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Autore: rosie__posie    31/12/2012    8 recensioni
Non sono uno stupido, ho occhi per vedere - ti dicevi.
C'è qualcosa d'altro che impregna le pareti. È l'eco delle note prodotte dal violino (quello stesso violino che ora giace abbandonato, ma mai dimenticato, sulla scrivania poco lontano da te) quella sera di dodici mesi fa. Una melodia che cantava sofferenza e dolore.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le pareti fredde e inanimate sono ancora impregnate dei ricordi dell'anno passato. Ricordi tristi, zuppi della paura che lui potesse lasciarti da un momento all'altro per quella Donna.
Non sono uno stupido, ho occhi per vedere- ti dicevi.
C'è qualcosa d'altro che impregna le pareti. È l'eco delle note prodotte dal violino (quello stesso violino che ora giace abbandonato, ma mai dimenticato, sulla scrivania poco lontano da te) quella sera di dodici mesi fa. Una melodia che cantava sofferenza e dolore.
 
Buon anno, John.
 
L'hai ascoltata, nota dopo nota, sdraiato sul tuo letto ancora vestito di tutto punto (scarpe comprese), le braccia allacciate sotto la nuca e gli occhi incollati al lampadario spento sopra la tua testa. Avevi abbandonato il salotto dopo che lui ti aveva augurato buon anno per trovare rifugio nella tua camera, lasciandolo sfogare le sue emozioni da sempre represse con quella meraviglia di legno tra le mani.

L'hai ascoltata fino all'ultima nota, con un nodo allo stomaco così forte che credevi che da un momento all'altro saresti scoppiato in lacrime. Ma i soldati non piangono. I soldati ubbidiscono agli ordini e vengono comandati. Così, non hai versato nemmeno una lacrima, preferendo continuare a morderti stoicamente il labbro inferiore fino a sentire sulla lingua il ben familiare sapore metallico del sangue. Fino a quando le tue orecchie hanno udito l'ultima nota di quella melodia struggente, melodia che ben sapevi non era per te.

L'anno prossimo andrà meglio, ti ripetevi nel buio della camera, l'anno prossimo deve andare meglio. L'avresti portato da Angelo, dove i vostri palati sarebbero stati stuzzicati da buon cibo (tanto, nel tuo caso; scarso, nel suo) e vino corposo. Poi sareste tornati nel vostro appartamento e magari lo avresti addirittura convinto a guardare assieme un altro film di James Bond. Tu seduto sul divano con i piedi scalzi appoggiati al tavolino, lui sdraiato scompostamente con la testa sulle tue cosce. E, quando sarebbe giunta la mezzanotte, Sherlock questa volta avrebbe suonato per te, davvero per te. 

Ma nessuno pare aver raccolto la tua supplica, la tua mutua richiesta d'ossigeno, e ora ti ritrovi qui, tra le stesse quattro mura dello stesso salotto che è stato spettatore  dei tuoi momenti di gioia, così come delle tue sofferenze. Questa volta è tutto più cupo, tutto più immobile e silenzioso. Le luci sono spente (forse una lampadina è bruciata qualche giorno fa ma tu non ti sei preso la briga di sostituirla), il fuoco è spento e attorno a te regna un silenzio freddo e quasi surreale. Gli amici, alla fine, se ne sono andati, lasciandoti solo. Oppure sei stato tu a scappare, chiudendoli fuori dalle barriere che hai eretto attorno a te stesso. Non sei nemmeno in grado di ricordare come sia andata davvero. Sai solo che non riesci più nemmeno a riconoscere te stesso, quando ti guardi allo specchio mentre ti radi, la mattina. Sei l'ombra della persona che eri un tempo, poco più di uno spauracchio. Una via di mezzo tra lo Spaventapasseri e il Leone codardo del Mago di Oz.

Ti avvicini alla finestra e vi appoggi una guancia. Il contatto con il vetro gelido ti fa rabbrividire appena e ne sei contento. Per lo meno, significa che i tuoi sensi funzionano ancora. Se sia lo stesso anche per il tuo cuore o la tua anima... Beh, lo ignori.

