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Autore: M e g a m i    03/01/2013    7 recensioni
« Cosa diavolo stai facendo?! »
Grimmjow si voltò di scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza però abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ecco, ci risiamo...
« Lascialo andare. », la udì scandire lentamente, guardandolo con aria minacciosa.
Lui ricambiò il suo sguardo, con orgoglio.
« ... E se non lo facessi? », sibilò a denti stretti.
« Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava sempre a finire così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di sguardi. Il povero ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì, perché ormai la sua attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki Arisawa, diciassette anni.
Capelli: neri.
Occhi: castani.
Abilità speciali... incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow Jaegerjaques, attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Arisawa Tatsuki, Jaggerjack Grimmjow
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Personalmente, mi sta piacendo molto come il rapporto tra Grimmjow e Tatsuki si sta evolvendo. Perché io li vedo così, soprattutto amici prima che amanti. E in questo capitolo volevo un po’ sottolineare questa cosa, nonché certe decisioni prese nella mente di entrambi, che si stanno sempre più aprendo nei confronti dell’altro.
Questa volta è il turno di Tatsuki che affronterà una cosa che si porta dietro dal primo capitolo, mettendo allo stesso tempo a dura prova il nostro tenero micione impacciato. 8°D
E niente, mi sono talmente sciolta a scrivere questo capitolo che temo dovrete raccogliermi con un cucchiaino. NON DICO ALTRO.
 


TANTO DA FARMI MALE.
 
 

« Potessi
Trattenere il fiato prima di parlare,
Avessi
Le parole quelle giuste per poterti raccontare
Qualcosa che di me poi non somiglia a te.

Potessi
Trattenere il fiato prima di pensare,
Avessi
Le parole quelle grandi per poterti circondare
Di quello che di me bellezza in fondo poi non è. »
[Negramaro ~ Quel posto che non c’è]
 
   
 

 
Tatsuki Arisawa non seppe dire per quanto tempo fosse rimasta seduta sul proprio letto nella stessa posizione, col viso nascosto e le gambe raccolte contro il petto, strette tra le braccia, né quando avesse ceduto alla stanchezza e si fosse addormentata. Stava ancora sbattendo le palpebre, aspettando che i suoi occhi si abituassero al buio, quando sentì un vago fruscio provenire dalla finestra. Finestra che ricordava bene di aver chiuso, mentre ora poté distinguere fosse aperta sulla notte calda e buia, senza un filo di vento. Eppure le tende stavano ancora ondeggiando, come se fossero state appena smosse da qualcosa. O da qualcuno.
Nonostante l’afa, avvertì ugualmente un brivido a cui non seppe dare un significato, quando sentì il suo materasso abbassarsi sotto il peso di quel qualcuno che si era lasciato cadere su di esso, di traverso di fronte a lei, con un sospiro che risuonò nel silenzio. Tatsuki poteva intravvedere a malapena il suo profilo, ma seppe dire con certezza che aveva gli occhi chiusi. Altrimenti li avrebbe visti brillare nel buio.
Lentamente, sciolse l’abbraccio attorno alle proprie gambe, che rilassò contro le lenzuola, e rimase ad osservare a lungo il petto di lui, alzarsi e abbassarsi lentamente, ritmicamente, quasi come se stesse dormendo. Ma sapeva che non era così.
Grimmjow Jaegerjaques era più che sveglio, e Tatsuki era sicura che l’unica cosa che stava aspettando era che lei reagisse in qualche modo alla sua presenza, magari elargendo una consistente dose di insulti nei suoi confronti, o scaraventandolo giù dal proprio letto con discutibile delicatezza.
