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Autore: Glory Of Selene    04/01/2013    2 recensioni
"Vai, vai, bellezza, il viaggio alla riscoperta del tuo passato comincia ora. E, chissà, magari imparerai anche qualcosa"
Cosa succederebbe se Tuomas e i Nightwish fossero trasportati in una favola, all'inseguimento di alcune delle loro vecchie canzoni?
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anette Olzon, Erno Vuorinen, Jukka Nevalainen , Marko Hietala , Tuomas Holopainen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il prigioniero strinse i denti, nel vano tentativo di controllare i singulti che gli scuotevano il corpo. Non poteva permettere che lo sentissero piangere. Non perché qualche sparuta briciola di orgoglio fosse sopravvissuta alla strage fatta da quelle visioni spaventose, ma perché se loro n’erano appena andate e, chissà, forse se l’avessero sentito piangere sarebbero tornate, per coglierlo mentre era più vulnerabile.
Non ce la faceva più. Non ce la faceva più. Se in quel nulla nero in cui lo avevano gettato avesse trovato qualsiasi cosa che fosse servita allo scopo, si sarebbe già tolto la vita senza pensarci due volte.
La morte era un sollievo. La morte esibiva un sorriso ammaliante che gli risultava impossibile ignorare e che, tuttavia, non poteva raggiungere.
Nella stanza comparve un puntino di luce.
Il prigioniero non riuscì più a nascondere il proprio dolore e scoppiò in violenti singulti; non era servito a niente tutto quello. Erano tornati. Lo sapeva.
La luce divenne forte, e il puntino si ingrandì sempre di più.
Pian piano, i singhiozzi s’acquietarono. Osservò sbalordito quella luminescenza aranciata prendere la forma di una figura femminile, che poi si mostrò  a lui in tutto il suo splendore. Era bellissima, e lo osservava dall’alto. Poi, si chinò su di lui.
Venne scosso dai brividi quando sentì il suo tocco, un tocco caldo e confortante – ma anche distante in qualche modo.
Si inginocchiò accanto a lui, lo abbracciò. Lui chiuse gli occhi e si appoggiò a lei, beandosi del calore e della luce che sapeva infondergli. E mentre erano così, stretti l’uno all’altra, e lei gli accarezzava la testa con la grazia propria delle donne e delle madri, cominciò a cantare dolcemente.
«Scintilla, il mio scenario, di cascate turchesi, di bellezza nascosta. L’eterna libertà.» gli sussurrava.
Il prigioniero chiudeva gli occhi, e quasi riusciva a vederli. Il cuore gli si riempì di commozione, gli incubi e gli orrori dell’oscurità sembravano lontani anni con quella voce meravigliosa a fianco.

Sparkle my scenery
With turquoise waterfall
With beauty underneath
The Ever Free


La voce del prigioniero era roca, ed era più di un bisbiglio. Ma questo bastava, per trasmettere il suo messaggio. «Fammi passare al di sotto del blu. Sotto il dolore, sotto la pioggia…».
Si strinsero più forti; lei arrivò anche a baciarlo sulla fronte, con delicatezza, solo un soffio lieve sulla sua pelle. Bacio della buonanotte a un bambino nel tempo.

Tuck me in beneath the blue
Beneath the pain, beneath the rain
Goodnight kiss for a child in time
[…]


Infine, lei tornò davanti a lui.
«Ti ringrazio. Tuomas.» disse.
Di colpo, quel nome.
La nebbia che oscurava la sua mente si diradò pian piano, Tuomas si asciugò le lacrime, davanti a quella luce racquistò un’identità e una ragione, riacquistò un volto, dei ricordi.
Lei sorrise.
« Sulla riva sedevamo e speravamo, sotto la stessa pallida luna la cui luce guida vi scelse». Parlava ancora per enigmi, quella donna. «…Scelse voi tutti.»

