Titolo: Thunder
Buddy – Come una cosa sola
Genere: Romantico,
Introspettivo, Fluff, Slice of life
Avvertimenti: Incest,
What
if?
Alla mia Beks ♥
Thunder
Buddy – Come una cosa sola
Riaprì gli occhi nel suo letto, a causa di un lampo che
squarciò il cielo e
della luce che filtrò dalle imposte semi-chiuse.
La sua donna gli dormiva addosso, con le gambe intrecciate alle sue e
il
broncio messo in evidenza dal viso schiacciato contro il suo petto.
Le passò un braccio intorno alle spalle e lasciò
scorrere lo sguardo su di lei,
analizzando ogni più piccolo particolare di quel corpo
coperto dalla leggera
camicia da notte e tanto perfetto da riuscire sempre a scuoterlo. Si
fermò ad
osservare le onde chiare sparse sul cuscino improvvisato e quelle
labbra
imbronciate capaci di farlo sempre impazzire.
Amava guardarla dormire, ammirarla quando nessuno poteva distrarlo
dalla sua
visione. Amava prendere spunto per un nuovo ritratto da completare in
gran
segreto, solo per poi bearsi nel vedere quegli occhioni profondi come
il mare
in tempesta illuminarsi quando si posavano sul foglio di carta.
Ancora non riusciva a credere che una tale fortuna avesse bussato
proprio alla
sua porta, non dopo tutto il male che era riuscito a infliggerle.
Lei era sempre stata il suo punto di riferimento, l’unica che
l’aveva sempre
seguito durante i suoi spostamenti, l’unica che era sempre
riuscita a
sopportarlo. Perché lo sapevano anche i sassi che bisognava
possedere una pazienza di ferro
per sopportarlo.
Eppure lei non l’aveva mai abbandonato anche se alcune volte
era stata sul punto di farlo.
Ma lui, seppure dopo secoli, aveva capito i motivi che
l’avevano spinta a
decidere di allontanarsi da quello che all’epoca era solo il
suo carceriere,
colui che le toglieva ogni libertà.
Perché appunto, questo Klaus l’aveva capito solo
da quasi un secolo, in quasi
mille anni non aveva fatto altro che toglierle ogni libertà.
L’aveva sempre
tenuta prigioniera in una gabbia dorata, offrendole solo il sentore di
una vita
che invece non le aveva mai dato modo di vivere come lei avrebbe
desiderato e
meritato.
L’ennesimo tuono della nottata portò la ragazza a
stringersi ancora di più al
suo uomo, che le scostò un ciuffo ribelle dalla fronte e
continuò a guardarla
in silenzio. Klaus sapeva bene quanto i tuoni la terrorizzassero e non
riusciva ad esserne
sorpreso.
Anche con mille anni sulle spalle, ci sono paure che non passano
facilmente,
neppure a distanza di tempo.
Restano dentro di te, ti consumano e ti ricordano che quel tuo lato
umano che
credevi di aver perso è comunque rimasto.
La sua umanità invece era custodita nella ragazza che
dormiva aggrappata a lui.
Era sempre stato così da quando entrambi erano ancora umani.
Anche quando era troppo accecato dalle sue ossessioni prettamente
negative, dal
suo desiderio di rivalsa sul patrigno, dal suo volere ad ogni costo
spezzare la
maledizione che lo teneva prigioniero al fine di tornare ad essere un
ibrido e
creare tanti esseri uguali a lui.
O quando la gelosia e la possessività lo rendevano ancora
più mostruoso di
quanto già non fosse. In tutte quelle circostanze, un
barlume di umanità era
comunque rimasto ed era rappresentato dalla sua Rebekah. La strinse
più forte a
sé quando un altro tuono ruppe la tranquillità
della loro camera, mentre i
ricordi cominciarono ad affacciarsi alla sua mente.
Ricordi relativamente vicini se paragonati a quelli del resto del loro
millennio.
