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Autore: Aelis    06/01/2013    1 recensioni
Questa storia è stata postata tantissimo tempo fa, e nasceva dalla precisa domanda di come fosse stato possibile che il crollo della Repubblica avvenisse nella più assoluta indifferenza generale…Senza che, per quasi un decennio, qualcuno (Jedi, Senatori e quant’altro) nutrisse il minimo sospetto sulla folgorante carriera del Cancelliere Palpatine…
E dei poteri sempre più assoluti che si erano via, via accentrati nelle sue mani.
Nel racconto introducevo un nuovo personaggio, una specie di scienziata, Jedi mancata, dal pessimo carattere che ritrovava per caso, proprio dopo pochi giorni dall’inizio della Guerra dei Cloni, il suo vecchio amico Obi-Wan a cui, durante una memorabile serata, sparava come un obice la sua incredibile ricostruzione dell’immane trappola in cui tutti quanti stavano cascando.
La prima versione terminava con una separazione tristissima dei due amici, ognuno per la sua strada, arrivederci e grazie.
In questa new edition, la serata ad un certo punto prende una piega decisamente imprevista….molto meno razionale…
Insomma, sul finale ci ho messo un po’ di pepe… E non aggiungo altro, se non il rating giallo.
Buona lettura.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Senza pace – romantic edition.
 

 
 
 
Nell’arco di quattro giorni una sorda rabbia aveva montato dentro di me, come un fiume in piena, per poi dissolversi in uno sconfortante senso di impotenza.
Vedevo chiaramente ciò che per gli altri non era che tenebra, distinguevo l’intero disegno dove nessuno riusciva a coglierne un singolo tratto, il buio era diventato luce. Una luce vivida e impietosa. Un fulgore mortale.
Sapevo che urlare, adesso, non sarebbe servito a nulla. Un grido in un deserto, e niente più.
Uscii per le strade del quartiere appena imbiancate da una delle rarissime ed effimere nevicate venefiche di Coruscant, camminai per ore senza una meta precisa. Tutto mi sembrava fugace, come quei gelidi cristalli di sostanze chimiche, scampate per una disfunzione temporanea dei depuratori d’aria e raggrumatesi negli alti strati dell’atmosfera, cui bastava solo il calore della mano per sciogliersi.
Mi sorpresi a riflettere cupamente sui fatti, ben più inquietanti rispetto alla bizzarra ma spiegabile neve chimica, che si erano susseguiti sulla Capitale Galattica con altrettanta evidenza e tra l’assoluta incomprensione generale. Mi si strinse il cuore.
 
Quando varcai, con passo incerto, la soglia del locale di Dexter, si era fatta sera, e non ero esattamente nel mondo dei vivi. Incespicai sulla soglia, l’ambiente era caldo e semivuoto, mi spolverai alcuni fiocchi superstiti sul giubbotto cercando, inutilmente, di controllare il lieve tremito della mano. Hermione mi salutò da dietro il bancone, e mi fece un cenno con la testa per indicarmi qualcuno in fondo alla stanza. Fu allora che lo vidi, si era alzato in piedi uscendo dallo stretto spazio tra il tavolo e la panca, sorrideva e allargò le braccia. Dexter, seduto davanti a lui, si era girato incrociando le quattro zampone per godersi la scena.
 Mi avvicinai e ci abbracciammo, sentii il tocco gentile e affettuoso delle sue mani sulla mia minuta ossatura da volatile. Ci scostammo per guardarci in faccia, il suo sorriso era stanco ma sembrava sereno. Fece una risatina e si chinò per bofonchiarmi qualcosa in un orecchio - “Cory dovresti mangiare di più, sei tutta pelle e ossa!”-
-         “A te, invece, sta venendo la pancia” – risposi caustica, mollandogli un manrovescio sul plesso solare - “saranno le belle bistecche al sangue che vi sbafate alla mensa del Tempio” - proseguii, ignorando la sua occhiata obliqua - “lo stesso liquido rosso con cui vi apprestate a lordare le vostre candide manine…” Considerai perfidamente, abbassando la voce ad un sussurro.
 
“Per lo stesso motivo per cui mi rifiuto di mangiare carne: mi ripugna l’idea di essere la causa della morte di qualcuno, foss’anche un animale!”- Risposi, con aria di sfida, al Maestro che aveva domandato il motivo della mia intenzione a non proseguire l’addestramento. Cercai di ergermi in tutta la mia minuscola statura, mentre un mormorio di disapprovazione serpeggiò nell’Alto Consiglio: mai nessun Iniziato aveva osato sfidarne l’autorità così sfrontatamente. Il Maestro sporse in avanti il capo per osservarmi meglio, lessi un moto di disgusto nei suoi occhi. -  “Stai dicendo che ci consideri dei macellai, Corydalis Koch?” -  Sibilò  gelido, inclinando un poco la testa e facendo evidentemente un grande sforzo per non perdere il controllo. Mi morsi a sangue un labbro, ma sostenni il suo sguardo. - “Io non oppongo giudizi morali. Quello che è giusto o sbagliato non sta a me stabilirlo; io affermo solo che, in ogni caso, non mi sento di farlo. Non avete chiesto la mia opinione quando mi avete portato al Tempio, anche perché avevo circa sei mesi. Be’, adesso so parlare, Maestro Windu,  e ve lo dico ora: non voglio diventare un Jedi!” -  Se non fossi stata più che certa che i Jedi rifuggono l’odio, quello che vidi, dipinto sul volto di quell’uomo, non mi avrebbe lasciato dubbi.
 
