciatura, per spostare lo sguardo su Yu. Sorriso
raggiante, fin troppo angelico, sul volto.
Gli sembrò di vedere una vena pulsare, distrattamente,
sulla tempia del ragazzo.
“Primo, ti ho già detto e ripetuto di non
chiamarmi Yu. Tantomeno… Yu-chan.” Sputò l’appellativo con la
stessa forza con cui si sputa una parolaccia. Il sopracciglio scuro tremava
leggermente sulla fronte. “Secondo, illuminami. Mi stai, per caso,
prendendo in giro?”
Lavi batté ciglio, ritratto dell’innocenza.
“Perché, sai, in quel caso sei morto.”
Aveva visto troppe minacce quasi vuote con
Mugen per prenderlo troppo sul serio. Ancora una volta Lavi sorrise,
quel sorriso un po’ sfacciato. “Esattamente cosa ti fa pensare che ti stia prendendo
in giro, Yu-chan?” domandò, tutt’uno zucchero, lasciando in pace i
capelli di Lenalee per andare all’attacco di quelli di Kanda.
I capelli di Kanda. Probabilmente era l’unico ad azzardare tanto, nell’Ordine.
Quando Lenalee sollevò il capo, cercando di sistemare le
ciocche alla meno peggio, fu accolta dalla visione dei due, impegnati in quella
che sembrava l’ombra di una piccola rissa.
“Daaaai, solo una treccia! Una treccia piccolina! Minuscola!”
“Dannazione, crepa! Crepa e lasciami in pace, bastardo!”
“Eddaiii!”
E, in fondo, Lenalee non riuscì a non sorridere.
(Tuttavia lo fece di nascosto in quanto sapeva che, se
Kanda l’avesse beccata, avrebbe potuto rimanere invischiata nella rissa anche
lei. E quelle, comunque, erano cose da maschi.)
[Lavi tornò dalla missione
stanco e fiero di sé.
Sto
facendo il bravo con gli esorcisti,
vecchio Panda.
Ed il vecchio Panda si limitò ad annuire e fare spallucce, con un borbottio d’assenso.]
oOoOoOoOo
“Yu-chan?” bussò ancora due volte alla porta, cautamente, senza ottenere alcuna risposta.
Arricciò appena il naso, incrociando le braccia al petto
vagamente indispettito. Ovvio che non avrebbe risposto.
Era decisamente risaputo che Yu Kanda non apriva mai la
porta della sua stanza a nessuno.
E Lavi non avrebbe dovuto neanche essere lì, a prescindere
da tutto.
Sbuffò, poggiando la schiena contro il muro di fronte alla
porta. L’aria annoiata tornò presto sul viso, prima che chiudesse l’occhio
verde con un velo di esasperazione.
D’altronde, era appena tornato all’Ordine dal suo viaggio
con Bookman. Era stanco. Come aveva fatto Lenalee a convincerlo ad andare a
vedere cosa non andasse con il giapponese?
Doveva essere stanco anche lui, se non si era presentato a
colazione. Forse era ancora nel suo letto – prospettiva che gli sembrò molto
allettante, a tal punto che pensò subito di andare ad imitarlo.
“E’ rimasto ferito ieri, in missione con il suo Maestro.
Il Generale Tiedoll. Daisya ha detto che era abbastanza grave, e che Kanda era
di cattivo umore.” Gli aveva detto Lenalee, nel refettorio, dondolandosi appena
sulla panca e giocherellando un po’ con il cibo nel piatto. “Non vorrei stesse
tenendo il broncio o si stesse deprimendo. Ha bisogno di mangiare dopo una
missione, e poi Jerry gli aveva già preparato la sua soba preferita, per
festeggiare il ritorno e tutto. Un pensiero davvero carino, se me lo chiedi, ma
sono preoccupata.” Quella stretta delle labbra, quella specie di smorfia che
Lavi aveva imparato a temere. Perché, ogni volta che compariva sul volto della
ragazza, significava che era in procinto di chiederti un favore – e di non
lasciarti andare finchè non otteneva una risposta affermativa. “Abbiamo
discusso molto, nell’ultimo periodo, sicuramente non vorrà starmi ad ascoltare.
Sei l’unico amico che ha, Lavi. Andresti a controllare tu?”
Sei l’unico amico che ha, Lavi.
Lavi concluse che, semplicemente, Yu-chan non aveva
affatto amici.
Sollevò lo sguardo del singolo occhio sulla porta, mordicchiando il labbro,
prima di sollevarsi in piedi e fare un ultimo tentativo.
