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Autore: Kodamy    17/07/2007    9 recensioni
Bookman non ha bisogno di un cuore.
[Ma ce l’ha.
Tutti gli esseri umani hanno un cuore, purtroppo.
Il tuo cuore farà bene ad essere di ghiaccio e pietra, moccioso.]
...Quand'è che ho superato quella linea tra finzione e realtà?
[Ovviamente, Lavi-centric.]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lenalee Lee, Rabi/Lavi, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ad occhio e croce, le bare disposte ordinatamente in fila dovevano essere almeno cento

A/N: grandi spoiler per il capitolo 119. >_>

 

 Il primo paragrafo è una scena parafrasata di suddetto capitolo 119. ^^

 


 

 

But I do.

 

Bookman non ha bisogno di un cuore.

 

[Ma ce l’ha.
Tutti gli esseri umani hanno un cuore, purtroppo.

Il tuo cuore farà bene ad essere di ghiaccio e pietra, moccioso.]

 

 

oOoOoOoOo

 

 

 

Ad occhio e croce, le bare disposte ordinatamente in fila dovevano essere almeno cento.

Lavi pensò che non era affatto la migliore delle accoglienze che l’Ordine oscuro potesse riservare a Bookman, ma ebbe il buonsenso di tenere quest’osservazione per sé, lasciando scorrere lo sguardo sulla scena più in basso, scostando una ciocca di capelli rossi dal campo visivo.
Erano disposte tutte in fila, le bare, con una cura maniacale che a lui sembrò del tutto superflua: erano sistemate mantenendo la medesima distanza l’una dall’altra – cosa che sicuramente rendeva il tutto più comodo per la folla che riempiva quegli spazi, ma che a conti fatti rendeva la scena semplicemente sbagliata.


Un catalogo di morti, niente di più.


Macchie di inchiostro cancellate dall’inesorabile scorrere della storia.

 

Nulla di nuovo, insomma.

 

L’odore pungente di disinfettante ed antisettico gli riempiva le narici e la mente, causando quel fastidioso pulsare che premeva contro le tempie.

Una donna con una divisa bianca – il cui braccio aveva lasciato spazio ad un moncherino sanguinante - piangeva su una bara, una semplice scatola di legno con su incisa una croce stilizzata.
I suoi capelli biondi scendevano, discreti, a nascondere quel dolore privato.
Più in là, un colosso con la stessa divisa della donna si poggiava su una stampella, e nascondeva il viso nella manica sporca di terra, senza riuscire a nascondere i singhiozzi che, da soli, riuscivano a farlo tremare. Era uno spettacolo triste, vedere un uomo così imponente tremare a quel modo.

Accanto a lui, una ragazzina asiatica, sicuramente più piccola di lui, era accasciata accanto alla sua flebo. Garze che sembravano tenerla su alla meno peggio, come una bambola di porcellana infranta ormai troppe volte per ritornare come prima. Pateticamente, piangeva e tremava.
Al perimetro del campo di bare, un ragazzino dai lunghi capelli neri, disordinati, veniva controvoglia medicato da un infermiera dall’aria materna. Gli occhi a mandorla guardavano fisso davanti a sé: il suo volto rifletteva la stessa espressione apatica che Lavi sapeva di indossare ormai troppo spesso.

Nulla mi tocca.

Nulla.

 

Erano centinaia anche i vivi, lì in basso. Dalle scalinate, poteva vederli ad uno ad uno con quell’occhio verde che mostrava al mondo.
Tanti nomi riuniti lì dallo stesso destino, riuniti lì per scrivere la stessa storia: tante macchie di inchiostro, disposte diligentemente in fila come soldati giocattolo.

Disposte in fila come vittime in attesa di quel proiettile che le avrebbe fatte (finalmente) cadere.
 
“… è una battaglia persa, non è vero?” mormorò a nessuno.
E, come prevedibile, nessuno gli rispose.

 

oOoOoOoOo

 

 

 

“Devi cercare di essere cordiale e amichevole con gli esorcisti, Lavi.”


Bookman glielo aveva ripetuto così tante volte, che ormai sentiva un’ondata di nausea investirlo ogni volta che quel discorso veniva riportato a galla. Annuiva, soffocando sbadigli e mezzi borbottii che lottavano per farsi strada e sfuggire da quelle labbra.
Aveva preso – per ripicca – l’abitudine di batterlo sul tempo in quelle raccomandazioni.

 

“Andiamo a fare i bravi con gli esorcisti, ne, vecchio Panda?”

 

In quei casi, Bookman non rispondeva, ma si limitava a sospirare e guardarlo dal basso, con quell’aria severa che Lavi si faceva sempre scivolare addosso come acqua.