C'é movimento, giù in strada. Alle orecchie ti giunge addirittura l'eco di alcuni fuochi d'artificio esplosi chissà dove. Ti ritrovi a pregare che questa notte di festa giunga presto al termine, perché il ricordo di quel violino ancora graffia prepotente contro il tuo sterno e nella tua mente. E tu devi fare del tuo meglio per cercare di non afferrare qualche oggetto tagliente,  inginocchiarti a terra e procurarti lesioni fisiche, nel tentativo di scoprire se sia vero che riesci ancora a provare qualcosa. Oltre al perenne senso di torpore che è tornato a impossessarsi della tua gamba.

Stringi i pugni, serri le palpebre e l'unica immagine che il tuo cervello ti proietta è quella del rosso carminio che tinge la tua mano, i suoi capelli e il suo corpo senza vita riverso sul marciapiede. 

Vorresti che qualcuno potesse riavvolgere le lancette dell'orologio fino a quel giorno, in modo da avere l'opportunità per riuscire a fare ciò che non hai fatto, dire ciò che non hai detto. Avere una seconda occasione, insomma.

Ti inginocchieresti su quel corpo, non per saggiarne il battito, ma per catturare quelle labbra scultoree in un primo, e ultimo, bacio.

Risponderesti a quella telefonata non per ascoltare un addio, ma per pronunciare il tuo inizio, il vostro inizio, assieme.

E prima ancora, nel laboratorio, faresti del tuo meglio per scegliere le parole giuste, questa volta, ricacciando indietro quell'odioso You machine che ti rimbomba prepotente nelle orecchie come se l'avessi pronunciato solo un attimo prima.

Un altro botto, un altro fuoco d'artificio, questa volta più vicino. Qualche altro pazzo incurante del tempo poco clemente di questa notte. Ti riscuoti dai tuoi pensieri, poi ti scompigli distrattamente i capelli con una mano, prima di alzarti. Indossi il tuo giaccone, prendi dal tavolo della cucina la busta di carta che hai già preparato poco fa ed esci, lasciandoti inghiottire dalla notte fredda e umida.
 
 
 
A metà del tuo viaggio la pioggia ricomincia a cadere, più invadente di prima. Hai scordato l'ombrello, ma poco te ne importa. È la prima volta che vieni qui di notte. Trovi il cancello chiuso, ma questa prevedibilità non ti ferma, né ti dispiace. Da buon ex soldato impieghi meno di due minuti per forzare l'apertura ed entrare. Il cancello cigola dietro di te mentre lo richiudi. Il custode domani troverà una bella sorpresina di inizio anno. Ma non ti importa nemmeno di questo. Tanto darà la colpa a qualche banda di drogati o teppistelli. Che si fotta il custode, che si fottano tutti.

Acceleri il passo non appena imbocchi il vialetto. Un po' perché desideri farla presto finita, un po' perché hai notato che aumentando l'andatura la gamba ti fa meno male. E tu non vuoi proprio dover ricominciare ad appoggiarti a quel dannato bastone.

Dopo una piccola svolta, l'oscurità prodotta dagli alberi è diventata così insostenibile da costringerti a prendere il cellulare dalla tasca per accendere la torcia integrata, se non vuoi rischiare di inciampare da qualche parte o in qualche radice esposta.

Ed eccola lì, quella macchia di marmo nero scintillante che pesa come un macigno nella sua vita. 

Rallenti il passo, mentre ti avvicini,  e quando sei proprio di fronte a essa le tue labbra si atteggiano a un sorriso, sentito ma spento. Allunghi una mano, piano, per accarezzarla ma gocce di pioggia che cadono dai capelli e rimangono bloccate tra le tue ciglia bionde ti costringono a fermarti e a tirare indietro le ciocche più zuppe.
Un sommesso "Ciao" ti sfugge dalle labbra. Tutto sommato, sei contento di essere qui. È il tuo posto, questo. Un cimitero buio e solitario. Ti guardi intorno e noti che la pioggia degli ultimi giorni ha lavato via le ultime tracce della neve caduta a Natale. Sorridi, mentre cerchi di immaginarti come sarebbe stato divertente fare a palle di neve con Sherlock, magari la sera della Vigilia o la mattina del Primo dell'anno. Ora non avrai più la possibilità di scoprirlo. Senti una morsa gelida che si stringe attorno al tuo stomaco. Ti mordicchi il labbro inferiore, aggiungendo dolore ad altro dolore.

