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Autore: Birdie    03/01/2013    5 recensioni
Blaine Anderson è un maestro d'asilo. La curiosissima Libby Hummel-Smythe è una dei suoi alunni, nonché tramite fra Blaine e Kurt, il suo papà single.
* * *
"Libby scopre di desiderare la compagnia di Blaine. Gli piacciono i suoi capelli che alcuni giorni sembrano avere vita propria, le sue grandi mani calde quando viene presa in braccio, le sue lunghe ciglia scure che sembrano quelle finte che le è capitato di vedere quando col papà è stata in profumeria. Ma soprattutto, ama la voce di Blaine. Le piace quando parla, perché assume quel tono dolce e rassicurante, le piace quando ride, perché quel suono la contagia, e ama quando canta, quando chiude gli occhi mentre segue quell’armonia suonata al piano, che lo porta lontano lontano.
Chissà cosa ne penserebbe papà se lo sentisse."
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti :)
Questa OS è risultata un po’ più lunga di quel che avevo previsto, mi sono lasciata prendere! Spero vi piacerà e che mi lascerete un parere, lo apprezzerei tanto. A presto e buona lettura, xx :D
- Birdie
 

Due padri e un pappagallo


L’esperienza alla Flight of Fancy Preschool fa capire a Blaine Anderson quanto possano essere speciali alcuni bambini.
Certo, pochi giorni dopo la sua assunzione, i giovani colleghi lo avevano avvertito che ce ne sarebbero stati alcuni difficili da approcciare e trattare, e Blaine, intimorito dalla sua poca esperienza come maestro d’asilo, aveva ragionato che non si sarebbe dato per vinto perché il suo scopo era quello di educare, non solo insegnare ai bambini l’alfabeto o scrivere i numeri in una fila colorata sulla lavagna.
 
La classe che gli è stata assegnata non è numerosa, in questo si sente avvantaggiato, e i primi momenti con i bambini (apparentemente calmi) passano tranquillamente mentre il giovane e nuovo maestro si presenta.
Finché, dopo diversi minuti, si sente un toc toc alla porta. Blaine, preso dal suo monologo, si volta dicendo “Avanti” immaginandosi che sia qualche bidello con un comunicato. Con grande sorpresa, è una minuta bambina in un adorabile vestitino blu ad aprire la porta.
 
“Buongiorno” dice a bassa voce “Scusi se sono arrivata tardi, ma il mio papà ha trovato tante macchine per la strada”. Il volto di Blaine si illumina immediatamente per dare il benvenuto alla piccola.
“Ciao! Non ti preoccupare, succede a tutti. Io sono il nuovo maestro, Blaine.” Le rivolge un grande sorriso indicandole poi un banco libero dove sedersi. Blaine viene preso alla sprovvista quando nota che la bambina non sta seguendo il suo braccio con lo sguardo e, inaspettatamente, allunga una mano perché Blaine possa stringerla.
 
“Piacere,” fa lei “io sono Libby Elizabeth Hummel-Smythe.”
 
Confuso da quel gesto adulto, il sorriso di Blaine si fa ancora più aperto e stringe la manina della bimba, mentre la classe sembra squadrarla curiosamente quando questa si dirige al proprio posto, non salutandola nemmeno così caldamente, come si sarebbe invece aspettato il maestro. Magari è solamente una sua impressione.
 
Poco a poco, Blaine si fa dire i nomi dei bimbi e delle bimbe, memorizzandone qualcuno qua e là, soprattutto di quelli che hanno dei segni particolari o che chiaccherano animatamente con i compagni di banco. La classe lo fissa piuttosto attirata da quel nuovo maestro. Sarà che non ne hanno mai avuto uno così giovane, sarà che il papillon a righe di Blaine ricorda il fiocco intrecciato tra i capelli di alcune bambine che lo indicano; in ogni caso, una buona impressione risulta reciproca e quell’oretta scorre tra risate e giochetti senza troppi problemi.
 
Quando la campanella dell’intervallo squilla rumorosamente, Blaine lascia che i bambini corrano fuori nell’ampio cortile della scuola, a prendere aria e sole, a scorrazzare felici, ed ama in particolare quel momento perché gli ricorda quando, da piccolo, era così felice durante quelle domeniche dove poteva giocare a baseball sul prato di casa con suo padre. Come sono cambiate tra loro le cose, da allora.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorge che Libby è invece rimasta in classe e si sta avvicinando alla cattedra.
 
“Perché non si fa chiamare Mister?” gli chiede direttamente, facendo sobbalzare Blaine che stava controllando il cellulare in cerca di qualche inesistente nuovo messaggio.
 