Quegli stessi che segnarono l’inizio di tutto, della parte
più bella della loro
esistenza.
Lui non era geloso, era solo irritato.
Certo, perché quella sera sua sorella avrebbe preferito
restare con quel tizio
dalla strana capigliatura piuttosto che tornare a casa con lui.
E Klaus, quel Salvatore l’avrebbe preso volentieri a calci.
O gli avrebbe
direttamente strappato via il cuore dal petto se non ci fosse stata lei
a
fermarlo.
Proprio come aveva fatto secoli addietro, quando aveva approfittato del
momentaneo sonno della sorella per uccidere ogni stupido essere che
ostruiva il
suo passaggio.
In quella lontana notte di sette secoli addietro, aveva massacrato
cinque
uomini in una manciata di minuti e non si era ovviamente curato del
sangue che
gli aveva sporcato le mani.
Uno di loro aveva pugnalato la sua Beks e lui aveva
reagito di conseguenza.
Aveva prima ucciso gli amici del tale, decidendo di
lasciare proprio lui per ultimo, così da potersi godere
meglio quell’uccisione.
E l’aveva fatto, strappandogli la lingua dalla bocca e
piantandogli una spada
dritta nel cuore, riducendoglielo in poltiglia.
Quella sera, invece, troppo impegnato a nutrirsi e a bere come una
spugna,
l’aveva persa di vista per ritrovarla poi in un
privé in compagnia di quel
tale. Non riusciva a chiamarlo per nome neppure nei suoi pensieri,
tanta era la
rabbia di averlo visto insieme a sua sorella.
“E allora vai senza di me, non sono la tua ragazza”
gli aveva detto Rebekah con
quel tono di sfida che gli aveva provocato uno degli ormai soliti
attacchi
d’ira, quando lui aveva palesato il desiderio di concludere
la serata al bar di
Gloria e di tornare a casa.
Aveva usato la scusa della noia, ma la realtà era
ben diversa. Klaus voleva allontanare Rebekah da quel tale, voleva
riportarla a
casa cosicché non dovesse più vederla troppo
vicina a un altro uomo.
E aveva
reagito con la solita ira e la solita possessività
perché nessuno, neppure sua
sorella, poteva permettersi di contraddirlo.
O forse l’unica a non poterlo fare
era proprio lei.
Era rimasto scottato dall’ultima volta che lei aveva scelto
l’amore alla
famiglia, rischiando di farli uccidere tutti e adesso non poteva
permettere che
ciò accadesse ancora una volta. Quel Salvatore, non gli
piaceva.
Non si fidava di lui e neppure del giudizio di Rebekah.
Temeva che con quella
sua strana pettinatura, quel tale avrebbe potuto affascinarla tanto da
farle
dimenticare.. lui.
“No, ma sei mia sorella, questo significa che devi fare
ciò che dico”
Era solito parlarle in quel modo, afferrarla con tanta forza, far
prevalere il
suo ruolo di uomo.
Fratello maggiore, si corresse. Lui era il suo fratello
maggiore, aveva il compito di proteggerla e di portarla con
sé in ogni suo
spostamento per paura che Mikael li braccasse e riuscisse a ucciderli.
Quella sera non aveva superato se stesso, si era comportato come suo
solito,
eppure aveva avvertito una strana sensazione pervaderlo.
Una sensazione del
tutto nuova, anche se forse non era proprio così.
Era la stessa provata quando
erano ancora umani e gli uomini del villaggio solevano guardarla troppo
insistentemente o quando ancora era lei a guardare qualcuno con
interesse.
Questo aveva sempre suscitato in lui delle reazioni che non aveva mai
avuto
modo di comprendere.
Si rendeva conto che dall’esterno sarebbe potuto apparire
in modo diverso da ciò che in realtà era, eppure
non gli era mai importato.
Rebekah era sua. E in quasi mille anni ciò non era mai
cambiato.
Lei era sua
nel senso più morboso e viscerale del termine.