Comunque, l’Ordine non gli piaceva per niente, ma forse era a causa della semplice atmosfera lugubre che seguiva inesorabilmente ogni guerra. Dopo quattro giorni dal suo arrivo, gli capitava di vedere ancora qualcuno guardare nel vuoto, a pranzo. Qualcuno piangeva ancora.
Aveva provato a fare domande in giro su quel che era successo – una sorta di compito a casa che il vecchio Panda gli aveva assegnato come esercizio – ma non aveva ancora ottenuto risposta, nonostante fosse stato cordiale, amichevole e tutto.

Cominciava ad sentirsi leggermente frustrato.

“Ovunque andiamo, ci sono sempre battaglie, battaglie, battaglie! Guarda che l’ho capito, che gli uomini sono stupidi!”


Non aveva certo bisogno di andare a chiederlo a qualcuno.

“Se non riesci a fare una cosa del genere, come pretendi di poter diventare il mio successore, moccioso?”

Ma avrebbe dovuto stare a contatto con la gente.
Avrebbe dovuto davvero.

Di nascosto - quando decideva di essersi annoiato abbastanza - sgattaiolava nella biblioteca dell’Ordine, da cui era rimasto affascinato sin dal primo giorno. Migliaia su migliaia di libri, la polvere che li ricopriva, l’odore di vecchio ed il silenzio quasi rispettoso che tutto quel sapere inspirava in chiunque camminasse fra quegli scaffali.

Scorreva l’indice sui titoli, cercando qualcosa di nuovo che non avesse ancora letto e conosciuto.
Quando lo trovava, il viso gli si illuminava di uno di quei pochi sorrisi veri che si concedeva.

Quattro giorni dopo il suo arrivo, incontrò nella biblioteca quel ragazzino malridotto e medicato alla meno peggio che aveva visto in quel campo di bare: era seduto ben dritto ad uno dei lunghi tavoli di legno massiccio, rovinati dalle tarme.

I capelli scuri diligentemente legati in un corto codino sulla nuca, puliti. Il viso senza quel taglio che lo aveva rovinato qualche giorno prima. Le sopracciglia crucciate in concentrazione, mentre quegli occhi scorrevano vacui sul testo che aveva davanti.

Sembrava perfettamente in salute, sebbene quattro giorni prima avesse avuto una cera orribile.

Era rimasto lì, con il libro in mano, ed aveva chinato appena il capo d’un lato, prima di poggiarlo sulla stessa superficie di legno, con un piccolo tonfo. L’asiatico l’aveva guardato, con uno sguardo seccato.
Lavi aveva sorriso, quel sorriso un po’ beota che tanto ispirava simpatia nella gente che lo circondava.
Lo sguardo torvo del ragazzino non cambiò affatto.

“Sei guarito in fretta, ne?” aveva cantilenato Lavi, poggiando il mento sul palmo della mano, tentando l’approccio più semplice, nell’ulteriore tentativo di svolgere quel compito a casa.
Per un attimo, l’altro aveva battuto ciglio, con quell’espressione irritata, prima di riportare controvoglia l’attenzione sul libro. “Non ti conosco.” Replicò, dopo qualche attimo di silenzio, pronuncia incerta che strascicava sulle parole, inciampando sull’ultima sillaba.

 
Lavi sbuffò, riportando l’attenzione sul libro che lui stesso aveva scelto. Tamburellò le dita sul tavolo, arricciando appena il naso. Per un attimo, quel sorriso beota scomparve, ben nascosto dalla mano che reggeva il viso.

Il ragazzino asiatico, più in là, aveva cominciato a borbottare qualcosa, probabilmente leggendo fra sé e sé, senza staccare lo sguardo dalla pagina.

Lavi pensò che doveva essere tremendamente seccante, dover vivere in un paese con una lingua talmente diversa dalla propria.

 

“Beh, sono Lavi.” Spiegò, facendo spallucce. “Allievo di Bookman. Piacere!”

“A me non interessa.”

 

Non aveva neanche alzato lo sguardo dal libro, e sembrava essere davvero di cattivo umore.
Irritante.
Riprese a tamburellare distrattamente le dita, continuando a guardarlo con la coda dell’occhio.
Dopo qualche minuto, fu il ragazzino a sollevare lo sguardo crucciato. “Basta.”

 

“Neee, dovresti essere più amichevole.” Strascicò l’allievo di Bookman, mezzo sorriso sulle labbra. “E’ la compagnia, che ti salva in periodi come questi. Non è così che dicono?”

 

Lo sguardo che ottenne come risposta, gli fece intuire che la risposta era no.

 

“… studi inglese? Mi sembra tu sia in grado di parlarlo già discretamente.”

“Che vuoi?”

 

Lavi sospirò, e fu un sospiro rassegnato. “Uh, ecco, colpito nel segno.” Sforzò una risata frammentata, poggiando entrambi i gomiti sul banco “Mi piacerebbe sapere cos’è successo cinque giorni fa, sai? Il motivo per tutte quelle bare messe in mostra, così. A meno che non sia un’usanza…”

 

Le labbra dell’altro si strinsero in un gesto di stizza, e per qualche attimo seguì solo silenzio. Lavi ebbe paura, per un attimo, che si sarebbe messo a piangere anche lui – come aveva fatto l’altra ragazzina asiatica a cui aveva tentato di porre quella domanda, in infermeria. Ma il volto del ragazzino rimase impassibile, se non un po’ seccato e concentrato, quasi a scavare nel suo vocabolario straniero, quasi il solo dover articolare la risposta lo seccasse più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Ma tutto lì.

