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Autore: JeffMG    05/01/2013    1 recensioni
L'attimo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Joseph camminava tra le vie di Londra, senza una meta precisa, senza neppure un'idea di dove andare.
Si lasciava guidare dall'istinto, come da anni non faceva, sempre con la testa immersa di cosa doveva o non doveva fare.
Ora lo sapeva cosa doveva fare, camminare e ricordare il silenzio. 
Erano le quattro della mattina e ogni tanto qualche macchina passava a tutta velocità,
come solo di notte ci si permette di fare. 
Guardò i lampioni in ordine, contò i passi che li separavano, esattamente cinque, non uno in più e non uno in meno.
La loro distanza era perfetta, come le loro forme e quella luce debole che illuminava la strada.
Si accarezzò il volto gelido, e sorrise di quella brezza notturna. 
Al suo fianco passò un uomo sulla sessantina, avvolto in un cappotto nero e con delle scarpe di cuoio ai piedi.
Egli gli sorrise con complicità, come solo i passeggiatori notturni osano fare tra loro.
Mentre di giorno ci si dimentica di chi ti passeggia affianco, di notte sono tutti consocenti e custodi di un grande segreto. 
Joseph pensò che quel passante fosse un uomo d'affari, che tornava tardi da una cena che era finita dopo
bicchieri alcolici e qualche risata in più.
Anche lui aveva pensato qualche volta di diventare un uomo d'affari, di sfioggiare quel bel cappotto e quel passo disinvolto che solo gli uomini che hanno fatto carriera hanno.
Invece era un disoccupato che armeggiava su una macchina da scrivere,
qualche racconto ogni tanto usciva da quella testa ornata da riccioli neri. 
I suoi amici, quei pochi rimasti, lo prendevano sempre in giro per quei capelli così folti e neri, dicevano che sembrava aver preso la scossa e quel naso acquilino terminava l'opera, donandogli un aspetto francese.
Joseph quella notte stava decidendo di vivere una nuova vita, la sentiva nascere dentro di se.
Quella notte e quel vento che gli soffiava contro, lo facevano sentire forte e in grado di fare qualsiasi cosa.
Continuava a camminare e non sentiva la stanchezza.
In lontananza vide due giovani abbracciati, pensò che fossero due adolescenti fuggiti da qualche discoteca per cercare un po' di intimità. Fece come sapeva fare, ci costruì una storia sopra.
Lui era un tipo romantico e l'aveva trascinata fuori dalla festa solo per averla tutta per lui.
Poi cancellò il pensiero, pensando di essersi immerso in ciò che non doveva immergersi e si vergognò passando accanto ai due amanti. Notò che non erano poi così giovani e rimase deluso costatando che la sua fantasia aveva fallito nel nascere. 
Si fermò su un muretto, si mise seduto e passò le mani tra i capelli.
Ora cominciava davvero a sentire la stanchezza, non sapeva come sarebbe tornato a casa, forse con un taxi, ma in tasca aveva pochi soldi. Allora il pullman, pensò.
Si accese una sigaretta e vide che il cielo cominciava a schiarirsi, lasciando posto ad un sole che saliva sempre di più.
Sentì la speranza crescergli dentro, un nuovo giorno, una nuova vita.
Si sentiva un uomo nuovo e pieno di gioia. Solo la natura gli stava affrondo un aiuto.
Pensò che l'essere umano è attaccato alla natura, come un bambino all'utero della madre, non può vivere senza
e lo rendeva triste il pensiero che la si stava distruggendo senza contegno,
senza neppure domandarsi che cos'era più importante. 
Scese dal muretto alle sette della mattina e s'incamminò verso una fermata qualsiasi, aspettando un autobus. 
Si appoggiò ad un palo e chiuse gli occhi, con ancora un sorriso dipinto sulle labbra. 
Sentì dei passi, dei tacchi, una donna...
Aprì gli occhi e avanti a lui apparve una ragazza minuta, dalla pelle chiara e degli occhi di ghiaccio.
Lei lo guardava sospettosa. Joseph si ostinava a stringere il palo e a tacere.
Forse lei pensava ad un ubriaco o solo ad un pazzo che abbracciava un palo. 
"Si sente bene?" gli chiese. "Benissimo" rispose Joseph sorridendo.
La ragazza si mise seduta sulla panchina e respirò a fondo, spiando lo schermo del cellulare. 
