Prompt:
Orfano - Capelli di rame, occhi d'oro e risata d'argento
Autore: Ruta
Wordcount: 2434 circa
Rating: verde
Avvertimenti: Oneshot;
Spoiler (Ambientata dopo la 7x05 e prima della 7x06; vaghi accenni a Clara)
Capelli di rame,
occhi d'oro e risata d'argento: lei gli appare così nei momenti più disparati.
Compare tra le ombre e le luci abbassate della sala di comando, alta e sottile.
L’ultimo raggio di luce rubato a un sole al suo crepuscolo.
Mentre indossa
gli occhiali da vista, il Dottore sa già che sentirà la sua risata divertita –
vera o falsa che sia, nell’illusione che lui conosce bene -, pronta a prenderlo
in giro, a richiamarlo all’attenti, a distoglierlo con violenza dal libro che
tenta – o finge - di leggere.
In quella sala
grande, vuota e fredda come non accadeva che fosse da tanto, tanto e tanto
tempo fa, lei è simile a un fantasma o piuttosto a un ricordo isolato, forse
un’impronta o il bozzolo di un attimo cristallizzato che si è lasciata dietro,
un’interfaccia cresciuta che è vivida e pulsante di vita al modo in cui una
creatura artificiale non potrebbe mai essere.
Sciocche
illusioni di un vecchio, pensa tra sé, ma ci si aggrappa ugualmente.
Illusioni di un vecchio
Nella
penombra bluastra del Tardis, i suoi capelli assumevano sfumature da notte. Notte
di un solstizio d’inverno, senza luna né stelle a far sognare raccontando
storie. Favole d’altri tempi.
Il Dottore avrebbe
voluto chiudere gli occhi e dimenticare, ma farlo era difficile; di più,
impossibile.
Se
contrastare i ricordi era impraticabile, opporsi all’impulso di vederla lo era
anche di più. Accennò un saluto e la guardò sorridere, pallida imitazione
velata, mentre si avvicinava. Il modo in cui camminava, puntellandosi come per
allungarsi ad osservare meglio quanto le stava di fronte, nel principio di una
corsa, piegandosi leggermente in avanti poi, ballerina mancata, ma poco aggraziata,
gli asserragliò i cuori. Distolse con forza lo sguardo, lo strizzò un po’
dietro le lenti, quasi fosse annebbiato per la stanchezza.
Sforzandosi,
poteva immaginare che fosse mattina. La mattina di uno dei tanti viaggi. Che
lei si fosse svegliata da poco e che il suo primo pensiero, non appena aveva aperto
gli occhi, fosse stato di andare da lui. Un’altra avventura da richiedere a
gran voce. Riavvolgere il nastro e cominciare tutto ancora una volta per
riviverlo daccapo, senza averne mai abbastanza.
- Rory ti
saluta. Gli manchi, sai? – Con un salto Amy si collocò sulla consolle, intanto
seguitava a osservarlo e sorridere. Non cessava un istante di farlo.
Il Dottore
si aggiustò gli occhiali che gli erano caduti sul naso. - Non credo. –
La sentì
accennare una risata. Genuina, calorosa. Ai margini del suo campo visivo, le
gambe di lei si muovevano su e giù, senza riuscire a star ferme. - Vero. È
troppo felice di avere me per sentire la mancanza del genero, specie se così
scorbutico. -
- Immagino,
- replicò, sostenuto. Voltò una pagina.
Dickens sapeva come farlo sentire meglio. I suoi libri avevano la pregevole
peculiarità di avere protagonisti le cui vite sembravano miniature delle
proprie. Solo che loro, al suo confronto, ottenevano il lieto fine.
- È
preoccupato però. Io gli dico di non farlo, che non ce n’è bisogno. Non mi
ascolta. È seccante. – Amy sbuffò e al di sopra del frontespizio, lui si
ritrovò a lanciarle un’occhiata cauta che in altri tempi sarebbe stata accesa
dal divertimento, ma ora risultava unicamente stanca. - Che non ti ascolti o
che sia preoccupato? – domandò in tono di educato interesse.
Per qualche
istante lei lo fissò senza dire nulla. Infine scrollò la testa e le spalle in
un solo movimento stizzito. – Entrambe. -
- Non
assomigli per niente al mio uomo stropicciato, - aggiunse quasi subito. Il
broncio, il broncio di quando in passato le aveva negato qualcosa – quasi mai,
mai troppo a lungo –, ora lo percepiva con violenza nell’aria, gli occhi scuri
ed esigenti a trafiggerlo, come aghi di ghiaccio appuntati alla nuca.
