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Autore: Amor31    01/01/2013    2 recensioni
Non aver adempiuto al proprio compito era la sua colpa.
Avrebbe affrontato con coraggio qualsiasi punizione, ma quelle parole l’avevano colpita senza alcuna pietà.
Chi ha detto che essere un Nessuno significa “non provare dolore”?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel, Organizzazione XIII, Roxas, Xion
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
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Errore

Aveva fallito. Ne era consapevole, purtroppo.
Ma non era questa la cosa che più l’angosciava.
Il pensiero dei rimproveri che Saïx le avrebbe sicuramente mosso non era così terribile quanto le parole che le erano state appena dette.
 
“Tu… non sei altro che un errore”
 
Quell’unica frase, pronunciata con tono freddo e sprezzante, l’aveva spiazzata.
 
“Che cosa significa? Di che stai parlando?”
“Non giocare con me, inutile fantoccio”
 
Fantoccio”… E perché mai? Che senso aveva sentirsi dire da un completo sconosciuto che era inutile?
Forse lei non era speciale? Glielo ripetevano tutti, nell’Organizzazione; lei e Roxas erano i Prescelti. Era impossibile che la loro esistenza fosse priva di significato.
“Io ho un compito. Devo raccogliere cuori; solo così potrò ottenerne uno tutto mio. E anche i miei amici lo avranno. Ma per arrivare all’obiettivo sarà necessario impegnarsi. Io sono speciale”.
Ma per quanto continuasse a ripeterselo, la voce profonda del nemico imbattuto le riecheggiava nella testa, sempre più forte. E, tornata al Castello, si trascinò davanti a Saïx con passo pesante, sapendo che di lì a poco sarebbe stata messa alla gogna.
-Numero XIV-, la chiamò l’uomo accogliendola con uno sguardo già severo per natura. -Sei riuscita a risolvere il problema?-.
-Io…-.
Abbassò gli occhi a terra, sentendosi perforare il cranio dall’occhiata tagliente del suo superiore.
-Allora, Xion? Sono in attesa di una tua risposta-.
La ragazza strinse i pugni e li rilasciò, tentando di farsi forza.
-Non sono riuscita a sconfiggerlo-, disse pensando di avere un tono di voce abbastanza deciso.
-Come, prego?-.
Deglutì a fatica, mentre qualcosa al posto di quello che sarebbe dovuto essere il suo cuore le ribolliva dentro.
-Sono stata sconfitta. Non ho potuto portare a termine la missione-.
Alzò di nuovo gli occhi e incrociò quelli di Saïx: nelle sue iridi gialle non vide altro che disprezzo. Lo stesso disprezzo che poco prima le aveva mostrato lo sconosciuto che l’aveva battuta.
-Come è possibile che un Prescelto come te non sia stato in grado di eliminare un impostore?-.
-Era troppo forte…-.
-Non ci sono giustificazioni per quanto accaduto. Non meriti di impugnare il Keyblade!-.
-Datemi solo un’altra possibilità… Vi ho dimostrato di sapere…-.
-Basta così, numero XIV!-, la interruppe l’altro alzando ancor di più la voce. -Non abbiamo bisogno di incapaci. Sei solo un errore!-.
Xion rimase immobile, colpita per la seconda volta da quell’appellativo così degradante. E provò una strana sensazione: era come se un meccanismo dentro di lei si fosse rotto. Infranto, esattamente come i vetri di uno specchio.
-Ehi, che succede? Sei appena tornata dalla missione?-.
La ragazza si voltò ritrovandosi Roxas di fronte. Sorridente come sempre, l’amico le era venuto incontro per andare insieme alla Torre della Stazione e mangiare un gelato. Il solito, insipido gelato.
Lo guardò a stento, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime; fuggì via, senza aggiungere una parola, senza azzardarsi ad esprimere quel dolore che la stava divorando.