“Yuu-chaaan?” bussò, una, due volte.
Una terza volta.
Una quarta.
Alla quinta, però, non trovò alcuna porta su cui bussare.
Bensì, la faccia di Yu che si affacciava dall’ombra completa della camera.
Occhiaie appena evidenti, occhi vagamente arrossati.
“Che vuoi? Mi stai dando ai nervi.” un sibilo che,
tuttavia, mancava del tutto del veleno di cui di solito era intriso.
Voce stanca, vagamente roca.
“Ero venuto a dirti ‘tadaima’. Bel ringraziamento,
Yu-chan.” Mugugnò Lavi, mettendo su un broncio particolarmente infantile ed
incrociando le mani dietro la nuca. “Vorrà dire che non ti porterò più souvenir
dai miei viaggi con il Panda.”
“Okaeri.” Fu la risposta appena sarcastica del
giapponese, che si limitò a crucciare le sopracciglia. “E non ho mai detto di
voler nulla di quelle cianfrusaglie.”
“Ma, ma mi ringrazi ogni volta, Yu-chan!”
“Chiamasi cortesia.”
A volte, Lavi detestava dal più profondo del cuore il
fatto che Yu avesse imparato l’inglese così dannatamente in fretta.
Sbuffò, lasciando scivolare per un attimo il sorriso,
stropicciandosi l’occhio – quasi volesse stropicciare via anche il sonno. Lo
sbadiglio gli rimase incastrato in gola.
“Se questo è tutto…”
Oh, no.
Prima doveva ricevere la promessa che non avrebbe tentato il suicidio entro i
prossimi tre giorni. Così, Lenalee avrebbe smesso di preoccuparsi su cose del
tutto inesistenti, e avrebbe potuto cominciare a preoccuparsi di cose più
urgenti.
“Stai bene, si?” domandò, poggiando la mano sulla porta,
quel tanto per far intendere a Yu che no – non aveva ancora finito.
“Certo. Okaeri.”
Tuttavia, la porta si chiuse comunque.
Lavi rimase qualche attimo lì, interdetto.
Tornando verso il refettorio, decise di rassicurare comunque Lenalee sul fatto
che Kanda aveva giurato di non avere alcun tentativo di andare all’altro mondo
nei programmi per il prossimo futuro.
Notò distrattamente che Kanda
non l’aveva ripreso neanche una volta per averlo chiamato Yu-chan.
oOoOoOoOo
Kanda e Lenalee erano ancora una volta in missione ma,
questa volta, senza di lui.
Soffocando uno sbadiglio – non che gli importasse davvero,
ripeté fra sé e sé – Lavi voltò la pagina del libro che teneva poggiato sulle
ginocchia. La stanza che condivideva con Bookman era più grande di quelle degli
altri esorcisti, ma – dopotutto - quelle degli altri esorcisti erano singole.
In quell’anno in cui erano entrati a far parte
dell’Ordine, fermandosi saltuariamente nella Torre – affettuosamente dagli
altri chiamata home, anche se Lavi non l’aveva mai chiamata così – la
loro stanza era diventata di poco più ordinata dell’ufficio del Supervisore. Lo
spazio non occupato dai letti era del tutto coperto da libri e fogli di carta
coperti di calligrafia fitta e quasi illeggibile. Cercando, era possibile
trovare boccette d’inchiostro e penne nei luoghi più impensabili. [ Ovvero,
dove capitava loro di lasciarli. Né Bookman né Lavi tenevano veramente
all’ordine – in più di un senso, pensandoci – ma riuscivano perfettamente ad
orientarsi nel loro disordine. In quello, erano molto simili.]
Il vecchio Panda non era più nella stanza, quando Lavi
ripose il libro da parte. Soffocò un altro sbadiglio, spostando lo sguardo
sulla finestra angusta, quasi del tutto coperta dai fogli e libri accatastati
sul davanzale.
Era notte. La luna brillava,
innocente, sul cielo nero pece.
Sbuffò, scendendo dal letto e
facendo slalom fra i libri verso la porta. Meglio riportare quello finito nella
Biblioteca e prenderne un altro. Non che avesse niente di meglio da fare (non
senza quei due fra i piedi, comunque).
Le fiaccole nei corridoi di
pietra donavano una luce un po’ instabile, ed il silenzio era interrotto
dall’occasionale russare dall’interno delle stanze e dal vento che soffiava lì,
a quell’altezza. Qualche mormorio quando su avvicinò al refettorio – l’unica
grande stanza da cui si poteva accedere pressoché a qualsiasi ala dell’Ordine.