Niente occhi lucidi, niente voce tremante.

“Gli akuma.” Rispose infine, facendo spallucce e tornando a portare attenzione al libro.

 

“Illuminante.” Mugolò Lavi, distrattamente. “L’Ordine è stato attaccato, allora?”

 

“Mh.”

 

“Perché?”

 

L’altro riportò lo sguardo esasperato su di lui, incredulo e leggermente frustrato. “… avevano inseguito alla squadra di Finders da un villaggio qui vicino. Ora, se non ti annoia, studio.”

 

“… avevano inseguito la squadra.” Lo corresse automaticamente Lavi, sorriso sornione sulle labbra, guadagnandosi un’occhiata decisamente storta. Non ci fece caso.

 

Allora, i Finders sapevano qualcosa di più. Erano ancora vivi, quei Finders? Significava fare altre ricerche, e la cosa lo indisponeva un po’ – ma era pur sempre un punto di partenza, decisamente più utile dei singhiozzi ottenuti dalla ragazzina.

 

“Ah, farò meglio ad andare.” Sbottò, alzandosi facendo perno su entrambe le mani.

 

“Lo penso anche io.”

 

Lavi ridacchiò ancora una volta, stiracchiandosi sul posto. “Com’è che ti chiami?”

 

“Kanda Yu.” Concesse il ragazzino, più per il desiderio d’essere lasciato in pace, che per vera e propria voglia di rispondere. Tuttavia, dopo qualche attimo, s’acciglio, prima di ripetere. “Yu Kanda.”

 

“… avevo sentito la prima volta.” Mormorò Lavi, battendo ciglio. Fu colpito ancora una volta da quello sguardo truce.

“L’ordine, no?”

 

“… che c’entra l’Ordine?”

“L’ordine del nome, baka!

 

Annotò mentalmente che non aveva molta pazienza, nonostante non sapesse esprimersi soddisfacentemente.

 

“Quindi? Qual è il tuo nome, scusa?”

 

“Yu. Yu Kanda.”

 

“… non so se fosse il tuo obiettivo, ma mi stai facendo venire davvero mal di testa.”

 

E per un attimo, gli sembrò di vedere un sorriso pienamente soddisfatto sulle labbra del ragazzino.

 

 

oOoOoOoOo

 

 

La ragazzina asiatica che aveva pianto si chiamava Lenalee, venne a sapere Lavi. Venne anche a sapere che si trattava della sorella del Supervisore, Komui Lee, e che Komui Lee era una persona veramente, veramente inquietante.
Quando si arrabbiava.

 

Si arrabbiava di rado, tuttavia, ma sempre in difesa – strenua, continua, esagerata – della sorellina.

 

Quando non era occupata a piangere, Lenalee Lee era una ragazzina che sorrideva sempre ed era amichevole con tutti nell’Ordine. Distrattamente, Lavi considerò che questa era una cosa davvero ammirabile, perché riusciva ad essere amichevole anche con il ragazzino torvo della biblioteca.

 

Davanti a lei, lui non aveva quell’aria imbronciata e truce, bensì una di esasperata frustrazione. Quasi non riuscisse a capire perché diamine il suo comportamento riusciva a preservarlo delle seccature degli altri, ma non da quelle della ragazzina.
Era una frustrazione del tutto comprensibile.

 

Alla fine, Lavi concluse che doveva essere semplicemente feeling asiatico. Non c’era altra spiegazione.

 

Tutti sembravano tremendamente eccitati dalla sua entrata nell’ordine.
Da quando l’aveva saputo, Lenalee non aveva smesso di sedersi al tavolo con lui, ai pasti, raggiante e radiante gioia da tutti i pori. Non perdeva occasioni di scusarsi – educatamente, con quel piccolo inchino che le faceva ondeggiare i capelli scuri - per essere scoppiata a piangere in quel modo alle sue domande. Si era già scusata otto volte, in poco più di un mese.

 

Jhonny, il tipo della Scientifica che si era premurato ardentemente di confezionargli l’uniforme – con tanto di bandana, come piccolo ‘regalo di benvenuto’ – gli aveva spiegato che tutti erano contenti perché l’entrata di un nuovo esorcista nell’Ordine significava sempre che Dio non li aveva abbandonati.

 

Lavi si era voltato ad osservare il refettorio, battendo ciglio con quell’unico occhio verde smeraldo. Aveva spostato lo sguardo su Lenalee, che intercettò il suo sguardo e azzardò un sorriso dopo aver inghiottito il boccone.