Il ricordo saettò via e mi resi conto che lui stringeva ancora le mie spalle, notai che s’irrigidì e la sua espressione si era fatta seria; aveva colto l’allusione.
 - “Non ti sopporto quando fai così…Il conflitto era inevitabile, sai bene che siamo guardiani della pace…” -  Protestò accigliato, ma debolmente e a bassa voce.
Scossi la testa. -  “Guardiani della pace! Suona strano detto da uno che è stato appena nominato Generale,  non ti pare, Obi-Wan?”- Lo rimbeccai, dardeggiandogli uno sguardo torvo.
- “E’ commovente assistere all’incontro fraterno di due cari vecchi amici!”- Interloquì il vecchio Dexter con una punta d’ironia, alzandosi per cedermi il posto. Sparì in cucina sogghignando.
Stirò le labbra in un faticoso sorriso. - “Non sei proprio cambiata in tutti questi anni, e ne sono passati parecchi…Vuoi farmi compagnia, o pensi che la mia presenza potrebbe turbare il tuo animo sensibile?”  - Propose conciliante.
Mi lasciai cadere con malagrazia sul divanetto, sbuffando.
- “Kenobi, in questi giorni ho sette demoni per capello, vedi di non seccarmi con i tuoi edificanti discorsi da Jedi perché proprio non è il caso…”
Prese posto davanti a me guardandomi perplesso.
Arrivò la sculettante Hermione per raccogliere le ordinazioni, io le chiesi il solito.
-         “Se continui solo a brucare quell’insalata anemica e scondita, prima o poi, ti trasformerai in una lumaca!”- Commentò la mia richiesta, ridacchiando, la cameriera.
-         “Fatti gli affari tuoi, Hermione!” – Ringhiai, rabbiosa.
-         “Il nostro matematico ha proprio la luna di traverso questa sera, eh?!” - Sghignazzò, facendo l’occhietto al Jedi.
-         “Sono un Fisico, non un matematico…Oh beh, per quello che importa…”- Le borbottai di rimando, portandomi una mano alla fronte e facendola ridere ancora più forte.
 
Quando la ragazza se ne andò, lui si sporse avvicinandosi attraverso il tavolo.
-         “Cory, c’è qualcosa che non va?” - Era quasi preoccupato, adesso.
-         “Oh mio caro, ce ne sono un sacco e una sporta di cose che non vanno! Vagonate di robe storte! Il fatto è, che non gliene frega un accidente a nessuno. E’ questo il problema principale, temo” – grugnii, levandomi i guanti che lanciai stizzosamente sulla panca. - “Come mai tutto solo? Il tuo padawan Anakim Qualchecosa, o come diavolo si chiama, lo hai lasciato al Tempio a prendere ripetizioni di spada?” – Divagai malignamente.
-         “Si chiama Anakin Skywalker, lo sai benissimo, e al momento è in missione a Naboo, su ordine del Consiglio…Forse ti è così antipatico perché in fondo, molto in fondo, ti rendi conto di assomigliargli, anche se non lo ammetteresti neanche sotto tortura ” – precisò, guardandomi da sotto in su, e offrendomi un mezzo sorriso canzonatorio.
 
