Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: CleaCassandra    17/07/2007    1 recensioni
Frances, una vita fuori dall'ordinario, e una persona speciale, reincontrata dopo anni.
Diciamo pure che non sono brava a fare riassunti, spero solo vi piaccia.
attention please: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone di cui parlo (ma magari li conoscessi di persona ;O;), nè offenderle in alcun modo...beh, insomma, era una precisazione necessaria u_ù
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
grazie per i due commenti, spero ne arrivino anche altri ^^''

Cap.2 –
Tears Don’t Fall


Mentre tratteggiavo i contorni del disegno, abbiamo chiacchierato del più e del meno.
Diciamo che ho cercato di dirottare la conversazione su determinati punti. Ormai la curiosità di sapere dove ci eravamo già incontrati aveva preso il sopravvento, tuttavia riuscivo a mantenere ancora un certo grado di lucidità, indispensabile per condurre quella specie di indagine.
Gli ho raccontato cosa facevo in passato, sperando di stuzzicare una certa voglia repressa di ricambiare la fiducia che stavo riponendo in lui, e portarlo a raccontarmi di sé.
Chiunque, anche il più reticente e riservato degli individui, lascia trapelare qualcosa di personale, anche solo con qualche gesto affrettato e dettato da distrazione, o abitudine.
Il nome, ad esempio, oppure cosa fa per vivere.
A meno che non sia un criminale super ricercato.
Quindi, in ogni casistica da me contemplata, avrei ottenuto la risposta che mi serviva.
“Ah, suonavi?” ha esclamato stupito.
“Eh, sì…ero la chitarrista degli Unnamed, non so se conosci…”
“Ommioddio ma sei tu davvero? Frances? E i tuoi riccioloni dove sono finiti?!”
Ancora. Ancora quel calore ad infiammarmi il viso.
Mi è venuto automatico distogliere per qualche istante l’ago dal suo braccio.
Anche per la sorpresa. Non avevo fatto un buco nell’acqua, dunque.
Mi conosceva. La popolarità della band era alta, ma non credevo ci fosse qualcuno in grado di ricordarsi addirittura il mio nome.
Quello reale, intendo.
Mi presento così solo in rapporti formali. Per tutti gli altri, sono, e sarò sempre, Frankie.
Probabilmente suonava anche lui, allora. O era comunque invischiato nell’ambiente.
La tentazione di smettere questo gioco sottile e sbottare con un plateale ‘Senti un po’, ma io ti ho già visto, si può sapere dove e perché?’ era forte, anche perché non sono mai stata dotata di tanta pazienza. Però trovavo estremamente stuzzicante continuare a fare finta di non conoscerlo, perché in fondo…sentivo che anche lui stava giocando.
Era come se ci intendessimo alla grande, ma dovessimo mantenere una certa immagine di fronte a qualcuno.
Come se stessimo recitando per qualcuno che ci stava guardando.
Ma eravamo completamente soli, in quell’angusto fondo immobiliare che mi faceva da negozio.
Cos’era dunque? Avevamo paura delle implicazioni che avrebbe comportato il conoscersi?
O ci stavamo vergognando per esserci dimenticati di qualcosa di importante che ci riguardava?
Mi sentivo come una che aveva perso la memoria e stava cercando lentamente di riguadagnarla, e immaginavo che anche lui si dovesse trovare in quel particolare stato d’animo.
Però, tutto sommato, era quasi divertente.
“Ah quelli…è tanto che non li ho più…i capelli corti si gestiscono meglio!” ho risposto, scrollando la testa.
“Parole sante!”
Cazzo, sembrava davvero una recita. Con queste frasi così di circostanza, poi…
“Beh, però…ormai pensavo nessuno si ricordasse più di noi…e soprattutto del mio vero nome!” sghignazzavo.
‘Vediamo, a tornare nel seminato, cosa risponderà’, pensavo tra me e me.