Era la luce in fondo a quel
tunnel oscuro che era diventata la sua esistenza.
Era l’unica persona che lo
teneva legato al vecchio se stesso, il Niklaus umano che ormai nessuno
conosceva più.
E infatti solo lei ed Elijah conoscevano ogni suo aspetto.
E,
mentre il fratello delle volte aveva deciso di lasciarli per recarsi
altrove,
lei era invece rimasta insieme a lui.
«Nik?» Klaus, con ancora lo sguardo fisso al
soffitto, voltò la testa verso la porta
aperta e vide la sorella con una mano sulla maniglia e il labbro
inferiore
artigliato tra i denti.
Era notte fonda, ma riuscivano comunque a vedersi per
merito della loro natura soprannaturale.
E soprattutto, lui riusciva
perfettamente a vederla avvolta in quella camicia da notte che,
purtroppo o per
fortuna, non lasciava nulla alla sua fervida immaginazione di artista.
Il
vampiro sbuffò pesantemente e portò un braccio
piegato sotto la testa, tornando
a osservare le venature del soffitto candido.
«Nik, c’è il temporale» il
tono
lamentoso della sorella lo fece sbuffare ancora una volta, mentre la
sua mano
si stringeva in un pugno sotto la testa.
«Non c’è il tuo prezioso Stefan a
proteggerti dai tuoni?» sibilò con astio, ben
conoscendo l’assurdo terrore della sorella verso i tuoni.
La terrorizzavano da
quando era solo una bambina e, ogni volta che questi turbavano il suo
sonno
insieme agli incubi, lei correva a rifugiarsi tra le sue braccia.
Ma i tempi
erano cambiati, lei non era più una bambina e lui aveva
lasciato che il mostro
dentro di sé prendesse il sopravvento.
Adesso non aveva alcuna intenzione di
tornare a fare il fratello maggiore, il Niklaus umano che forse lei si
aspettava di trovare steso su quel letto. Adesso lui era solo
arrabbiato e dannatamente
geloso, era riuscito ad ammetterlo a se stesso sebbene questo secondo
sentimento fosse del tutto sbagliato e fuori luogo.
Non poteva però ignorare
quel doloroso groppo che aveva alla gola e quel peso che gli
schiacciava il
torace come un macigno.
Era doloroso e opprimente perfino guardarla.
Chiuse gli
occhi quando sentì il materasso abbassarsi sotto il nuovo
leggero peso, due
braccia esili circondargli l’addome e una guancia posarsi sul
suo petto nudo.
La ragazza represse un sorriso, soddisfatta di essere finalmente
riuscita a
smuovere il fratello. Aveva cercato in ogni modo di catturare la sua
attenzione
e alla fine vi era riuscita in quello più semplice.
Lo aveva provocato per
tutta la serata, avvicinandosi a Stefan e provando a mostrarsi
interessata.
E,
ammise con se stessa, le era anche piaciuto. Non era stato difficile
mostrare
interesse verso il giovane redivivo, poiché questo si era
rivelato persino
divertente. Sapeva bene quanto fosse difficile attirare
l’interesse di Niklaus,
era raro che una donna riuscisse ad affascinarlo o a farlo arrabbiare
tanto
quanto lei.
La presa ferrea e il modo in cui l’aveva tirata a
sé, però, le
avevano fatto intendere quanto irritato e geloso fosse in quel momento.
Si strinse ancora di più a lui, sorridendo soddisfatta che
il suo piano avesse
ottenuto l’effetto sperato e grata che non potesse essere
vista in quel
momento.
«Nessuno potrebbe mai proteggermi dai tuoni come fa mio
fratello» Rebekah
affondò il viso contro il petto dell’uomo che
adesso le circondò le spalle con un
braccio, reprimendo una risata. Lo sentì scattare sebbene
fosse ancora immobile
e decise di dargli il corpo finale.