 

Più in là, Yu – alla fine, non era riuscito ancora a capire per bene come si chiamasse - sedeva da solo, mento poggiato sul palmo della mano, sguardo distratto sul piatto di fronte a lui.

 

Aveva riportato lo sguardo su Jhonny, ed aveva sorriso con entusiasmo. “Grazie.”

 

Non poté fare a meno di pensare che, un giorno, anche tutte queste persone sarebbero state cancellate dalle pagine della storia.

 

 

oOoOoOoOo

 

 

“Kanda, è stato veramente… come dire, gentile, da parte tua, ma guarda che avrei potuto occuparmene benissimo anche da sola. Sai, essendo anch’io un’esorcista e tutto.”

 

Lo schioccare della lingua da parte del giapponese fu un’indicazione di quanto il ragazzo fosse scettico sull’argomento.

 

Lenalee sembrò afferrare il concetto, perché sbuffò appena contrita.
Se Lavi non ci avesse avuto a che fare fin troppe volte, avrebbe potuto pensare che fosse arrabbiata.

 

Ma non lo era davvero.

Non lo era mai davvero.

 

“Alla fine, non mi fai fare mai nulla!” accusò, con un velo di esasperazione “A questo punto mi chiedo a che pro mi mandino in missione con voi due!”

 

“Me lo chiedo anch’io.” Fu la caustica risposta di Yu.

 

Lavi non poté fare a meno di soffocare una risatina, che dissimulò in consecutivi colpi di tosse.

 

“Lavi!” lo rimproverò la ragazza, volto arrossato.
Rabbia? Imbarazzo? La seconda opzione era decisamente più probabile della prima, conoscendola.

 

“Ma dai, Lenalee-chan! Non te la devi mica prendere!” strascicò il rosso, poggiandole una mano sul capo. “Concedevo a Yu-chan la soddisfazione di una risata, per una di quelle volte che riesce a tirar fuori qualcosa di vagamente divertente!” Le scompigliò i capelli, ignorando del tutto le proteste di lei circa l’acconciatura, per spostare lo sguardo su Yu. Sorriso raggiante, fin troppo angelico, sul volto.

 

Gli sembrò di vedere una vena pulsare, distrattamente, sulla tempia del ragazzo.

 

Primo, ti ho già detto e ripetuto di non chiamarmi Yu. Tantomeno… Yu-chan.” Sputò l’appellativo con la stessa forza con cui si sputa una parolaccia. Il sopracciglio scuro tremava leggermente sulla fronte. “Secondo, illuminami. Mi stai, per caso, prendendo in giro?”

 

Lavi batté ciglio, ritratto dell’innocenza.

 

“Perché, sai, in quel caso sei morto.”

 

Aveva visto troppe minacce quasi vuote con Mugen per prenderlo troppo sul serio. Ancora una volta Lavi sorrise, quel sorriso un po’ sfacciato. “Esattamente cosa ti fa pensare che ti stia prendendo in giro, Yu-chan?” domandò, tutt’uno zucchero, lasciando in pace i capelli di Lenalee per andare all’attacco di quelli di Kanda.

 

I capelli di Kanda. Probabilmente era l’unico ad azzardare tanto, nell’Ordine.

 

Quando Lenalee sollevò il capo, cercando di sistemare le ciocche alla meno peggio, fu accolta dalla visione dei due, impegnati in quella che sembrava l’ombra di una piccola rissa.

 

“Daaaai, solo una treccia! Una treccia piccolina! Minuscola!”

“Dannazione, crepa! Crepa e lasciami in pace, bastardo!”

“Eddaiii!”

 

E, in fondo, Lenalee non riuscì a non sorridere.

(Tuttavia lo fece di nascosto in quanto sapeva che, se Kanda l’avesse beccata, avrebbe potuto rimanere invischiata nella rissa anche lei. E quelle, comunque, erano cose da maschi.)

 

[Lavi tornò dalla missione stanco e fiero di sé.

 

Sto facendo il bravo con  gli esorcisti, vecchio Panda.

 

Ed il vecchio Panda si limitò ad annuire e fare spallucce, con un borbottio d’assenso.]

 

 

 

oOoOoOoOo

 

 

“Yu-chan?” bussò ancora due volte alla porta, cautamente, senza ottenere alcuna risposta.

 

Arricciò appena il naso, incrociando le braccia al petto vagamente indispettito. Ovvio che non avrebbe risposto.

Era decisamente risaputo che Yu Kanda non apriva mai la porta della sua stanza a nessuno.

 

E Lavi non avrebbe dovuto neanche essere lì, a prescindere da tutto.

 

Sbuffò, poggiando la schiena contro il muro di fronte alla porta. L’aria annoiata tornò presto sul viso, prima che chiudesse l’occhio verde con un velo di esasperazione.

D’altronde, era appena tornato all’Ordine dal suo viaggio con Bookman. Era stanco. Come aveva fatto Lenalee a convincerlo ad andare a vedere cosa non andasse con il giapponese?

