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Autore: ItsNaike    04/01/2013    3 recensioni
Alberto Ferrara prendeva il treno ogni giorno per arrivare nel suo ufficio. Era un impiegatuccio di quart’ordine, l’ultima ruota nel carro di una società di telefonia, e faceva avanti ed indietro ogni giorno sulla stessa linea ferroviaria, seduto sempre al suo stesso posto accanto al finestrino. Era sempre stato così. Fino a quel giorno.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alberto Ferrara prendeva il treno ogni giorno per arrivare nel suo ufficio. Era un impiegatuccio di quart’ordine, l’ultima ruota nel carro di una società di telefonia, e faceva avanti ed indietro ogni giorno sulla stessa linea ferroviaria, seduto sempre al suo stesso posto accanto al finestrino. Partiva dal capolinea ed arrivava al termine della corsa, ogni giorno dalle 6.58 alle 8.05, salvo ritardi. Era un viaggio tranquillo e Alberto aveva imparato ad amarlo, visto che non poteva farne a meno. Aveva familiarità con ogni altro pendolare, conosceva a memoria ogni fermata, ricordava ogni stazione. Fino a quel giorno.
   Quell’uomo salì tre fermate dopo il capolinea. Era sulla quarantina, di bell’aspetto, brizzolato. Aveva occhi chiari, penetranti, difficile che passassero inosservati. Con un tuffo al cuore, Alberto Ferrara si accorse che aveva già visto quegli stessi occhi esattamente un anno e quattro mesi prima: l’ignaro passeggero gli era stato presentato in un’aula di tribunale, mentre teneva sotto braccio quella che sarebbe diventata l’ex moglie di Ferrara. Quell’uomo si chiamava Federico Donati ed era la ragione per cui ora Alberto era divorziato, era colui che aveva spinto sua moglie Rosa al tradimento, era la causa di tutti i suoi turbamenti e delle migliaia di euro spese in analisi. Ed ora era sul suo stesso treno.
   Donati scese alla stessa fermata di Alberto, e il giorno seguente, alla stessa ora, prese di nuovo il convoglio, e così fece il giorno dopo e quello ancora, per tutta la settimana, per tutto il mese. Era un pendolare come lui. Alberto era fuori di sé. Ogni mattina si scontrava con quella odiosa figura e leggeva nei suoi occhi le notti d’amore che stava passando con Rosa. Non poteva sopportarlo. Valutò la possibilità di non prendere più il treno, di andare al lavoro in auto, in taxi, in autostop, valutò anche quella di licenziarsi, ma poi comprese che il problema non era lui: il problema era Federico Donati. Era così. La possibilità di incontrarlo ogni giorno non era stata una maledizione, bensì una benedizione, un segno del destino per indicargli la cosa giusta da fare. Ed ora finalmente Alberto aveva capito: gli era stata offerta una possibilità di vendetta.
  Escogitò tutto fino all’ultimo dettaglio insignificante. Cominciò col sedersi sempre di fronte al Donati, ma a testa bassa, perché lui non lo riconoscesse. Lasciò che passasse una settimana, poi due, pazientando, facendo accanto a quell’uomo il suo viaggio mattutino. E intanto meditava.
   Poi venne il giorno. Partì da casa con un coltello nella borsa, un coltello comune, da cucina. Attese il treno e poi salì, sedette al suo solito posto ed aspettò che il suo compagno di viaggio prendesse posto di fronte a lui. Non restò deluso: Federico Donati, per abitudine o per pigrizia, si accomodò di fronte ad Alberto ed iniziò il viaggio fissando fuori da finestrino. Ferrara era pronto. Senza alzare lo sguardo, guardò passare alcune fermate, poi, lentamente, lasciò che la sua mano scivolasse all’interno della borsa. Nessuno li stava guardando, nessuno se ne sarebbe accorto. Era ad un passo dallo sfiorare il manico del coltello con le dita, e infine lo toccò, lo impugnò, lo strinse saldamente. Federico Donati continuava a guardare il paesaggio, ignaro del pericolo che stava correndo. Ma Alberto si sentiva stranamente felice, come se un enorme peso stesse volando via dal suo stomaco.
   Era lì, stava per farlo. L’avrebbe fatto.
   Ma improvvisamente Donati si voltò e guardò Alberto negli occhi. Quest’ultimo si immobilizzò, la mano ancora nella cartella.
   - Salve, - disse l’altro, sorridendo appena, - Ho visto che noi due prendiamo lo stesso treno tutte le mattine e scendiamo alla stessa fermata. Perdoni la mia maleducazione se non mi sono presentato prima: tanto piacere, mi chiamo Giovanni Torre.
 
  
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