In altre circostanze l’avrebbe fatto, anzi, solo qualche ora prima l’aveva fatto, quando, chissà come, Grimmjow si era introdotto nella sua camera facendole prendere uno spavento di quelli che si ricordano per tutta la vita, per di più beccandola vestita soltanto dell’asciugamano, reduce da una doccia. Sul perché l’avesse fatto, invece, non si era interrogata poi tanto: da come si era comportato, facendosi trovare comodamente sdraiato sul suo letto con le braccia piegate dietro la testa e gli anfibi sporchi di terra che poggiavano sulle lenzuola, era evidente che il suo masochismo quella sera doveva essere salito alle stelle, e che voleva proprio finire malmenato a sangue per la sua incorreggibile arroganza. Inutile dire quanto si fosse divertito, ridendo a crepapelle per la sua reazione simil isterica. Fortuna voleva che i suoi genitori fossero fuori casa, quella sera, o altrimenti avrebbe avuto parecchie cose da dover spiegare.
Eppure la “visita” di Grimmjow era stata talmente fugace che Tatsuki non aveva neanche avuto il tempo di sfogare completamente su di lui la sua collera. Perché tutto ad un tratto, senza preavviso, il cellulare nella tasca di Grimmjow si era messo a squillare. E l’aria si era riempita dell’inconfondibile suono delle urla agghiaccianti di Hollow e Menos Grande.
Studiando nel buio il suo profilo rilassato, Tatsuki Arisawa si chiese perché fosse tornato lì, tornato da lei, nonostante avesse appena finito di combattere e fosse evidente che aveva bisogno di riposare, e non in quel gigai che comprimeva la sua reiatsu. Perché mai avrebbe dovuto prendersi quel disturbo? Per tormentarla ancora un po’, forse? Tatsuki si sentì quasi in colpa per il solo fatto che un pensiero così meschino le fosse passato per la testa, quando dentro di sé sapeva bene quale fosse il vero motivo che lo aveva spinto a tornare, lo stesso che aveva letto nel suo sguardo prima che sulla soglia della finestra si voltasse verso di lei e sparisse nella notte solo poche ore addietro.
Quello che in verità non riusciva a capire, era come potessero quegli occhi azzurri percepire così bene tutto quello che si agitava nella sua testa e nel suo cuore. Era difficile ammettere con sé stessa quanto ormai per essi fosse diventata un libro aperto, fin troppo aperto, tanto che si sentiva... incredibilmente vulnerabile. Tatsuki non era sicura di essere pronta a condividere ogni sua debolezza col proprietario di quelle iridi luminose, che in quel momento si fissarono nelle sue.
   « ... Chiedimelo e basta. »
La voce roca di Grimmjow ruppe il silenzio, con un tono più basso e caldo di quanto si sarebbe aspettata. Sembrava quasi... accondiscendente, e per un attimo Tatsuki si sentì compatita. Si morse con forza le labbra, distogliendo lo sguardo, rendendosi nuovamente conto di quanto fosse insensibile da parte sua interpretare in quel modo quello che Grimmjow stava facendo per lei. Contrariata da sé stessa, chiuse gli occhi e prese fiato, mentre involontariamente serrava le dita a stringere il lenzuolo stropicciato sotto i loro corpi.
   « Come stanno gli altri? »
   « Solo qualche graffio. », replicò Grimmjow, alzando lo sguardo verso il soffitto, sbadigliando e stirandosi i muscoli. Tatsuki annuì impercettibilmente, mentre in lei si scioglieva la preoccupazione, lasciando il posto all’amara consapevolezza, che, come sempre, poi le attagliava lo stomaco come se si trattasse di senso di colpa.
Ichigo, Orihime, Kuchiki, Sado, Ishida, tutti loro sapevano cavarsela da soli.
E soprattutto, senza di lei.
Scosse la testa, e tornando a posare lo sguardo su Grimmjow, che con indifferenza si stava passando una mano tra i capelli spettinati, provò un profondo senso di gratitudine nei suoi confronti, che non seppe esprimere a parole. La sua semplice presenza, il fatto che fosse tornato da lei, in un certo senso preoccupandosi per averla lasciata sola e senza informazioni di alcun genere, ebbe la capacità di farla sentire come se in fondo contasse qualcosa. Ichigo e Orihime, invece, in quei tre anni non avevano fatto altro che tagliarla fuori dai loro problemi, e in generale, da quella situazione più grande di loro in cui si erano trovati coinvolti. Per il suo bene, senza dubbio. Ma non si erano resi conto di quanto questo non avesse fatto altro che creare un muro tra di loro, un muro capace di far sentire Tatsuki tagliata fuori da quelli che erano i suoi due migliori amici.