On the shore we sat and hoped
Under the same pale moon
Whose guiding light chose you
Chose you all


Tuomas la osservava, rapito e sbalordito. Sembrava così celestiale… Era, sì, indiscutibilmente diversa dalla Tarja che aveva sempre conosciuto.
«…Tarja…?»
Lei scosse la testa.
«Ti sei già risposto a questa domanda.»
Lui deglutì. «Ma allora, dimmi chi sei.»
Lei annuì. «Ora posso risponderti. E posso farlo grazie a te.» gli sorrise. «Qui mi chiamano Dama del Crepuscolo.»
Tuomas si sentì mancare il fiato. «Sei una creatura sovrannaturale.»
«Sì». Lo sguardo della Dama si fece imperscrutabile, mentre attendeva la reazione del suo interlocutore. «E sono anche la nemica… diciamo, naturale… di colui che ti ha rinchiuso in questa segreta, e contro al quale hai voluto incoscientemente metterti contro.»
Il tastierista arrossì; si sentiva un bimbo che era stato appena beccato dai genitori a giocare a fare l’adulto.
«Puoi farmi uscire di qui?» domandò lui. Il suo cuore batteva all’impazzata, di terrore, alla sola idea di una risposta negativa.
Lo sguardo di lei si adombrò. «No.»
Tuomas sentì il mondo cadergli addosso. Chinò il capo, chiuse gli occhi, raccolse i pensieri. Sentiva il suo cuore lottare per saltargli via dal petto, e l’angoscia incitare a gran voce quella folle corsa.
Ho paura. Ho tanta paura. Di essere violato ancora, e ancora, e ancora. So che morirò solo. Ma amato., pensava.

I`m afraid. I`m so afraid.
Being raped again, and again, and again
I know I will die alone.
But loved.


La Dama si chinò su di lui, e gli porse diversi fogli insieme ad una penna.
«So che è poco.» gli disse.
Tuomas li prese in mano, li osservò attentamente. Si stupì, per un solo istante, però dopo sorrise.
«E’ perfetto per me, grazie». Si sistemò nella posizione più comoda che riuscì a trovare, e tracciò il primo scarabocchio. «Se solo avessi le mie Korg…» sospirò.
La luce cominciò ad affievolirsi.
Tuomas alzò lo sguardo di scatto, e vide la Dama allontanarsi sempre di più.
«No!» gridò.
Lei si bloccò.
«Rimani, ti prego.»
Si guardarono, per molto tempo. I suoi occhi erano disperati, la supplicava, non sembrava affatto diverso rispetto a come l’aveva trovato poco prima, in balia della magia dell’Imperatore.
Sospirò.
«D’accordo». Gli fluttuò di fianco. «Ma, poco prima della fine, io me ne dovrò andare.»
Tuomas abbassò lo sguardo per non farle notare che si stava ancora riempiendo di lacrime, anche se sapeva benissimo che le sei ne sarebbe accorta lo stesso.
«Va bene.» sussurrò, prima di tornare a scrivere.

La Capitale, periferia.