 

Doveva essere stanco anche lui, se non si era presentato a colazione. Forse era ancora nel suo letto – prospettiva che gli sembrò molto allettante, a tal punto che pensò subito di andare ad imitarlo.

 

“E’ rimasto ferito ieri, in missione con il suo Maestro. Il Generale Tiedoll. Daisya ha detto che era abbastanza grave, e che Kanda era di cattivo umore.” Gli aveva detto Lenalee, nel refettorio, dondolandosi appena sulla panca e giocherellando un po’ con il cibo nel piatto. “Non vorrei stesse tenendo il broncio o si stesse deprimendo. Ha bisogno di mangiare dopo una missione, e poi Jerry gli aveva già preparato la sua soba preferita, per festeggiare il ritorno e tutto. Un pensiero davvero carino, se me lo chiedi, ma sono preoccupata.” Quella stretta delle labbra, quella specie di smorfia che Lavi aveva imparato a temere. Perché, ogni volta che compariva sul volto della ragazza, significava che era in procinto di chiederti un favore – e di non lasciarti andare finchè non otteneva una risposta affermativa. “Abbiamo discusso molto, nell’ultimo periodo, sicuramente non vorrà starmi ad ascoltare. Sei l’unico amico che ha, Lavi. Andresti a controllare tu?”

 

Sei l’unico amico che ha, Lavi.

 

Lavi concluse che, semplicemente, Yu-chan non aveva affatto amici.

Sollevò lo sguardo del singolo occhio sulla porta, mordicchiando il labbro, prima di sollevarsi in piedi e fare un ultimo tentativo.

 

“Yuu-chaaan?” bussò, una, due volte.

Una terza volta.

Una quarta.

Alla quinta, però, non trovò alcuna porta su cui bussare. Bensì, la faccia di Yu che si affacciava dall’ombra completa della camera. Occhiaie appena evidenti, occhi vagamente arrossati.

 

“Che vuoi? Mi stai dando ai nervi.” un sibilo che, tuttavia, mancava del tutto del veleno di cui di solito era intriso.

 

Voce stanca, vagamente roca.

 

“Ero venuto a dirti ‘tadaima’. Bel ringraziamento, Yu-chan.” Mugugnò Lavi, mettendo su un broncio particolarmente infantile ed incrociando le mani dietro la nuca. “Vorrà dire che non ti porterò più souvenir dai miei viaggi con il Panda.”

 

Okaeri.” Fu la risposta appena sarcastica del giapponese, che si limitò a crucciare le sopracciglia. “E non ho mai detto di voler nulla di quelle cianfrusaglie.”

 

“Ma, ma mi ringrazi ogni volta, Yu-chan!”

 

“Chiamasi cortesia.”

 

A volte, Lavi detestava dal più profondo del cuore il fatto che Yu avesse imparato l’inglese così dannatamente in fretta.

Sbuffò, lasciando scivolare per un attimo il sorriso, stropicciandosi l’occhio – quasi volesse stropicciare via anche il sonno. Lo sbadiglio gli rimase incastrato in gola.

 

“Se questo è tutto…”

 

Oh, no.

Prima doveva ricevere la promessa che non avrebbe tentato il suicidio entro i prossimi tre giorni. Così, Lenalee avrebbe smesso di preoccuparsi su cose del tutto inesistenti, e avrebbe potuto cominciare a preoccuparsi di cose più urgenti.

 

“Stai bene, si?” domandò, poggiando la mano sulla porta, quel tanto per far intendere a Yu che no – non aveva ancora finito.

 

“Certo. Okaeri.”

 

Tuttavia, la porta si chiuse comunque.

 

Lavi rimase qualche attimo lì, interdetto.

Tornando verso il refettorio, decise di rassicurare comunque Lenalee sul fatto che Kanda aveva giurato di non avere alcun tentativo di andare all’altro mondo nei programmi per il prossimo futuro.

 

Notò distrattamente che Kanda non l’aveva ripreso neanche una volta per averlo chiamato Yu-chan.

 

 

oOoOoOoOo

 

 

Kanda e Lenalee erano ancora una volta in missione ma, questa volta, senza di lui.

 

Soffocando uno sbadiglio – non che gli importasse davvero, ripeté fra sé e sé – Lavi voltò la pagina del libro che teneva poggiato sulle ginocchia. La stanza che condivideva con Bookman era più grande di quelle degli altri esorcisti, ma – dopotutto - quelle degli altri esorcisti erano singole.

 

In quell’anno in cui erano entrati a far parte dell’Ordine, fermandosi saltuariamente nella Torre – affettuosamente dagli altri chiamata home, anche se Lavi non l’aveva mai chiamata così – la loro stanza era diventata di poco più ordinata dell’ufficio del Supervisore. Lo spazio non occupato dai letti era del tutto coperto da libri e fogli di carta coperti di calligrafia fitta e quasi illeggibile. Cercando, era possibile trovare boccette d’inchiostro e penne nei luoghi più impensabili. [ Ovvero, dove capitava loro di lasciarli. Né Bookman né Lavi tenevano veramente all’ordine – in più di un senso, pensandoci – ma riuscivano perfettamente ad orientarsi nel loro disordine. In quello, erano molto simili.]