Dei singulti, diligentemente
soffocati.
Dentro di sé, Lavi sbuffò,
affacciandosi quel tanto di necessario per sbirciare ciò che stava accadendo.
Incerto se proseguire per la passeggiata notturna o meno.
Chissà per quale motivo, non fu
stupito di vedere Lenalee seduta compita poco più in là, mani contratte nella
stoffa della gonna dell’uniforme, ben dritta, labbra strette in una linea
sottile. Quasi stesse cercando di evitare quelle lacrime, e stesse fallendo
miseramente.
“Non sono riuscita a salvarla.”
Un sussurro patetico, rivolto a
quella persona che, gentilmente, e asciugava il volto. Komui sospirò, scuotendo
il capo.
“Era una bambina, aveva perso
suo padre. Sua madre era tutto quel che le rimaneva, e credeva che quell’akuma
fosse sua madre. Non avresti potuto convincerla del contrario.”
“Ma non sono riuscita a
salvarla. Era lì, era davanti a me. Se solo… se solo avessi… ma non ci sono
riuscita. Io…”
Un singhiozzo più forte.
”Ssh…” quell’invito rassicurante, quelle rassicuranti braccia fraterne che
l’abbracciavano.
Quel viso sepolto nell’incavo
del collo del Supervisore, quei singhiozzi che esplosero in un pianto
incontrollato. “Non ne sono capace, io non ne sono capace… non ne sono in
grado, io… nonostante tutto… sono stata inutile, nii-san…”
“Va tutto bene, Lenalee. Va
tutto bene.”
Discretamente, Lavi se ne tornò
dietro l’angolo. Lieve disagio all’altezza dello stomaco, mani strette in due
pugni.
Deluso con sé stesso perché, per
un attimo, avrebbe voluto essere lui a cercare di consolarla.
Un istinto antico, svegliato da quella morsa al cuore – che non avrebbe dovuto
avere, comunque – e da quel groppo in gola.
Del tutto fuori luogo.
Non era una compagna, lei.
- Bookman non ha bisogno di
compagni, d’altronde -
E poi, se l’era cercata da sola.
Non avrebbe dovuto sentire affatto quel senso di colpa.
Scosse il capo, mordendo il
labbro e proseguendo per la sua strada verso la biblioteca.
Quella sera non tornò affatto
nella stanza di Bookman.
oOoOoOoOo
Il giorno dopo, Lenalee era radiosa – gli fece cenno,
tranquillamente, di sedersi con lei per la colazione. Come se, la sera prima,
fosse stato tutto un incubo. I capelli puliti e lucidi, il volto disteso.
“Sono tornata.” Cinguettò, piccolo sorriso sulle labbra di
bocciolo.
Lavi avrebbe tanto voluto dirle che i suoi singhiozzi
l’avevano tenuto sveglio tutta la notte, indirettamente. Tuttavia, il vecchio
Panda l’avrebbe probabilmente considerata una violazione alla regola d’oro
dell’ essere amichevoli con gli esorcisti. Per questo, rimase in
silenzio, occupando semplicemente il posto accanto a lei e poggiando il vassoio
sulla superficie massiccia del tavolo.
“Lavi?”
“Mh?” mugolio distratto, battito di ciglio.
“Stai bene?”
“Certo.”
Ebbe il buon senso di mettere da parte l’okaeri che
lottava per sfuggire dalle labbra, così come l’ineluttabile senso di dejà vu.
Il pensiero lo scosse appena, e si limitò a sollevare lo sguardo. “Scusami, credo
di avere un po’ sonno. Ho dormito uno schifo.” Mugugnò, enfatizzando il
commento con uno sbadiglio fin troppo plateale.
Lenalee si limitò a crucciare le sopracciglia. “Dovresti
andare a trovare Kanda.” Asserì solennemente, dopo qualche attimo di silenzio.
“Di nuovo?”
“E’ nell’infermeria. Ci ha quasi rimesso la vita, ieri.”
“C’è una missione in cui riesce a non ridursi uno schifo?”
fu il commento incredulo, spassionato di Lavi, mentre distrattamente
giocherellava con il cibo, spingendolo da una parte all’altra del piatto.
“… è che sta sempre in prima linea. Lo sai com’è. Non
pensa per niente. Verrebbe da giungere alla conclusione che sia semplicemente
stupido.”
