Disclaimer : I
personaggi non mi appartengono
Ma sono di proprietà della
Marvel ©
A Mattie Leland, perché se sono arrivata a scriverla
È per tutte le immagini che
mi ha passato ~
.: Peur de Tomber Au Cœur :.
.: de la Nuit :.
-Fatti
coraggio, figliolo-
Nick Fury non aggiunge altro. Oh, non che Nick Fury
sia famoso per la sua loquacità, né tantomeno per la comprensione del dolore
altrui, ma in quel momento Peter ha tutt’altro cui pensare che non l’umanità
più o meno fasulla o inscenata che sia di Nick Fury.
Vero è che la presa sulla spalla sembra sincera.
Peter può avvertire ogni più piccola contrazione delle falangi, lo scrocchiare
sommesso delle nocche, la tensione dei polpastrelli sul tessuto della giacca. Oh,
certo, può anche essere benissimo una manifestazione di dolore legata all’ambito
puramente lavorativo, ma, di nuovo, Peter ha bisogno di tutte le scintille di
condivisione possibile.
E’ un bisogno quasi fisico, che gli morde lo stomaco
e le braccia e le gambe e il cervello e rosicchia, rode, mastica, lacera ad
unghiate tanto profonde che se non urla è solo perché ha l’impressione che gli
abbiano strappato via anche le corde vocali.
Thor, il mastodontico, divino, saettante zio Thor
nemmeno dice una parola, e forse è anche meglio. Potrebbe parlargli del
Valhalla, delle Valchirie, dei loro capelli biondi che intrecciano nodi dorati
contro il sole, dei lupi ululanti e dei corvi, ma sarebbe peggio. Decisamente
peggio. Zia Natasha è stata più materiale: ha accennato alla cucina, dove ha
lasciato una bottiglia di vodka -Bottiglia che lo zio Clint ha fatto sparire un
istante dopo, masticando qualcosa su Ci
manca solo lui coi problemi di alcolismo.
Problemi di
alcolismo. Come
se lui ne avesse qualcuno. Non gli piace nemmeno, l’alcool. Oddio, sì, una
birretta ci può anche stare di tanto in tanto, occasioni speciali, papà Tony
che cucina qualcosa di decente senza l’aiuto di Ferrovecchio (e forse è proprio
per questo che è decente), una ragazza che accetta un invito ad uscire..Ma l’idea
di annegare in una formula chimica di luppolo fermentato non lo fa impazzire.
Con lo zio Bruce hanno passato un po’ di tempo a parlare della cosa, lo zio
Bruce, sì, quello che lo fissa da un angolo buio della casa e ha addosso un’espressione
tanto accartocciata da sembrare un’altra persona, quasi come se anche l’Altro
avesse rinunciato, almeno per quel giorno, a ringhiare e latrare e spaccare
cose.
Hulk, spacca. Glielo diceva qualche volta, da
bambino, e papà Steve rideva e papà Tony diceva che ci mancava che gli
insegnasse anche ad andare in giro con una tutina luccicante e tirare calci ai
tizi coi baffoni. Bhè, la sua tuta non luccica così tanto e un calcio a Jonah
Jameson non l’ha ancora tirato, per cui può dire di essere sulla buona strada.
Chissà se gli sottrarrà la giornata dallo stipendio,
quel pezzo di..no, Peter, se papà Steve ti sentisse, usa un sinonimo, una
parafrasi, una metafora o una similitudine, qual era più la differenza…? La
metafora è quella col come, mentre la
similitudine..? No, no, era il contrario. Era il contrario, vero?
Oddio, sta davvero pensando a similitudini e
metafore in un momento come quello?
Complimenti Peter Parker, ti sei appena guadagnato la medaglia d’oro nella
disciplina olimpica detta Negazione. Chissà
se ti daranno un premio, magari giusto un giro di birra gratis o che altro.
..Sì, è decisamente in fase di negazione.
Almeno non è ancora allo stadio della rabbia, anche se sente un leggero
prurito alle mani.
Cristo, ma hanno davvero tenuto quell’orrido vaso
per tutti questi anni? Dio, starebbe così bene in pezzi, frantumi piccoli,
squadrati, sottili, polverosi, crepe frastagliate, folgori nere sulle anse e
sulla pancia, il colpo secco, striscioline rosse sulle nocche, rigagnoli di
sangue che impiastricciano la pelle e la ceramica.
-Peter..-
Una mano sulla spalla, la voce bassa e tranquilla.
Alza lo sguardo e incontra gli occhi di Bruce.
-Vai da lui, Peter-
Annuisce, deglutendo. Ci sono cinque passi tra lui e
l’entrata del laboratorio, cinque fottuti passi lunghi e difficili quanto
cinque esistenze cinque volte più dure e difficili di questa. Anche se la vede
difficile una vita più difficile di questa, insomma, ne ha già avute abbastanza
per uscire matto e magari matto ci è diventato sul serio e sta sognando tutto,
sta sbattendo la testa contro il muro paffuto e imbottito di un bugigattolo
psichiatrico e gnaula e urla e ride e piange insieme. Quasi, gli verrebbe da
sperare che sia così. Almeno una volta che le cervella sono uscite fuori smette
di sognare e se la smette di sognare non gli tocca fare quei cinque passi.