Nik doveva smettere una buona volta di
comportarsi da fratello iperprotettivo e prendersi ciò che
da sempre era suo.
Perché lei, sebbene flirtasse con gli altri uomini, sapeva
di appartenere solo
a uno di questi.
«Mi hai fatto fare brutta figura questa sera con
Stefan»
continuò a provocarlo, sperando in una reazione che non
tardò ad arrivare.
L’espressione di Klaus si indurì non appena
sentì quel nome fuoriuscire dalle
labbra della sorella e strinse i pugni ancora di più,
così come gli occhi che
quasi gli dolevano per lo sforzo di stare chiusi. Il vampiro
avvertì ogni parte
del corpo tendersi e irrigidirsi a causa della rabbia che si
mescolò alla
gelosia sempre più presente e pressante.
«Non hai sonno, Rebekah?» le domandò con
un tono che non ammetteva repliche,
stringendola comunque quando un tuono la fece sobbalzare. «E
comunque me l’hai
detto tu che quel tale ha una strana capigliatura.»
La mano della ragazza si posò leggera su una guancia ispida
del fratello,
muovendola in modo che lui la guardasse in viso.
Entrambi avvertirono una
strana sensazione non appena i loro sguardi si incrociarono, come se
mille
brividi in quel momento stessero attraversando i loro corpi.
«Non mi piace quando mi chiami Rebekah, preferisco quando mi
chiami con quel
nomignolo che usi sempre e solo tu» sussurrò non
smettendo di guardarlo negli
occhi.
E Niklaus le era in un certo senso grato, perché adesso non
era più
difficile guardarla.
Adesso era tornato ad essere piacevole e unico perché in
quella camera, su quel letto, c’erano solo loro due e lui
poteva permettersi la
libertà di essere se stesso, anche se sapeva che questo
sarebbe stato un
errore.
«Perché sei qui, Beks?» Klaus si
tirò a sedere facendo quindi alzare a sedere
anche lei e tornò a chiamarla con quel nomignolo che solo
lui aveva usato in
quasi mille anni.
Non sapeva per quale motivo, ma chiamarla in modo diverso da
tutti gli altri, faceva sentire diverso perfino se stesso.
Poteva essere Rebekah o Bekah per gli altri, ma per lui era sempre la
sua Beks.
E guai a rubargli il nomignolo, perché sarebbe stato capace
di commettere una
strage.
«Te l’ho detto, c’è il
temporale» Rincuorata che lui fosse finalmente tornato a
usare quel nomignolo, Rebekah continuò ad accarezzargli la
guancia, trovando in quel
contatto ruvido un senso di familiarità.
Amava tutto di quell’uomo.
I suoi
occhi, le mani grandi, quella barba che la solleticava al tatto, il
caratteraccio che solo in pochi riuscivano a comprendere, la sua
gelosia,
quella possessività che la faceva impazzire, la sua voce e
quelle labbra tanto
simili a petali di rosa che lei si era sempre domandata che sapore
avessero.
Schiuse le proprie non appena la mano di Nik si posò sulla
sua, trattenendo il
respiro nel vederlo adesso tanto vicino.
Si era avvicinata a lui senza
rendersene conto, trovandosi adesso a pochi centimetri di distanza.
I loro
respiri, che si erano fatti più veloci e pesanti, riuscivano
a incontrarsi mentre
quello dell’uomo che le era di fronte le solleticava il viso.
Perché era lì? In
quel momento cominciò a domandarselo anche lei.
Avrebbe potuto sgattaiolare
fuori dalla finestra e raggiungere Stefan nel bar di Gloria, dove era
certa lui
la stesse aspettando.
E invece era rimasta a casa e si era rifugiata tra le
braccia di quell’unico uomo che non avrebbe mai potuto
considerare suo.
Anche se in cuor suo, lei lo aveva sempre considerato tale. Era rimasta
con
lui, per lui. E non avrebbe voluto essere in altro luogo che non fosse
quel
letto, circondata da quel profumo unico e quel calore che le penetrava
le ossa
e riusciva a scuoterla.