 

Il vecchio Panda non era più nella stanza, quando Lavi ripose il libro da parte. Soffocò un altro sbadiglio, spostando lo sguardo sulla finestra angusta, quasi del tutto coperta dai fogli e libri accatastati sul davanzale.

 

Era notte. La luna brillava, innocente, sul cielo nero pece.   

 

Sbuffò, scendendo dal letto e facendo slalom fra i libri verso la porta. Meglio riportare quello finito nella Biblioteca e prenderne un altro. Non che avesse niente di meglio da fare (non senza quei due fra i piedi, comunque).

 

Le fiaccole nei corridoi di pietra donavano una luce un po’ instabile, ed il silenzio era interrotto dall’occasionale russare dall’interno delle stanze e dal vento che soffiava lì, a quell’altezza. Qualche mormorio quando su avvicinò al refettorio – l’unica grande stanza da cui si poteva accedere pressoché a qualsiasi ala dell’Ordine.

 

Dei singulti, diligentemente soffocati.

 

Dentro di sé, Lavi sbuffò, affacciandosi quel tanto di necessario per sbirciare ciò che stava accadendo. Incerto se proseguire per la passeggiata notturna o meno.

 

Chissà per quale motivo, non fu stupito di vedere Lenalee seduta compita poco più in là, mani contratte nella stoffa della gonna dell’uniforme, ben dritta, labbra strette in una linea sottile. Quasi stesse cercando di evitare quelle lacrime, e stesse fallendo miseramente.

 

“Non sono riuscita a salvarla.”

 

Un sussurro patetico, rivolto a quella persona che, gentilmente, e asciugava il volto. Komui sospirò, scuotendo il capo.

“Era una bambina, aveva perso suo padre. Sua madre era tutto quel che le rimaneva, e credeva che quell’akuma fosse sua madre. Non avresti potuto convincerla del contrario.”

 

“Ma non sono riuscita a salvarla. Era lì, era davanti a me. Se solo… se solo avessi… ma non ci sono riuscita. Io…”

 

Un singhiozzo più forte.

”Ssh…” quell’invito rassicurante, quelle rassicuranti braccia fraterne che l’abbracciavano.

 

Quel viso sepolto nell’incavo del collo del Supervisore, quei singhiozzi che esplosero in un pianto incontrollato. “Non ne sono capace, io non ne sono capace… non ne sono in grado, io… nonostante tutto… sono stata inutile, nii-san…”

“Va tutto bene, Lenalee. Va tutto bene.”

 

Discretamente, Lavi se ne tornò dietro l’angolo. Lieve disagio all’altezza dello stomaco, mani strette in due pugni.

Deluso con sé stesso perché, per un attimo, avrebbe voluto essere lui a cercare di consolarla.
Un istinto antico, svegliato da quella morsa al cuore – che non avrebbe dovuto avere, comunque – e da quel groppo in gola.

Del tutto fuori luogo.
Non era una compagna, lei.

 

- Bookman non ha bisogno di compagni, d’altronde -

 

E poi, se l’era cercata da sola. Non avrebbe dovuto sentire affatto quel senso di colpa.

 

Scosse il capo, mordendo il labbro e proseguendo per la sua strada verso la biblioteca.

Quella sera non tornò affatto nella stanza di Bookman.

 

 

 

oOoOoOoOo

 

 

Il giorno dopo, Lenalee era radiosa – gli fece cenno, tranquillamente, di sedersi con lei per la colazione. Come se, la sera prima, fosse stato tutto un incubo. I capelli puliti e lucidi, il volto disteso.

 

“Sono tornata.” Cinguettò, piccolo sorriso sulle labbra di bocciolo.

 

Lavi avrebbe tanto voluto dirle che i suoi singhiozzi l’avevano tenuto sveglio tutta la notte, indirettamente. Tuttavia, il vecchio Panda l’avrebbe probabilmente considerata una violazione alla regola d’oro dell’ essere amichevoli con gli esorcisti. Per questo, rimase in silenzio, occupando semplicemente il posto accanto a lei e poggiando il vassoio sulla superficie massiccia del tavolo.

 

“Lavi?”

 

“Mh?” mugolio distratto, battito di ciglio.

 

“Stai bene?”

 

“Certo.”

 

Ebbe il buon senso di mettere da parte l’okaeri che lottava per sfuggire dalle labbra, così come l’ineluttabile senso di dejà vu. Il pensiero lo scosse appena, e si limitò a sollevare lo sguardo. “Scusami, credo di avere un po’ sonno. Ho dormito uno schifo.” Mugugnò, enfatizzando il commento con uno sbadiglio fin troppo plateale.