A quel punto
il Dottore non poté più fingere noncuranza. Non quando lei sembrava fermamente decisa
a non permetterglielo. Sospirò e chiuse il libro con uno scatto nervoso, dopo
aver letto soltanto qualche paragrafo.
- Cerco di
tenere insieme i pezzi, - pronunciò a mo’ di premessa.
- In effetti
lo sei abbastanza. A pezzi, intendo. Ti manca solo una bottiglia a cui
attaccarti e poi il quadro è completo. -
- Non
accetto prediche, Amelia, - ribatté il Dottore piuttosto bruscamente. - Non da
te. –
Amy si
slanciò fino a balzare giù dalla postazione di controllo. Si posizionò davanti
a lui, a braccia incrociate, col cipiglio che il Dottore tanto bene –
dolorosamente bene – conosceva.
- Perché? –
chiese in un’inflessione di sfida e – registrò lui – di durezza. - Perché ti ho
abbandonato? Perché ho preferito la vita reale? Sapevi che sarebbe successo
prima o poi. -
- Sì, sì. –
Il Dottore si passò una mano sulla fronte, a spianare rughe che anche volendo
non avrebbe potuto scacciare, non così, non in quel modo. Come i fantasmi o i
rimpianti. O entrambi. - Io so sempre
quello che succederà grossomodo, posso prevederlo, ma gli effetti, quello che
viene dopo al dopo… È troppo anche per me. -
- Sei un
dottore, non un indovino. -
Amy sorrise
con intenzione e d’impulso il Dottore rispose a quel suo, prima di ricordarsi
che non avrebbe dovuto. Non c’era niente per cui sorridere.
Nel
registrare il cambiamento di atmosfera, Amy si accigliò. - Sembra interessante,
sai, - considerò casualmente, fissandosi in modo critico le unghie smaltate di blu.
- Quella ragazza, Claraqualcosa. –
Veloce,
l’immagine-lampo di una ragazza dai capelli bruni vestita di rosso attraversò
la mente del Dottore, per disperdersi subito dopo in barbagli di altri ricordi
meno piacevoli e abbaglianti.
Si tirò
dritto contro lo schienale della sedia girevole e si slacciò il nodo della
cravatta che lo strangolava. Fece tutta queste serie di manovre senza guardare una
sola volta dalla sua parte, neanche di straforo o con la più piccola
sbirciatina. - Non è te, - si limitò a dire quindi con semplicità.
- Ovvio che
no. – Amy non sorrise, ma i suoi occhi avevano una luce così spiccata che
avrebbero abbagliato anche un cieco o convinto un ottuso. - Comunque non
saresti dovuto scappare a quel modo, - lo riprese.
- Io non
sono scappato, - reagì lui all’istante, toccato dall’accusa implicita.
- Sì invece.
È quello che fai sempre. Lo hai fatto anche con me, ricordi? -
Il Dottore mosse
la testa, come ad allontanare la curiosa sensazione di malessere procurata da
quelle parole.
- Era
diverso. La situazione, le persone implicate e tutto il resto. -
- Tu. – Amy
si curvò su di lui e gli puntò l’indice contro il petto. - Tu eri diverso. Ci
credevi ancora allora. -
- Credevo in
cosa? -
- Nelle
possibilità. Nel dare un’occasione a tutti. -
- Non a
tutti. –
La trafisse
con un’occhiata a cui lei non si ritrasse. - Ma ad alcuni almeno, - proseguì con
voce diversa, incrinata, senza tuttavia distogliere lo sguardo dal suo. - Ora
non c’è nessuno. –
Il vuoto
attorno a loro, il silenzio, a un tratto parvero insostenibili. Immerso nelle
stelle, ma senza vagare, ad un passo da loro senza avere il coraggio di fare
quello successivo. Congelato.
Il Dottore
si tolse gli occhiali e li chiuse con cura, posandoli nel taschino interno
della giacca. - È così che succede. Prima ci siete e poi scomparite. Sai come
la chiamo questa? –
- No, ma
scommetto che me lo dirai lo stesso. –
- Ingratitudine.
-
Amy inspirò
e lui pensò che insieme al fiato lei avesse espulso anche ogni minima parvenza
di pazienza.
- Ho scelto
Rory. Tra la mia famiglia e mio marito ho scelto lui. Puoi farmene davvero una
colpa? -
- No, ma non
aspettarti niente. Non chiedermi niente. Non più. -
- Fatti dare
un consiglio da chi è più vecchio di te, allora. -
Il Dottore
roteò gli occhi e sbuffò, ma questa volta suonò sospettosamente simile a una
risata. - Per la millesima volta, Amelia, tu
non sei più vecchia di me. -
- Ehi!
