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Autore: PollyFTSissi    04/01/2013    3 recensioni
"Fu uno sguardo lungo, intenso, non mi ricordo nemmeno io la portata di emozioni che si scagliarono come onde nel mio cuore; si infrangevano troppo veloci, e sentimenti non ben definiti andarono a rintronarmi e debilitarmi più dell’alcol stesso."
"E non si dica che gli attimi fuggenti non esistano, e non vadano colti!"
One-shot, SpUk.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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•Seize the day

 
Odiavo partecipare alle feste. Rappresentazioni superficiali di ciò che la vita mondana può provocare al più tentato dei cervelli; il lusso prende il sopravvento, i sani principi annegano in un cocktail e in qualche stuzzichino. Tutto così frivolo, così trascurabile, così evitabile.
Fosse stato per me, avrei rifiutato. Ma ad un caro amico non si dice di no, soprattutto se non lo si vede da tempo, soprattutto se puoi recarti nella parte più suggestiva di Londra.
Lì, c’era il più pregiato rum di tutta l’Inghilterra, datato 1960; erano stati anni d’oro quelli!
Non potevo rifiutare, ahimè, anche io per i motivi tanto frivoli che andavo giudicando. Che la mia anima stesse cedendo alla corruzione, mentre mi dirigevo in taxi nel luogo dell’incontro, era sempre più palese. Non potevo farci niente, ormai il mio abito migliore l’avevo tirato fuori, una sistemata ai capelli l’avevo data; di certo, però, non si poteva trascurare l’apatia che trasudava dalle mie iridi.
Anche quando arrivai alla festa, gli sguardi che mi rivolgevano. Non capivano, non avevano mai capito nulla di me. Occhi vitrei, già estasiati, occhi che mi hanno sempre studiato con sufficienza. Sguardi di cui non sopporto il carico emotivo, semplicemente perché emozioni troppo estranee o troppo intime, simili alle mie.
Ho sempre avuto paura della comprensione della gente, ma mentre scendevo dalla mia carrozza targata, e ricevevo quelle occhiate schizzinose, speravo che in una di esse ci sarebbero stati gli occhi della persona che mi avrebbe salvato. Pensiero sciocco, che mi sarei dovuto togliere dalla testa quando ancora credevo di essere Peter Pan: e Wendy, non si nasconde certo dietro abiti succinti o gessati sempre troppo stretti, maliziosi no?
Cosa andavo a pensare, a sperare poi, non lo sapevo all’epoca nemmeno io. Mi sembra strano ricordare che per me, quelle ore di festa, erano paragonabili ad interminabili secoli passati all’inferno. Sudavo, mi allentavo la cravatta prima di sorseggiare il mio rum. Terzo, quarto, che importava? Ero stanco, spossato, chissà che musica stupenda stavano dando come sottofondo; non potevo sentirla.
Ero troppo distratto dal malessere del mondo che emergeva da quel genere di feste: tutti che normalmente si odiano, vorrebbero uccidersi e con il sol pensiero sabotarsi a vicenda, eppure d’avanti ad un Martini sembrano amarsi più di Paolo e Francesca; stessa struggente intensità, stesse conseguenze. Certo, di ubriachi non che ce ne fossero, nell’inferno dantesco, nulla che non fosse sazietà d’amore. Roba che alle menti –e soprattutto ai cuori- della gente lì presente mancava totalmente, come concezione, si presentavano totalmente fuori strada. Parlar di bel vedere con un cieco, una barzelletta ad un sordo! Ed il loro occhi, per carità! Troppo impegnati a giudicare seni prosperosi e a sentenziare qualcun altro solo posandosi su di esso. Persone ed iridi nemmeno lontanamente adatte ai miei canoni di bellezza.
Più mi guardavo attorno, più ero convinto di voler sloggiare da lì, ed in fretta: ed è quello che effettivamente feci.
Cercai di fare.
Ripescai la mia giacca dagli antri polverosi del divanetto ad angolo, quello più rintanato e nascosto dal mondo, mi alzai scostando gente di ogni tipo. Con gli occhi cercavo il mio amico, Francis, un tipo apposto: a letto, era ok. Sentimentalmente era una frana, se la sarebbe cavata meglio un cellulare di ultima generazione. Appena trovai i suoi occhi azzurro cielo, mi accorsi che stava parlando con qualcuno. Sempre troppo impegnato per pensare ad essere un buon padrone di casa. Roteando gli occhi, decisi di farmi più vicino e vidi che si stava allontanando. Posai lo sguardo un’ultima volta dove prima vi era il francese, per constatare chi avesse pescato come vittima di passioni notturne travolgenti per questo giro.
E fu lì, che vidi per la prima volta nella mia vita la luce.
Fu uno sguardo lungo, intenso, non mi ricordo nemmeno io la portata di emozioni che si scagliarono come onde nel mio cuore; si infrangevano troppo veloci, e sentimenti non ben definiti andarono a rintronarmi e debilitarmi più dell’alcol stesso. Subito due parti di me si contrapposero: il cervello mi gridava “che fai, razza di imbecille, ti invaghisci a prima vista di un paio di smeraldi lì, incastonati a casaccio su di una fronte bronzea? Lo sai che è tardi per il principe azzurro? Lo sai che non sei in un film?” mentre il cuore, più scaltro, pensò ad agire.