Quando prendeva le parti del suo scapestrato allievo, suscitava in me contrastanti sentimenti, altalenanti tra ira (per quello che ritenevo un’ostinata volontà a chiudere gli occhi) e tenerezza (per l’assoluta sincerità dell’uomo in buona fede). Ma quella sera non mi sentivo molto caritatevole.
-         “Non dire fesserie, Ben!…Andiamo, io assomiglio al tuo Padawan quanto un angelo di Iego può essere scambiato per un Nexu di Cholganna. Non puoi nemmeno pensare di paragonare un’inveterata pacifista come me a quel pazzo attaccabrighe del tuo apprendista! ” – Il suo sguardo si rabbuiò, io proseguii imperterrita –“beh, comunque, con il bel conflitto galattico totale testé scoppiato,  i tipi come lui si fregheranno le zampine per la contentezza! C’è un sacco di gente  in giro che non vede l’ora di menar le mani, e senza mai chiedersi se sia giusto o sbagliato…Lui è solo uno di molti. Il fatto, poi, che sia un futuro Cavaliere rimane solo un trascurabile dettaglio” – sospirai scotendo la testa, e prima che potesse ribattere, continuai –“adesso evita di propinarmi un’arringa in difesa del tuo pupillo, so come la pensi, e non sono d’accordo. Lo abbiamo già stabilito una volta per tutte, mi pare.”
Si accarezzò con una mano la barba, pensoso.
-         “Mi dispiace che tu non abbia cambiato la cattiva opinione su di lui….E su di me. Credo che sia ingiusta anche se, a volte, avrei voluto essere un Maestro migliore per Anakin”-  ammise mestamente.
-         “Caro Ben, apprezzo il tuo zelante impegno come insegnante” -  mi sporsi attraverso il tavolo ponendogli una mano sull’avambraccio, e proseguii – “che poi, su al Consiglio, non ne abbiano azzeccata una negli ultimi dieci anni, è tutta un’altra faccenda! E non mi riferisco solo alla questione dell’addestramento fuori tempo massimo di Skywalker. Ci sono un bel po’ d’altre cosucce, ben più gravi e cruciali, su cui Yoda e Soci hanno preso, secondo me, delle gran cantonate” - conclusi, ritraendomi contro lo schienale e tentando di stemperare l’effetto del colpo basso con un sorrisetto che assomigliava un po’ troppo ad un ghigno.
In quel momento, comparve la bionda cameriera con il suo vassoio e ci servì rapidamente le vivande.
-         “Se tu avessi terminato il tuo addestramento Jedi, a quest’ora, magari avresti potuto far parte del Consiglio e manifestare liberamente il tuo dissenso” - mi stuzzicò, appena la ragazza si fu allontanata per raccogliere le ordinazioni ad un altro tavolo. - “Sono certo che la tua opinione sarebbe stata tenuta in gran conto” – concluse con un pizzico di, non so quanto involontario, sarcasmo.
-         “Ben, mi stai prendendo in giro?! No dico, sai bene quale sia la mia…Opinione sulla vostra…’Missione’ di Jedi, e sui mezzi che usate per compierla; è sempre la solita vecchia storia: percepire la Forza non è l’unica via per conoscere la realtà, esiste anche la logica. Ma su questo punto il Consiglio si è sempre ostinato a tapparsi occhi ed orecchi, e sicuramente io non avrei convinto nessuna di quelle mummie a cambiare idea…Ho fallito pure con te!” – Lui mi lanciò uno sguardo tra il dubbioso e il rassegnato. –“Non fare quella faccia, sai cosa voglio dire, son secoli che lo ripeto inutilmente: quando la Forza non vi aiuta, dovreste tentare altre strade. Guarda, che a certe conclusioni ci si può arrivare anche solo con un minimo di ragionamento. Usare il cervello non è mai disdicevole, neanche per un Jedi...”  Esitai, prima di continuare, protendendomi verso di lui,  ridussi la voce ad un feroce sussurro  - “questa guerra è una trappola, e voi siete così ciechi da non accorgervene!”  - Sparai in un solo fiato.
 Stava portando un boccone alla bocca e si fermò, rimanendo con la posata sollevata e guardandomi impietrito.
-         “ Ma di che diamine stai parlando?” - Mi chiese in un soffio.
Volsi attorno lo sguardo: il locale si era riempito, un gruppo di giovani Ithoriani si era appena seduto al tavolo davanti al nostro, e altre persone stavano entrando borbottando per il tempo inclemente. Gli feci un cenno con il capo come per dire “non qui”, lui capì e riprese a mangiare.

Osservai, pensierosa, quell’uomo con cui avevo condiviso, a gomito a gomito, parte dell’infanzia; stentavo a riconoscere in lui il bambino smanioso di conoscere le vie della Forza, che diveniva addirittura scalpitante all’arrivo di un Maestro senza Padawan, segretamente terrorizzato all’idea di non essere scelto per proseguire l’addestramento e quindi, al compimento del tredicesimo anno d’età, sbattuto su un remoto mondo agricolo a coltivar verdura per il resto della vita.
 A quei tempi mi faceva un po’ pena, però forse mi piaceva anche per quel suo ostinato e limpido attaccamento ad un sogno; io, sogni, non ne avevo avuti mai, la Forza era per me solo un torrente freddo da cui non traevo pace, ma solo inquietudine e il Tempio mi opprimeva come una prigione. Dalla più tenera età, mi ero posta inconfessabili domande se quello fosse l’unico destino possibile. A tutti avevo faticosamente nascosto, senza mai quasi sfiorarli a livello di pensieri consci, i dubbi che crescevano dentro di me come frutti avvelenati. Era giusto imporre una strada durissima ad un bimbo inconsapevole? Oppure, la percezione della Forza, che tutto regolava nella vita di un Iniziato, giustificava pienamente la scelta, da parte dell’Ordine, di troncare ogni legame con le sue radici? E poi, sarei riuscita veramente, in un momento critico, a non dare ascolto alla voce imperiosa della mia mente, bensì a fondermi ed affidarmi al volere di un’entità, la Forza, che sentivo intimamente, ad ogni giorno che passava, sempre più ostile? Ce l’avrei mai fatta, anche con giusta causa, ad uccidere?

Era possibile scegliere di non fare, di rinunciare, di tornare indietro, di andare altrove, non lì?