 

Lenalee si limitò a crucciare le sopracciglia. “Dovresti andare a trovare Kanda.” Asserì solennemente, dopo qualche attimo di silenzio.

 

“Di nuovo?”

 

“E’ nell’infermeria. Ci ha quasi rimesso la vita, ieri.”

 

“C’è una missione in cui riesce a non ridursi uno schifo?” fu il commento incredulo, spassionato di Lavi, mentre distrattamente giocherellava con il cibo, spingendolo da una parte all’altra del piatto.

 

“… è che sta sempre in prima linea. Lo sai com’è. Non pensa per niente. Verrebbe da giungere alla conclusione che sia semplicemente stupido.”

 

“Forse lo è.” Concesse il rosso, facendo spallucce. Il gesto attirò lo sguardo sbieco della ragazza, da cui il rosso non riuscì assolutamente a sottrarsi.

 

“Non è una cosa carina da dire.” Soggiunse lei, dopo una lieve pausa.

 

“Ma sei tu che l’hai insinuato, Lenalee-chan!” Risposta cantilenata, ed il discorso cadde lì.

 

Lenalee pensò soltanto che, quella mattina, Lavi era stranamente più cinico del solito.

 

 

oOoOoOoOo

 

 

Ma Kanda non era affatto in infermeria.

 

[ Per quale motivo Lavi ci fosse realmente andato, poi, Lavi stesso non riusciva pienamente a comprendere. ]

 

Rimase lì, sulla porta della stanza angusta indicatagli dal personale, battendo ciglio al letto sfatto. Alle lenzuola macchiate di sangue. Al cuscino in disordine e alle coperte che, abbandonate, ricadevano sul pavimento di pietra.

 

Mordicchiò il labbro – ormai, pareva un tic affermato e confermato. Con la mente beatamente vuota – sicuramente c’era qualcos’altro a guidare i suoi passi – voltò la schiena alla stanza e chiuse silenziosamente la porta alle sue spalle.

 

[…]

 

Questa volta, la porta della stanza di Yu era socchiusa.

 

Questa scoperta lo spiazzò più del dovuto, tuttavia trovò la presenza di spirito di darsi dell’idiota per essersi preoccupato a quel modo. La stanchezza della notte prima, di quella notte insonne, tornò tutta in quel momento.
Un sospiro abbandonò le labbra dell’allievo di Bookman, un sospiro che occupò l’aria all’unisono con quell’unico colpo alla porta. “Yu-chan?”

 

Nessuna risposta.

 

Nuovo tentativo.

 

[ per quale motivo, poi. ]

 

“Yu?”

 

All’ennesimo silenzio, Lavi si azzardò ad aprire la porta. La stanza era piccola ed in penombra, la luce mattutina filtrata dai vetri opachi e lievemente scheggiati dell’alta finestra. Lì, in uno spiraglio dovuto al vetro incrinato, in controluce un ragno tesseva indisturbato la sua ragnatela.

 

Yu era seduto sul bordo del letto, il volto appena messo in ombra dai capelli – per una volta – disordinati. I capelli di chi ha appena smesso di dormire, di chi si è appena alzato.

 

Da quel poco che scorgeva, in penombra, sembrava la brutta imitazione di una mummia. L’avrebbe volentieri preso in giro – il Lavi che Kanda conosceva, l’avrebbe sicuramente fatto – tuttavia fu l’espressione sul volto del giapponese a fermarlo.

 

Non era né annoiata, né assonnata, né irritata, né arrabbiata, né frustrata, né concentrata, né esasperata.

 

Era semplicemente, puramente angosciata.

 

Era puramente angosciata, mentre guardava quella clessidra piena d’acqua.
Mentre guardava quel fiore sospeso nell’acqua.

 

Mentre guardava quei due petali posati sul fondo.

 

“Yu?” tentò ancora Lavi, questa abbassando la voce ad un solo, unico sussurro.

 

Quella volta, gli occhi a mandorla si spostarono su di lui, con un sussulto dovuto all’esser stato colto di sprovvista. Per un attimo, una secondo di debolezza, si sgranarono – troppo grandi per il viso minuto – e le labbra si strinsero in una linea sottile. Troppo sottile.

 

Scostò lo sguardo, rimanendo in silenzio.

 

Non l’aveva cacciato.

 

Sei il suo unico amico, Lavi.

 

[ E’ una responsabilità troppo grande. Non mi serve.]

 

Prese la mancanza di insulti come un invito ad entrare, e socchiuse la porta. Kanda deglutì appena, quasi a rimetter su quell’atteggiamento che era riuscito a salvarlo dai contatti con il resto dell’Ordine.

 

Con il resto del mondo.

 

“Non sono esattamente dell’umore adatto.” Fu lo stranamente patetico commento con cui, alla fine, esordì il giapponese.

 

Lavi non poté fare a meno di soffocare un suono divertito. “Non sei mai dell’umore adatto.”