«Dovresti tornare in camera tua» Klaus non era
minimamente convinto delle sue
parole.
Non voleva che Rebekah andasse via, che si allontanasse da lui, ma
sapeva che l’allontanamento era necessario.
Sapeva che se lei fosse rimasta a
guardarlo in quel modo, tanto vicina da riuscire a percepire il suo
respiro
sulla pelle, non avrebbe resistito e avrebbe fatto qualcosa di cui
subito dopo
si sarebbe pentito.
«Si, forse è il caso» Lei
abbassò lo sguardo e annuì mentre lui le lasciava
andare la mano che scivolò lungo la guancia ispida.
Il vampiro chiuse gli
occhi, mentre un senso di frustrazione prese a pervaderlo.
Diventava sempre più
difficile tenere un comportamento da fratello, ciò che lui
era almeno in
teoria.
Perché invece avrebbe voluto continuare a guardarla, avrebbe
ancora
voluto sentirla stesa di sé, avrebbe ancora voluto
proteggerla dai tuoni come
quando era solo una bambina. Avrebbe voluto essere per lei
ciò che invece
qualcun altro prima o poi sarebbe stato.
Avrebbe voluto essere suo perché era
così che si sentiva.
Sentiva di appartenerle con ogni fibra del suo essere e
questa consapevolezza diventava ogni attimo più forte di
quell’assurdo legame
familiare che cercava in ogni modo di tenerlo lontano da lei.
Riaprì gli occhi quando la sentì muoversi sul
letto e voltò il capo di lato
mentre la sua mano si fermò sul polso della ragazza,
bloccandola anche se lei
avrebbe potuto facilmente liberarsi.
Rebekah alzò lo sguardo sul profilo del
“fratello” che non riusciva più a vedere
come tale, o forse non era mai
riuscita a vederlo in quel modo. Non sentiva che quello era suo
fratello. In
mille anni lo aveva visto in tanti modi, ma mai come fratello maggiore.
Nik non
era come Finn, Elijah o Kol. Era sempre stato diverso.
Lui era stato prima il
bambino, poi il ragazzo e infine l’uomo che l’aveva
sempre protetta e amata
come nessun altro era mai stato in grado di fare. Anche se molte volte
lui
tendeva a non mostrare i suoi sentimenti o peggio, a mostrarli in modo
del
tutto sbagliato.
Ma lei lo sapeva. Sapeva che dentro quel cuore che Nik credeva
ormai morto, c’era quell’amore che aveva sempre e
solo riservato a lei.
Forse
peccava di presunzione, ma era certa che il suo Nik la amasse con la
stessa
intensità con cui lei amava lui.
«Vuoi davvero che torni in camera mia?» gli
domandò lei con un filo di voce,
conscia che quel piccolo passo avanti che aveva fatto scatenando la sua
gelosia, si era rivelato un caso isolato.
Klaus era appena tornato a
nascondersi dietro la sicura maschera del fratello, causandole
l’ennesima
delusione.
Lei non voleva andare via, non voleva lasciare il calore di quel
letto immerso nell’oscurità così come
non voleva essere amata solo in silenzio.
Rebekah voleva la sua totale attenzione, voleva che lui nutrisse un
disperato
bisogno di lei, che la volesse.
Aveva bisogno che tutte le negative ossessioni
di Nik sparissero cosicché lei potesse sostituirle.
Rebekah voleva essere la sua unica e costante ossessione.
Klaus si domandò se davvero l’amore fosse la
più grande debolezza di un
vampiro, come aveva detto secoli addietro al fratello maggiore, spinto
dal
ricordo di quel sentimento che era stato sempre costretto a celare.
Ma l’amore
era davvero questo?
Avendo amato la stessa donna sia da umano che da vampiro,
cercando e trovando distrazioni in altre che non riuscivano neppure
sforzandosi
di togliergliela dalla testa, poteva con certezza confermare la sua
tesi.