Jukka strinse in pugno il foglietto che l’amico gli aveva lasciato.
«Ehi, ti ringrazio immensamente.» si congedò, mollando all’ometto un’energica pacca sulla spalla.
«Non posso garantirti assolutamente niente. Il loro capo mi odia.» rispose l’altro accompagnando il pirata alla porta. «…Accidenti, Julius, me l’hai rotta ‘sta spalla.» mormorò subito dopo.
Jukka ignorò con un sorriso le sue ultime parole, per rispondere invece: «Dubito che esista qualcosa che a lei piaccia. A parte l’oro, ovviamente.»
L’ometto sorrise e annuì, per poi guardarlo mentre si allontanava lungo il vicolo sudicio e defilato che ospitava la sua casa da quattro soldi. Accidenti, gli auguro davvero di potercela fare, pensò.
Jukka svoltò un angolo e scomparve, e allora anche lui si decise a tornare in casa, scuotendo amaramente la testa. Ma no, non credo riuscirà a sopravvivere. Peccato.
Il pirata non ci mise molto a trovare la locanda. Ovviamente, nessuno gli aveva detto dove sarebbe andato Marco per passare il resto dei suoi giorni, ma Julius aveva visto nei suoi occhi una resa che poteva trovare appagamento solo in alcool di pessima qualità.
L’interno era piccolo, sporco e male illuminato, l’oste sonnecchiava dietro al bancone e il locale era drammaticamente vuoto. Il batterista fece una smorfia, ed entrò. Fosse stato nel proprietario di quella bettola, non si sarebbe certo sentito così serafico.
Accanto ad uno dei tavoli addossati alla parete destra sorgeva una piccola montagnetta di cocci di bottiglie di vino. Su quel tavolo, un uomo riverso che russava rumorosamente, i capelli biondi sporchi e scompigliati coprivano quasi con pudore la sua schiena e il suo volto, che tuttavia non riusciva a rimanere sereno nemmeno nel sonno.
Jukka gli mise una mano sulla spalla e lo scosse con forza. «Avanti, Marco. Forza.»
Il guerriero aprì gli occhi di scatto, balzò in piedi ed estrasse con energia la propria ascia, prima di accorgersi che la sua ascia l’aveva seppellita insieme al corpo di Lisanna, e cadere quindi rovinosamente a terra, del tutto sbilanciato. Una volta ripresi dallo spavento, però, i suoi occhi tornarono spenti.
«Chiunque siate, lasciatemi in pace.» biascicò, la voce impastata, e si lasciò ricadere di schiena.
«E’ disgustoso.» replicò duramente Jukka. «Non avrei mai creduto che un uomo come te, un vichingo, una persona dalla così forte volontà si potesse ridurre in questo modo.»
«Stronzate.» rispose l’altro.
«Alzati.»
A quel punto il guerriero alzò lo sguardo su di lui. Si osservarono per molto tempo, ognuno a testare la determinazione dell’altro. «Prova a costringermi.» disse alla fine Marco, con un sorrisetto provocatorio in volto.
Jukka rise. «Lo vedi? La tua natura è sfidare e combattere. Non riesci ad impedirtelo neanche volendo.»
Marco non trovò nulla di altrettanto valido con cui poter controbattere, perciò si mise a sedere con un grugnito. Si stropicciò gli occhi.
«Che cosa vuoi da me? Non facciamo più parte dello stesso equipaggio, mi pare.»
«E invece siamo sulla stessa nave da molto tempo.»
Finalmente, qualcosa si accese nello sguardo del guerriero, qualcosa di molto simile alla meraviglia. «No, non dirmelo, hai finalmente recuperato quei fantomatici ricordi di cui blaterava Emppu?». Evitò apposta di pronunciare anche il nome di Tuomas.
«No.» rispose tranquillamente Julius.
«Ma… allora come fai ad affermare una cosa simile con tanta certezza?»
Jukka abbassò lo sguardo, ma non ebbe paura di nominare il loro amico, che presto sarebbe caduto. «Io credo che Tuomas non morirà per un’illusione. Non ha senso; nemmeno il più stupido dei bugiardi arriverebbe a tanto.»
Marco s’irrigidì, e sprofondò nuovamente in quell’apatia ovattata che aveva cercato così disperatamente nell’alcool. «Tuomas è morto. Non mi interessa per che cosa l’abbia fatto; alla fine, tutto conduce sempre alla morte. Per qualsiasi cosa tu mi voglia con te, sono affari che non mi riguardano. Non voglio starci in mezzo.»
«Questo è il discorso più idiota che io abbia mai sentito. E Tuomas non è ancora morto.»
«Ma morirà.»
«Sì, morirà». Lo sguardo di Jukka era più duro del solito. «E per questo c’è bisogno di qualcuno che gli faccia avere la vendetta che merita, e cerchi di porre fine a questa storia delirante.»
Silenzio.
Una mano tesa. Marco la osservò a lungo.
Voleva veramente abbandonare la comodità di una vita vissuta nella resa? Davvero voleva buttare via l’apatia che aveva così tanto cercato, e tornare a soffrire di nuovo?
Prese un lungo respiro profondò, e poi lasciò che il pirata lo aiutasse a rialzarsi. Sapeva che se ne sarebbe pentito.
Quando l’oste si riprese dal suo torpore, e si accorse che quello schifo di ubriacone che gli aveva riempito la locanda per tutto il giorno se n’era andato senza pagare le innumerevoli bottiglie che si era scolato, i due erano già lontani.
«Avrai bisogno di un’arma.» diceva Jukka mentre si muovevano veloci per le strade della Capitale.
«Non faresti meglio prima a spiegarmi dove dobbiamo andare?»
Il pirata gli porse il biglietto senza neanche smettere di camminare.
Marco lesse in fretta e furia, e quando ebbe finito si fermò di botto.
«Ma sei pazzo?!»
«E perché? Guarda che è una delle migliori armerie della città!»
Il guerriero alzò gli occhi, e vide alcune armi esposte su un banchetto di legno, fuori da quella che aveva tutta l’aria di essere l’entrata di una fucina.
«Non mi riferivo alla bottega, ma a questo!». Glielo sbatté in faccia.
Jukka sorrise. «Che ti ho detto? Avrai bisogno di un’arma.»