“Ah, già…tu ti facevi chiamare Frankie! Comunque…certo che mi ricordo degli Unnamed! Abbiamo suonato insieme, non ti ricordi?”
Ahaaaaaa! Avevo fatto centro! Era un musicista.
“Oddio, e quando?” ho chiesto, riprendendo a fare i contorni.
Bene, sono arrivata al dunque.
“Al Vans Warped Tour, tre anni fa...gli ultimi concerti che avete fatto, prima di sciogliervi...”
Ecco perché non me ne ricordavo minimamente.
Avevo completamente rimosso quei giorni convulsi. Erano l’anticamera della fine.
“Ah! Ma dunque anche tu sei un musicista!”
“Eh, sì!” poi si è voltato per un attimo, scrutandomi severamente.
C’era del sano rimprovero nei suoi occhi. Come se si sentisse vagamente offeso dalla mia disattenzione.
“Ma scusa…non guardi mai MTV?”
“Beh, molto di rado…”
“Ah, ecco…” mormorava, quasi dispiaciuto.
“E Fuse?”
“Poco anche quella…ma finisci spesso su questi canali?”
Rideva imbarazzato, e annuiva.
“Mamma mia, allora devi essere proprio famoso” mi sono lasciata scappare a mezza bocca “e…in che gruppo suoni?”
“Nei My Chemical Romance!”
Un flash improvviso si è acceso nella mia mente.
Avevo capito chi era, cosa faceva, perché mi ero dimenticata di tutto ciò che era accaduto in quel periodo.
Eppure, come mi sono potuta dimenticare anche di lui?
Era l’unica cosa per cui era valsa la pena aver vissuto, in quei giorni.
“Massì che mi ricordo! È che con questi capelli non ti avevo riconosciuto…scusami…Frank, giusto?”
“Sì!” ha esclamato divertito.
Che gloriosa figura di merda.
Ma era in parte giustificabile, dal momento che ho reciso ogni contatto con il mondo della musica da quando ci siamo sciolti.
Ho come un rifiuto nei confronti di quell’ambiente.
Mi ricorda troppo quanto eravamo vicino alla vetta e quanto poco c’è voluto a tornare bruscamente in basso.
Quanto siano capaci di sorriderti fintamente per il successo che stai avendo e quanto poi ti gettino in un fetido dimenticatoio quando non riesci più a essere nessuno. A produrre come vorrebbero loro. Perché hai toccato il fondo, e stai anche iniziando a scavare. E a loro non piace, non vogliono sporcarsi con il tuo fango.
Abbiamo continuato a parlare, cambiando argomento, perché ormai ero completamente esaudita, ed è saltato fuori che adoro i tramonti.
Sono il tipo di persona che, in qualsiasi posto si trovi, si sente in dovere di immortalare con una fotografia il sole che sparisce dall’orizzonte.
La maggior parte della gente, quando viaggia, fotografa i monumenti, fa foto cretine con gli amici o i parenti, cose così.
Io no.
Fotografo i tramonti, e a volte anche le albe.
C’è qualcosa di assolutamente commovente e suggestivo nel sole che si abbassa lentamente, portandosi dietro il suo rossore la scia bluastra che preannuncia il calare della notte.
L’alba è più timida. Più tenue.
Il tramonto è potente. Brillante più di un cielo stellato.
Portatore di ricordi nostalgici che risalgono al cuore con un piacere che si fonde con la malinconia.
Momenti irripetibili, che per questa loro peculiarità ti feriscono come una pugnalata al cuore, e la cicatrice passerà molto tempo sul petto prima di sparire a poco a poco, cancellata dalla distrazione e dalla noncuranza.
Amo il tramonto.
Perché mi ricorda, alla fine di ogni giornata, che devo rallegrarmi delle mie ferite più profonde. È grazie a loro che sono cresciuta.
Perché nel frattempo mi infonde una sana speranza. Quella che mi porta ad andare avanti col sorriso sulle labbra.
“Anche a me piacciono i tramonti. Li preferisco di gran lunga all’alba” ha affermato, con una serietà decisamente fuori luogo e che, per questo, aveva il sapore dell’ironia.