Il
sentimento per la donna che cercava ancora di non guardare era da
sempre la sua
più grande debolezza, in quello che era il senso
più positivo del termine.
Era consapevole della sua forza di vampiro Originale, ma questa forza
comprendeva solo il fisico, lasciando in balia del cuore e della
debolezza le
emozioni.
Quando si trattava della sua Beks, tornava ad essere lo stesso
ragazzo umano che si lasciava trascinare da lei nella grotta del loro
villaggio. Lei era l’unica persona al mondo in grado di
mostrargli chi lui
fosse realmente, di rimembrargli quell’uomo perduto da ormai
troppi secoli e
che aveva lasciato posto all’abominio.
«Non..» le parole di Klaus si arrestarono quando
voltò nuovamente il capo e i
loro sguardi si fusero ancora una volta, così come le loro
labbra. Finalmente,
dopo novecento anni, Klaus riuscì a sentire il sapore di
quelle labbra tanto
morbide al tatto da rimembrargli i dolci petali di quel fiore che lui
aveva
sempre collegato a lei.
Il tulipano bianco, meraviglioso nella sua semplicità e
in quella purezza che da sempre lo caratterizzava.
L’amore puro, vero e profondo. L’amore proibito,
quello stesso in grado di
divorare e infiammare l’anima.
E la sua era esplosa nell’esatto momento in cui
le sue labbra si erano posate leggere su quelle della ragazza che,
sorpresa da
quel gesto in cui aveva sempre sperato ma che non si aspettava,
ricambiò il
dolce bacio e affondò una mano tra i riccioli scomposti
dell’uomo che si fece
più vicino.
«Ci sono i tuoni, non puoi tornare in camera tua»
mormorò Klaus su quelle
labbra che lo richiamarono subito dopo, come il canto di una sirena che
si
faceva sempre più irresistibile.
Erano state create per posarsi sulle sue, per ricevere i suoi baci e
quei
leggeri morsi che causarono nella ragazza l’ennesimo fremito,
stavolta del
tutto piacevole.
«I tuoni non ci sono più» rispose lei,
parlandogli senza permettere alle loro
labbra di separarsi. Si parlavano tra un leggero tocco e
l’altro, mentre le
loro mani affondavano reciprocamente nei capelli l’altro. I
loro cuori, sebbene
la loro natura di non-morti lo rendesse alquanto improbabile,
sembravano
battere all’unisono. I battiti si incontravano e si
rincorrevano nello stesso
modo in cui le loro lingue saggiavano i loro sapori, unendoli e
creandone uno
tutto nuovo.
«Ma potrebbero tornare da un momento all’altro e io
devo proteggerti» il
sorriso malizioso del vampiro andrò a incontrare nuovamente
quelle labbra
gonfie e perfette, rese ancora più purpuree da quelle di lui
e dai denti che
continuavano a mordicchiarle.
Come se quei leggeri morsi avessero potuto in
qualche modo attestare che la sua Beks era, appunto, solo sua
perché solo lui
poteva permettersi di catturare quei dolci petali e renderli propri.
Lei era
una sua proprietà esclusiva e a Rebekah quella
possessività piaceva sempre di
più.
La faceva sentire importante, amata, desiderata, voluta.
Erano sempre riusciti a capirsi con un solo sguardo e anche in quel
momento,
prima che i loro occhi si chiudessero e i loro corpi si stendessero
nuovamente
sul letto, sapevano entrambi che quello sarebbe stato
l’inizio di qualcosa di
totalmente inspiegabile e inconcepibile a coloro che li avrebbero
senz’altro
additati come immorali e perversi.
Ma loro erano già degli assassini a causa di
quella natura che lei aveva sempre mal sopportato, quella stessa natura
che li
rendeva mostri ma che al tempo stesso faceva loro provare ogni emozione
più
amplificata e intensa.