Ma quello che sentiva era davvero dolore? Poteva un Nessuno provare delle vere sensazioni? O forse era tutta una finzione, un terribile, crudele gioco di ricordi andati perduti per sempre?
-Xion, aspetta!-, la richiamò indietro l’amico.
Inutile.
Per quel giorno non avrebbe più visto altri.



 
-Ciao, Roxas! Tutto solo anche oggi?-.
La voce di Axel giunse alle sue orecchie come una benedizione, riscuotendolo da tristi pensieri.
-Già-.
-Credevo che Xion fosse con te. Mi era sembrato di vederla, al Castello…-.
-Beh, è tornata dalla missione. Ma qualcosa deve essere andato storto-.
-Sì, mi è giunta la notizia. Non le hai parlato?-.
Roxas aumentò la presa sul bastoncino del ghiacciolo semisciolto; avrebbe tanto voluto spezzarlo, ma gli sarebbe dispiaciuto non poco perdere quella piccola soddisfazione dopo una giornata di duro lavoro.
-Non ne ho avuto il tempo. È scappata via al solo vedermi…-.
Si interruppe bruscamente, continuando a pensare alla ragazza. Le lacrime che le avevano rigato il viso minuto non lo avevano lasciato del tutto indifferente.
-Sbaglio o sei preoccupato?-, domandò Axel accomodandosi alla sua destra.
-Uhm…-.
-Ehi, amico? Dico a te-, gli disse il ragazzo dandogli una gomitata tra le costole.
-Ahi! Non c’è bisogno di farmi male!-.
-Ma quale male! Hai solo immaginato di provare dolore, ricordi?-.
Roxas abbassò nuovamente gli occhi sul gelato e l’espressione sul suo volto s’intristì ulteriormente. Perché Axel insisteva sempre sulla mancanza di un cuore?
-Secondo te dov’è Xion, adesso?-.
-Dagli altri. Pensi che possa andarsene tranquillamente in giro senza avvertire anima viva?-.
-E se volesse stare completamente da sola? Se non desiderasse vedere i nostri compagni?-.
-Allora si chiuderebbe nella propria stanza, come credo che abbia effettivamente fatto. Non ha il permesso di usare i corridoi oscuri, se non per le missioni che le vengono assegnate-, spiegò Axel con precisione.
-E tu? Hai delle autorizzazioni particolari?-.
Il numero VIII rimase in silenzio, corrucciando lievemente la fronte.
-Non tutte le domande possono avere una risposta, amico-.
-Quindi tu puoi! Allora perché…-.
-Roxas, smettila. Ci sono cose che non puoi sapere. Per adesso-.
I due non scambiarono una parola per buoni cinque minuti. Il Prescelto ebbe tutto il tempo di terminare il proprio gelato e ammirare sul bastoncino l’ennesima scritta “Hai vinto!”; stava per chiedere quale fosse il premio della vittoria, ma la domanda assunse un’altra forma.
-Axel, cosa posso fare per Xion? Come posso farla sentire meglio?-.
Il compagno si voltò e scrutò quelle iridi di un impressionante blu mare. Prima o poi avrebbe dovuto dirgli che quel colore era semplicemente stupendo.
-Appena la vedi, prova a parlarle. Con le ragazze funziona così, sai? Si accontentano di poco, in casi come questo-.
-E cosa le dico? Io non ho mai avuto un approccio diretto con…-.
-Eh, sei proprio un novellino!-, lo prese in giro l’altro scompigliandogli i capelli già disordinati. -Dovrò insegnarti moltissime cose, oltre a combattere…-.
-Non divagare, per favore! Dimmi come comportarmi!-.
“Che sguardo implorante!”, pensò Axel affascinato dalla profondità di quegli occhi magnetici.
-Ci tieni molto a Xion, vero?-, chiese con un mezzo sorriso.
-Sì-, ammise candidamente Roxas. -Mi sento in dovere di proteggerla e voglio solo il suo bene-.
-D’accordo, allora-, cominciò il numero VIII. -Ascolta attentamente ciò che ti dico: per prima cosa cerca di incontrarla da solo, lontano da tutti gli altri; soltanto così riuscirai a capire qual è il vero problema che l’affligge-.
Axel si fermò per un istante e notò come l’amico lo seguisse scrupolosamente, senza perdere una singola parola dell’intero discorso.
-Il secondo passo consiste nel passare un po’ di tempo insieme. E non mi riferisco alle giornate di lavoro in comune, ma ai momenti liberi come questo. Potete venire qui e chiacchierare, per esempio-.
-Ma lo facciamo sempre!-, protestò Roxas con tono deluso.
-Di solito ci sono anche io insieme a voi. O no?-.
-E tu devi esserci. Siamo amici, giusto? Quindi non è un problema se…-.
-È un problema, invece-, lo corresse Axel passandosi una mano sul viso. -Non potete parlare di cose private se mi presento nel bel mezzo della discussione; capisci qual è la differenza da un normale pomeriggio trascorso in tre?-.
Seppur poco convinto, Roxas annuì.
-Comunque non vedo cosa ci sia di sbagliato. Sono sicuro che a Xion farebbe piacere la tua presenza-.
-NO! Per la miseria, te lo chiedo di nuovo: ci tieni a lei?-.
-Certo!-.
-Vuoi aiutarla?-.
-Assolutamente sì-.
-E allora dovete parlare solo voi due. Senza di me, ok?-.
Stavolta Roxas assentì con maggiore sicurezza.
-Bene! Ti ci vuole un po’ per capire, eh?-.
-Axel, non te la prendere-.
-Ci mancherebbe! Comunque, è giunto il momento di svelarti il terzo passo per ottenere il successo-.
Il Prescelto spalancò gli occhi, in ascolto. Pendeva letteralmente dalle labbra dell’amico.
-Dopo aver capito quali sono le sue difficoltà, rassicurala. Falla sentire importante, insomma; e, mi raccomando, mostrati gentile. Le carinerie sono sempre bene accette-.
-Basta solo questo?-.
-Beh… Diciamo di sì. Sono proprio curioso di vedere come te la caverai-, ridacchiò Axel dandogli una leggera pacca sulla spalla.



 
Roxas non aveva fretta di mettersi alla prova, anzi. Quando pensava a come si sarebbe dovuto comportare si sentiva piuttosto spavaldo: se per lui un’orda di Heartless non era un problema, trascorrere del tempo con Xion non gli avrebbe fatto altro che piacere. Eppure, se solo veniva chiamato, improvvisamente sentiva la testa vorticare in preda all’agitazione. Non riusciva proprio ad immaginarsi in un incontro solitario con la ragazza.
Tuttavia le giornate passarono in fretta. Da dieci giorni non vedeva l’amica e cominciava ad essere sinceramente preoccupato. Sapendo che aver fallito la missione le aveva provocato una sorta di shock, Roxas non faceva che rivolgere tutti i suoi pensieri alla giovane apparentemente scomparsa. Chiedeva di continuo notizie ad Axel, ma il ragazzo non era in grado di fornirgli risposte esaustive; o forse non desiderava dargliele.
“Dove si sarà cacciata?”, si domandava il Prescelto mordicchiando controvoglia il gelato e ammirando malinconicamente il tramonto dalla Torre della Stazione. “Tutti dicono che è impegnata sul lavoro, ma di solito soltanto le missioni che affidano a lei e ad Axel si protraggono per più di una settimana. Speriamo che stia meglio”.




-Ehi, Roxas, è stato un vero piacere lavorare con te. Dovremmo chiedere a Saïx di metterci in coppia più spesso-.
-Dici sul serio?-.
-Ma certo! Hai visto quanti cuori abbiamo recuperato oggi? Sono sicuro che ne abbiamo sottratti il doppio rispetto a quando hai collaborato con Xigbar o Xaldin-.
-Uhm, se lo dici tu…-.
-Andiamo, siamo stati forti! E adesso, se vuoi scusarmi, vado a rilassarmi un po’; il sitar chiama e io rispondo. Ci vediamo domani, Roxas-.
-Ciao, Demyx-.
Di ritorno da una missione presso l’Arena dell’Olimpo, il Prescelto aveva già deciso in che modo impiegare il suo tempo libero: fare una visita a Twilight Town e magari prendere un ghiacciolo come ricompensa della fatica quotidiana. Prima di partire controllò se nella sala comune ci fosse qualcuno, ma fu travolto dalla delusione quando non vide altri che Luxord e Xaldin intenti in una partita a carte.
-Nanerottolo, vuoi unirti ai più grandi?-, lo chiamò il numero X voltandosi e facendogli un cenno con la mano sinistra.
-No, grazie. Sarà per un’altra volta-.
-Come preferisci… Stavi cercando la tua amichetta, per caso?-.
Roxas, che era sul punto di uscire dalla stanza, si fermò di blocco.
-Amichetta?-.
-Intendo l’ultima arrivata-.
-Beh, ecco…-.
-È rientrata poco fa. Probabilmente voleva parlarti. Sembrava così triste senza il suo amoruccio…-.
Luxord scoppiò in una fragorosa risata, emulato subito dopo da Xaldin. Roxas, lievemente imbarazzato, borbottò un inudibile “Grazie per l’informazione” e se ne andò, certo di trovare ben presto la ragazza.


I caldi raggi del sole lo colpirono in pieno volto e fu costretto a ripararsi gli occhi con una mano. Riaprendoli lentamente per farli abituare all’accecante luce del tramonto, vide qualcuno seduto sul bordo della Torre.
Mosse pian piano alcuni passi senza fare il minimo rumore: aveva quasi paura che la persona lì presente potesse svanire nel nulla, percorrendo uno di quei corridoi oscuri che ormai conosceva tanto bene.
-Ciao, Roxas-.
Sentire il suo nome pronunciato da quella voce gli giunse alle orecchie come il più dolce suono del mondo. Forse era la voce della ragazza che ancora gli dava le spalle a fargli quell’effetto. Eppure prima di allora non si era mai sentito così… felice.
-Xion-, la salutò lui avvicinandosi ancora un po’. -Da quanto tempo…?-.
-Ti stavo aspettando, sai?-, lo interruppe lei senza guardarlo. -Ero sicura che saresti venuto qui-.
-Come potevi esserne certa?-.
-Perché è qui che è nata la nostra amicizia-.
Roxas le prese posto accanto muovendosi come al rallentatore; all’improvviso aveva perso tutta la sua sicurezza.
-Dove sei stata fino ad oggi? Gli altri non mi hanno voluto dire niente-.
-Al Castello della Bestia. Gli Heartless hanno assediato la reggia giorno e notte, senza concedermi neppure un respiro. È stata la missione più stancante che io abbia mai affrontato-.
La luce che sprigionavano i suoi occhi si affievolì in un istante e Roxas non si lasciò sfuggire questo particolare di massima importanza.
-Deve essere stata dura, per te, combattere continuamente-, provò a dire pensando che questa fosse la cosa giusta da fare. -Avrebbero potuto affiancarti almeno un altro compagno-.
-Anche tu credi che io non sia in grado di farcela contando sulle mie sole forze?-, domandò la ragazza fissando per la prima volta i propri occhi in quelli dell’amico.
-Non ho detto questo…-.
-E allora cosa?-.
-Penso che ti sarebbe stato più utile ricevere l’aiuto di altri membri dell’Organizzazione-, si spiegò meglio Roxas. -In questo modo avresti risparmiato tempo e fatica e… Magari ci saremmo visti più spesso, no?-.