La verità era semplicemente che Grimmjow non possedeva affatto tutta la considerazione che Ichigo e Orihime dimostravano nell’intenzione di proteggerla. Per quanto lo riguardava, Tatsuki era ugualmente capace di cavarsela da sola, e soprattutto di proteggersi da sola, questo l’aveva capito più che bene quando lui stesso aveva provato il desiderio irrefrenabile di difenderla. Quindi non aveva senso trattarla come qualsiasi debole e stupida umana ignara di tutto. In questo modo, l’avrebbe sminuita e basta. E Grimmjow si era promesso che non le avrebbe mai più mancato di rispetto.
   « E tu stai bene? », la sentì chiedergli, spingendolo a voltarsi per incontrare il leggero sorriso di scherno che le aveva disteso il viso, anche se non era riuscito ad illuminarle gli occhi.
   « Si può sapere per chi mi hai preso? »
Grimmjow inarcò un sopracciglio, tirandosi a sedere sul letto e mostrandole quello che avrebbe dovuto essere un vero sorriso. Ma Tatsuki si limitò a scuotere la testa e a distogliere lo sguardo, lasciando scemare velocemente il sollievo e il divertimento che quello scambio di battute le aveva fatto provare.
A sua volta, anche il ghigno sarcastico di Grimmjow si affievolì in fretta, cedendo il posto a un’espressione corrucciata, mentre affilava lo sguardo per studiarla meglio. Voleva vederla sorridere, scherzare con lui e tenergli testa come era solita fare. Voleva la sua attenzione, e non che se ne stesse con lo sguardo spento e fisso sulle proprie mani, che aveva preso a tormentare.
Odiava vederla così. E odiava quel coglione di Kurosaki per averla lasciata arrivare a sentirsi così, e quell’ingenua di Orihime Inoue che con tutta probabilità era convinta che non dicendole mai niente di niente, non l’avrebbe fatta preoccupare. Ma soprattutto, non sopportava di non essere in grado di fare nulla per lei, in modo da... sì, aiutarla. Grimmjow preferì non chiedersi come avesse fatto a spingersi fino al punto di desiderare di poter ad “aiutare” qualcuno, lui che non aveva mai fatto favori né gesti di altruismo nei confronti di niente e nessuno, almeno, non senza un tornaconto.
Esitò solo un attimo, prima di tendersi verso di lei e avvicinare le labbra al suo orecchio. A causa dell’improvvisa vicinanza la sentì irrigidirsi, il che lo fece sorridere, nella frustrazione che avvertiva in quel momento. E sentì l’impulso di provocarla, quasi di prenderla in giro, per il modo in cui si ostinava a provare imbarazzo ogni volta che lui invadeva il suo... come chiamarlo, “spazio vitale”? Possibile che non si fosse ancora abituata alla sua vicinanza? Sembrava che lo facesse apposta, come se ad ogni costo non volesse accettare la sua presenza e avesse l’intenzione di tenerlo a distanza di sicurezza. Ed era qualcosa che gli dava veramente sui nervi.
   « E tu, Tatsuki...? », sussurrò al suo orecchio, chiamando il suo nome con un tono suadente, tanto quanto beffardo, col chiaro intento di pungerla sul vivo. Effetto che ottenne, visto che lei si pietrificò, colta alla sprovvista, preda dell’imbarazzo oltre che del re. Ma quello che Tatsuki per un breve istante aveva provato, si trasformò immediatamente in un diverso tipo di vergogna quando la voce profonda e fin troppo penetrante di Grimmjow, le chiese quello che lei stessa aveva paura di domandare a sé stessa.