Quindi perché crearsi inutili problemi se ciò che
volevano era unicamente vivere quel sentimento che per mille anni non
aveva
fatto altro che logorarli e farli sentire totalmente fuori posto? Il
loro
posto, appunto, risiedeva l’una nelle braccia
dell’altro.
Erano nati in
un’epoca in cui quell’assurda legge morale che li
aveva sempre tenuti lontani
non aveva significato, non era ancora stata formulata, per questo non
si
sentivano in alcun modo spregevoli.
E c’erano molti altri motivi per cui
avrebbero dovuto sentirsi in questo modo, non di certo per quel loro
puro e
vero sentimento finalmente venuto allo scoperto.
Alzò lo sguardo e trovò quello di Klaus attento su di lei e questo le fece imporporare le gote.
Perché poteva anche essere una vampira millenaria piuttosto perfida con chi le pestava i piedi, ma con lui tornava sempre ad essere la dolce umana che era stata secoli addietro.
Era così che il suo Nik la faceva sentire con tutte le attenzioni che le riservava e quell’amore che, in quasi un secolo, non aveva fatto altro che crescere sempre di più.
Amava quella sicurezza che lui le donava e quel groviglio di emozioni che le si formava all’altezza del cuore ogni qualvolta lo sorprendeva a guardarla.
«Perché sei sveglio? È notte fonda» gli domandò con la voce assonnata, facendo scorrere una mano sulla sua pelle.
Klaus le sorrise, pensando a qualche scusa da dirle per non sembrare un completo idiota e le prese la mano per baciarne il dorso.
«Non ho sonno» borbottò lui, mentendo palesemente perché il sonno lo aveva, ma non riusciva a dormire proprio come ogni volta che il temporale imperversava. Voleva restare vigile e controllare che lei non avesse paura, che non tremasse.
E voleva fare in modo di essere sveglio in caso lei si fosse destata nel cuore della notte, impaurita come ogni volta che i tuoni non la facevano dormire rilassata.
«Adesso che ti sei liberato di questa bugia, me lo dici perché sei sveglio alle tre del mattino?»
Lo sguardo che la sua Beks gli rivolse era carico di curiosità e sicurezza perché era più che palese che lei lo conoscesse meglio di chiunque altro e quindi sapeva ben riconoscere la verità dalle bugie.
«Ancora con questa tua assurda ossessione per gli inutili e idioti ibridi?»
Non era un segreto che Beks odiasse qualsiasi cosa concernesse sangue “magico” e ibridi, ma cercava di tollerarli per amore del suo uomo.
Tranne in alcuni frangenti in cui l’esasperazione prendeva il sopravvento e lei minacciava di uccidere doppelganger e ibridi.
Tutti insieme, magari appiccando un bel falò.
Odiava qualsiasi cosa si frapponesse tra di loro, qualsiasi cosa che la tenesse lontana dal suo Nik.
E l’ossessione degli ibridi era forse la cosa che più di tutte lo teneva distante da lei.
Klaus le lanciò un’occhiataccia e strinse le labbra, sebbene l’insofferenza della sua donna verso gli ibridi lo divertisse e lo facesse impazzire.
Adorava vederla gelosa o arrabbiata, era una stuzzicante perversione in mille anni non lo aveva mai abbandonato.
Rebekah era sempre bellissima, ma quando i suoi occhi fiammeggiavano d’ira, lui non poteva fare altro che restare ad ammirarla e a cercare in ogni modo di resistere dal fare qualcosa che l’avrebbe fatta arrabbiare ancora di più.
Come zittirla in quel solito modo che entrambi conoscevano bene o, peggio ancora, restare fermo a squadrarla dalla testa ai piedi.
Perché, sebbene gli sguardi insistenti di Klaus la facessero ogni volta capitolare, era anche vero che insieme alla lucidità tornava sempre anche la rabbia. E allora si ricominciava.