Ma ancora di più, mi bruciava la consapevolezza che nemmeno all’unica persona che consideravo amica in quel luogo, avrei mai potuto parlare apertamente di tutta quella valanga di riflessioni per non coinvolgerla in quello che, sempre più chiaramente, si delineava come un piano di fuga.  Ero quasi certa che, negli ultimi tempi, avesse intuito qualcosa, anche se per anni avevamo danzato sul filo del rasoio del detto e non detto, senza mai affrontare di petto ogni argomento che fosse appena al di sotto dell’ortodossia.
Quando, con gran scandalo, riuscii ad andarmene lui era ancora un allievo senza Maestro, io una ribelle che aveva rifiutato un cammino tracciato.
Scacciai con fatica dalla mia mente l’increscioso ricordo del nostro commiato: due ragazzini di quasi dodici anni, in un corridoio buio, alle prese con gli informi fantasmi del proprio futuro.
 Ci si era rivisti poi, nel corso degli anni, in molte occasioni, e si era istintivamente condotto il rapporto sul sicuro binario di una schietta amicizia non priva di reciproche bonarie frecciatine sulle nostre carriere, diametralmente opposte.
 
-         “Come procedono i tuoi studi, Cory? Si è parlato molto delle applicazioni pratiche delle tue teorie negli ultimi anni…Ormai sei una celebrità!” – Chiese, ad un certo punto, con apparente noncuranza,  mi riscossi bruscamente, sospirai volgendo gli occhi al soffitto.
-         “Che cosa penseresti se ti dicessi che non ho pubblicato più niente da…oh, da almeno cinque anni, e che ho distrutto ogni bozza dei miei lavori degli ultimi sette?”- Domandai a mia volta, con un’occhiata che lasciava intendere che sull’argomento avrei avuto molto da dire.
-         “Be’, penserei che stai meditando di cambiare mestiere…” – Suppose giudiziosamente, e poi aggiunse con aria ironica – “oppure, che stai cedendo definitivamente alle tue paranoie, a scelta.”
Ridacchiai senza gioia, grattandomi il mento.
-         “Ben, sinceramente, ti sentiresti la coscienza a posto se lasciassi incustodito un fulminatore carico in un asilo d’infanzia?”- Gli lanciai un altro sguardo eloquente – “visti i tempi bui a cui andiamo in contro, è esattamente questo il rischio che si correrebbe a far circolare certa roba….” – Borbottai, tetra.
-         “Cory, non puoi fermare il progresso, quello che non scoprirai tu, sarà inevitabilmente studiato e svelato da qualcun altro…Questo non dovrei dirtelo io, ti pare?”
-         “Esatto, assolutamente esatto!” – Esclamai, osservando il suo pacato sorriso – “però è anche vero che le domande giuste, che bisognerebbe porsi, sono: perché e quando” – la perplessità trasparse dai suoi occhi –  “a che pro concepire nuove teorie che, in questo preciso momento storico, verranno, quasi sicuramente, applicate per scopi deteriori?  Non credo che mi piacerebbe passare alla storia per aver partorito il principio generale con il quale si potrà creare l’arma definitiva.” – Rabbrividii  involontariamente all’idea –“mi fai notare, giustamente, che le ricerche saranno portate avanti da altri; be’, vedi, io gli ‘altri’ li conosco…Fidati, ci vorranno anni (a meno di un clamoroso colpo di fortuna) per arrivare dove sono giunta io. Spero sinceramente, per tutti noi, che questo tempo basti.” –
-         “Non  credi di essere un po’ presuntuosa nell’affermare ciò?” – Mi rimproverò bonariamente.
-         “Non è presunzione, bensì la constatazione di un fatto” – esitai un attimo –“… O, forse, solo una speranza” – conclusi semplicemente. Cincischiai il cibo immersa nei miei pensieri.
 
 
“E’ vero quello che si dice? E’ vero?”- I suoi occhi mi scrutarono come ad indagare la bizzarra anatomia di un animale deforme, cercò di dissimulare l’ansia sorridendo, ma di un sorriso stentato e pieno di imbarazzo.
“Sì, me ne vado. Non voglio diventare un Jedi” – confermai, osservando con estremo interesse le punte dei miei piedi.
“Cosa ne sarà di te se non seguirai le vie della Forza?”-  Chiese quasi con un lamento.
“Cercherò di non fare danni”  - fu tutto quello che riuscii a rispondere.
In piedi, l’uno di fronte all’altra, senza osare nemmeno sfiorarci, il tunnel semibuio, e un po’ tetro, del corridoio degli alloggi riservati agli Iniziati  pareva volesse pietosamente inghiottirci, assieme alle altre cose che non avevamo il coraggio di dire. Cose normali del tipo: mi mancherai, spero di rivederti, mi dispiace perderti.
Niente.
La consapevolezza di due granelli di polvere destinati a traiettorie uguali e contrarie; due di tanti in una nuvola di sabbia alzata dal vento.
 
Spostai di lato il piatto mezzo vuoto e feci cenno di andare, lui annuì.
Quasi litigammo con Dexter per pagare il conto, Kenobi si offrì di accompagnarmi a casa, si stupì quando gli dissi che ero arrivata a piedi. Uscimmo sotto una pioggerella sottile, la neve chimica era scomparsa, camminammo a lungo in silenzio per le strade semideserte del quartiere.
 