Joseph voleva raccontare a qualcuno ciò che aveva visto e decise che la sua ascoltatrice sarebbe stata quella sconosciuta. 
Lui era fatto così, si lasciava andare con chiunque.
"Sa che cosa ho visto?" lei gli prestò attenzione, sgranando quegli occhi chiari. 
Non aspettò nemmeno la risposta, che non sarebbe arrivata e continuò il suo racconto.
"Stamattina ho visto la gioia, ho visto la speranza... Era racchiusa nell'alba e nei suoi innumerevoli colori freddi.
Mi sono sentito rinato e ora sento di poter distruggere il mondo solo con queste mani.
Sento la forza scorrermi tra le vene e questo dopo aver visto quel sole così abbagliante, scaldarmi il viso"
Lei ascoltò rapita, pensò che quell'individuo doveva essere uno squilibrato, ma anche lei una volta vide il sole sorgere e provò tutte quelle sensazioni che si spensero con l'arrivo dei primi litigi con il suo compagno e con la sua vita da segretaria. "Quello che ha detto è davvero bello. Ma noi non ci conosciamo..." Joseph trasalì come se avesse detto che aveva appena perso l'autobus. "Mi scusi... Joseph" e le porse la mano. "Kate" "Kate, lei vede mai il sole sorgere?"
"Non darmi del lei, avremo la stessa età. Vidi il sole sorgere due anni fa, ne resta solo il ricordo"
Arrivò l'autobus e i due salirono.
Joseph si aggrappò ad un palo e per un attimo scorse la sua figura sul finestrino, un ragazzo alto e pallido gli sorrideva. "Kate, che cos'hai provato quando hai visto l'alba?" la ragazza si irrigidì, come se un coltello le si fosse conficcato su un fianco. Quell'estraneo continuava a parlarle con disinvoltura, senza curarsi del fatto che si erano appena conosciuti. Sembrava libero da ogni formalità e dalla chiusura mentale che ormai l'uomo aveva preso.  
"Mi sono sentita rinata e non volevo staccarmi da quel paesaggio meraviglioso, ma poi ho ceduto, sono ritornata alla mia vita" Il silenzio governò per alcuni secondi e Joseph scrutò il cielo ormai terso.
Kate si fissava le scarpe e dondolava con l'andare dell'autobus.
"Pensi che la gioia che si prova quando si vede l'alba, quando si sente il vento fresco della mattina, si possa conservare? Tenerlo dentro di noi, come conservato in un barattolo. Forse trattenendo il respiro ci riesco"
chiuse gli occhi e trattenne l'aria dentro.
"Che cosa fai!?" urlò Kate. "Stavo scherzando" sorrise Joseph, trattenendo una risata.
"Qual'è la tua destinazione?" le chiese "L'ufficio del mio capo, oggi devo anche fare degli straordinari"
Si stava lasciando andare a quell'estrano come se lo conoscesse da una vita. "Sei felice del tuo lavoro?"
"No, preferirei l'avorare per un politico. Il mio capo è un tiranno e penso che qualche giorno gli lancerò addosso qualcosa, in preda ai nervi" "Perchè non lo fai? Voglio dire, lanciargli qualcosa"
"Perché mi licenzierebbe! Sei un disoccupato!"  "Io? No!"
"Avanti, ammettilo! Solo i disoccupati possono sminuire il lavoro in questo modo"
"E' vero, sono disoccupato. Ma non puoi reprimere l'odio verso il tuo capo, ti verrà una nevrosi"
Stettero di nuovo in silenzio e questa volta Joseph le voltò le spalle.
Poi gli venne un'idea brillante. "Kate, molla il lavoro, molla tutto. Andiamo a prenderci un caffè" 
"Non posso, questa è la mia fermata"
Lui abbassò gli occhi, non l'avrebbe salvata dal grigiume della sua vita.
Si sarebbero persi eppure lui sentiva di avere molto in comune con quella sconosciuta, così tanto da prenderla per un braccio e scongiurarla. "Non scendere, vieni con me"
"Non posso" ù
L'autista si girò e urlò ai due giovani "Allora, ci decidiamo a scendere? Ho altre fermate!"
"Kate, vieni con me" "Va bene..." Che cosa l'avesse spinta a risalire sull'autobus non lo sapeva, forse quel sorriso rassicurante che era avanti a lei, oppure la voglia che aveva da tanto tempo di lasciare il suo lavoro. 
  
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