Sorridevo.
Perché in fondo sapevamo già entrambi di questa piccola passione che ci accomunava.
L’avevamo vissuta sulla nostra pelle, insieme e per puro caso, un pomeriggio di ormai tre anni fa.
Ha sorriso anche lui.
Immagino abbia avuto i suoi buoni motivi, proprio come me, per dimenticarsene.
Eravamo arrivati in New Jersey col Warped. A casa loro.
Gli Unnamed avevano appena finito di suonare e io, con una birra in mano e la macchina fotografica nell’altra, ero già pronta ad immortalare quel momento irripetibile.
Ogni tramonto è diverso dall’altro. Non ce ne sono due che siano anche solo simili.
Perché, in fondo, anche se affogati dalla routine, dall'omologazione, anche i giorni dell'anno e gli individui che li vivono sono estremamente differenti e variegati. E ognuno vive questi momenti in un modo assolutamente personale, dettato dall'indole e dall'umore.
Era il tardo pomeriggio di un assolato giorno di piena estate, e il sole stava salutando il nostro emisfero, andando a portare luce dall’altra parte del mondo. Ero rimasta fuori dal nostro tour-bus ad ammirare estasiata quello spettacolo, quando mi dissi che avrei dovuto cercare un posto migliore per vedere al meglio il tramonto.
Poco distante dal parcheggio per i bus c’era un prato di una certa estensione. Corsi là, con frenesia, e mi misi a sedere sull’erba, finalmente, anche se solo per qualche attimo, felice come una bambina.
Feci un paio di foto, e mi sdraiai, colma di soddisfazione.
Mi guardavo intorno, e nel deserto verde brillante in cui mi ero immersa notai una figura meditabonda, dall’altra parte rispetto a me, che stava seduta tenendosi le ginocchia strette al petto.
Mi alzai, perché dentro me si stava facendo strada una voglia incredibile di vedere chi fosse.
Mi stavo avvicinando, quando si voltò verso di me e mi fissò per pochi, interminabili istanti.
Quegli occhi tra il nocciola e il verde, lucidi e un po’ arrossati, mi stavano comunicando una tristezza senza limiti.
Avrebbe pianto a dirotto, se avesse potuto. Ma quelle lacrime non volevano cadere, non volevano rotolare sulle sue guance con sobria discrezione.
Gli si leggeva in faccia, che si stava sforzando di trattenerle. Perché erano qualcosa di troppo caotico, anche per lui.
Dei macigni totalmente deleteri.
Mi fece sedere al suo fianco. Senza una parola.
A malapena sapeva chi fossi, e mi fece sistemare lì, con lui.
Doveva essere veramente disperato.
Non credevo che anche altrove, lontano da casa, potessero esistere dei tramonti così suggestivi.
Ho sempre pensato che non ci fosse niente al mondo migliore di San Francisco come sfondo per questi piccoli miracoli della natura, e lo penso tuttora.
Ma ci sono situazioni in cui non importa il paesaggio che ti circonda, non il cielo sotto cui cammini, ma la persona che hai accanto, e il caso.
Perché non tutti i tramonti sono uguali.
Percepivo la malinconia dei suoi pensieri, era come se me li stesse trasmettendo direttamente al cervello, in quel silenzio così assordante.
Eppure non avrei fatto assolutamente nulla per spezzarlo, perché era così accogliente…mi sarei persa in quel vuoto sonoro, che mi stava cullando con così struggente dolcezza.
Lo ruppe lui.
“Hai mai litigato con qualcuno a cui tieni più della tua stessa vita?” mormorò, fissando il vuoto davanti a sé. Dentro di sé.
Rimasi interdetta da quella domanda.
E adesso che c’entra?, pensai. Ma una fitta al cuore mi riportò con la mente a quel periodo letteralmente di merda.
