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Autore: ThePirateSDaughter    31/12/2012    6 recensioni
"L’odio. Il dolore. L’amore.
A volte la sognava, ma si svegliava urlando, perché l’argomento del sogno riaccendeva le stesse ferite del corpo. Le grida destavano anche mezza camera e un’infermiera correva a somministrare la morfina, ormai abituata.
Il suo sguardo, la sua forza, il suo raro sorriso.
Riusciva a sognare solo il loro momento finale. Quando lo scalpello aveva cominciato ad agire."
RINGRAZIAMO TUTTI SKATERBOI EFP PER L'ISPIRAZIONE!
(ho spuntato la voce "Contenuti forti", anche se la frase dai toni contenutisticamentefortièunasola,piccolaeboh. Ecco.)
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alejandro | Coppie: Alejandro/Heather
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale
- Questa storia fa parte della serie 'Alejandro/Heather Moments'
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Non aveva mai pensato che si sarebbe trovato in una situazione come quella.
Nemmeno i suoi incubi più orribili avevano previsto un simile orrore. Il futuro lo vedeva lucente e promettente, costellato di calcolati guadagni ed apparizioni in televisione, a mostrare al pubblico quanto era giovane, bello e potente; non rovinato e bruciato, distrutto per sempre, insieme alle sue ambizioni, ridotte in cenere quanto lui.
 
Odiava la pietà delle infermiere della clinica.
Odiava la loro voce condiscendente quando completavano le frasi che la sua voce menomata non riusciva a finire.
Odiava il tocco delicato delle loro dita quando gli spalmavano creme sulle ustioni o gli cambiavano la flebo.
Come osavano trattarlo così? Lui non aveva bisogno di nessuno, lui era Alejandro Burromuerto.
E non sarebbe più stato lo stesso.
 
E se c’era qualcosa che detestava ancora di più, era l’ora della psicologa.
Dalle 16 alle 17, per tre volte alla settimana, lui e gli altri casi in fase ormai meno grave – dopo mesi e mesi passati a recuperare una parvenza di vita umana- dovevano stare con quella laureata patetica –Treehold, Treehad o qualcosa di simile- che pretendeva di occuparsi della loro riabilitazione psichica.
Stupida donnetta. Li trattava come bambini di cinque anni o, peggio, come se fossero portatori di qualche handicap. Come se fossero troppo stupidi per capire.
Quel giorno era arrivata e se n’era uscita con la questione dei disegni.
 
“Oggi voglio che tutti voi disegniate la cosa che più vi fa paura o più odiate”
 
Secondo un qualche fatto psicologico di cui Alejandro era all’oscuro, odio e paura dovevano essere strettamente legati. Odi quello che ti fa paura, e temi quel che odi, o cazzate simili.
Ogni disegno veniva poi esposto innanzi tutto il gruppo, mentre la Treequalcosa scribacchiava sulla cartelletta.
“Bravo, Aaron, ottimo lavoro. Dunque, le motoseghe sono la cosa che più ti spaventano… Puoi andare”.
L’uomo tornò alla propria sedia, lanciando occhiate truci a chiunque osasse indugiare troppo sui sei moncherini di dita amputate e sulle cicatrici slabbrate che gli attraversavano la faccia.
“Alejandro? Perché non vieni tu, adesso, ad esporre il disegno?”.
No, troia. Logico che non voglio raccontarti i fatti miei.
Mentre si alzava, Alejandro abbassò lo sguardo sulla sua creazione. In altre circostanze avrebbe agito esattamente come nelle altre sedute: rispondendo alle domande e ai test della professoressa come lei voleva che rispondesse, almeno l’avrebbe giudicato stabile e recuperato e l’avrebbe lasciato in pace. Ma quella volta no.
Raggiunse la donna come in un sogno.
Mentre apriva il disegno, che aveva piegato in quattro, sapeva già che nessuno avrebbe capito fino in fondo quello che sentiva. Come potevano pensare che disegnare e parlarne potesse risolvere qualcosa? Nessuno poteva capire il dolore, la frustrazione, l’ira, l’odio, lo scorno e le fiamme acri che gli circondavano quello che restava del cuore, irrimediabilmente spaccato a metà, con una precisione tangibile. Scalpello. Posizionare lo scalpello. Toc. Cuore rotto. Precisamente a metà.
“Non ho disegnato qualcosa, ma qualcuno. Si chiama Heather”
E così era cominciata.

 Odio tutto di lei.

 
Everytime we lie awake
After every hit we take
 
“La penso in continuazione, in ogni maledetto istante, per quanto vorrei solo dimenticarla e non vederla più in vita mia, nemmeno per errore.”
Era lei che lo teneva sveglio ogni notte, gli occhi incollati al soffitto, insieme al dolore, che lei stessa gli aveva causato. Fisico e morale, logicamente. La bastarda non faceva le cose a metà.
 
Every feeling that I get
But I haven’t missed you yet.
 