“Libby! Non mi ero accorto che eri rimasta in classe, perché non sei andata con i tuoi amici?” indaga Blaine gesticolando verso la finestra.
 
“Prima almeno risponda alla mia domanda!” protesta lei spalancando i luminosi occhioni azzurri. Da questa distanza Blaine si rende conto di come si abbinino perfettamente al vestito.
 
“Se vuoi puoi chiamarmi Mr. Anderson. Mi faccio chiamare Blaine perché voglio esservi più vicino.” la accontenta Blaine, rispondendo con naturalezza.
 
“Oh.” fa lei, visibilmente stranita. “La maestra dell’anno scorso, Mrs. Poppy, si faceva chiamare sempre Mrs. Poppy. Tipo, se qualcuno gli chiedeva qual era il suo nome, lei non rispondeva e si arrabbiava anche.”
 
“Sì, la conosco” dice Blaine, ricordandosi amaramente della zitella con la quale ha parlato il giorno prima. “E’ un po’ irritabile.”
 
“Che vuol dire irritabile?” domanda interessata la piccola con la testa sollevata per guardare Blaine. Una delle poche volte che il maestro si può vantare di sentirsi alto.
 
“E’ quando una persona perde le staffe facilmente.” risponde Blaine mimando l’espressione di Mrs. Poppy. “E poi ti guarda storto” aggiunge corrugando le sopracciglia.
 
Riesce così, con la sua imitazione, a rubare una risatina sdentata alla bimba. “Allora i miei compagnetti sono irritabili.”
 
“Perché dici così?” chiede Blaine, incerto che Libby abbia veramente afferrato cosa voglia dire quel termine.
 
“Perché ho due papà e un pappagallo” spiega Libby timidamente spostando gli occhi verso il basso e cominciando a dondolarsi avanti e indietro.
 
“Hai un pappagallo?!” esclama Blaine sbalordito, e la sua espressione viene seguita da quella spiazzata della bambina che sembra voler dire e allora?.
 
“Mi hai sentito? Ho detto che ho due papà!” ripete Libby tentando di suscitare Blaine a reagire come si aspettava fin dall’inizio.
 
“Questo non mi sembra poi così strano.” Blaine fa spallucce. “Invece i pappagalli sono animali dalla bellezza rara ed è bello che tu ne abbia uno in casa, vorrei essere così fortunato.”
 
“Mh” annuisce la piccola. “I miei compagnetti sono irritabili perché ho due papà e invece loro no. E perché ho un pappagallo reale e invece loro hanno cuccioli di cane, gatto o pesci rossi.” Continua in un tono consapevole iniziando ad arricciarsi una ciocca dai riflessi ramati tra le dita.
 
“Capisco” acconsente Blaine gettando un’occhiata al cortile, che Libby interpreta come triste e ricca di pensieri. “Come si chiamano i tuoi papà?” domanda tornando alla bambina.
 
“Kurt e Sebastian” risponde prontamente Libby. “Li vuoi vedere? Ho fatto un disegno qualche giorno fa…” propone, raggiante. “lo porto sempre con me!” specifica facendo l’occhiolino e  avviandosi verso il suo zainetto sulla sedia nella fila dei primi banchi.
 
Blaine la osserva ritornare, sorridente e in attesa della sua piccola creazione. Libby non arriva a posare il foglio accuratamente piegato sulla scrivania, quindi Blaine se la sistema in grembo così che entrambi possano parlare e vedere meglio.

“Eccoli qui…” la bimba dagli occhi blu spiega il foglio e indica le due figure stilizzate dei papà al centro, uno leggermente più alto dell’altro. Blaine nota con piacere che Libby colora e apparentemente conserva le sue cose con attenzione e l’immagine non gli appare solo come lo scarabocchio di una bambina di cinque anni. Si accorge in un secondo momento che sopra le teste dei due omini sono scritti i loro nomi, persino in una bella grafia, per una bambina di quell’età.
“Questi li hanno scritti i tuoi papà?” domanda Blaine indicando con un dito i nomi.
 
“No, io!” esclama fieramente Libby. “Papà Kurt mi ha insegnato a leggere, e un po’ a scrivere.”
 
“Ah” risponde Blaine, piuttosto stupito, scoprendo e man mano anche immaginando con quanto amore e pazienza debba essere stata cresciuta fin ora la bambina.
 
“Sebastian è difficilissimo da scrivere” fa Libby, grattandosi il capo e fissando la scritta come se stesse ricordando quella dura prova, contenta e sollevata di avercela fatta.
 
“Lo credo bene” concorda Blaine sistemandosi un riccio che, abbassando la testa, gli si era depositato di fronte agli occhi.
 
“Scommetto che vuoi vedere altri disegni.”
 
* * *
 
Giorno dopo giorno, Blaine scopre quanti pensieri possa risiedere in una mente così piccola. Nonostante Libby non sia la prima ad intervenire in classe, quando lei e Blaine sono da soli sembra che abbia sempre tante cose da dire. Vuole sapere com’è stata la giornata di Blaine, che noiosamente gli risponde sempre le stesse cose. Mi sono svegliato alle sette, ho preso il caffè, mi sono preparato e sono venuto a scuola, e la perseveranza nel chiederlo e i racconti sempre nuovi di Libby gli fanno capire che la piccola aspetta probabilmente un cambiamento nella routine adulta e monotona di Blaine.
 
“Ma ogni giorno tu fai le stesse cose?” gli domanda una mattina mentre colorano insieme un nuovo disegno con i suoi nuovissimi pastelli a cera.

“Tu che fai di diverso?” controbatte Blaine facendo ondeggiare con estrema precisione il pastello giallo colorando il sole, sotto le indicazioni di Libby.
 
“Stamattina mentre venivo a scuola ho visto uno scoiattolo. Passavamo con la macchina davanti al parco ed è risalito subito sull’albero, però non ne avevo mai visto uno prima.” sorride la bambina ricordando il momento. Blaine sospira pensando a quanto fosse bello da piccoli rimanere meravigliati alla vista di una qualsiasi semplicissima cosa. Una volta che ti abitui, dai tutto per scontato. Allo stesso modo si domanda come debba apparire insulsa la sua vita da maestro d’asilo agli occhi di Libby, ancora così incuriosita dal mondo e vogliosa che Blaine si decida anche lui a capire, a notare, a scoprire cosa possa suscitargli quelle sensazioni.
 
E ad ogni momento libero in cui Libby ha l’occasione di parlare con Blaine, si ritrova a rivolgergli le domande più disparate, a mostrargli le sue creazioni, le nuove parole che sta imparando a scrivere, i libri che il suo papà Kurt gli legge. Blaine si sofferma a pensare più volte che Libby non nomina quasi mai l’altro genitore, ma ovviamente non sarebbe appropriato indagare.
Quando, una mattina durante l’ultima ora, quella di musica, si ritrovano seduti al pianoforte nell’aula vuota; i bambini se ne vanno allo scoccare dell’una, mentre Libby quel giorno decide di voler passare qualche minuto in più con Blaine in classe, e per questo si fa venire a prendere leggermente più tardi. Blaine, dal canto suo, è contento di stare con lei quei pochi attimi: Libby raramente parla con gli amichetti, nonostante Blaine la sproni a farlo, e quando lo fa i compagni spesso la snobbano, per un motivo o per un altro.
 
 
Per la lezione di quel giorno Blaine aveva proposto alla classe le sue canzoni preferite dei film delle Disney, i classici s’intende, ben diversi da quelli che i suoi piccoli alunni conoscono oggi.
Libby scopre di desiderare la compagnia di Blaine. Gli piacciono i suoi capelli che alcuni giorni sembrano avere vita propria, le sue grandi mani calde quando viene presa in braccio, le sue lunghe ciglia scure che sembrano quelle finte che le è capitato di vedere quando col papà è stata in profumeria. Ma soprattutto, ama la voce di Blaine. Le piace quando parla, perché assume quel tono dolce e rassicurante, le piace quando ride, perché quel suono la contagia, e ama quando canta, quando chiude gli occhi mentre segue quell’armonia suonata al piano, che lo porta lontano lontano.
Chissà cosa ne penserebbe papà se lo sentisse.
 
Adesso, mentre Blaine le suona qualche motivetto creato da lui chiedendole se ai bambini possa piacere, il momento le sembra opportuno per porgergli una domanda che le frulla in testa da parecchio tempo.
 
“Blaine” comincia, con incertezza. “Perché le persone si lasciano?” Il maestro la fissa, insicuro su come intervenire.

“Chi si è lasciato?” chiede alla fine passandosi preoccupato una mano tra i ricci. Oh no. Non vuole certo trattare uno di quei discorsi che rendono tristi i bambini, l’ultima cosa che vuole è vedere svanire l’allegria e la spensieratezza di Libby.
 
“I miei papà si sono lasciati. Da un bel po’ ormai,” spiega lei, senza pensarci troppo, come se la cosa non le tangesse particolarmente. “Ed io ho chiesto a papà, Kurt, il perché…”
 
“E che ti ha detto?”

“Che è perché non si amano più.” La bimba inarca le sopracciglia e cerca di imitare la voce, evidentemente acuta, del padre. “Ma io non ci credo. Non puoi smettere di volere bene, vero?” chiede timidamente sperando con tutto il cuore che la risposta di Blaine sia quella desiderata.
 
“Esatto. L’amore non muore così all’improvviso. Però sicuramente ancora si vogliono bene.” aggiunge Blaine accarezzando la schiena di Libby per rassicurarla.
 
“Che differenza c’è?” domanda lei stropicciandosi il bordo della gonna. Blaine nota l’ora ed inzia ad alzarsi insieme alla piccola avviandosi verso l’uscita.
 
“Beh, è una sensazione più forte. E’ quando provi la mancanza di una persona, e quando finalmente la rivedi, scoppi di felicità. Quando la tieni per mano e ti batte forte il cuore. Quando il tuo sguardo cambia guardandola negli occhi, e capisci che quella è l’espressione del sentimento che riservi a quella persona e basta.”
 
La bambina annuisce assente, ma adesso, forse, consapevole e Blaine non può fare a meno di pensare che non è detto abbia afferrato tutti i frammenti del suo discorso così poetico. Spera perlomeno che non ci fosse nessun altro ad ascoltarli.
 
Arrivati al cancello, Libby si accorge che non c’è nessuna macchina ad aspettarla. Stringe allora la manica del giubbotto di Blaine che si offre gentilmente di aspettare sui gradini insieme a lei.
 
“Doveva venire papà Sebastian, il venerdì tocca a lui” spiega, sbuffando. Magari oltre a non amare o volere bene l’altro papà o qualsiasi di quelle cose che le ha spiegato Blaine, adesso non gli importa neanche più di lei. Dopotutto, non è solo il suo nome a risultarle difficile.
 
“Mh, beh sicuramente ci sarà stato traffico, come il primo giorno, quando sei arrivata in ritardo.” rassicura Blaine sperando che la bimba non si faccia prendere dallo sconforto. Gli è capitato altre volte di conoscere genitori sbadati che si erano dimenticati i figli a scuola, e lui era rimasto lì ad aspettare con loro perché sa che a quell’età ci si sente semplicemente abbandonati ed è facile impanicarsi.
 
Ad un tratto, davanti al marciapiede di ferma un SUV e ne esce, apparentemente, un coetaneo in camicia, cravatta, giacca sagomata e wayfarer neri.
No. Non può essere.
L’espressione e la maniera improvvisa con la quale si illumina il viso di Libby, racconta un’altra storia. Corre incontro all’uomo, che sorridendo, che sorriso, la solleva dandole un affettuosissimo bacio per poi lasciarla dirigersi verso Blaine.
 
Blaine si alza e rimane praticamente impalato. Man mano che l’uomo si avvicina può notare come il padre di Libby e la bimba siano praticamente due gocce d’acqua. Lui è di certo il padre biologico: le guance costellate di lentiggini, la pelle diafana, la stessa sfumatura ambrata dei capelli, gli occhi celesti, vispi ed elettrici.
 
“Papà, lui è Blaine!” indica ridendo Libby, trascinando Blaine per mano e facendo volare gli occhi da un viso all’altro dei due.
 
“Ciao, piacere, Kurt!” esclama papà tendendo il braccio. “Scusa ma il mio…ex, ha avuto un contrattempo all’ultimo minuto e non è potuto venire a prenderla. Grazie mille di aver aspettato qui, non dovevi.”
 
Kurt di certo non si aspettava che il maestro di cui sua figlia gli ha parlato tanto potesse essere così. Si immaginava un Blaine sulla cinquantina, con la fissa per i papillon, le bretelle, e i musical. Beh, in ogni caso, scoprirà che tre di queste cose sono vere. Si vergognava già a dover spiegare a chiunque fosse stato con Libby che il suo ex era un completo idiota (in parole fini, ovviamente), figuriamoci doversi scusare con uno così carino. Carino è riduttivo, si corregge mentalmente Kurt squadrando il ragazzo da capo a piedi, affogando nel mare di caramello dei suoi occhi splendenti.
 
 Blaine si presenta stringendo la mano di Kurt, e il contatto fa tremare entrambi mentre si scambiano occhiate amichevoli e leggermente imbarazzate nel silenzio che si è creato.
Libby fa cenno a Blaine di abbassarsi dopo pochi secondi dal tanto atteso incontro.
 
Ho capito cos’è l’amore.” gli sussurra all’orecchio.
  
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