“Forse lo è.” Concesse il rosso, facendo spallucce. Il
gesto attirò lo sguardo sbieco della ragazza, da cui il rosso non riuscì
assolutamente a sottrarsi.
“Non è una cosa carina da dire.” Soggiunse lei, dopo una
lieve pausa.
“Ma sei tu che l’hai insinuato, Lenalee-chan!”
Risposta cantilenata, ed il discorso cadde lì.
Lenalee pensò soltanto che, quella mattina, Lavi era
stranamente più cinico del solito.
oOoOoOoOo
Ma Kanda non era affatto in infermeria.
[ Per quale motivo Lavi ci fosse realmente andato, poi,
Lavi stesso non riusciva pienamente a comprendere. ]
Rimase lì, sulla porta della stanza angusta indicatagli
dal personale, battendo ciglio al letto sfatto. Alle lenzuola macchiate di
sangue. Al cuscino in disordine e alle coperte che, abbandonate, ricadevano sul
pavimento di pietra.
Mordicchiò il labbro – ormai, pareva un tic affermato e
confermato. Con la mente beatamente vuota – sicuramente c’era qualcos’altro a
guidare i suoi passi – voltò la schiena alla stanza e chiuse silenziosamente la
porta alle sue spalle.
[…]
Questa volta, la porta della stanza di Yu era socchiusa.
Questa scoperta lo spiazzò più del dovuto, tuttavia trovò
la presenza di spirito di darsi dell’idiota per essersi preoccupato a quel
modo. La stanchezza della notte prima, di quella notte insonne, tornò tutta in
quel momento.
Un sospiro abbandonò le labbra dell’allievo di Bookman, un sospiro che occupò
l’aria all’unisono con quell’unico colpo alla porta. “Yu-chan?”
Nessuna risposta.
Nuovo tentativo.
[ per quale motivo, poi. ]
“Yu?”
All’ennesimo silenzio, Lavi si azzardò ad aprire la porta.
La stanza era piccola ed in penombra, la luce mattutina filtrata dai vetri
opachi e lievemente scheggiati dell’alta finestra. Lì, in uno spiraglio dovuto
al vetro incrinato, in controluce un ragno tesseva indisturbato la sua
ragnatela.
Yu era seduto sul bordo del letto, il volto appena messo
in ombra dai capelli – per una volta – disordinati. I capelli di chi ha appena
smesso di dormire, di chi si è appena alzato.
Da quel poco che scorgeva, in penombra, sembrava la brutta
imitazione di una mummia. L’avrebbe volentieri preso in giro – il Lavi che
Kanda conosceva, l’avrebbe sicuramente fatto – tuttavia fu l’espressione sul
volto del giapponese a fermarlo.
Non era né annoiata, né assonnata, né irritata, né
arrabbiata, né frustrata, né concentrata, né esasperata.
Era semplicemente, puramente angosciata.
Era puramente angosciata, mentre guardava quella clessidra
piena d’acqua.
Mentre guardava quel fiore sospeso nell’acqua.
Mentre guardava quei due petali posati sul fondo.
“Yu?” tentò ancora Lavi, questa abbassando la voce ad un
solo, unico sussurro.
Quella volta, gli occhi a mandorla si spostarono su di
lui, con un sussulto dovuto all’esser stato colto di sprovvista. Per un attimo,
una secondo di debolezza, si sgranarono – troppo grandi per il viso minuto – e
le labbra si strinsero in una linea sottile. Troppo sottile.
Scostò lo sguardo, rimanendo in silenzio.
Non l’aveva cacciato.
Sei il suo unico amico, Lavi.
[ E’ una responsabilità troppo grande. Non mi serve.]
Prese la mancanza di insulti come un invito ad entrare, e socchiuse la porta. Kanda deglutì appena, quasi a rimetter su quell’atteggiamento che era riuscito a salvarlo dai contatti con il resto dell’Ordine.
Con il resto del mondo.
“Non sono esattamente dell’umore adatto.” Fu lo
stranamente patetico commento con cui, alla fine, esordì il giapponese.
Lavi non poté fare a meno di soffocare un suono divertito.
“Non sei mai dell’umore adatto.”
E Kanda non trovò nulla da ribattere, prendendo invece a
tormentare quel po’ di lenzuola tra le mani. Attorcigliando e piegando,
spiegando e stendendo. Ripetere dal passo uno.
“Dovresti essere in infermeria.” Commentò distrattamente
Lavi, facendo spallucce ed avvicinandosi al letto.