-         “Che cosa volevi dire, esattamente, quando prima da Dexter hai affermato che la guerra è una trappola?” – Mi chiese all’improvviso, con tono neutro, fermandosi nell’attesa di una risposta; io ero avanzata di un paio di passi, mi girai lentamente verso di lui. Eravamo nel bel mezzo di un marciapiede sbrecciato, le sagome cupe degli edifici male illuminati incombevano su di noi, un grido lontano echeggiò lugubre nella notte. Lo guardai scuotendo la testa. –“Sei proprio così sicuro di volere ascoltare le farneticazioni di una scienziata pazza?”
-          – “Non te lo avrei chiesto, altrimenti” – chiarì, serissimo.
-         -“OK Ben, seguimi nel ragionamento.”- Feci qualche passo, su e giù, mentre il mio vecchio amico assentiva attento e immobile. – “Metti il caso che ci sia un assassino, un omicida, un delinquente (chiamalo come ti pare), che voglia commettere un delitto; ora, se il nostro aspirante criminale vorrà mettere in pratica il suo insano gesto, dovrà necessariamente sottostare a tre condizioni” – alzai un dito dopo l’altro, elencandole seccamente – “un movente, l’opportunità materiale…E l’arma.” -  Lo guardai e vidi tutta la sua perplessità condensarsi nella domanda che, inevitabilmente, mi pose: -“Scusa, ma questo cosa c’entra con la guerra? Perdonami, ma non vedo il nesso.”
Sospirai sconsolata. –“Già, non lo vedi, e purtroppo non sei il solo!”- Mormorai.
-         “Allora prova a spiegarmelo” – insistette lui, con dolcezza.
-         “Bene, molto bene,  stavamo parlando di un delitto” – continuai, cercando di non perdere la pazienza –“tu come definiresti la morte della democrazia? Delitto? Vogliamo chiamarlo così?” – Alzai gli occhi e osservai, per un attimo, il flusso incessante dei veicoli nel cielo – “basta mettersi d’accordo sul significato delle parole. Se ammettiamo che sia un delitto, allora c’è anche un assassino con un movente, l’opportunità materiale e, naturalmente, l’arma” – senza volerlo mi stavo accalorando, la frustrazione che avevo covato in quei giorni stava crescendo in me.
-         “Secondo te sarebbe la democrazia ad essere in pericolo? Sarebbe lei la vittima del tuo ipotetico assassino? Questo stai cercando di dirmi?”- Domandò Kenobi perplesso.
-         “Ben, apri gli occhi! Della Costituzione si sta facendo carta straccia, si è già cominciato anni fa a calpestarla e vedrai che, a furia d’emendamenti, presto ne resterà solo un guscio vuoto. Anche il Senato sarà impotente davanti ad una tale valanga. Onestamente, non ti chiedi chi ci guadagnerà di più da un simile sfacelo?” - Ruggii, stizzita, afferrandogli con entrambe le mani la toga sul petto, lui cercò di contenere la mia furia trattenendomi per i gomiti.  - “Sono molti i possibili ‘assassini’ ma, da quello che sento, penso che tu un’idea te la sia già fatta”- ribatté in un sussurro, stringendomi più forte le braccia. Mi divincolai dalla sua stretta indietreggiando, sentii un sudore gelido velarmi la fronte, stavo tremando.
-         “Ti do un ulteriore indizio, Ben: chi?!…Chi ha avuto l’opportunità di accentrare nelle proprie mani sempre più potere, un potere inaudito senza precedenti, nell’ultimo decennio?”- avvertii i muscoli del mio viso ritorcersi in una smorfia involontaria.

Lui sospirò, si avvicinò incrociando le braccia sul petto e mi guardò aggrottato – “E l’arma? Dovrebbe essere anch’essa indispensabile per il… ‘Delitto’…Non vorrei sentirti affermare che noi Jedi siamo quell’arma!”
-         “Ben! Ben! Ma non capisci che si tratta soltanto di un banale gioco di specchi! Poni un solido tra due superfici riflettenti e vedrai cosa succede. Repubblicani e Separatisti” – alzai le mani davanti a me –“sono immagini dello stesso oggetto” – le unii serrandole con forza in un unico pugno, presi fiato ed alzai progressivamente la voce fino ad arrivare quasi ad un urlo –“un gioco di prestigio, prodotto ad arte, solo per rendere plausibile la formazione di un ESERCITO…UN ESERCITO APPARSO DAL NULLA IN UN SOLO GIORNO!” - Sentii una lacrima bruciarmi la guancia, poi un’altra e una ancora, non potei fare nulla per trattenerle. - “La…La creazione dell’esercito di Cloni è l’arma “- balbettai, un lampo squarciò il buio seguito da un tuono che rimbombò cupo – “voi…V-voi siete…Solo uno dei bersagli. E’ così…Chiaro!” - Ormai singhiozzavo senza ritegno. Le ultime parole pesavano come pietre, lui troppo scosso e imbarazzato per confortarmi; mi trascinò via, mentre dal cielo incominciavano a cadere grosse gocce di pioggia.
 