   « Tu stai bene? »
Tatsuki voltò il viso, chinando il capo per cercare di allontanarsi da Grimmjow quanto più possibile, visto che lui incombeva con tutta la sua stazza su di lei. Si sentiva intrappolata, costretta ad affrontare qualcosa a cui in quegli anni aveva cercato in tutti i modi di non pensare. In fondo, non era lei che rischiava ogni giorno la propria vita.
No, infatti. Non era lei.
In confronto, l’ansia irrefrenabile e la violenta paura che provava ogni volta che Orihime, Ichigo, e tutti gli altri se ne andavano a combattere chissà dove e chissà cosa, non era niente rispetto quella che dovevano sentire loro quando si trovavano davanti a uno scontro che avrebbe potuto decretare la loro morte. Non si sarebbe mai perdonata se fosse stata così egoista ed egocentrica da concentrarsi solo su sé stessa e permettere ai suoi amici di vedere quanto l’essere lasciata indietro, il non poter fare niente per aiutarli, e il senso di impotenza che ogni volta immancabilmente provava, la facessero sentire inutile. Vuota.
Le parole di Grimmjow tornarono a risuonarle nella mente, aggredendola come la prima volta che le aveva sentite.
   Ti senti così forte? Eppure lo sai, no?
Lo sapeva. Ogni cellula del suo corpo debole e fragile lo sapeva.
   Tu sei solo un’umana.
Quelle frasi l’avevano colpita come se fossero state degli schiaffi in piena faccia, quelle parole ferita come se si trattassero di insulti. Avevano messo in discussione tutto quello che si era impegnata così a fondo per diventare fin da bambina, quando era ancora convinta che per farsi rispettare bastasse picchiare duro e dimostrare di essere forte.
Ma lei non lo era. Non lo era più, ormai. E Orihime non aveva più bisogno di essere protetta, a Ichigo non serviva più il suo aiuto, il suo sostegno. Adesso erano più che capaci di difendersi da soli, e soprattutto, adesso erano loro a difendere lei, così come chissà quante altre persone ignare di tutto quello che facevano, aiutando gli Shinigami.
Chiuse gli occhi, li strinse forte come a voler dimenticare tutto, ma arrivata a quel punto era troppo tardi per riuscire a scacciare dalla testa quei pensieri. Non voleva che Grimmjow la vedesse in quello stato, aveva come il presentimento che se si fosse lasciata andare così, avrebbe perso anche il suo, di rispetto, oltre a quello che ormai non riusciva più a provare per sé stessa. Se non poteva più considerarsi forte fisicamente, almeno avrebbe dovuto esserlo mentalmente, e piantarla di autocommiserarsi come una stupida.
Già avrebbe dovuto.
La verità era che Tatsuki non era mai stata forte da quel punto di vista, per questo era cresciuta affidandosi ai propri pugni e al proprio istinto. Non era brava a soffermarsi a pensare. Non era brava a trovare soluzioni che non comprendessero un gancio destro quando si sentiva ferita. Da quel punto di vista, era Orihime quella più forte, col suo inguaribile ottimismo che la spingeva ad andare avanti, ottimismo che più di una volta si era trovata ad odiarsi per aver invidiato.
Per questo per lei era più facile negare tutto, fare finta di niente con gli altri, e soprattutto con sé stessa.
   Sì, sto bene, avrebbe voluto, dovuto rispondere.
Così sarebbe stato più facile, e lei avrebbe potuto continuare a fingere che fosse davvero così, in modo da non far preoccupare nessuno, e soprattutto, da non sentirsi compatita.
Eppure... eppure Grimmjow la rispettava per quello che era.
Anche quelle parole l’avevano colpita, anche se in un modo del tutto diverso. Perché non si era resa conto di avere bisogno di sentirle fino a quando lui non gliele aveva dette.
   Io ti rispetto.
Perché in quelle tre semplici parole era racchiuso molto, molto di più. E stavano a significare che lui l’avrebbe accettata comunque, in ogni caso, debole, forte, sorridente, in lacrime.
Alla fine capì che non importava dove avrebbe guardato, cercando di chiudere gli occhi o sviare lo sguardo, perché sarebbe stato Grimmjow che avrebbe continuato a guardare lei, fissandola insistentemente coi suoi luminosi occhi azzurri finché non avesse ottenuto una risposta, e non una risposta qualsiasi.