Ti sfili un guanto e completi ciò che stavi per fare prima accarezzando dolcemente il freddo marmo nero. Poi ti siedi a terra, incrociando le gambe, incurante di come appariranno i tuoi calzoni una volta che ti tirerai in piedi. Apri la busta di carta che ti sei portato dietro e tiri fuori una bottiglia di champagne e un cavatappi. Li tieni ancora un po' nel tuo grembo prima di sospirare e guardare l'orologio. L'Una e dieci.

"Scusami, sono in ritardo", mormori a mo' di scusa mentre armeggi con il cavatappi. "Il fatto è che non ero nemmeno sicuro di voler venire. Mi sembrava una cosa stupida". Ti blocchi a metà lavoro, con il cavatappi affondato per tre quarti nel sughero. "Mi sono sentito spesso stupido, quando eri ancora qui con me. In un certo senso, quasi mi piaceva sentirmi stupido, se eri tu a farmi sentire così. Se serviva a far risplendere te". Una pausa. "Ora non c'é più niente che mi faccia piacere o che riesca a far risplendere".

In lontananza riecheggia il richiamo di una civetta, acuto e squillante. Come spaventato da quel richiamo, il tappo dello champagne salta e un po' di schiuma finisce per bagnare la tua mano ancora inguantata, insinuandosi sotto il camoscio e arrivando sino al polso. Non riesci a trattenere un'imprecazione, che ti sgattaiola fuori dai denti. Non c'è più nulla che vada per il verso giusto, in questo mondo. Nemmeno aprire una fottuta bottiglia del cazzo. Ti porti il polso alle labbra e lo lecchi piano per assorbire ogni goccia residua. Vino e pioggia si mescolano sulla tua lingua, dando vita a qualcosa di anonimo e dal sapore insipido.

I tuoi occhi si posano sulle lettere dorate che ricamano il marmo nero e pensi che il risentimento che provavi nei confronti della Donna non era nulla a confronto del vuoto che si sta cibando delle tue viscere. 

"Non ti rivedrò mai più, non è vero?", bisbigli. Il sorriso che fino a poc'anzi addolciva le tue labbra scompare nel gelo della notte. "Suppongo che questo tuo silenzio equivalga a un no", ti rispondi da solo, prima di alzare la bottiglia verso la lapide in un brindisi che di letizia e voglia di festeggiare ha ben poco.
"Buon anno, Sherlock", bisbigli, prima di avvicinare il vetro freddo alle labbra. La civetta emette di nuovo il suo richiamo, prima di spiccare il volo dal ramo dov’era appollaiata e passarti ad ali spiegate sopra la testa. Chini quest’ultima quel tanto che ti basta per lanciarle un’occhiata di sfuggita prima che il suo piumaggio chiaro venga inghiottito dalle tenebre. Sorridi, mentre pensi che forse l’anima di Sherlock si sia sparpagliata un po’ dappertutto. Nel cipresso accanto alla tomba, nella pioggia di questa notte vomitata dal cielo o, perché no, in quella civetta. Un predatore notturno tanto rapace quanto elegante.

“Sì, Sherlock, potresti benissimo essere tu”, sussurri, allungando la mano per accarezzare il marmo per l’ennesima volta. Bevi un altro sorso di champagne, mentre il tuo cuore par quasi più leggero mentre decidi di tornare l’indomani per una nuova visita notturna a questo luogo. E chissà, magari il rapace ti verrà ancora a trovare. La tua mano è ancora lì: fa così freddo che ormai non ti senti più i polpastrelli.

“Buon anno, amico mio”, mormori di nuovo, chiudendo gli occhi e abbandonandoti alla pace. “Buon anno”.


 
 
Angolo dell’autrice:
beware: scritta di getto e non betata, ergo perdonatemi tutti gli errori! ^__^ dedicata a tutte le mie fedeli lettrici, per augurare loro una buona fine e un buon inizio, ma in particolare alla cara Jessie <3
   
 
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