Duemila anni in una scatola. Dovranno pur valere, no? -
- Non sono
gli anni a contare. Sono le esperienze, relazioni, acquisizioni di nozioni e il
mucchio di roba annesso, che invecchiano. Vivere la vita. Non stare chiusa in
una scatola a… - agitò le mani a
mezz’aria, - sognare. -
Amy arcuò le
sopracciglia, ironica. – E non è un po’ quello che stai facendo tu? -
Ahah. Punto
per te, Amelia. Il Dottore fece una smorfia. – Eri ferita, - obiettò.
- Anche tu.
-
- Non allo
stesso modo. -
- Ogni
ferita è diversa dalle altre, geniaccio. Non serve a renderle meno gravi, ti
pare? -
- Amelia, -
la chiamò, disperato. Congiunse le mani davanti al volto, i gomiti piantati
sulle ginocchia. - Tu non capisci. Non è
rimasto nulla. -
- Ci sei tu
e c’è il Tardis, - replicò lei, ostinatamente. - Credevo fosse sufficiente, che
ti bastasse. -
- Lo pensavo
anch’io. Un tempo. Nel frattempo sono successe… cose. Ho cambiato idea. Perché è così che capita. Succede qualcosa
e quel qualcosa muta anche te, dentro e fuori. Succede che a un tratto sei tu
ad essere diverso, non il resto. È il passo consecutivo. - Il Dottore chiuse
gli occhi, ma sentendola avvicinarsi li riaprì in tempo per venire afferrato per
il bavero.
- Ho
aspettato dodici anni prima che tu arrivassi, – bisbigliò Amy accorata, il
volto ad un palmo dal suo.
- All’epoca
pensavo che ne fosse valsa la pena, ma adesso… - scosse la testa e lasciò la
presa di scatto, come se il contatto l’avesse scottata. Il Dottore si alzò. Torreggiava
su di lei come ricordava di non aver mai fatto. Cupo e minaccioso vecchio.
Malato di solitudine e pazzo. Scoppiò in una risata colma d’amarezza, dal
sapore e dal suono aciduli. - Dodici anni! – esclamò, pregno di biasimo. Spalancò
le braccia per l’indignazione e la collera. - Dodici anni! Tu hai aspettato
dodici anni, ma io? Cosa vuoi saperne tu
della mia attesa? Come puoi? Io
aspetto sempre, ogni volta! Aspetto che quella porta si apra senza che sia io
ad aprirla, che qualcuno entri! Aspetto, non faccio altro! E quando ve ne
andate, ogni volta, ogni singola volta,
devo aspettare ancora, sperando che torniate! Ma non lo fate mai! Non tornate
mai! -
Con un
ultimo suono strozzato ripiombò a sedere. Il ‘mai’ riecheggiò in un’eco
spettrale e lugubre nello spazio circostante. Amy non si mosse. Sembrava una
statua di cera, una bambola, un dipinto. - Sai che non dipende da noi, - la
sentì dire, infine, a fatica.
Amy si
spostò per portarsi al suo fianco. Sembrava pronta a scrollarlo una seconda
volta se necessario. Le dita che gli posò sulla spalla però erano leggere come
piuma, come un pensiero. Una speranza o una carezza.
- Quindi
finisce così? Qui? Chiudi la porta, getti la chiave e via? Al diavolo tutto? -
- Finisce
l’attesa. – Il Dottore si voltò a guardarla mestamente. Gli occhi di lei erano
grandi, maturi e saggi, specchi in cui
riflettere i suoi altrettanto vecchi. Cosa era rimasto della bambina di un
tempo che si era conservato nell’adulta? Il balenio di un sorriso sbarazzino,
l’ammiccare monello e vivace nello sguardo, un’irrequietezza che si era spenta
poco a poco e mano a mano che in lui, di pari passo, pareva invece crescere e
aumentare. Anche nel caso di lei la loro strada in comune aveva avuto direzioni
opposte, sin dall’inizio.
- Sai cosa
poteva renderla meno noiosa? Correre. Torna a correre, Dottore. Vivi le tue
avventure, torna a solcare i cieli, diventa il sogno di ogni bambino. -
Il Dottore
serrò le labbra, poi le arcuò in alto, indeciso, quasi con delicatezza. Come se
non ricordasse quali meccanismi mettere in moto senza farsi male. - Come lo
sono stato per te, mia piccola Wendy? – domandò con dolcezza. Allungò una mano
verso il volto di lei, bianco e traslucido, ma non ebbe il coraggio di
sfiorarlo e la fece ricadere contro il fianco. Il dolore tornava intenso,
violento. E il suo aguzzino, tormento e delizia assieme, sfumava inconsistente
nelle luci vacue del quadro di comando, allo squillo del telefono.