Lasciai perdere quel buono a nulla del francese, mi concentrai di più nel seguire quel paio d’occhi in cui mi ero totalmente perso: avrei voluto andar lì solo per chiedere una mappa di quel mare verde, profondo, cristallino. Mi batteva all’impazzata il cuore, mentre le gambe iniziarono a seguirlo istintivamente. Andavo da lui per ragioni ben diverse: la prima sensazione fu di aver trovato la mia casa. Solo in un secondo tempo avrei capito che sarebbe stato ben di più di una semplice dimora. Ma questo non potevo saperlo, all’ora.
Chiuse gli occhi diverse volte, probabilmente imbarazzato, ma concesse il suo splendido sguardo solo e soltanto a me, per tutta la durata del nostro “incontro”, se così possiamo chiamarlo. Per un attimo, mi sentii lusingato, mi sentii la creatura più fortunata che quel Dio potesse aver mai creato. Per un istante fui tanto geloso che quella vita fatta ad iridi potesse andar ad inebriare qualcun altro. Volevo fosse mia, e cresceva ogni secondo il mio totale senso di inadeguatezza e di imbarazzo.
Dio, che stavo facendo?!
Dopo minuti interminabili, è come se i suoi occhi prima di scomparire più in avanti mi avessero per l’ennesima volta parlato. “Seguimi”, ricordo mi dissero “Seguimi e ti aspetterò fuori, promesso”.
E quello che feci, è inutile specificarlo. Strattonai più gente che in una rissa, non mi importava ricevere insulti: non volevo che quella magia finisse, per nulla al mondo volevo perdere quello sprazzo di salvezza, che mi aveva tenuto in vita per una decina di minuti.
Non volevo smettere di respirare, ancora, per chissà quanti anni a seguire. Non potevo aspettare la prossima festa per essere di nuovo vivo, per diamine! Fu per quel motivo, che mi ritrovai a vagare senza meta, da solo, per le strade di un’enorme piazza lì vicino.
Mi sentii di nuovo abbandonato, tremendamente stupido ed ingenuo, e per un momento la convinzione di aver avuto un’allucinazione mi attanagliava il petto, in una morsa ben salda, che mi fece crollare. Alzai gli occhi al cielo: dov’era finito il mare? Quel mare mai visto, dov’era andato?
Lo ritrovai ad aspettarmi, come promesso dai suoi occhi, appoggiato ad una colonna della grande fontana. Mi accorsi che di magnetico non aveva solo gli occhi, che il suo sorriso avrebbe potuto riportare in vita un intero cimitero. Che lui, semplicemente così com’era, era stupendo.
Ed era imbarazzato, leggermente rosso in viso. Per un secondo nella mia esistenza, pensai di essere ben voluto da qualcuno che non fosse la sfortuna. Ma, per un secondo in quella serata mi ricomposi. Di certo, per quanto irresistibile fosse quello strano sprazzo di vita fatto ad individuo, non potevo e non volevo farmi vedere così da un estraneo. Il mio orgoglio prevalse, ancora una volta, e mentre mi avvicinavo a lui il cuore mi salì in gola a forza di rimbombare nella cassa toracica. Eppure, lui aveva capito qualsiasi cosa riguardante la mia persona solo scrutandomi, era inutile nascondersi.
Non ci furono parole, solo sguardi intensi. Solo vita di attimi, solo esistenza di azioni.
Azioni significative, non vane. Mirate alla felicità di entrambi, alla mia, che in quel momento mi sembrò quella del mondo intero. Avrei potuto benissimo fermare ogni singolo passante e dirgli “non è fantastica la vita?”
Successe ancora una volta tutto in un attimo; le labbra che stavano sorridendomi, mi si avvicinarono sornioni e silenziose. Feline mi sorpresero, come falchi attanagliarono anche quel poco di controllo autoimpostomi minuti addietro. Fu ancora una volta un attimo.
Toccate le sue labbra, accarezzai il cielo come un dito. Dei miei amanti, seppur questo non carnale era stato il primo così gentile, così rispettoso. Era stato il primo di cui mai rimpiangerò la totale fiducia che gli affidai in quel momento. Sarebbe esagerato dire che gli affidai la vita, in quel semplice contatto, ma tutto ciò che aveva significato in essa fu riposto nelle sue mani. Il resto di me, non fu da meno: mi aggrappai al suo collo come un beduino scovata un’oasi d’acqua fresca. Lui, era acqua fresca d’estate. E nemmeno sapevo il suo nome, sentite un po’!
Non era da me, no, nemmeno desiderare così tanto un secondo tempo quando l’incantesimo si interruppe. Nemmeno per un secondo avrei voluto scappare via. Di solito l’avrei fatto, da brava Cenerentola. Con un altro sconosciuto la mia carrozza sarebbe diventata una zucca, e sarei corso via a gambe levate, rintanandomi a vita in casa.
Con lui non fu così.
Sciolsi qualsiasi contatto fisico, e di nuovo si instaurò quel respiro fatto di sguardi. Più intenso, se possibile, di prima.
-Chi sei?- gli chiesi, semplicemente. Chi sei? per avermi stregato. Cosa vuoi da me? per avermi attanagliato il cuore. Chi sei? per farmi tutto questo.
Non era intenzionato a rispondermi. Mi sorrise, accarezzandomi il viso.
Dipendevo totalmente da lui, e quando con mistero mi lasciò un piccolo bigliettino in mano, rimasi immobile aspettando sue indicazioni.
-Partirò domani. Barcelona, ti aspetterò.- detto questo, mi prese la mano, baciò il suo dorso, e andò via. Come un allocco, non lo seguii. Ripensai alle sue parole, al suo incantevole accento spagnolo, e imbambolato –stregato- corrotto dalla spietatezza della sua purezza d’animo, me ne tornai a casa stringendo al petto quell’unico ricordo materiale che avevo –perché di ricordi emotivi, beh, di quelli avevo da raccontarne per anni e anni!- unico vero indizio che mi riconducesse a lui.
Su di esso, un numero ed un indirizzo e-mail.
 