Suonavamo, sì, ma s’era già incrinato qualcosa nella nostra armonia. Era come piangere disperatamente, celati dietro una maschera recante il sorriso più radioso che si possa immaginare. Fare finta che andasse tutto bene, per tentare di salvare il salvabile, che ormai era ben irrisorio.
“Sta accadendo adesso…” mi limitai a sussurrare, sconsolata.
Era vero. Perché, per quanto non sopportassi certe sue uscite, mi bruciava l’anima litigare con lei. Come acido.
Era un’amica, in fondo. Forse qualcosa di più. Chissà se era davvero così, o solo una suggestione prodotta da me per giustificare il rapporto così speciale che correva tra noi.
Ogni tanto mi capita di pensarci, e non so mai darmi una risposta. É una di quelle cose a cui non si sa mai cosa rispondere, forse perché si ha paura della verità.
Mi fa comodo rimanere col dubbio.
E poi, beh, aveva una voce meravigliosa.
Il cielo, che si faceva di fuoco, e rifletteva tutt’intorno la sua aura magnetica, ci abbracciò, quasi a volerci consolare.
A un certo punto successe una cosa che mi fece capire che non serve dire di una persona che la conosci da una vita per capire cos'ha dentro.
A volte basta un solo istante.
Lui mi cinse le spalle col suo braccio, e io, come mossa da un sano spirito di solidarietà, feci altrettanto.
Due perfetti sconosciuti. Che si spalleggiavano a vicenda, consci di essere sulla stessa disgraziata barca.
Rimanemmo così, in silenzio, finché il sole non sparì completamente dall’orizzonte.
Quando, con infinita flemma e le immancabili sigarette tra le labbra, tornammo ai nostri tour-bus, ci aspettavano tutti preoccupati.
“Frankie, dove cazzo eri?” ci gridarono sette gole ansiose.
Ci guardammo, come a dire “E questi chi caspita sono?”.
Poi scoppiammo a ridere.
Era più che evidente la nostra omonimia.
Ci stringemmo la mano con sarcastica professionalità.
“Piacere, Frank” esordì compito.
“Piacere mio, io sono Frances” risposi, assecondandolo in quel gioco quasi stupido.
Stupido quanto mi pareva, però…era come un porre ancora più in evidenza la complicità che era nata tra noi.
Quando ormai il tour volgeva al termine.
E vabbè, il tempismo era quello che era.
Mai avrei pensato di rivederlo a San Francisco, a farsi fare un tatuaggio nel mio negozio.
Infatti gli ho chiesto che ci facesse da queste parti, e lui mi ha risposto che sono fermi qui, in California, da qualche giorno, per lavoro.
Sapete, interviste, trasmissioni radiofoniche e cose così.
“Abbiamo qualche giorno libero, e mi hanno detto che a San Francisco c’è una tatuatrice bravissima e anche piuttosto carina, così mi ci sono fiondato!”
“E sarei io?!”
“Beh, penso di sì...la via è questa…” ha ammiccato, divertito dalla mia espressione basita.
“Ehm…sai che devo dirti una cosa…”
“Oddio, che? Ho sbagliato via?” ha chiesto, con un candore assolutamente autentico.
“Macchè!” mi sono messa a ridere “devo chiudere, oggi faccio il pomeriggio e basta, e detto tra noi ho anche un sonno pazzesco, non vorrei sbagliare a farti il tatuaggio, sai…” gli ho detto, imbarazzata all'inverosimile.
“Oh…” sembrava dispiaciuto.
“Beh, però puoi tornare domani, o dopodomani…insomma, appena puoi, così te lo finisco!”
“Okay! L’ora?”
“Beh, come oggi…penso possa bastarmi il tempo.”
“Allora va bene!” e mi ha salutato tutto allegro, incamminandosi tranquillo.
Sono rimasta un pezzo fuori dal negozio a osservarlo allontanarsi. Ogni tanto si girava verso di me e mi salutava gesticolando con la mano, e con un sorriso grande così.
Come ho potuto dimenticarmi di lui?
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: CleaCassandra