-Può darsi-, rispose Xion spostando lo sguardo verso l’orizzonte rossastro. -Ma soltanto così ho avuto la possibilità di dimostrare a Saïx il mio valore-.
La giovane zittì, sospirando e abbassando la testa.
“Continua ad essere turbata per quello che le è successo”, rifletté Roxas studiando l’espressione malinconica dell’amica. “Forse dovrei…”
-Xion, ti va di parlare di…-.
-Roxas, ti devo le mie scuse-, lo bloccò lei prima che potesse aggiungere altro.
-Scuse? E per cosa?-.
-Per il mio comportamento. L’ultima volta che ci siamo incontrati non ti ho nemmeno salutato, ricordi? E… Mi sono sentita in colpa. Non avrei dovuto scappare in quel modo-.
-Non c’è alcun bisogno di discolparsi. Mi importa soltanto sapere se ti senti meglio rispetto a due settimane fa, se ti sei ripresa dalla sgridata di Saïx…-.
-Non è stato questo a ferirmi, Roxas-.
C’era qualcosa, nella sua voce, che faceva trasparire una grandissima tristezza, un malessere logorante che le strappava poco alla volta una piccola parte di sé. E se non fosse stata la voce a dare questo primo segnale, i suoi occhi avrebbero comunque rivelato la verità.
-Xion, vuoi raccontarmi cos’è successo durante quella missione?-, le chiese con gentilezza, sperando che si confidasse come gli aveva detto Axel.
-È… è stato orribile, Roxas-, cominciò la ragazza, intuendo che di lì a poco le parole le si sarebbero spente in gola. -Non puoi immaginare quanto io mi sia sentita inutile, quanto mi abbia tormentata quella sensazione di impotenza di fronte ad un nemico più forte di me. Credevo che il Keyblade potesse venire in mio soccorso in qualsiasi circostanza, ma a quanto pare sbagliavo. Io… Non sono all’altezza di un’arma tanto potente-.
La giovane intrecciò le dita delle mani sul grembo, fissandosi le ginocchia come se fossero state la più grande attrazione del momento. Vicino a lei, Roxas non smetteva di guardarla, provando pietà.
-Non devi dire così-, provò a scuoterla, -non voglio sentire mai più una cosa del genere. Tu hai il potere, Xion. Sei stata scelta dal Keyblade stesso per portare a termine il tuo compito-.
-E quale sarebbe?-, sbottò la ragazza guardando l’amico. -Sconfiggere orde di Heartless per ottenere un cuore? Ma noi non sappiamo nemmeno come è fatto; non abbiamo idea di cosa significhi possederne uno. Ci dicono soltanto che è giusto recuperarli, che così saremo completi. E adesso, invece? Cosa siamo?-.
Sentendo una specie di macigno bloccargli lo stomaco, Roxas rispose rispose semplicemente: -Siamo dei Nessuno. Proveniamo dal Nulla-.
-Allora la nostra esistenza è fasulla?-, chiese ancora Xion, ormai prossima alle lacrime. -Siamo solo… dei fantocci?-.
-Chi ti ha detto una cosa del genere?-, esplose il numero XIII sgranando gli occhi.
-L’impostore-, singhiozzò la ragazza. -L’uomo che non sono riuscita a sconfiggere-.
-E tu gli hai creduto?-.
-Ha affermato che il mio potere è debole perché non sono altro che un burattino alla mercé di esseri crudeli. Ha detto che non sono una Prescelta, perché solo una persona può impugnare il Keyblade. Io sono meno che niente-.
-No, Xion, no! Queste sono bugie, menzogne inventate per farti soffrire e renderti davvero debole!-.
-Ma io sono debole. Sono un’incapace; ricordi quello che mi ha gridato Saïx?-.
-Saïx potrà dire ciò che vuole, ma tu non devi farti abbattere da chi desidera il tuo male. Xion, ascoltami!-.