E Kanda non trovò nulla da ribattere, prendendo invece a tormentare quel po’ di lenzuola tra le mani. Attorcigliando e piegando, spiegando e stendendo. Ripetere dal passo uno.

 

“Dovresti essere in infermeria.” Commentò distrattamente Lavi, facendo spallucce ed avvicinandosi al letto.

 

“Lenalee colpisce ancora.”

 

Tuttavia, nonostante le parole, il tono non era affatto il tono caustico che Lavi si sarebbe aspettato da un commento del genere.

 

“Io te l’ho detto, Yu-chan. Le ragazze sono spaventose.”

 

Al silenzio che seguì, Lavi prese mentalmente nota che, ancora una volta, Yu non l’aveva rimproverato per aver usato il suo nome di battesimo con tanto di diminutivo. Doveva sentirsi o molto stanco, o poco in forma.

 

Senza chiedere il permesso – non l’avrebbe ottenuto comunque – Lavi si lasciò cadere seduto sul letto accanto all’altro ragazzo, rimbalzando appena sul materasso. Gli occhi a mandorla erano, ancora una volta, posati sull’innocua clessidra poco lontana. Le mani stringevano compulsivamente le coperte.

 

“Non stai bene, Yu.”

 

No che non stava bene. Puzzava di paura da lontano un miglio. Sembrava stesse aspettando qualcosa, Yu, sembrava ossessivamente aspettare qualcosa mentre guarda fisso quel fiore rosato, sospeso nel tempo.

 

Lavi lo vide deglutire. Due, tre volte. Ad intervalli regolari.

 

Sì, stava decisamente aspettando.

 

Spostò anche lui la sua attenzione su quello strano monile, quasi s’aspettasse di vederlo esplodere da un momento all’altro. Attese, anche lui. Tuttavia, una volta appurato che non sarebbe successo nulla di veramente devastante, schiuse di nuovo le labbra. “Lenalee ti farà una testa di quelle mai viste. Stai sanguinando ancora. Ti rendi vagamente conto di co…”

 

Un petalo, silenzioso, aveva abbandonato la corolla del fiore.

 

Silenzioso, era fluttuato verso il basso.

 

Silenzioso, si era unito agli altri due.

 

Un suono, dignitosamente contenuto, sfuggì dalle labbra del giapponese. E, quando Lavi lo guardò per capire il motivo di quell’espressione, il cuore che non avrebbe dovuto avere gli si strinse in una morsa.

 

E pensò che non aveva mai visto Yu essere così vicino al pianto.

 

Mai.

 

Ed ancora una volta la stretta al cuore del giorno prima. Ancora una volta, quella sensazione di disagio.

 

Sollevò appena una mano, un movimento incerto ed alieno. Ancora una volta, l’istinto di confortare. L’istinto di consolare. Ma come?

 

Non aveva mai provato.

Non l’aveva mai fatto.

 

La voce di Yu, quando abbandonò le labbra, suonava quasi frammentata dal dolore privato, contenuto.

 

“Non mi metterò a piangere come Lenalee, Lavi. Se… se è questo che aspetti.” Fu il commento, disperatamente sussurrato. E, a quel punto, Lavi non potè fare a meno di sorridere.

Davvero.

“Lo so.” Rispose, stringendo le labbra. “Lo so.”

 

[ Nel corso di questo tempo che è passato…

… quand’è stato, che i miei sorrisi finti sono diventati sinceri?


Quand’è che ho superato quella linea fra finzione e realtà?]

 

 

oOoOoOoOo

 

[ …Bookman non avrà bisogno di un cuore, vecchio panda.

Ma io, evidentemente, sì. ]

 

 


 

 

A/N: innanzitutto, ringraziamento a Ross. L’amora mia che, quasi fosse un rituale portafortuna, mi aiuta sempre nel mettere in forma l’ultima frase. Per la curiosità di chi legge, comunque, prima era così: “Ma, evidentemente, io sì.”

Non è uguale! Guardate la virgola!  è_è””

 

Metà scritta un mese fa, l’altra metà scritta fra ieri e oggi. Più oggi che ieri. L’ispirazione è tornata, Deo Gratias!

 

A chi interessa, comunque, togliendo le note, sono esattamente nove pagine di ff. Nove pagine per una oneshot! Urgh. Penso di aver appena battuto il mio record.

 Personalmente, detesto Lenalee. Tuttavia, ha una tale importanza nel manga, che non potevo ignorarla. Un po’ come Sakura di Naruto. Non la puoi semplicemente ignorare, come non esistesse ._.”

 

Lenalee… piange, quindi penso sia IC >_>” Almeno, la mia amora dice così ù_ù Ti amo, bastone della mia vecchiaia. (L)

Ah, si. "Tadaima" significa "sono a casa" in giapponese. Volutamente usato da Lavi data la nazionalità di Yu. "Okaeri" significa "Bentornato a casa."

  
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