Lui la guardava, lei capitolava e poi tornava nuovamente arrabbiata. Era un circolo vizioso del quale nessuno dei due si sarebbe mai stancato. Vivevano il loro amore tra gli alti dei loro sentimenti e i bassi del chiacchiericcio comune e dei continui attacchi dei loro nemici.
«Hai notato che lì fuori c’è un temporale?» indicò la finestra dal quale provenivano i tuoni e le saette che squarciavano il cielo.
La teneva ancora stretta a sé perché, sebbene lei sembrasse aver dimenticato che fuori la tempesta stava imperversando, lui poteva sentire il suo corpo scosso dai fremiti dovuti alla paura.
Rebekah annuì, sorridendo colpevole e capendo infine il motivo per il quale lui fosse ancora sveglio.
Non si capacitava ancora di quanto fosse fortunata ad aver trovato un uomo come lui e di quanto con lei riuscisse ad essere diverso.
Non era il Klaus del quale tutti i nemici avevano timore e che odiavano; con lei era semplicemente il suo Nik, quello che si assicurava che dormisse serena e che la paura non avesse la meglio.
«E ditemi, Milord» quegli appellativi e quel “voi” che solevano usare per stuzzicarsi, prendersi in giro, uno dei tanti piccoli particolari che li rendeva sempre più uniti e complici, «avete intenzione di restare sveglio tutta la notte solo per guardarmi dormire?» la voce melodiosa e il tono malizioso della vampira gli fecero serrare la mascella e assottigliare lo sguardo, perché sapevano entrambi a cosa avrebbe condotto quella sveglia notturna.
«No, Milady» Klaus sorrise, sempre più stupito da quella donna meravigliosa unicamente e totalmente sua, «ho intenzione di proteggervi dai tuoni» la fece rotolare di schiena sul letto e afferrò le lenzuola, tirandole fin sopra le loro teste e sorridendo adesso sornione, mentre le loro labbra si incontravano celate dall’oscurità, «o magari di non farveli sentire affatto»
«Dobbiamo restare uniti come se fossimo una cosa sola, sempre e per sempre» Rebekah gli circondò il collo con le braccia, mentre non erano solo le labbra a sorridere, ma anche gli occhi, «Giusto, traditore?»
Quella promessa, quelle stesse parole usate un millennio addietro, vennero fuori come una melodia che mai avevano dimenticato perché parlava di loro. Quella stessa promessa che loro due avevano mantenuto alla lettera.
Klaus scoppiò a ridere sentendosi dare del traditore proprio come un millennio prima, quando lei l’aveva trascinato nella grotta per incidere i loro nomi sulla pietra.
Vivevano nel presente e nel passato al tempo stesso, ricordando quei momenti che non facevano altro che renderli ancor più felici per ciò che erano diventati. Uniti come una cosa sola.
«Giusto»
Note:
Ed eccomi di ritorno.. scommetto che nessuno ha sentito la mia mancanza xD
Questa one-shot ha partecipato al “The Original's Family Contest” di xXx Veleno Ipnotico xXx e, sorpresa delle sorprese, è arrivata al primo posto.
Non me l’aspettavo proprio, ma sono davvero contenta che sia piaciuta a lei e che abbia vinto.
Ho cercato di mostrare il lato umano di Klaus, quello che nella serie lui mostra a Caroline, insieme a quel lato possessivo e geloso che diviene lampante quando si tratta di Rebekah.
ps. Una nota per il titolo: “Thunder Buddy” è la posizione del tuono amico o dell’orsetto tuono e si usa quando si ha paura dei temporali.
In questo caso l’amico tuono di Rebekah è Klaus, nel senso che lui la “protegge” dai tuoni.
Sembra un po’ una cavolata, ma è collegato al Closeph (Claire Holt e Joseph Morgan) e non ho resistito *o*
Spero che questa storia vi sia piaciuta e che mi lasciate un commentino, altrimenti come faccio a sapere se vi è piaciuta o se vi ha fatto schifo? xD
A presto, Klabeks_ks