Lui voleva la verità.
Non ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo. Ma in fondo, in quel momento non c’era bisogno che si sforzasse di essere coraggiosa, qualcosa a cui era fin troppo abituata a fare. Per questo sentì il bisogno di sottrarsi alla sua vista, di nascondersi, lasciando cadere la fronte sulla sua spalla e premendo il viso contro l’incavo del suo collo, così come aveva fatto tante volte con il proprio cuscino. Ma la pelle di Grimmjow era calda, e non fredda come la stoffa della sua federa.
   « ... No. Non sto bene per niente. », mormorò appoggiandosi contro di lui, e si sentì quasi come se avesse appena confessato un crimine.
 
Il respiro gli morì in gola quando si rese conto di quanto incrinata fosse la voce di Tatsuki. O forse è meglio dire che Grimmjow Jaegerjaques si dimenticò completamente di prendere fiato quando, per un breve istante, temette che si sarebbe messa a piangere, e qualcosa di molto simile al panico si impossessò di lui. Era un’emozione che non aveva mai provato prima. Non era affatto simile alla preoccupazione che aveva già provato nei confronti di Tatsuki quando si era trovata in difficoltà, e neanche minimamente paragonabile a quello che aveva sentito e che l’aveva colto alla sprovvista, bloccandolo su due piedi, quando lei lo aveva accarezzato accidentalmente.
Tatsuki ora gli era talmente vicina che il suo respiro gli solleticava la pelle. Anzi, era direttamente contro sua pelle, così come il suo viso, i suoi capelli ancora umidi dalla doccia di prima, e che ora erano a pochi centimetri dalla sua bocca, tanto che se solo avesse voluto avrebbe potuto premerci contro le proprie labbra, ed inebriarsi del loro profumo fresco. Non poteva vederla bene, ma con tutta probabilità aveva gli occhi chiusi, che forse stavano trattenendo lacrime che era troppo testarda per versare e che lui decisamente non avrebbe saputo come gestire.
Perché ben preso si era reso conto di non sapere cosa fare. O meglio, teoricamente sapeva come avrebbe dovuto comportarsi, eppure non riuscì a muovere un muscolo, e mentalmente si ricoprì di tutti gli insulti che conosceva, che non erano esattamente pochi.
Non era questo che voleva? Che Tatsuki la piantasse di respingerlo e finalmente si decidesse a rassegnarsi al fatto che lui aveva intenzione di sentirla vicina ogni giorno, ogni momento di più, e sì, anche fisicamente. Possibile che proprio adesso che era lei quella che voleva sentirlo più vicino, si trovasse ad essere così improvvisamente... insicuro? Non aveva senso.
O forse lo aveva, e la spiegazione risiedeva in quella parte di sé che proprio ora non faceva che ripetergli che non sarebbe stato affatto nella sua natura fare qualcosa come... come abbracciarla. Che sarebbe caduto in basso se si fosse lasciato prendere così tanto da quelle emozioni umane che sentiva crescere dentro ogni giorno, ogni momento di più. Che stava diventando un debole, e quella insicurezza che sentiva ne era la prova lampante.
   Però provi le stesse cose che provo io, no?
Quelle parole gli tornarono alla mente come un fulmine a ciel sereno. E forse, finalmente né capì il pieno significato. Perché apostrofare sé stesso come debole per il fatto che provava insicurezza, sarebbe stato come dire la medesima cosa di Tatsuki, che debole non era affatto.
Tutt’altro. Era talmente forte che aveva persino avuto la sfacciataggine di convincersi che in lui c’era qualcosa di... qualcosa di umano.
   Sai cosa ti dico? Che ho deciso di fartelo ricordare, con le buone o con le cattive. Di farti ricordare... come si fa ad essere umani.
   « Dimmi... dimmi cosa devo fare. ».