Marco uscì soppesando la propria ascia nuova di zecca.
«Sai, è veramente una fortuna che quell’armaiolo fosse tuo amico, altrimenti non avrei avuto un soldo con cui pagarla.»
Camminarono in silenzio per un po’ di tempo. Ora il guerriero non seguiva e basta, perché sapeva dov’erano diretti i passi del suo compagno.
«Hai un amico anche tra di loro?» domandò alla fine.
Julius scosse la testa. «No, no, per nulla. Non li ho neanche mai visti da vicino.»
«Io sì, una volta. Vennero nel bel mezzo di una rovinosa ritirata e sterminarono tutti i nemici. Credo che mi abbiano salvato la vita, ma forse avrei preferito una sconfitta, rispetto a quella profonda ferita nell’orgoglio.»
Di nuovo silenzio. Davanti a loro si stagliavano le uscite della città.
Il pirata si avvicinò ad un uomo e gli chiese qualcosa. Pochi minuti dopo i due uscirono di città in groppa a due cavalli; Jukka non volle rivelare a Marco dove aveva preso le monete con cui li aveva pagati, ma era cristallino che non si era trattato di soldi di sua proprietà.
«Mi servi tu, da qui in poi. Tu sai dov’è il loro quartier generale, vero?»
Marco annuì e spronò il cavallo. Per qualche tempo procedettero ad un galoppo sfrenato, e spensierato, per scaricarsi, distrarsi dall’incubo che stavano vivendo e che li aveva entrambi colpiti duramente, poi preferirono tenere i cavalli riposati e continuarono ad un andatura normale fino a sera.
«Raggiungeremo quelle alture  per domani pomeriggio. Là in mezzo si nascondono loro.» disse Marco smontando da cavallo.
Prepararono un piccolo accampamento improvvisato ai lati della strada, sistemandosi attorno ad un falò piazzato alla bell’è meglio e mangiando le provviste che Jukka era riuscito a farsi dare dal suo amico informatore, giù in città. Lì, tra i campi, allo scoperto, non avevano paura del sovrannaturale, confinato solitamente tra i fitti alberi dei boschi; potevano avere paura soltanto di se stessi.
«Perché non hai chiamato anche Emppu?» gli domandò il guerriero ad un tratto.
Jukka abbassò lo guardo. «…Emppu.» ridacchiò «Ma dai, ce lo vedi a fare una cosa del genere?»
Marco sorrise tra sé, e scosse la testa. No, quel simpatico cantastorie non sarebbe durato un secondo nel posto in cui stavano andando.
«Jukka, sappi che io non ti prometto niente. Quella donna è davvero spaventosa; non penso riuscirei a resistere un secondo solo in un confronto armato contro di lei. E di sicuro non mi vede di buon occhio, sono uno dei suoi principali rivali.»
Il pirata annuì. «Non ti preoccupare. È tremenda, ma non stupida. Non butterà via un’occasione del genere; se non lo farà per generosità, allora sarà l’avidità a spingerla.»
Il fuoco si stava spegnendo, entrambi erano già coricati, ed osservavano le stelle sopra di loro, ognuno perso nelle proprie preghiere personali. Passò molto tempo prima che Marco si decidesse a fare un’ultima domanda.
«Noi, non… non faremo in tempo a liberare… Tuomas, vero?»
Silenzio. Per alcuni minuti Marco sperò davvero che Jukka si fosse addormentato, sarebbe stato meglio, sarebbe stato più facile non trovare risposte a quella domanda.
«Non credo.»
Il guerriero non rispose. Chiuse gli occhi, ormai abituato al dolore di quel peso sul petto.

Il resto del viaggio si svolse com’era cominciato, ovvero con calma e senza intoppi; era pomeriggio inoltrato quando giunsero ai piedi delle montagne, dove si fermarono.
«Accidenti…» mormorò Marco,  osservando l’imponenza dei monti a bocca aperta. Di sicuro, era un luogo molto scenografico dove mettere l’accampamento per un gruppo di mercenari.
«Impressionanti, vero?»
«Tu ci sei già stato?» chiese il guerriero all’amico.
Il pirata si strinse nelle spalle. «Io sono stato un po’ dappertutto.»
Marco lo osservò a lungo, ma badando a non farsi notare. Durante tutto quel viaggio e quell’avventura loro due non avevano mai avuto occasione di interagire più di tanto, e lui in fondo l’aveva sempre visto come il vicecapitano che aveva minacciato di scuoiarli con i propri coltelli. Solo allora si accorgeva di quanto in realtà fossero simili. Era qualcosa che lo faceva pensare.
«Proporrei di proseguire in quella gola.» aggiunse il batterista, ignaro dei pensieri del compagno, indicando una fessura che si inoltrava nella roccia davanti a loro.
Il guerriero si riscosse e guardò dove indicava l’amico. Era un passaggio stretto, buio, fendeva la montagna come una ferita provocata da un’enorme spada e incisa a fondo nel cuore di quei monti possenti.
«Non mi piace molto, ma è l’unica via.» convenne lui.
Spronarono i cavalli, e con qualche rimpianto abbandonarono la sicurezza della via per addentrarsi nel cuore della roccia.
Proseguiva Jukka per primo, redini in una mano e pugnale nell’altra, e Marco subito dietro, circospetto e irrequieto. La strettoia, dopo quasi un’ora di cammino, pareva voler continuare ancora per miglia e miglia.
«Io credo che sarebbe meglio…» aveva cominciato il guerriero, ma venne subito interrotto.
C’era odore di morte; alzò lo sguardo, e vide la punta di una freccia puntata proprio sopra la sua testa.
Imprecò a mezza voce, e cominciò allora ad accorgersi dei nemici che spuntavano dalle rocce. Sembravano migliaia, e tutti li puntavano, e li osservavano con una luce spietata negli occhi.
«Imboscata.» lo informò Jukka. Il suo non era nemmeno un tono sorpreso; Marco si chiese se la sua totale assenza di emozione fosse dovuta a quella strana forma di sarcastica apatia che il pirata amava ostentare di solito, o semplicemente  a una sua precedente previsione di come si sarebbero svolti i fatti.
In effetti, quel luogo pareva assolutamente perfetto per un’imboscata.
«Beh, senza dubbio, li abbiamo trovati.» mormorò il guerriero.
«Chi siete?». La voce spuntò dai massi.
I due si lanciarono un’occhiata.
«Io mi chiamo Jukka Nevalainen e il mio amico è Marko Tapani Hietala.» rispose Julius con sicurezza.
Marco approvò. Non si poteva compiere errore peggiore di dire il proprio nome completo ad una creatura maligna, ma era di sicuro la mossa migliore da fare di fronte ad un branco di uomini armati del quale si sta cercando l’alleanza.
Si udì un brontolio tutt’intorno; poi, la voce proseguì: «Marko Tapani Hietala, colui che si fa chiamare la Mano di Ferro del Nord?»
Marco sorrise e drizzò le spalle, gonfiando il petto tutto orgoglioso.
«Io, in persona.»
«Che cosa volete?»
«Parlare di affari con il vostro capo.»
Ci fu un momento di silenzio attorno a loro.
Poi, ebbero solamente il tempo per stupirsi del forte dolore alla testa, e afflosciarsi esanimi sulle selle dei loro cavalli.

Voci. Tante voci confuse intorno a loro.
«Oh, guardate! I nostri ospiti si stanno svegliando!» gridava uno.
Marco digrignò i denti, con fastidio. Non potevano fare più piano? Ogni urlo, alle sue orecchie, era come un chiodo ben piantato nel cervello.
Aprì lentamente gli occhi, e la prima cosa che vide furono le ombre rossastre gettate dal fuoco sulle pareti di roccia. Dopo, gli arrivò alle narici la puzza di alcool e di sudore, e l’odore del cuoio e del metallo appena lavorati. Sensazioni che conosceva molto bene. E infine uomini, tanti uomini, che sputavano, imprecavano, ridevano sguaiatamente, affilavano o forgiavano armi, si ubriacavano giocando a dadi.
Si rialzò a fatica, appoggiandosi alla parete accanto alla quale era stato sdraiato.
«Sempre così ospitali, voi guerrieri del nord?» domandò Jukka in quel momento, che si era svegliato con lui.
Il vichingo si esibì in un’espressione che era a metà tra una smorfia e un sorriso. «A volte sappiamo essere un tantinello rudi, te lo concedo.»
«Hietala!» si sentì esclamare. Un attimo dopo il bassista si ritrovò schiantato a terra da un terribile colpo inflittogli proprio al centro della schiena.
La manona che l’aveva colpito l’aiutò anche a rialzarsi, e gli mollò un altro spataffione, stavolta nella maniera più delicata possibile che riuscì a trovare.
«Orjon», boccheggiò Marco, «felice di vederti vivo.»
Orjon era un omone alto praticamente due metri, dalle mani grosse come badili e i muscoli d’acciaio. Portava la testa rasata e una barba corvina, nera come le sopracciglia cespugliose che gli nascondevano in parte un taglio d’occhi gentile, nonostante tutto.
«Gracilino come sempre, eh?». Una grassa risata e un’altra manata alla schiena.
Jukka rimase il più defilato possibile, terrorizzato all’idea che a quel gioviale vichingo potesse balzare in testa di salutare anche lui.
«Non sapevo che ora combattessi con lei.» gli disse Marco.
«Ed è stata la decisione migliore della mia vita: la paga è una meraviglia. Con tutte le imprese e le razzie che riusciamo a compiere! Ah, guarda, è un gran peccato che tu non sia dei nostri. Non ho mai capito perché hai rifiutato.»
«Te l’ho già detto, non distruggo villaggi per profitto personale.»
«Dovresti stare attento, Mano di Ferro, altrimenti cominceranno a chiamarti Cuore Tenero e scambieranno le treccine della tua barba per quelle di una bimba che va a coglier fiorellini nei boschi.»
L’intera sala piombò nel silenzio. La voce che aveva parlato era stata inconfondibilmente femminile, il che poteva significare soltanto una cosa.
Orjon chinò la testa in segno di rispetto e fece un passo indietro, gli occhi castani colmi di timore riverenziale.
La donna che aveva fatto la sua comparsa era incredibile. Superava sia Marco che Jukka in altezza, e vestiva di un’armatura d’acciaio che si modellava attorno alle sue curve femminili e le proteggeva le gambe e il torace. Portava un lungo mantello di pelliccia marrone, sul quale si appoggiava la treccia castana dei suoi capelli. Al capo, un elmo, dal quale spuntavano un paio di corna affusolate ma non per questo meno temibili; e sotto di esso, le lame infuocate del suo sguardo.
Jukka fischiò, e fu l’unico suono che ebbe il coraggio di attraversare la caverna.
La donna, capo dell’esercito di mercenari vichinghi più terribile che potesse esistere al mondo, lo trafisse con lo sguardo; e lui lo sostenne, senza battere ciglio.
«Notevole. Chi sei?» gli chiese.
«Un pirata.» rispose lui.
Si scatenò uno scroscio di risate. «Un pirata?!» dicevano. «E che cosa ci fa, un pirata, in una montagna?» «Ti sei perso, per caso?»
Le bastò un solo gesto della mano per mettere a tacere tutti.
«Ho navigato a lungo con la Dark Passion. Ci sono abituato.» spiegò lui.
Gli occhi le si accesero di interesse. «L’unica nave pirata mai comandata da una donna?»
Jukka annuì. La sua voce ebbe solamente un lieve tremito mentre diceva: «Anette Olzon era una grande guerriera.»
La donna aggrottò al fronte. «Era? È morta?»
Lo sguardo del pirata si adombrò definitivamente. Non rispose.
Lei chinò il capo. «Le mie condoglianze. La rispettavo.»
Un brusio di sconcerto si propagò lungo tutta la sala. Era considerata un’impresa molto ardua (e per questo molto ambita) quella di guadagnarsi il suo rispetto.
Lei si girò poi verso Marco, che era rimasto fermo a guardarla. «E’ un piacere poterti conoscere. Sei conosciuto, sul campo di battaglia, e temuto quasi quanto noi.» Sorrise. «Il mio nome è Floor Jansen.»
«Difficile non conoscerlo. È diventato leggenda, ormai.» replicò lui, sforzandosi di sostenere il suo sguardo come aveva fatto Jukka, ma il compito divenne ben presto molto più difficile di quanto si fosse aspettato.
Fu costretto ad abbassare gli occhi, mentre un lampo di compiacimento attraversava quelli della sua rivale.
«Allora.» disse lei. «Hai detto che vuoi parlarmi di affari.»

La Capitale, Palazzo Imperiale. Prigioni.

La Dama del Crepuscolo se n’era andata proprio quando il suo coraggio stava cominciando a venire meno, e lui sentiva di aver bisogno del suo tocco consolatore e del suono angelico del suo canto.
Per molto tempo non aveva saputo darsi pace, ma poi si era imposto di calmarsi. Non poteva assolutamente ritornare ad essere la larva che era prima che lei arrivasse a liberarlo dalla catene della follia delle segrete.
Ci volle poco, perché l’Imperatore tornasse a tormentarlo.
«Tu vivi abbastanza da sentire il suono degli spari. Abbastanza da trovarti a gridare ogni notte. Abbastanza da vedere i tuoi amici tradirti.»

You live long enough to hear the sound of guns,
long enough to find yourself screaming every night,
long enough to see your friends betray you.


Tuomas stringeva i pugni, e resisteva. Chiudeva gli occhi, e andava a recuperare ogni singolo brandello della sua mente che minacciava di sgretolarsi davanti alle parole del suo incubo personale.
Era qualcosa di terribilmente faticoso.
«Io le sento le tue grida, Tuomas. Ogni notte. Ogni santa notte.»
Il tono dell’Imperatore era diventato più basso, ora, sembrava quasi delicato, pareva addolorato per quello che era costretto a rivelargli.
«Io vedo i tuoi incubi. La tua solitudine. È triste la solitudine, il buio, vero? Fanno paura… Ma non quanto gli amici… Sì, gli amici fanno più paura, non è vero? Guarda cosa ti hanno fatto…»
Tuomas stringeva i pugni. Non doveva ascoltare. Non doveva.
Sentì una mano che gli accarezzava i capelli; ma sapeva che non era la Dama. Una gelida morsa di panico gli si serrò attorno allo stomaco, ma si impose di rimanere immobile.
«Ma non devi preoccuparti». Ora la voce era poco più di un sussurro, soffiato dolcemente al suo orecchio. «Non devi preoccuparti, perché tra poco morirai.»
L’Illusionista sentì il sangue che gli si gelava nelle vene; e il mormorio dell’imperatore divenne un grido di pazzia.
«Hai sentito, Tuomas? Morirai! Tra poco morirai! MORIRAI, TUOMAS!»
Altre grida, altre infernali grida.
Tuomas si rannicchiò su se stesso e si coprì le orecchie con le mani, aspettando che tutto quello finisse.
Lo lasciò con una grandissima paura a divorarlo dall’interno.
Gli vennero in mente poche righe di quella sua canzone… Cercò a tentoni, tra le lacrime, i fogli della Dama, e se le appuntò, chissà perché, scrivere i versi di una canzone già composta.
“Per anni sono stato frustato su questo altare.
Ora ho solo tre minuti, e conto;
Vorrei solo che la marea mi raggiungesse prima e mi desse la morte che ho sempre desiderato.”

For years I`ve been strapped unto this altar.
Now I only have 3 minutes and counting.
I just wish the tide would catch me first and give me a death I always longed for.