Uno.
Forza, maledetto, colpisci più forte quel muro.
Due.
Maledizione, la tempia, prendi la tempia di spigolo
e falla finita.
Tre.
Mi sa che no, o è davvero una pippa a tirare testate
contro il muro o quello non è un sogno.
Quattro.
Cazzo, non è un sogno, non lo è per niente. Non lo è
e già vede una lingua di luce asettica crogiolarsi bluastra sotto il pulviscolo
che punteggia la stanza.
Cinque.
Cosa diceva la Ross? Negazione, rabbia, patteggiamento..depressione.
-Papà..-
Se quella è la sua voce, devono aver fatto un paio
di casini con i bassi. È roca, sgretolata, grattata via dalla gola con un gesto
secco e improvviso. Le parole sembrano marmo, per assumere una forma vagamente
comprensibile bisogna scalpellarle fino a ridurre i polsi a polvere di gesso.
Tony rotea, vacuo, gli occhi verso di lui. E’
piegato in avanti, le gambe appena divaricate, il gomito destro poggiato sul
ginocchio e la bocca nascosta dalle nocche chiuse a pugno; non ha dormito e le
occhiaie sono ancora più nere nella penombra. I lati degli occhi sono un
intrico di lineette rosse, la barba troppo lunga e non si è nemmeno tolto l’armatura.
Pepper è dietro di lui, ancora più nera delle
occhiaie di Tony. Tiene l’elmo di Iron Man in mano e ci tamburella sopra con le
dita, tic tic tic tic, Peter può
vedere la terminazione dell’unghia che si incrina ad ogni colpetto. Quando
Pepper alza gli occhi e lo vede, le labbra hanno un tremito controllato a
stento. Si riprende subito, fa due passi, lo abbraccia e se ne va.
In tutto quello, Tony non ha detto una parola e
Peter non è poi così sicuro che l’abbia fatto negli ultimi due giorni, né se
abbia ancora la forza per uno sforzo simile. Sicuramente, se non sbronzo, ha
sputato sulla soglia della lucidità da un bel po’, come urla la bottiglia mezza
vuota di whiskey sul tavolino accanto a lui e le frattaglie di vetro sul
pavimento, gli ultimi resti di qualche bicchiere o troppo pesante o troppo
penoso da tenere in mano.
-Papà non vorrebbe che tu bevessi così-
-Papà non vorrebbe che tu indossassi quella cravatta
orrenda. Te l’ha comprata Thor? Eppure credevo che Jane l’avesse addestrato
bene a riguardo-
Sarebbe fin convincente, peccato che al confronto il
tono di Jarvis è un crogiuolo di sfumature drammatiche. Ha pronunciato quella
breve arringa con la stessa enfasi ed inflessione che avrebbe usato per la
lista della spesa o l’elenco dei programmi del venerdì sera.
-Posso sedermi?-
Non aspetta neanche una risposta, si siede e basta.
Tony non protesta, torna semplicemente a fissare davanti a sé.
-Tuo padre russa sempre- gli confida, dopo un po’ -Una
volta ho portato Ferrovecchio in camera, per tappargli il naso mentre io tenevo
il cuscino sulle orecchie-
Gli ha tappato il naso anche lui, una volta, quando
era bambino e aveva le dita piccine e le chiudeva sulle narici di Steve e
ridacchiava e Tony sorrideva dietro di lui e Steve sbarrava gli occhi e
ansimava e boccheggiava un po’ e poi lo abbracciava e abbracciava anche Tony e
li teneva contro il petto con tanta forza che nessuno dei due riusciva più a
respirare.
-Ora però non russa-
Non è quello che Peter gli vuole dire, ma la voce
esce da sola.
-...Già-
Sa che Tony vuole aggiungere qualcosa, così se ne
sta zitto a fissare il sole che balbetta e barbaglia ad intermittenza su stelle,
e strisce e sulle croste di sangue secco che inzaccherano la divisa altrimenti
lucida.
-Non te ne andare anche tu così, Peter-
Così come? Vorrebbe chiedere.
Ha gli occhi chiusi. Un sorriso appena accennato.
Sembra che dorma.
Ma lo scudo nasconde le dita mozzate e un sogghigno
grottesco aperto sopra l’ombelico, le gambe sono state sistemate perché non si
notino le ginocchia spezzate, un occhio è stato strappato via durante la
battaglia, il polso destro maciullato.
Una fastidiosa sensazione di nausea alla bocca dello
stomaco, ma no, non è quel così che
intende Tony. Non è il come è andato
via. Intende il significato intrinseco di quell’andare, quello sparire e lasciare tutto e tutti senza voler davvero
lasciare nessuno, la costrizione, l’obbligo di un destino che ti attende al
buio e poi ti agguanta e ti stritola e ti prende lì, e ti toglie anche quel
poco di vita che ti sei guadagnato a calci e pugni e lacrime e notti insonne,
quel trancio infimo di esistenza che hai barattato con lembi sempre più ampi di
innocenza, fino a perderla del tutto.
-…Nemmeno tu-
Quell’andare
che ha dimenticato l’essenzialità devastante del tornare.