Salimmo su aereo-taxi che, in pochi minuti, ci depositò davanti al portone sempre aperto del vecchio e scrostato palazzo in cui abitavo, diluviava. Sgocciolando, entrammo nell’androne, lo invitai a salire per asciugarsi, lui mi porse il suo diniego con cortesia. 
-   “Allora ci salutiamo qui…” mormorai, allargando le braccia attendendo il suo fraterno abbraccio che non tardò ad avvolgermi con un trasporto che non avevo mai conosciuto; mi stava stringendo a sé in una stretta troppo simile al suggello di un addio.
-         “So che non hai creduto a nulla di quello che ti ho detto questa sera” – proferii con un filo di voce, il suo volto si fece terreo, tentò una protesta ma non gli lasciai il tempo di aprir bocca –“ciò nonostante, cerca di non dimenticare le mie parole, e soprattutto… Vedi di non farti ammazzare in questa follia” – gli raccomandai mentre grosse lacrime mi rigavano le gote e non potevo fare nulla per trattenerle, scaturivano incessanti come se sgorgassero direttamente da una polla posta dentro al cuore.
-         “Tu cosa farai?” – Mormorò con un lieve tremito della voce, temendo la mia risposta.
-         “La cosa più logica” – abbassai lo sguardo per non incrociare il suo. –“Sparire.”
-         “Non vorrai suicidarti, spero?!…”- trasalì, allarmato.
-         “No, no, non lo farei mai, troverò un modo, sai che se voglio veramente qualcosa…Scomparirò, ti prego non chiedermi altro” – balbettai singhiozzando.
 
Detto questo,  mi aggrappai a lui come se fosse l’ultimo baluardo  fra me e l’abisso.
 
Il corridoio buio del Tempio, due bambini pervasi da un imbarazzo tanto forte da tramutarli in fantocci, burattini di carta pesta sulla soglia di una stanza vuota e sulla porta di tenebra del futuro, l’addio ad un’infanzia mai esistita veramente,  l’incapacità di esprime l’affetto né con gesti, né parole  … Tutto era ancora lì, ora, adesso…
 
Per un breve istante cercò di resistere alla potente onda emotiva che lo stava investendo con la forza di un ciclone, sentii il suo corpo irrigidirsi alla mia stretta, poi cedette. 
Due dita sollevarono il mio mento e un delicato movimento del pollice percorse il tratto umido di una lacrima che, nella sua traiettoria curvilinea,  mi aveva raggiunto le labbra, e lì si fermò.
I miei occhi, dall’incerto color ambra, fissarono le sue iridi indaco per un attimo che sembrò  eterno, poi qualcuno fece la prima mossa. Fu confuso e strano: ci stavamo baciando nell’androne scalcinato del mio palazzo, dapprima timidamente, con gesti un po’ goffi, e poi sempre più con trascinante trasporto.
Mi accorsi che stavo ancora piangendo, e sentii una percezione raggiungere la coscienza dal profondo della mia anima con chiarezza assoluta: il mondo intorno a noi letteralmente crollava a pezzi. Tutto si era capovolto.
 
 In quel momento un ardore irrefrenabile, scatenato da una passione imprevista e ad entrambi del tutto ignota, ci indusse a cingerci con maggior foga in una stretta torrida; quasi barcollando, indietreggiammo inconsapevolmente sino alla torre dell’elevatore finché sentii il peso del suo corpo premermi sempre più contro la porta serrata dell’ascensore, fu allora che l’entità del gesto lo trattenne. Avvertii tutta la sua incertezza.
-         “Sai ciò che sono…”- Ansimò – “lo sai, Cory”…- Mormorò, ancora, in tono di scusa, abbassando lo sguardo e allentando l’abbraccio  senza, tuttavia, abbandonarlo  – “io sono…”
-         “…Un Jedi! Sì, lo so da quando ci conosciamo, cioè da sempre, Ben! “– Sbuffai, stizzita, con il volto ancora rigato  di lacrime e un ghigno sarcastico che mi arricciava le labbra – “adesso, per favore, non pigliarti l’alibi, o il gusto, di guastarci la festa con il pretesto dello stramaledetto Codice: che diavolo di attaccamento ci può essere tra due persone perfettamente coscienti del fatto che non si vedranno più? Questo è un party d’addio, accidenti!… E lo sai benissimo anche tu!” – sottolineai il concetto pestando con rabbia un piede sul pavimento sbrecciato.

Gli strappai un sorriso malinconico, ma inequivocabile: era tutto esatto, impossibile negarlo, il ragionamento era ineccepibile…Ora dipendeva da lui, solo dal lui…
 
-         “Sei sicura…Di volerlo?” – mi domandò con un’espressione cupa, fissandomi dritto negli occhi.
 
Non mi presi nemmeno il disturbo di rispondergli e, senza voltarmi, schiacciai il pulsante dell’ascensore, afferrandogli con una sola mano la toga sul petto lo trascinai all’indietro, con tutta la forza che potei esercitare data la mia modesta massa, mentre le porte si aprirono con un sussurro; praticamente, rotolammo dentro al cubicolo avvinghiati, senza smettere di baciarci.
 
