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Autore: Fannie Fiffi    31/12/2012    3 recensioni
Caroline conduce un'esistenza priva di significato, mandando avanti una vita che non è la sua. Un giorno, all'improvviso, realizza che non riesce a costruirsi un futuro perché il peso del passato grava ancora sulle sue spalle e così decide di risolvere il problema, affrontando i demoni interiori che sono ancora radicati in lei.
Dal testo:
Come ci era arrivata? Un giorno si era svegliata e aveva semplicemente sentito che tutto la feriva a morte, che quella debolezza che aveva cercato tanto di sopprimere in fondo non l’aveva abbandonata, si era semplicemente nascosta tra i pensieri affollati della sua mente. Si era sentita così, terribilmente svuotata da tutto quello che poteva farla sentire viva. Si era accorta, quindi, che la sua eternità era ormai divenuta un semplice susseguirsi di giornate e eventi in cui non riusciva a fare nient’altro se non a chiedersi quale fosse il motivo per cui si sentiva tanto vuota, come una stanza piena di oggetti rotti.
 
Storia vincitrice del contest "The Klaroline Contest".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Caroline Forbes, Klaus
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo:  I’ll See You In The Dark Side Of The Moon
Autore: Fannie Fiffi
Rating: Giallo
Genere:  Romantico, Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: AU, What If?
Timeline: Ambientatain un tempo non specificato, probabilmente durante la terza stagione.
Note d’autore: OS scritta per il contest “The Klaroline Contest” indetto da Alex96_ ed ErikaconlaK.
[KlausxCaroline].
 


And I go down
 Sleeping time when I lie with my love by my side
And she's breathing low
And I rise like a bird
 In the haze when the first rays touch the sky
 And the night winds die.

 Pink Floyd, A Pillow of Winds.

 
 