Quartier Generale dei mercenari


«E così, è questo che avete intenzione di fare. Una ribellione alla vecchia maniera. Una bella scazzottata con le guardie imperiali». Gli occhi di lei scintillarono. «L’occasione per strappare la corona a quel prestigiatore da strapazzo.»
Sia Jukka che Marco non osavano fiatare mentre la vichinga pensava. Sobbalzarono, quando lei sbatté con forza un pugno sul primo tavolo che trovò.
«Ci sto, diamine, ci sto!» urlò, con un gran sorriso. «Ma ad una condizione.»
I due si sentirono crollare il mondo addosso.
«Non abbiamo soldi con noi.» si azzardò ad obiettare Julius.
«Ne dubito, caro il mio pirata. Voi lupi di mare avete sempre dell’oro nascosto da qualche parte, non so come diavolo facciate, ma lasciare al verde uno di voi sembra praticamente impossibile! Ma, comunque, sappi che non è il denaro che voglio. È qualcosa di più semplice.»
Ecco. Ora erano davvero preoccupati.
«Voglio che Hietala mi batta ad un duello.»
Sconcerto.
Sconcerto per tutti; per i mercenari, che non avrebbero mai potuto sperare in un privilegio simile nemmeno nei loro sogni più rosei, e per il povero Marco, che tutto avrebbe voluto tranne che combattere contro una delle poche persone di cui aveva sinceramente paura.
Sollievo.
Sollievo per Jukka; il pirata si esibì in una delle sue solite espressioni rilassate, appoggiò mollemente la mano sulla spalla dell’amico e gli disse un “Buona fortuna” che sapeva molto di “Grazie dio ha scelto te e non me, ora te la smazzi da solo e  io rimango a guardare”.
Marco si guardò intorno circospetto, pensando a come rifiutare senza perdere definitivamente la faccia. Concluse che non c’era modo.
Sospirò. Probabilmente sarebbe morto così.
«E sia.» disse.
Tutti i mercenari urlarono ed esultarono, e lui li odiò profondamente. Ma cosa diavolo c’era da festeggiare?
Floor socchiuse gli occhi e ed estrasse la propria arma; un’enorme palla chiodata, attaccata ad un manico di legno da una lunga catena robusta. «Difenditi, allora!» esclamò, e gli si lanciò contro.
Il guerriero, colto del tutto alla sprovvista, accusò il colpo – per fortuna si trattava solo di una gomitata piantata in mezzo alle costole – e venne sbalzato all’indietro.
Sguainò l’ascia e si rimise subito in piedi.
I due rimasero per un attimo a studiarsi, senza tentare di portare a termine alcun attacco. Il guerriero sentiva già il sudore imperlargli la fronte; per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare punti deboli nella difesa dell’avversaria, né nel suo modo di attaccare. Non poteva nemmeno, essendo lei femmina, tentare di impostare un combattimento basato sulla forza fisica, perché era certo che anche in questo equivalessero. E poi, in uno scontro del genere, l’altezza avrebbe potuto avvantaggiarla.
Floor attaccò all’improvviso, e lui si ritrovò a dover evitare i suoi colpi mirati ad ucciderlo senza la più pallida idea di come fare a contrastarli. Lo scontro si risolse in parità, e Marco si ritrovò ad ansimare dall’altra parte della sala, sfinito.
Non era più abituato al combattimento, e l’alcool che aveva ingerito a fiumi le ore prima di certo non contribuiva a migliorare le sue condizioni fisiche.
«Già stanco?» chiese lei con un sorriso quasi feroce, e di nuovo gli si avventò addosso, senza nemmeno lasciargli il tempo di riprendere fiato.
Via via che il combattimento proseguiva, Marco perdeva sempre più lucidità, e il tarlo della paura cominciò pian piano a picchiettargli nel cervello quando si spostò per un pelo e la mazza della sua avversaria si abbatté contro il pavimento. Il guerriero ebbe tempo di guardarsi indietro, e vide un profondo solco dove pochi attimi prima si trovava la sua testa.
Digrignò i denti, e strinse la propria arma. Non era ancora riuscito ad attaccare una volta sola.
«Ora basta!». Questa volta fu lui a correre verso Floor, e a menare un potente fendente d’ascia dritto alla sua spalla sinistra.
Un assordante rumore, di ferro che cozza contro ferro.
Erano vicinissimi, ora, l’ascia contro il manico della mazza, gli occhi azzurri di Marco in quelli verdi di Floor, e la terribile sensazione di aver fatto un passo falso.
Dolore lancinante ad un fianco; il guerriero si lasciò sfuggire un urlo di dolore, e cadde a terra. Un lago di sangue imporporò il pavimento di roccia.
Jukka strabuzzò gli occhi. Aveva affrontato il confronto di forza con Marco con un braccio solo, e con l’altro l’aveva colpito al fianco con la lama di un pugnale. Chi diavolo era quella donna?
Il pirata corse dal vichingo, che tentava di rialzarsi tenendosi la ferita con le mani sotto le risate di scherno di tutti gli altri.
«Va tutto bene?» gli chiese.
«Cazzo.» fu la risposta che ricevette.
Gli tolse la mano dal fianco e gli osservò la ferita. Floor avrebbe potuto ucciderlo, era evidente, ma aveva colpito con la precisa intenzione di non farlo. Perché?
«Bene.» disse lei, pulendo la lama del coltello nell’abito del primo vichingo che trovò. «Questo duello mi ha soddisfatta.»
Entrambi alzarono lo sguardo a guardarla; torreggiava su di loro, ma non aveva l’aria di qualcuno che infieriva sui vinti.
«Avrete il mio aiuto, e la vostra vendetta.»









Ciò che dice l'Autore

Ciao a tutti! In questo capitolo ho inserito la carissima Floor, la cui presenza nella storia non era assolutamente programmata ^^ Però, alla luce degli ultimi fatti avvenuti all'interno della band (e dopo essermi venuta in mente una scenetta troppo comica tra lei e Marco - forse quelle di fb sanno di cosa parlo xD -), ho deciso di renderla partecipe xDDDD Spero vi sia piaciuto questo  chap.
(Sì lo so, di solito sono molto più loquace e mi perdo in chiacchiere futili, però oggi sono in partenza e devo fare di fretta :D)
Baci!
Glory.

PS: Per chi non se ne fosse accorto, ieri presa da un raptus ho cominciato a mettere immagini in tutti i precedenti capitoli della storia, per colorarli un po' :) Spero vi piacciano!




















 
  
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