- Una sola
volta. -
- Cosa? –
Si apprestò
a sollevare la cornetta, pur non avendone il proposito. Riflesso
incondizionato, vecchie abitudini.
- Una sola
volta mi piacerebbe che tu mi chiamassi Amy o Pond. Non lo fai più da tanto. -
Il Dottore
sospirò, piegò le labbra in un sorriso spiegazzato, da rispolverare perché dimenticato.
- Tu non ci sei da tanto, - rimarcò, ma senza traccia di rimprovero, solo con
un tono di sconfitta, di chi accetta una realtà, ma senza farlo davvero in
animo suo.
Pronta, la
risposta di lei e il sorriso nelle sue parole. - Ora sono qui. - Tre parole
deliziose a sentirsi e un sorriso adorabile a vedersi, immaginarsi. Magnifica, gloriosa Pond.
- E per
quanto? -
Il profumo
di lei lo raggiunse come un abbraccio, avvolgendolo, qualcosa di caldo ed
energico gli colò fin dentro. E il bacio lieve che sentì – immaginò – sulla
guancia, la stessa da cui un tempo, una Vigilia di Natale lontana e perduta, si
era strofinato via con sorpresa una lacrima capitata lì per caso… il bacio lo spezzò
e lo fece vibrare come una corda di violino. La bugia di una bugia creata da un
bugiardo. Ma mai più bella. Mai più vera. Vorrei
che fosse vero, Amelia. Che tu lo fossi.
- Lo sai. –
Ancora il sorriso nella sua voce e tracce di pianto nei suoi occhi. - Per tutto
il tempo che vorrai. –
A volte però, nel vuoto asettico del
suo Tardis, i ricordi si affacciano sotto forma di fantasmi tornati per
disapprovarlo. Non si dimentica ciò che non si vuole dimenticare. E ciò che si
vorrebbe scordare… per quanto si provi, anche quello il più delle volte rimane.
Resta impresso dentro, simile a un capriccio o a una ripicca, volubile e
stravagante quanto solo i sentimenti inespressi sanno essere, inciso a fuoco
come una cicatrice, l’ultimo riverbero di fiamma tra le braci di un caminetto
sul punto di estinguersi.
E anche se nel presente vorrebbe che
fosse vero, che l’illusione fosse reale, sa che ogni minuto è stato ben speso.
È quello che glieli fa desiderare tanto.
N/A:
Ci sarebbe tanto da dire, tanto da spiegare. Per una volta taccio.
Il
fatto è che ultimamente non mi piace praticamente niente di quel che scrivo. E allora
perché lo fai? – mi è stato fatto, più che giustamente, notare. Voi che leggete
e scrivete, come me e insieme a me, potete capire. A volte non si scrive solo
per il puro piacere di farlo o per un bisogno istintivo, per abitudine. Si scrive
per evadere da una realtà fin troppo grigia, da un qualcosa che ti spaventa o
ti fa soffrire; si scrive per immaginare che c’è sempre un po’ di felicità da
qualche parte, di giustizia. Si scrive per sperare.
Scrivere
trova un’espressione ad ognuna di queste emozioni, o perlomeno ci prova. Il mio
Natale non è stato peggiore di quanto avessi prospettato, neppure migliore
però. Ecco perché sono qui a scrivere. Perché altrimenti sarei da qualche
altra parte a piangere e mi rifiuto di farlo.
In
tutto questo l’unico regalo degno di nota – dopo Lo Hobbit, da parte di mio “cognato”
e il DVD di Harry Potter e i Doni della Morte parte II, dalla mia migliore
amica – è stato appunto il Christmas Special di Doctor Who. Il 26 mattina quell’amore
di mio fratello me l’ha fatto trovare sul desktop in HD e con tanto di
sottotitoli *___*. Inutile dire che l’ho amato, dall’inizio alla fine,
rivedendolo una decina di volte. Cosa c’è di meglio per farsi tirare il morale
che il Dottore? A mio modo di vedere dunque il migliore di sempre – si disputa
il pari merito con The Christmas Invasion, con il Dottore appena rigenerato in
Ten e Rose ancora lì <3.
Spero
che le Feste per voi siano andate meglio, che siano stati giorni di calore
familiare e letizia, di comunione. Un abbraccio e un saluto di cuore e pur se in
ritardo: AUGURI C: