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Autore: Miki_69    04/01/2013    1 recensioni
Si erano graffiati a vicenda come bestie selvagge, avevano strappato e rubato quelle emozioni piene di risentimento l'uno all'altro. Si erano straziati e azzannati come leoni assaporando il gusto dell'odio e della perdita.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 { La pubblicazione di questa storia è stata un vero parto. L'ho scritta in nemmeno dieci minuti ma la connessione penosa mi ha fatto sbattere la testa contro il muro e prima di questa me ne ha pubblicata un altra completamente vuota, figurarsi. Perdonate l'inconvenienza. 




La sua faccia premeva contro la neve fresca e bagnata che gli copriva il viso con la brina, mentre quella stessa, candida, era macchiata del proprio sangue che cremisi scioglieva il ghiaccio.  
La sfumatura scarlatta era dappertutto, sporcava i propri capelli biondi e le vesti strappate di chi aveva combattuto troppo a lungo. 
I muscoli spossati non volevano collaborare, bloccati da spasmi e crampi, dolori che lo percorrevano e risalivano fino alla sua anima come il freddo di quella stagione. 
Strinse i pugni in una ferrea presa, ma quello che ghermirono i guanti bianchi e malconci era solamente altra neve, fiocchi sporchi che nascondevano l'oscurità.
E quel dolore, quel dolore lancinante, esso era nuovo e antico al contempo.  
Percepiva i passi del nemico allontanarsi, mentre l’alabarda picchettava sul manto innevato e sulle labbra danesi scorreva, leggero come l’aria glaciale di un mattino d’inverno, un motivetto noto con un sorriso amaro, screpolato e pallido.
La brezza che persuadeva i vestiti, entrando in ogni minimo spiraglio libero, li fece rabbrividire entrambi.
Si erano graffiati a vicenda come bestie selvagge, avevano strappato e rubato quelle emozioni piene di risentimento l'uno all'altro. Si erano straziati e azzannati come leoni assaporando il gusto dell'odio e della perdita.  
Si alzò di scatto in uno slancio sulle braccia, ma la destra corse subito sopra le proprie palpebre per coprire lo scempio che la lama avversaria aveva fatto. 
Faceva male, faceva maledettamente male.
Avvertiva il liquido vermiglio e viscoso scorrergli tra le dita e le tenebre offuscare il suo mondo. 
I denti battevano stridendo e il volto si contraeva in una smorfia, fitte sofferenti e brucianti avevano tagliato l'epidermide e il suo orgoglio mentre una rabbia feroce si era ormai annidata nel petto.
Lentamente si mosse tra l'alta coltre bianca, tastando la superficie alla cieca e avvertendo poi al tatto qualcosa di familiare.
Percorse i lineamenti della spada per raggiungerne l’elsa.
La impugnò saldamente contro il terreno instabile e s'issò, seppur con troppe difficoltà, dalla terra arida e con passo infermo.
Aiutandosi con la propria arma camminò a stento verso la direzione che doveva essere quella del danese, troppo testardo per potersi arrendere.
La sua bocca non pronunciava mai parole, ma il suo cuore sì, adesso parlava.
Diceva chiaramente quanta amarezza portava con sé, quanti sacrifici e in quanta solitudine stava naufragando la sua vita.
E se prima il suo miglior piacere era la distesa della sua regione, le albe viste di nascosto, il nevicare sulle montagne e sui tetti delle case…
Adesso il rivale l'aveva privato anche di quello, lasciandolo nel Buio.
Il suo avversario più temibile, quello che aveva sperato di non incontrare mai e quello che con molta probabilità sarebbe finito per essere il suo unico compagno di sventure.
Il suo cuore sì, lui raccontava tante di quelle cose quando il fiato era corto e spezzato, quasi ansante.
Era necessario mostrargli cosa era disposto a fare... ma Danmark lo sapeva benissimo. Si voltò e gli si avvicinò, consapevole che non l'avrebbe visto arrivare, gli prese il capo e leccò la gota sinistra, assaporando il frutto delle proprie gesta con mestizia e rimpianto, ma ancora con un incrollabile risolutezza. Andò via e non si guardó più indietro, ancora più sconfitto nella vittoria.
Una folata raggiunse la sua coscienza e un'altra lo fece vacillare invece, ancora coperto esclusivamente di quel nauseabondo viscido rosso.
Sentì le membra farsi affaticate, pesanti, non si reggeva quasi più, le forze vennero inevitabilmente meno e il pesante corpo dello svedese cadde al suolo. La sua amata patria la quale con tanto ardore aveva sempre protetto e che amava con sentimenti sconosciuti all'uomo, quella viscerale appartenenza adesso povera, accoglieva e cullava la stanchezza pesante come roccia che lo aveva travolto dopo la fine dello scontro.
Il sangue continuò a scendere sulle guance raggiungendo le labbra chiare e sottili, la neve con forza imperversò sul povero fisico stremato, e sul suo altrettanto povero animo sofferente intanto che quel gelo intorpidiva anche la mente e ben presto cedette alle calde braccia di Morfeo, ricoperto di bianco.


    °°°

La prima cosa che percepì all'olfatto era l’intenso profumo che proveniva da qualche parte alla sua sinistra.
Sembrava un odore di biscotti appena sfornati. 
Non fu in grado di capirlo confuso com'era, tanto i suoi sensi erano alterati.
Che fosse solo un allucinazione?
Quando divenne pienamente conscio del calore che lo avvolgeva, si rese anche davvero conto dell’oblio che lo circondava.
Le mani lacerate e spaccate si posarono sulla propria faccia, percependo delle fasciature che non conosceva.
Dov'era? Era per caso forse solo un sogno?
Perse un battito accorgendosi chiaramente dello scoppiettare del fuoco non troppo lontano.
No, non poteva questo essere un sogno. 
Si morse il labbro inferiore divenuto livido e quasi insensibile, tanto da spaccarselo senza nemmeno accorgersene.
Il primo istinto fu quello di scoprirsi e posare i piedi sul pavimento, così fece, ma la sofferenza che provò lo portó ad arrestarsi quasi immediatamente.
Toccò la propria persona ove il torace era scoperto mentre il pensiero si trascinava sempre più alla deriva.
Riusciva ad immaginare i solchi sulla propria pelle anche se coperti da altre bende.
Le sentiva, le lambiva chiaramente quelle ferite fatte col veleno e poi cosparse di sale.
Quegli squarci all'onore.
Ritornò a sfiorare i propri occhi per poi andare per tentoni, dirigendosi verso l'origine di quel profumo, camminando fin quando non percepì nettamente una sensazione di bagnato tra le polpastrelli, che non era altro che la condensa sul legno di una finestra.
Posò l’altra mano, sentendo il vento sferzare dall'esterno, e successivamente ci poggiò sopra anche la fronte.
Ogni singolo fiocco cadeva su ogni albero, su ogni ramo, su ogni foglia, su ogni essere e su ogni oggetto inanimato.
E lui aveva soltanto l’immensa oscurità innanzi a sé, aveva soltanto la propria cecità.

    “Ruotsi…”

    Quella voce inconfondibile lo ridestò dalle proprie tristi rimuginazioni.
 Era giovane, limpida, chiara e gentile. .
    Lo fece sentire a casa. La voce di una cara vecchia conoscenza. 

    “F’nland…”
  
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