Dopo circa un mese di chiamate ininterrotte, scambi di lettere senza freni, decisi di andare in Spagna. Non per vacanza, nemmeno per un ritiro spirituale: avevo deciso di andarci a tempo indeterminato, volitivo come non mai di rimanere con lui per quanto più tempo possibile.
Antonio Fernandez Carriedo, 22 anni. Così si chiamava il mio principe, lì, dall’altra parte dell’Europa. Quello che mi aveva stregato alla festa, era riuscito dopo relativamente poco tempo per i miei standard di fiducia a guadagnarsela, e mi accingevo a raggiungerlo concretamente, per iniziare la nostra relazione a distanza.. ravvicinata, per così dire.
Quando arrivai, fu di nuovo amore a prima vista. Per la seconda volta in vita mia fui felice, fui sorridente, fui vivo, fui innamorato. Non ricordo giorni bui in sua compagnia.
È impossibile essere tristi quando c’è Antonio di mezzo, -tutti amano Antonio! È per questo che, inutile dire, sono tanto tanto ma tanto geloso..
Ma, non per vantarmi, se ha scelto me, vuol dire che mi deve amare sul serio. Ma non perché io sia chissà che speciale, sono uno tra tanti. Semplicemente perché una persona così candida e pura come lui non mentirebbe mai, nemmeno a se stesso, per nessuna ragione al mondo. Se dice di amarmi, lo fa con un sorriso. Lo fa guardandomi negli occhi, sempre imbarazzato, ma totalmente sincero e convinto. Forse è questo il motivo più grande per cui, dopo appena 6 mesi, gli ho concesso il mio fatidico sì.
 
Ebbene sì, signori, io Arthur Kirkland, mi sposo.
Oggi, per l’esattezza.
 

E non si dica che gli attimi fuggenti non esistano, e non vadano colti!
Fine.

   
 
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