L’aria fresca del mattino non le aveva mai fatto venire brividi del genere.
O forse non era l’aria, forse era quel luogo a creare un vento dentro di lei, un vento che le sconvolgeva il petto e le impediva di respirare. Era tanto tempo che non tornava più lì. Cominciò a guardarsi intorno, gli occhi catturarono ogni dettaglio e qualunque ricordo legato a ciascun angolo di quel luogo le portava un nodo alla gola, perché era lì che si fermavano le tristezze.
Incredibile come qualcosa possa cambiare radicalmente e rimanere per sempre la stessa.
L’uscita dell’aeroporto era affollata di persone che tornavano dai propri cari. E lei da cosa tornava? Tornava dai ricordi, dalle passeggiate notturne sotto al campanile, da quel bar che aveva visto molte bevute e litigi. Tornava dalle strade che ormai conosceva a memoria, tornava dalla sua vecchia casa, quella da cui spesso avrebbe voluto fuggire.
 Come ci era arrivata? Un giorno si era svegliata e aveva semplicemente sentito che tutto la feriva a morte, che quella debolezza che aveva cercato tanto di sopprimere in fondo non l’aveva abbandonata, si era semplicemente nascosta tra i pensieri affollati della sua mente. Si era sentita così, terribilmente svuotata da tutto quello che poteva farla sentire viva. Si era accorta, quindi, che la sua eternità era ormai divenuta un semplice susseguirsi di giornate e eventi in cui non riusciva a fare nient’altro se non a chiedersi quale fosse il motivo per cui si sentiva tanto vuota, come una stanza piena di oggetti rotti.
Da lì a prendere il primo aereo per la Virginia il passo era corto, e senza rendersene conto – o forse senza volersi rendere conto – ora si trovava nel luogo da cui tanto era spaventata ma che inesorabilmente era la fonte più prossima per giungere alla conclusione di quel capitolo così strano e complicato della sua vita.
Perché farlo? Si era chiesta anche quello e aveva ipotizzato che il modo migliore per andare avanti era smettere di essere bloccata nel passato, vivendo una vita che ormai era finita e ragionando come una ragazza che probabilmente se ne era andata da tempo. “Non posso costruire il mio futuro sul fango.” Si era detta durante una delle lunghe notti in cui era rimasta sveglia al suono della pioggia che sembrava corrodere le pareti della stanza e, forse, anche quelle del suo cuore.
Dopo essere arrivata nella strada principale, a cui era arrivata non senza alcune difficoltà, in fondo erano passati diversi anni, domande più concrete e decisamente più imminenti le occuparono la mente.
Cosa avrebbe fatto durante il suo soggiorno? Quanto sarebbe durato il suddetto? E cosa avrebbe fatto se qualcuno l’avesse riconosciuta o, ancora peggio, la stesse aspettando?
Decise di non pensarci al momento, avrebbe sicuramente avuto modo di risolvere ogni problema si fosse presentato. La prima cosa da fare, però, era dirigersi verso la casa che aveva comprato qualche anno prima. Non sapeva bene perché ne aveva voluta acquistare un’altra, dopo aver venduto quella d’infanzia e adolescenza, ma riteneva che fosse legato al bisogno di lasciarsi alle spalle un motivo per tornare. Comprando una casa a Mystic Falls, avrebbe avuto una ragione – seppur minima e quantomeno strana – per pensare ancora a quella cittadina, tanto innocente quanto popolata da creature mitologiche. In effetti, a dirla tutta, non sapeva se il borgo fosse rimasto quello di un tempo. Chissà, magari streghe, licantropi e vampiri non erano più tanto interessati alla monotona vita che si svolgeva in un’altrettanto monotona cittadina dalle poche centinaia di abitanti.
Le strade erano quasi deserte, quindi pensò di poter smettere di aggirarsi come un' fantasma per le vie della città. Non aveva un'auto, perciò dovette spostarsi a piedi dalla piazza principale fino a qualche centinaia di metri dopo, dove la “nuova” casa la attendeva. Erano le tre del pomeriggio e lei si pentiva di essere venuta istante dopo istante. Si fece forza però, e pensò che se proprio aveva cominciato le cose era bene portarle a termine.
Si sarebbe nutrita per eliminare il vuoto nello stomaco – che sicuramente non aveva nulla a che fare con la sete di sangue – e poi avrebbe affrontato il problema alla radice. Come si diceva? Tutti i nodi vengono al pettine e quindi sì, doveva assolutamente prendere la situazione in mano prima di ritrovarsi senza capelli.
In pochi minuti raggiunse l’abitazione, che aveva visto solo in un paio di occasioni, e si rifugiò al suo interno. L’arredamento era minimale, si formava quasi esclusivamente dell’indispensabile. Tra le cose che non potevano proprio mancare c’era un grande frigorifero pieno di sacche di sangue rubate all’Ospedale della zona non appena aveva comprato la casa.
Si diresse verso la cucina e, senza aspettare oltre, prese una sacca sentendo già gli occhi iniettarsi di sangue. Era orgogliosa di riuscire a controllarsi e di non fare del male alle persone, ma non poteva negare che occasionalmente – nei momenti peggiori, quelli in cui si sentiva troppo confusa, arrabbiata e triste per ragionare razionalmente – un forte impeto del suo istinto animale le suggeriva, anzi le urlava, di rapire il primo passante, portarlo in un angolo buio e conficcare le zanne nella carne del collo morbida come burro sotto la consistenza simile all’acciaio dei suoi denti. Quando si era trasformata in vampira e aveva ucciso la sua prima e ultima vittima, era quasi diventata pazza di godimento al leggerissimo suono della carne lacerata a contatto con la sua forza inarrestabile.
Si destò dai pensieri e dai ricordi per gustare il sangue fresco che le cominciava a scorrere nelle vene. Poteva sentire la vita espandersi nel corpo, i capelli tornare vividi come il sole e gli occhi accendersi di luce propria. Non c’era droga o alcolico al mondo in grado di darle una tale assuefazione, mandandole il cervello completamente in tilt e facendola sballare più di qualsiasi altra sostanza avesse mai provato.
Si distese sul divano, e completamente rilassata dalla pace dei sensi e al contempo stremata dal viaggio e dall’ansia di quello che stava per fare, si lasciò andare a un sonno affatto tranquillo.


Quando si svegliò, due ore più tardi, il tramonto tingeva il cielo di sfumature rosse, rosa e arancioni. Il sudore che le imperlava la fronte era fastidioso, frutto dell’ennesimo incubo, e così decise di fare una doccia.
Dopo essersi ripulita, cambiata e vestita e soprattutto dopo aver notato che la notte era calata e che quindi i rischi di essere riconosciuta erano minori, decise di uscire di casa per dirigersi verso il tanto temuto luogo. Mentre si aggirava furtiva per le strade pensò con ironia che non si era mai sentita un vero vampiro più che in quel momento: aveva atteso la notte per uscire e ora vagava per le strade cercando di passare inosservata, quale peggior cliché per i Bevitori di Sangue?
Il battito dei tacchi sul marciapiede la fece distrarre dalle sensazioni che le attorcigliavano lo stomaco, un’ansia che cresceva in modo inversamente proporzionale alla distanza sempre minore del luogo che stava per raggiungere. Cosa avrebbe fatto dopo averlo visto? Era spaventata dalla reazione che avrebbe potuto avere, era spaventata da se stessa. Nonostante questo continuò a camminare fino a raggiungere quel posto che tanto l’aveva affascinata quanto impaurita.
Era esattamente come lo ricordava, né più né meno della perfezione.
Alcune persone la sorpassarono e si diressero a passo veloce verso l’entrata del grande edificio, lei poté udire il loro vociare eccitato e estasiato mentre se ne stava ferma a fissare l’ingresso luminoso e la targhetta in marmo che diceva: “ Residenza Mikaelson.”
Ed eccola lì, la fitta al petto che tanto aveva temuto. Il dolore era cosi forte da farle girare la testa e credere di avere un vuote nel petto, all'altezza del cuore, e che questo potesse squarciarsi da un momento all'altro lasciandola in balia del nulla. Come aveva fatto a sopravvivere fino a quel momento? Pensò che probabilmente era la vicinanza a farle effetto e a sconvolgerla. Lo stava per rivedere, ne era certa, e non era affatto pronta per qualcosa del genere. Non poteva rivederlo perche questo avrebbe significato ammettere che era tutto dannatamente reale. Che tutto era veramente accaduto e che quindi non poteva scapparvi. Mentre se ne stava impalata in quel vialetto - che in molte altre occasioni aveva conosciuto la sua caratteristica esitazione - una voce fin troppo conosciuta la colpì alle spalle come un macigno di migliaia di tonnellate, nonostante avesse appena pronunciato il suo nome. 
—Caroline. —disse l'uomo, e lei nella sua voce poté percepire stupore e sollievo. 
Senza voltarsi annuì e l'altro le si parò vicino, offrendole l'avambraccio.
— Posso unirmi a te? Era da molto tempo che non tornavo, ma credo che tu lo capisca. —
Finalmente lo guardò negli occhi limpidi e brillanti come smeraldi e realizzò quanto le fosse mancato. 
—  Non credo di potercela fare  —  sussurrò spaventata — Non sono pronta. —
—  Perche credi che sia tornato qui? Lo voglio affrontare anch'io. Lo devo affrontare. Possiamo farlo insieme, come abbiamo sempre fatto. Ci siamo dentro insieme, ricordi? —  La tranquillizzò l'uomo e simultaneamente si incamminò, incoraggiandola. Caroline non se lo fece ripetere due volte e fece un rigido passo avanti. Il compagno le sorrise e annuì, volgendosi verso la casa e muovendosi silenziosamente tra gli ospiti. La ragazza lo seguiva senza proferire una parola, impegnata a distrarsi guardando le opere appese alle pareti. 
Era incredibile quanto riuscisse a sentirlo vicino, poteva quasi sentire il suo profumo aleggiarle intorno e sfiorarla in morbide e leggere carezze. L'uomo al suo fianco la teneva a sé, cercando di trasmetterle tranquillità sebbene sapesse che Caroline sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro e impazzire. La vedeva fragilmente appesa a un filo sottilissimo, le lacrime in agguato e la preoccupazione come una presenza tangibile. Sapeva quanto fosse difficile per lei ritrovarsi nuovamente in quella casa e la capiva, sia per la forte empatia che li legava sia perché, in fondo, si sentiva come lei. 
Quasi senza rendersene conto, come fosse una calamita che li attirava inesorabilmente, giunsero al punto di arrivo: quello con cui tutto era finito o il punto di partenza, dipendeva dai punti di vista. Entrambi vi si fermarono davanti, e come bloccati nelle sabbie mobili non potevano muoversi o distogliere lo sguardo, altrimenti sarebbero sprofondati. 
Caroline fece un grande respiro e le sue spalle tremarono, il suo accompagnatore la guardò e la strinse forte per farle sentire che lui c'era, che non era sola dentro quel grande casino che era la loro vita. Se ne stavano lì, in silenzio, a guardarlo e a tremare perché in fondo, in qualche modo, lì c'era l'uomo che avevano amato. Una come un amante, l'altro come un fratello.
—  Sono qui per te. —  parlò finalmente l'uomo, prendendo...

la sua mano, così gelida, scivolava come seta sulla pelle della giovane, mentre i loro occhi si scoprivano come per la prima volta. Klaus la guardava, gli occhi a fuoco, brucianti, ardenti. Lei reggeva il suo sguardo mentre la sua bocca tremava e desiderava quella dell'altro. 
L'uomo davanti a lei smise di accarezzarle il braccio e, sorridendole leggermente, si portò alle sue spalle. Caroline sussultò, non riusciva più ad aspettare ma Klaus sembrava voler scoprire lentamente ogni centimetro della sua pelle. Infatti portò le dita affusolate ad accarezzare il collo della ragazza, accostando il volto ai suoi capelli e beandosi della fragranza naturale del suo corpo. Lentamente fece scorrere la mano fino all'attaccatura della sua chioma bionda, che quel giorno portava legata, e vi posò un bacio, mentre le sue pazienti mani cominciavano a slacciare i bottoni del vestito di lei. Una volta finito il lavoro, fece scorrere le mani sulla schiena della giovane procurandole i brividi. Sfilò lentamente il vestito,che si ripiegò sulla gonna lasciando nudo il busto di Caroline, sfiorando con le mani le scapole della bionda. Dopo ciò cominciò a baciare una a una le sue vertebre fino ad arrivare alla base della schiena. Si inginocchiò dietro di lei e portò le mani ai suoi fianchi, facendo cadere delicatamente il vestito a terra. Osservò per qualche minuto le sue gambe e tolse anche le calze e la biancheria, lasciandola completamente nuda al suo cospetto. Pensò che avrebbe potuto osservare la sua pelle candida per il resto della vita, se gli fosse stato possibile. Caroline finalmente si voltò e lo abbracciò, stringendo al petto la testa di Klaus che, come un bambino, strinse le braccia alla vita di lei. E l'avrebbe voluta avere davvero, la sua...

 
 
— ... Vita. —  disse l'interlocutore a Caroline, distogliendola dai suoi pensieri.
—  Cosa? —  chiese lei tornando al presente.
—  Ho detto che devi riprendere in mano la tua vita. —  disse lui guardandola di sottecchi.
La ragazza annuì non troppo convinta e tornò a soffermarsi sul quadro che avevano davanti. 
—  La linea della schiena, qui, forma una curva perfetta. —  osservò l'uomo indicando la candida schiena della donna raffigurata.

 
—  Voglio vederlo!  disse lei lamentandosi e facendo una voce da bambina che fece sorridere Klaus.
 Lo vedrai quando l'avrò completato, amore.  rispose dando una pennellata alla tela e stringendo gli occhi per concentrarsi.
—  Ma io voglio vederlo adesso!  insistette lei, voltandosi e coprendosi con il lenzuolo.
 Non muoverti, ho quasi finito. E poi quel lenzuolo sparirà.  proferì Klaus con voce maliziosa e guardandola con occhi languidi.
 Smettila Mikaelson, il lenzuolo sparirà se sarò soddisfatta dell'opera.  rispose Caroline dandogli nuovamente le spalle per concedergli di completare l'opera. 
Passarono alcuni istanti in cui entrambi fecero silenzio, lei persa nei suoi pensieri e lui perso in lei.
 Fatto. esclamò Klaus con voce compiaciuta mentre Caroline si voltava estasiata per ammirare il quadro di cui era il soggetto. L'uomo si alzò e voltò la tela verso di lei, andandosi a sedere al suo fianco. Osservò il suo viso diventare prima stupito, poi rapito e in seguito completamente beato.
 Oh mio dio, è… è fantastico, non ho parole.  disse la giovane portandosi le mani al viso e cominciando a piangere.
 Stai piangendo?  chiese sorpreso Klaus, sporgendosi verso di lei. Non ebbe il tempo di ricevere risposta poiché venne travolto dall'abbraccio della bionda che li fece cadere l'uno sull'altra tra le lenzuola. 
Rimasero stretti per un tempo indefinito, senza parlare, quasi senza respirare, solo godendo del calore dell'altro sulla pelle.
In seguito Caroline si alzò dal suo petto e, guardandolo dall'alto, gli disse:
Sei tutto quello di cui ho sempre avuto bisogno per sentirmi viva. Tu mi hai reso viva.
E poi sfiorò semplicemente le sue labbra, le baciò, e lo strinse a sé perché solo in quel modo poteva essere se stessa.
 
Caroline fissava il quadro in totale silenzio, non riusciva a distogliere lo sguardo da quella cornice, quei colori e quelle forme.
Guardava se stessa e non riusciva a smettere: la curva della schiena, il biondo dei capelli e i colori vividi con cui era stata rappresentata. Quella era stata la sua ultima opera. Una lacrima attraversò il suo viso lentamente, accarezzando la guancia rossa e le labbra immobili. 
Poi guardò la pennellata di nero che si ergeva per metà della tela e sorrise amaramente.
 
 Ti odio!  urlò Caroline fuori di senno dalla rabbia, prendendo un pennello e squarciando di nero il suo ritratto. 
 Caroline, smettila.  rispose Klaus, alzandosi dal divano e avvicinandosi a lei, lanciando uno sguardo al quadro che la giovane aveva appena distrutto.
 Non ti avvicinare! Sai che non ho mai voluto bere sangue umano, sai che effetti ha avuto su Stefan. Mi hai trattata come un oggetto, Klaus, e adesso non riesco nemmeno a guardarti. Avevi promesso che non mi avresti mai soggiogata. Tu... Avevi promesso...
 Tu non capisci, Caroline. Io voglio solo che tu accetti la tua natura, che ti lasci andare a quello che realmente sei.
 Io non voglio diventare un mostro, un mostro come...  rispose lei tra le lacrime, interrompendosi per non peggiorare ancora la situazione.
 Come me? Un mostro come me?  chiese lui sprezzante, distogliendo lo sguardo, ferito dalle parole della ragazza. 
 Io non...  sussurrò Caroline cercando di riparare alle sue parole.
 Oh no, intendevi proprio questo. Hai ragione, sono un mostro e non ti merito. Questo è stato solo uno sbaglio.  continuò lui aspramente.
 Questo cosa?  chiese lei impaurita dalla risposta che l’uomo avrebbe potuto darle.
 Noi.  pronunciò Klaus alzando le sopracciglia in un'espressione seria e composta.
- Cos... - Caroline tentò di parlare ma lui la interruppe.
 Siamo sbagliati, ora ti prego, vattene.  affermò Klaus con sicurezza, dandole le spalle e aspettando di non trovarsela davanti.
Quando si girò però, Caroline era ancora lì e lo guardava in lacrime ma con determinazione.
 Cosa devo fare per convincerti che siamo talmente sbagliati, tu ed io, che solo insieme possiamo essere giusti? *  gli chiese con la voce tremante e gli occhi fieri.
 Finché sarai tra le mie braccia non mi sentirò mai sbagliato.  proferì lui camminando a passo svelto verso di lei e catturandola a sé, baciando prepotentemente le sue labbra umide di lacrime e confondendosi con la rabbia che li guidava.
 
—  Era incredibile come potessimo litigare con cosi tanta rabbia e astio e vergogna per noi stessi ma tornare l'uno dall'altra appena due secondi dopo. Abbiamo fatto così tanti sbagli e ci siamo tanto odiati, eppure continuavamo a riprenderci l'un l'altra. —  parlò Caroline continuando ad osservare il ritratto appeso alla parete. La targhetta diceva: " Sole infinito.  Anonimo."
Riportava una citazione di Tolstoj, quella che Klaus le aveva letto da uno dei suoi tanti libri a cui a volte sembrava tenere più che a lei stessa, questa diceva: " Scese evitando di guardarla a lungo, come si fa con il sole. Ma vedeva lei come si vede il sole, anche senza guardare."
Leggendola quasi sentì la sua voce vellutata nella mente e quelle parole sembravano circondarla totalmente come un'aura luminosa.
La mano del suo compagno di sventure si posò sulla sua schiena e Caroline si voltò a guardarlo. Gli sorrise per rassicurarlo e per urlargli silenziosamente che non poteva più continuare a stare lì, davanti a quello che ormai non era altro che una tela e dei colori senza più importanza. Non c’era più niente di lui in quel quadro, tantomeno in quella casa. Erano solo oggetti inanimati senza alcun valore.
Niente senza di lui aveva più valore.
Caroline sentì di stare per cadere a pezzi, percepiva le gambe tremare e non trovava la forza per stare in piedi.
— Portami fuori di qui. — riuscì a sussurrare prima di sentire le forze abbandonarla e le palpebre chiudersi contro la sua volontà. Stava precipitando nel vuoto, non aveva nessun appiglio. C’era un limite al dolore che un cuore poteva sopportare prima di smettere di funzionare? Tutto quello che voleva fare era spegnere le sue emozioni, il dolore, spegnere tutte quelle luci che ormai non avevano più importanza.

Qualche istante dopo si risvegliò e la prima cosa che vide furono due stupendi occhi blu, quelli che tanto le erano mancati, quelli che  tante volte aveva intravisto tra le gente.
— Kl… Klaus? — sussurrò estasiata e sorpresa di rivederlo dopo tanto tempo, di riuscire a toccarlo ancora.
— Cosa? Sono Stefan. Mi vedi, Care? —  quelle parole spezzarono il breve sortilegio in cui era caduta e con un battito di ciglia focalizzò il volto del compagno.
Quegli occhi così vivi sparirono e in un attimo quella utopica visione si dissolse, lasciandole davanti la realtà.
—Che diav… — pronunciò guardandosi intorno disorientata e confusa — Quest… Questa casa, non è così che dovevano andare le cose. Stefan, lui tornerà. Non possiamo trasformare la sua casa in un museo perché lui… lui tornerà, io… io lo sto aspettando, me lo aveva promesso. Mi aveva promesso che mi avrebbe mostrato il mondo e lui… —
— Sh, Caroline. Calmati. Respira. — il giovane cercò di tranquillizzarla ma vedeva il suo respiro crescere minuto dopo minuti, gli occhi allargarsi e restringersi e le lacrime scorrere copiose sul suo volto.
— Io lo amavo, Stefan, e semplicemente non potevo lasciarlo andare. Io lo amo e lui tornerà, lui… lui tornerà, io… —
Cercando di alleviare il dolore, l’amico la prese per la vita sollevandola da terra e stringendola a sé. Lei strinse le braccia al suo collo e si nascose nel suo petto, cercando di fuggire dalla sofferenza che sembrava impedirle di respirare.
— Vorrei davvero tanto che fosse così. —
E così, insieme, lasciarono quella villa immortale e senza tempo e con lei il ricordo di un uomo che aveva imparato a conoscere la sofferenza e che di questa aveva fatto una compagna di vita.
Lui, Klaus, sarebbe rimasto per sempre incastrato in quello stralcio di vita tanto breve quanto intenso. L’uomo che aveva compreso le loro anime prima ancora di loro stessi, l’uomo che gli aveva fatto conoscere le possibilità che un mondo tanto vasto e infame e meravigliosamente infinito come quello in cui avevano vissuto aveva da offrire.


I’m scared that you won’t be waiting on the other side.


 

Eccomi qui!
Beh, cosa dire, mi presento con una nuova OS scritta per un contest e niente, volevo condividerla con voi.
*Citazione di Eleonora Tisi.
Titolo e Introduzione tratti da due fantastiche canzoni dei Pink Floyd, frase di chiusura da Lana Del Rey.
Non so davvero cosa dire quindi vi saluto, vi ringrazio e vi auguro felice Anno Nuovo. Siete fantastici :*

  
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