“Lenalee colpisce ancora.”
Tuttavia, nonostante le parole, il tono non era affatto il
tono caustico che Lavi si sarebbe aspettato da un commento del genere.
“Io te l’ho detto, Yu-chan. Le ragazze sono spaventose.”
Al silenzio che seguì, Lavi prese mentalmente nota che,
ancora una volta, Yu non l’aveva rimproverato per aver usato il suo nome di
battesimo con tanto di diminutivo. Doveva sentirsi o molto stanco, o poco in
forma.
Senza chiedere il permesso – non l’avrebbe ottenuto
comunque – Lavi si lasciò cadere seduto sul letto accanto all’altro ragazzo,
rimbalzando appena sul materasso. Gli occhi a mandorla erano, ancora una volta,
posati sull’innocua clessidra poco lontana. Le mani stringevano compulsivamente
le coperte.
“Non stai bene, Yu.”
No che non stava bene. Puzzava di paura da lontano un
miglio. Sembrava stesse aspettando qualcosa, Yu, sembrava ossessivamente
aspettare qualcosa mentre guarda fisso quel fiore rosato, sospeso nel tempo.
Lavi lo vide deglutire. Due, tre volte. Ad intervalli
regolari.
Sì, stava decisamente aspettando.
Spostò anche lui la sua attenzione su quello strano
monile, quasi s’aspettasse di vederlo esplodere da un momento all’altro.
Attese, anche lui. Tuttavia, una volta appurato che non sarebbe successo nulla
di veramente devastante, schiuse di nuovo le labbra. “Lenalee ti farà una testa
di quelle mai viste. Stai sanguinando ancora. Ti rendi vagamente conto di co…”
Un petalo, silenzioso, aveva abbandonato la corolla del
fiore.
Silenzioso, era fluttuato verso il basso.
Silenzioso, si era unito agli altri due.
Un suono, dignitosamente contenuto, sfuggì dalle labbra
del giapponese. E, quando Lavi lo guardò per capire il motivo di
quell’espressione, il cuore che non avrebbe dovuto avere gli si strinse in una
morsa.
E pensò che non aveva mai visto Yu essere così vicino al
pianto.
Mai.
Ed ancora una volta la stretta al cuore del giorno prima.
Ancora una volta, quella sensazione di disagio.
Sollevò appena una mano, un movimento incerto ed alieno.
Ancora una volta, l’istinto di confortare. L’istinto di consolare. Ma come?
Non aveva mai provato.
Non l’aveva mai fatto.
La voce di Yu, quando abbandonò le labbra, suonava quasi
frammentata dal dolore privato, contenuto.
“Non mi metterò a piangere come Lenalee, Lavi. Se… se è
questo che aspetti.” Fu il commento, disperatamente sussurrato. E, a quel punto,
Lavi non potè fare a meno di sorridere.
Davvero.
“Lo so.” Rispose, stringendo le labbra. “Lo so.”
[ Nel
corso di questo tempo che è passato…
… quand’è
stato, che i miei sorrisi finti sono diventati sinceri?
Quand’è che ho superato quella linea fra finzione e realtà?]
oOoOoOoOo
[
…Bookman non avrà bisogno di un cuore, vecchio panda.
Ma io, evidentemente, sì. ]
A/N: innanzitutto, ringraziamento a Ross. L’amora mia
che, quasi fosse un rituale portafortuna, mi aiuta sempre nel mettere in forma
l’ultima frase. Per la curiosità di chi legge, comunque, prima era così: “Ma,
evidentemente, io sì.”
Non è uguale! Guardate la virgola! è_è””
Metà scritta un mese fa, l’altra metà scritta fra ieri e
oggi. Più oggi che ieri. L’ispirazione è tornata, Deo Gratias!
A chi interessa, comunque, togliendo le note, sono
esattamente nove pagine di ff. Nove pagine per una oneshot! Urgh. Penso di aver
appena battuto il mio record.
Personalmente,
detesto Lenalee. Tuttavia, ha una tale importanza nel manga, che non potevo
ignorarla. Un po’ come Sakura di Naruto. Non la puoi semplicemente ignorare,
come non esistesse ._.”
Lenalee… piange, quindi penso sia IC >_>” Almeno, la
mia amora dice così ù_ù Ti amo, bastone della mia vecchiaia. (L)
Ah, si. "Tadaima" significa "sono a casa" in giapponese. Volutamente usato da Lavi data la nazionalità di Yu. "Okaeri" significa "Bentornato a casa."