“La detesto. Lei mi ha ridotto così. E per tutto il tempo che siamo stati insieme, me l’ha messa nel culo, senza che me ne accorgessi…”
“Alejandro” la laureata scema azzardò un sorrisino imbarazzato “il linguaggio…
“Zitta”
Alejandro fece una pausa. Se la dottoressa lo avesse interpretato o meno come una muta richiesta di scuse, non gli importava. Aveva bisogno di un attimo.
Non aveva detto molto su di lei, ma aveva ripreso a fare male, tutto in una volta.
Non credeva che gli mancasse tanto.
Non la detestava semplicemente: non sapeva spiegarselo. Associava il suo nome a una marea di sentimenti contrastanti.
 
Every roommate kept awake
By every silent scream we make
All the feelings that I get
But I still don’t missed you yet.
 
L’odio. Il dolore. L’amore.
A volte la sognava, ma si svegliava urlando, perché l’argomento del sogno riaccendeva le stesse ferite del corpo. Le grida destavano anche mezza camera e un’infermiera correva a somministrare la morfina, ormai abituata.
Il suo sguardo, la sua forza, il suo raro sorriso.
Riusciva a sognare solo il loro momento finale. Quando lo scalpello aveva cominciato ad agire.
 
I hate everything about you.
 
Le dita strinsero e spiegazzarono il foglio.
“Non ci sono parole adatte a spiegare quanto la odi. Le ho dato… le avevo dato… tutto…
Il dolore.
 
Why do I love you?
 
Il foglio sfuggì dalla presa di Alejandro e si adagiò fluttuando a terra, senza incontrare altro ostacolo che le piastrelle, alle quali mostrò il disegno a matita del volto di una ragazza con i capelli scuri e il sorriso calcolatore.
La caduta di Alejandro, invece, venne prontamente sostenuta dalla dottoressa Treehal.
“Infermiera!”
 
Only when I stop to think about you I know…
 
Lo portarono di corsa in camera e lo riattaccarono alla flebo, decretando che, a quanto pareva, non aveva ancora forza sufficiente per stare in piedi a lungo.
Non era vero, Alejandro lo sapeva. O almeno, non era solo questo.
Era l’odio e l’odio da amore deluso per Heather, per quanto gli facesse schifo ammetterlo, per quanto avrebbe voluto strapparsi ogni frammento di cervello che ancora la pensava, per quanto si sarebbe mangiato il cuore, ormai totalmente in suo possesso.
Non bastavano le ustioni a convincerlo che si era trasformato in un mostro per colpa di un altro mostro? Non bastava guardarsi allo specchio e vedere come diamine l’aveva ridotto? Non bastava il fatto che non fosse venuta nemmeno una volta a vedere come stava? Perché non riusciva a dimenticarla?! Perche sentiva di non odiarla del tutto?! Perché la amava?!
Il buio della stanza proiettò il suo volto sul soffitto. Perfetto e magico, di gran lunga migliore del mediocre disegno.
Alejandro affondò la testa nel cuscino e sperò di morire. Le lacrime erano amare, ma quella visione lo era anche di più.
 
You hate everything about me.
 
Nell’altra ala della clinica, vicino alla porta della sala dove la dottoressa Treehal aveva ripreso la sua seduta con il resto del gruppo, una ragazza si era lasciata scivolare a terra, il viso tra le ginocchia, e odiava ogni lacrima che le scendeva per le guance.
Nei mesi passati, la finestrella a vetri della porta era stato il punto da cui l’aveva sempre osservato, silenziosamente e di nascosto, con quello stupido cuore divorato dai sensi di colpa. Ripromettendosi che forse, in un lontano giorno, si sarebbe fatta avanti, entrando nella sua stanza, affrontandolo faccia a faccia…
Ma non credeva, nonostante tutte le volte che si era sentita dire “ti odio”, che la stessa frase, detta da lui, le avrebbe fatto quell’effetto.
Non avrebbe potuto affrontarlo, mai. Non ora, non più. Non come il cuore spaccato irrimediabilmente a metà, con una precisione tangibile.
 
Why do you love me?
 
Scalpello.
Posizionare lo scalpello.
Toc.
Cuore rotto. Precisamente a metà.
 
 
 
 
Bene, per questa inspiegabile merda storia, dovete ringraziare / dare la colpa a quella cosa strapucciosa, piccola e spupazzabile, denominata Skaterboi, il mio quasi figlio dalle capacità disegnose (?) magiche, che ispira la sottoscritta con disegni Aletherosi ricchi di beauty e di Three Days Grace *salta addosso al quasi figlio e lo sommerge di cuori*.
Qualche doverosa precisazione. La canzone (cos’è quest’improvvisa mania di songfics, tutto d’un tratto? ._.) è quell’autentico capolavoro di “I Hate Everything about You”, dei signori Three Days Grace *salta addosso e ama anche loro* (yeah, verteiliamo canzoni meraviglierrime EVRIUER! *___________*), che il quasi figlio sopracitato inserì nel meraviglierrimo disegno aletherico <3.
 
Eeeeh boh, fatemi sapere :3

   
 
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