Roxas, che fino a quel momento l’aveva leggermente scossa strattonandole le braccia, ora le afferrò il viso con entrambe le mani, sussurrandole un flebile “Guardami, per favore”.
I loro occhi si incontrarono dopo tanto tempo passato a cercarsi. Un singolo attimo si prolungò per quelli che a entrambi sembrarono secoli; mai atmosfera fu tanto surreale.
Che cosa provavano, in quel momento? Forse avrebbero potuto descrivere le rispettive sensazioni se avessero avuto un benedetto cuore a battergli nel petto. Ma la realtà era ben diversa: al posto di quel muscolo tanto desiderato c’era solo uno spazio vuoto, cavo, privo di sentimento. Eppure qualcosa stava accadendo.
I due ragazzi percepivano una differenza rispetto ai loro precedenti incontri. Non stavano semplicemente scherzando o chiacchierando; la loro era una discussione profonda, che toccava particolari corde in entrambi. Il termine più giusto per definirli sarebbe stato “armonia”.
Armonia di corpo e mente.
Roxas la guardò come mai aveva fatto prima di allora: apprezzò la tenue sfumatura aranciata che coloriva le guance dell’amica, si meravigliò del riflesso delle sue iridi, tanto simili alle proprie. Si stupì della perfezione delle sue labbra, il cui colore spiccava grazie all’effetto della luce solare.
-Non sei inutile, Xion. Tu sei la persona più speciale che io abbia incontrato in questa vita-.
La contemplò ancora per un istante, indeciso sul da farsi. E alla fine non resistette.
Avvicinò il suo viso a quello della ragazza e le depose un delicato bacio sulla bocca. Fu il suo modo di farle capire quanto le fosse vicino, quanto credesse nelle sue potenzialità, quanto le volesse bene.
Xion fu sorpresa da quel contatto, quasi scottata. Non sapeva cosa dire.
-Roxas, che cosa hai fatto?-, chiese spalancando gli occhi velati dalle lacrime.
-Io… credevo… Non vuoi che…?-.
-Cosa desideri dirmi?-, lo invitò lei.
-Se non vuoi questo, beh… Non ho intenzione di mettere a repentaglio la nostra amicizia e… Scusami, è stato solo un errore-.
Pessima scelta di parole, sì.
Fu un istante: Roxas lasciò scivolare via le mani e le fece ricadere lungo i fianchi, senza avere una vaga idea di come comportarsi ora che l’idillio era finito; Xion, stupita non solo per il gesto, ma anche per la reazione imprevista dell’amico, sentì rompere un altro meccanismo all’interno del suo corpo. E la ferita che stava tentando di ricucire venne squarciata nuovamente, proprio dalla persona che in tutti i modi aveva cercato di aiutarla.
-Un errore, eh?-, ripeté con voce spezzata.
-Che succede?-, le chiese Roxas guardandola e capendo di aver commesso un grande, grandissimo sbaglio.
-Lo pensi anche tu, allora! È esattamente ciò che ha detto Saïx: io sono un errore. Proprio come questo bacio!-.
Si alzò di scatto, dilaniata dal dolore, dalla disperazione, da quella maledetta sensazione di incomprensione che adesso l’avviluppava totalmente. Lacrime amare le corsero lungo il viso pallido, cadendo a terra e risplendendo simili a diamanti; fuggì ancora, aprendo un oscuro portale che l’avrebbe condotta il più lontano possibile da quel luogo e dal ragazzo a cui con tanta forza aveva cercato di aggrapparsi per continuare a vivere, per superare tutte le proprie paure.
E Roxas rimase lì, immobile, deluso da se stesso e per il guaio appena combinato.
Deluso perché aveva davvero creduto che un bacio potesse essere la cura.
Amareggiato perché desiderava ardentemente che quell’errore portasse a qualcosa di molto più grande.
   
 
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