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Autore: DeiDeiDei    30/12/2012    1 recensioni
Era il boss. Lei ordinava, loro ubbidivano. Loro agivano e lei ascoltava. Doveva sopportare. Sopportò. E sopportò il fatto di non pentirsene.
Non puoi mai sapere cosa la morte di tuo padre, il suo testamento, ti porterà. Non quando tuo padre è H.Z.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sugli umani, perlomeno
 
 
 










Non si era mai immaginata una cosa del genere.
 
Certo, sapeva che in quello stabile tutto bianco simile ad una fabbrica vecchio stile non avrebbe trovato nulla di piacevole. Sapeva che il lavoro della ditta Zimmer, diciamo, non era proprio del tutto legale. Sapeva che se suo padre le aveva taciuto i dettagli di quel suo grande progetto di anni di lavoro persino in punto di morte sicuramente un motivo c’èra. E quel motivo non poteva essere per puro divertimento o carineria nei suoi confronti.  Ma, sicuramente, non si sarebbe mai potuta immaginare che la motivazione che aveva spinto il suo vecchio a starsene zitto come una tomba ben chiusa fosse una cosa del genere.
 
Quando Hanz Zimmer era morto, qualche settimana prima. Quando le era stato comunicato che l’aveva scelta come sua unica erede. Quando tutti gli affiliati della cosca avevano iniziato a bisticciare. Quando il paese intero si era indignato sapendo che a capo della principale Famiglia era stata messa una ragazzina di soli tredici anni. In tutte quelle occasioni era stata tranquilla. 
 
Aveva mantenuto il suo contegno. La sua dignità.
 
Ma, infine, dopo aver chiesto al suo nuovo braccio destro di portarla a visitare tutte le attività del suo defunto padre, quando, passata per campi, piantagioni, locali di ogni tipo, era stata fatta entrare in quello stabilimento bianco, la sua beneamata facciata di Boss era crollata miseramente.
 
Quando si era inginocchiata per spiare oltre la serratura della stanza N°1002. In quel momento, si, si era davvero presa un colpo. Uno di quelli che se non stai attenta degenera in un infarto. 
 
Si era aspettata di guardare oltre la piccola fessura chiusa a chiave e vedere, che ne so, qualche macchinario, strani pacchi o animaletti chiusi in piccole gabbie, al massimo. Di certo non si sarebbe mai immaginata di ritrovare, come in uno specchio, un altro occhio a fissarla, nel medesimo modo nel quale lo osservava lei. Un occhio dorato, oltretutto.
 
Aveva urlato. 
 
Si, se ne era subito resa conto, aveva fatto una pessima figura davanti ai suoi sottoposti che già si fidavano poco delle sue doti di capo banda. Ma non aveva potuto farci nulla! Dopotutto chi non si sarebbe spaventato ritrovandosi fissato da quel caldo occhio iridescente??
 
Certo, si era subito raddrizzata e con tono altezzoso, tossendo per ritrovare un po’ di contegno, aveva ordinato che le si spiegasse perché dall’altra parte di quella porta c’era un ragazzo. Perché era soltanto in pantaloni medici, aveva chiesto, e perché fosse solo. Ma, cosa più importante, aveva dato di matto quando si era resa conto che lì c’era recluso, quel poveretto.
 
Perché? Bella domanda. Tutti gli uomini del gruppo erano rimasti in silenzio, guardandosi vicendevolmente. Erano in tredici, maledizione! Possibile che nessuno le sapesse rispondere? O forse non le volevano rispondere…
 
Allora aveva estratto con gesto meccanico la quattro millimetri che teneva al fianco destro e l’aveva puntata su quel fantomatico braccio destro. Proprio come le aveva insegnato suo padre. E quei bastardi avevano parlato. 
 
Naturale che lo facessero, no?
 
Subito non aveva voluto credere alle loro parole. Suo padre non era una persona del genere. Certo, faceva parte di associazioni non proprio sulla cresta dell’onda della giustizia e, bhè, era sempre stata a conoscenza del fatto che in quello stabile bianco suo padre conducesse esperimenti chimici per una strana ditta di integratori e per’un’altra di droghe… e per una di cosmetici, se ben ricordava…
 
No. Non voleva crederci! Era fuori discussione che i coniglietti e le cavie per gli esperimenti fossero di quel tipo. Non era possibile che suo padre conducesse esperimenti del genere. 
 
Non sugli umani, perlomeno!
 
Doveva ammetterlo, era rimasta traumatizzata. Ma aveva mascherato bene la sorpresa questa volta. Si era limitata a mostrare ai presenti una smorfia schifata che aveva accentuato ancora di più quando le era stato detto che anche per quel progetto il suo vecchio aveva selezionato lei come successore.
 
Lei? Lei, una ragazzina di tredici anni, avrebbe dovuto fare esperimenti su dei poveri ragazzi innocenti? Potevano anche essere criminali, per quel che ne sapeva, ma alla sua modesta persona non avevano fatto proprio niente, per la miseria!
 
No. Non c’erano speranze che questa volta ubbidisse a suo padre. Era morto, cazzo! Morto. Stecchito. Sepolto. Non le avrebbe di certo rimproverato un piccolo cambiamento di programmi, no? E in quanto ai suoi “scagnozzi”? bhè, avevano solo da provarci a contraddirla. Lei era il capo. Lei dava gli ordini, loro ubbidivano. 
 
Semplice, vero?
 
Bha, comunque fosse, non aveva tempo da perdere: non intendeva passare nemmeno un attimo di più in quella sottospecie di fabbrica. Non ora che sapeva cosa contenevano le stanze dalla 1000 in su. Più di cento stanze blindate e chiuse a chiave. 
 
Che orrore!
 
Il suo ordine era stato a dir poco perentorio. “tsk!Liberatevi di loro!”, aveva detto proprio così, o perlomeno qualcosa del genere, ostentando indifferenza e freddezza. Le stesse di suo padre. Sapeva che con quelle poche parole aveva dichiarato condannati a morte quelle povere cavie. Sapeva che era la cosa giusta da fare, per mantenere alto il suo nome e guadagnare un po’ di stima. Aveva voltato le spalle a quegli uomini orribili. Non per superiorità, ma solo per nascondere il magone che le dipingeva il volto e le lacrime che le bagnavano gli occhi, così diversi da quelli dorati e fieri dell’animale in gabbia di poco prima. Sicuro e serio anche in quella situazione, in gabbia. 
 
Era una codarda. Lo sapeva. Lo dimostrava in ogni sua azione. Non era come suo padre: coraggiosa, senza paura. Era solo una ragazzina dopotutto, cosa pretendeva quel bastardo?
 
L’ultima cosa che sentì prima di uscirsene dallo stabile bianco fu il vociare degli omoni, dei cinque che aveva lasciato indietro, indaffarati a suddividersi chiavi e mazze da baseball. Le veniva quasi da vomitare. Ma lei era il boss. Lei ordinava, loro ubbidivano. Loro agivano e lei ascoltava. Doveva sopportare. Sopportò. E sopportò il fatto di non pentirsene.














Angolo dell'autrice:
Salve a tutti.
Bhè, forse è meglio se scrivo "nessuno" al posto di "tutti", perchè non penso che qualcuno arriverà seriamente a leggere questa storia scifosetta vecchia come me xD (un po' meno, visto che l'ho scritta, ma ha avuto comunque il tempo di perdersi nel computer).
Comunque sia, se mai qualcuno la leggerà... bhè, mi farebbe piacere cosa ne pensate. Anche non per recensione, un messaggio va benissimo lo stesso, se non volete recensire.












 
   
 
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