Quelle parole gli uscirono spontanee, ma appena le pronunciò, capì che era giusto così. Ormai era tardi per tornare in dietro, probabilmente non ne sarebbe stato neanche più capace, come si era reso conto quando aveva affrontato Tatsuki faccia a faccia, perdendo miseramente contro niente di più che la sua testarda umanità.
Voleva aiutarla, darle quello di cui aveva bisogno. Lui stesso ne aveva bisogno, per compiere il primo passo verso quella direzione che lei continuava ad indicargli con insistenza, direzione che lo avrebbe portato a provare, sentire, sempre, sempre di più, cose che non conosceva, cose che lo incuriosivano, e che allo stesso tempo, sì, lo spaventavano. Ma in fondo, andava bene così.
Perché Grimmjow Jaegerjaques non era più un re vagabondo e solitario.
Tatsuki avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa, chiedergli di ascoltarla, di lasciarla sfogare riguardo tutto quello che si era tenuta dentro fino a quel momento. Oppure desiderare che Grimmjow le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che non era necessario preoccuparsi in quel modo ogni volta che un Hollow spuntava da qualche parte, né che c’era motivo di sentirsi impotente perché a causa della sua naturale debolezza non poteva fare niente. Indubbiamente, erano cose che una parte di lei aveva bisogno di sentirsi dire.
Oppure... oppure avrebbe anche potuto chiedergli di abbracciarla, confortarla, facendole sentire che la sua vicinanza era qualcosa di reale, di tangibile, e che nonostante loro due fossero quanto di più diverso ci potesse essere, non esistevano muri di sorta a dividerli. Anche di questo forse avrebbe avuto bisogno.
Eppure non l’avrebbe fatta sentire meglio. Nessuna illusoria e dolce bugia, nessuna falsa carezza. Non era questo che voleva, e non era neanche quello che Grimmjow avrebbe potuto darle.
La verità era che entrambi, nonostante le loro differenze, egualmente non erano quel genere di persone.
Suo malgrado, un sorriso amaro si distese sulle sue labbra mentre scuoteva la testa conto la sua spalla e lasciava salire le mani sul suo petto, a stringere la sua maglietta. Ormai Tatsuki aveva perso il conto delle volte che l’aveva fatto, e ciascuna per una ragione diversa. Ogni volta, però, si era sentita come se si fosse aggrappata a lui, che nei momenti di difficoltà era stato una sorta di ancora di salvezza, come se il solo fatto di poterlo toccare e sentire vicino l’avesse aiutata a non perdere la testa. Era quasi ironico considerare il tutto da quel punto di vista, quando ogni volta era sempre stato lui a farle perdere la testa, per un motivo o per l’altro.
Tendendosi verso Grimmjow, ora fu il suo turno di parlare al suo orecchio con una voce che avrebbe voluto essere sensuale, ma che sembrò solo colma di gratitudine. Tatsuki indugiò un solo attimo prima di parlare, chiudendo gli occhi e premendo la guancia contro quella di lui.
   « Stringimi... stringimi tanto da farmi male. »
Per poco Tatsuki non sentì il fiato morirle in gola quando le braccia di Grimmjow si avvolsero attorno a lei, e non ebbe neanche la forza di ridere per l’assurdità di quella situazione. Avrebbe potuto giurare di aver sentito le proprie costole scricchiolare.
Anche Grimmjow fu costretto a trattenere la propria risata, perché aveva il presentimento che altrimenti si sarebbe ritrovato coperto di lividi, una volta che l’avesse liberata.
Cosa che però non aveva intenzione di fare nell’immediato futuro.
Avrebbe continuato a soffocarla in quella specie di abbraccio spaccaossa per tutto il tempo necessario, e anche di più. E avrebbe seguitato a farlo ogni volta che Tatsuki ne avesse avuto bisogno, facendole sentire tutta la forza della sua presenza, e nascondendo le sue insicurezze, o meglio, quelle di entrambi, tra le proprie braccia.
Perché infondo, essere l’unico ad avere il permesso di vedere quel lato di lei e poterlo tenere per sé e per sé solo, era qualcosa che, ad essere sinceri, non gli dispiaceva.
Affatto.
  
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