Non ebbi, neanche in seguito, un’idea precisa del modo in cui riuscii ad aprire la porta del mio appartamento, ma è certo che i nostri abiti caddero come petali appassiti prima di arrivare alla camera da letto. Ci furono amarezza e dolcezza, indicibile piacere, speranza e cupo dolore nella danza perfetta e sublime dei nostri corpi, e aleggiante come uno spettro su noi l’implacabile consapevolezza che non sarebbe bastata una notte per soddisfare il nostro desiderio.
L’ultimo, forse.
Non parlammo molto in quella manciata di ore, però, con una sorta d’amara malizia, considerammo che la nostra personalissima trasgressione costituiva, probabilmente, l’unico autentico inno alla vita davanti all’incombere dell’oscurità che ormai avvolgeva ogni cosa. In tutti quegli anni non avevamo mai raggiunto una simile vicinanza, un’intimità emotiva così profonda, nessuno dei due, ritengo, tentò di costringerla in un’etichetta, nessuno osò pensare che quello fosse amore. Sarebbe stato davvero troppo.
 
La luce dell’alba sfiorò i nostri corpi abbracciati come il riverbero di un fuoco infernale. La notte finì, ma ero assolutamente certa che anche lui, come me in quel momento, avrebbe desiderato con tutto il cuore che le tenebre ci avvolgessero in eterno.
Inesorabile, il  nuovo giorno portò il distacco.
 Lo vidi rivestirsi svogliatamente mentre indugiavo nella vicina stanza da bagno, una plumbea cappa di tristezza avvolgeva tutto il mio essere e, tramite canali che credevo recisi per sempre, avvertii in lui gli stessi sentimenti.
 
Ci abbracciammo per l’ultima volta sulla soglia dell’appartamento, mi baciò e accarezzò con una dolcezza di cui, fino al giorno prima, lo ritenevo incapace  .
-         “Non dimenticherò mai questa notte, Cory. Mai…Io, io…Non…”
Gli posi delicatamente quattro dita sulle labbra prima che pronunciasse qualcosa di veramente inopportuno…Qualcosa che spezzasse l’incantesimo di quell’intermezzo tra noi e l’orrore.
-         “Che la Forza sia con te!” – mormorai con un sorriso beffardo.
Mi ricambiò con uno sguardo triste e assieme luminoso.
-         “E con te, Cory!” – soggiunse chinandosi per baciarmi in mezzo agli occhi.
 
Sparì nel vano dell’ascensore con un ultimo sorriso e un cenno della mano.
 
Lo guardai dalla finestra del soggiorno allontanarsi a piedi, nella luce rosea  che aveva tinto il cielo ad oriente, fino a quando divenne una macchiolina indistinta in fondo alla strada. Appoggiai la tempia allo stipite, e rimasi a fissare il punto dove era scomparso per un bel pezzo.
 
Sentii il mio cuore fermarsi per un attimo, assieme alla mia vita.
 




 

SPIEGAZIONE (SEMISERIA) DELLE MOTIVAZIONI RECONDITE AL FINALE ROMANTICO
 

 
 

Una mia amica, dopo la lettura del primo racconto (quello con il finale tristissimo pubblicato un secolo fa, per intenderci), mi confidò che aveva quasi sperato che i protagonisti finissero la serata in maniera diversa…Tra i due aveva percepito delle tensioni emotive sospese, e giustamente aveva immaginato che avrebbero potuto “conoscersi meglio” se Obi-Wan avesse accettato di fare una capatina nell’appartamento di Cory.
Devo dire che l’idea mi aveva tentato. Poi ho desistito per rispetto al carattere dei personaggi…
Dopo tanto, tanto tempo ci ho ripensato, e ho deciso di prendermi il gusto di vedere come sarebbe finita fra quei due repressoni  se la situazione di quella sera avesse preso un’inclinazione solo leggermente diversa.
 
In effetti, quando era ragazzina, a Cory, Obi-Wan, piaceva assai, anche se non si era mai concessa di sbavargli troppo dietro perché, pragmatica com’era, aveva ben altre priorità all’epoca…
 
PRIORITA’ DI CORY:
 
A)    Capire cosa voleva fare da “grande”.
B)    Annunciare pubblicamente la sua rinuncia di addestramento, possibilmente senza farsi defenestrare dalla torre Consigliare.
C)    Pianificare, e poi attuare, i punti A e B senza farsi scoprire fino a che non fosse giunto il momento opportuno (impresa non facile, vista la riprovevole abitudine dei Maestri di frugare nella mente degli Iniziati alla ricerca di ansie e debolezze)
D)    Sopravvivere, nel frattempo, alle lezioni di spada.
 
Inoltre, c’era anche un nutrito elenco di fattori negativi che scoraggiavano ulteriormente Cory dal coltivare il suo interesse per Kenobi…
 
ELENCO DEI FATTORI NEGATIVI DI KENOBI:
 
A)    Lui voleva, a tutti i costi, diventare un Jedi (e questo, per lei, era sicuro indice di scarso acume).
B)    Era troppo belloccio per rientrare nel suo target (il Tempio pullulava di bambine graziose e gentili, umane e non; lei era scontrosa, lunatica e sembrava un topo tisico).
C)    Era cosa nota, e risaputa, che lui trepidasse per quella tale Siri Tachi (e questo confermava, tristemente, il corollario al punto A).
D)    Lei sapeva che non avrebbe avuta nessuna chance con uno che pareva prenderla in considerazione solo quando doveva chiederle di aiutarlo con gli esercizi di matematica (difficile cadere folgorati davanti ad una che ti guarda come se fossi un rospo mentre ti spiega, per la quarta volta di fila, le proprietà delle potenze).
 
In considerazione di Priorità e Difetti, Cory aveva concluso che non valeva la pena di sprecare tempo ed energie con Obi-Wan. Fine della storia.
L’unica confidenza che in gioventù si era concessa con l’inarrivabile Kenobi, fu quella di affibbiargli un nomignolo con il quale solo lei si permetteva di chiamarlo: Ben, appunto (lui cercò di dissuaderla, ma lei sostenne con veemenza la teoria che  il nome ‘Obi-Wan Kenobi’ era cacofonico al limite dello scioglilingua e che Ben fosse più ragionevolmente umano, raggiunsero il compromesso di non diffonderlo e di non usarlo in pubblico, sappiamo che lui lo riutilizzò in seguito).
 

 

Fin qua tutto come prima…Ma poi…

 
Ritrovarlo, poi, quella tragica sera, le aveva fatto provare una gran nostalgia e tenerezza, inoltre erano entrambi consapevoli che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro.
Il clima creatosi fra i due, dovuto sicuramente anche al tenore dei discorsi serissimi e decisamente catastrofici sul destino della Galassia, li aveva, loro malgrado, trascinati sulla pericolosissima china emotiva della “festa d’addio sull’orlo del baratro”…
D’altro canto, Cory era perfettamente cosciente del fatto che, se davvero intendeva terminare la serata senza precipitare nella malinconica solitudine di pantofole e divano, avrebbe dovuto calcare un po’ la mano con quella gatta di marmo di Kenobi, ma era quasi altrettanto sicura che, sotto sotto, anche lui non aspettava altro…almeno per quella notte.
Non è raro che due vecchi amici, in un momento di profondo sconforto, finiscano a letto.
 
Be’, succede anche tra Jedi e Fisici, a quanto pare.
 
 
I SENTIMENTI DI KENOBI
 
D’altro canto, Obi-Wan aveva sempre nutrito per Cory dei sentimenti piuttosto ambivalenti dovuti principalmente alla personalità complessa del soggetto. Erano coetanei e  compagni nello stesso clan e, nonostante Cory fosse un tipo piuttosto silenzioso  e riservato, aveva imparato a conoscerla. Se da una parte ne ammirava la creatività e il superiore intelletto, dall’altra gli risultava inconcepibilmente scandaloso il suo atteggiamento ribelle e ipercritico nei confronti dell’Ordine Jedi (anche se lei era abbastanza furba da non palesarlo apertamente), che per lui rappresentava il faro della vita.
Non che i due parlassero molto, ma quando studiavano assieme (anzi era sempre lei che spiegava le cose a lui sfuggite) qualche idea se l’erano scambiata, e Obi-Wan aveva intuito che, sotto la scorza dura e acida di Cory, c’era molta polpa tenera.
Alla fine le si era affezionato come ad una sorella o ad un vecchio cane. Insomma, non aveva mai provato per Cory ciò che sentiva per Siri, anzi non gli era mai neanche passato per la mente di considerarla sotto un simile aspetto.
Rivederla quella sera, così turbata, lo aveva scosso, ma lo aveva anche intenerito.
Improvvisamente si era reso conto di quanta passione si nascondesse nell’ostentata durezza di Cory, di quanto in lei si rispecchiassero anche molti aspetti del suo carattere e di quanto, in tutti quegli anni avesse condizionato alcune sue scelte.
E, poi… Quell’onda di puro desiderio che lo aveva colpito a tradimento allo stomaco… Avrebbe ceduto ugualmente, anche senza l’immancabile logica giustificazione di lei, declamata quasi sotto forma di rampogna : “sveglia ragazzo, questo è l’ultimo treno! Salire a bordo, prego.”
 
Ricapitolando, quella sera si sommarono gli effetti delle reciproche aspettative dei due protagonisti…
 
 
OWK: - Ok, sarà pure una po’ strana, e sulle questioni socio-politiche ha delle idee davvero bizzarre, ma se è brava a far certe cose quanto a risolver problemi di meccanica quantistica, domani mi presenterò al Consiglio trascinandomi sulle ginocchia…
 
CK: - Il ragazzo non è un prodigio di acume, io non l’ho mai attizzato tanto, e se stasera non la capisce giuro che mi faccio monaca…Ma se è bravo a far certe cose quanto a maneggiare la spada laser, domani mi presenterò in Facoltà trascinandomi sulle ginocchia…
 
Buonanotte!
 




 

 
Senza pace – romantic edition.
 
 
 
 
Nell’arco di quattro giorni una sorda rabbia aveva montato dentro di me, come un fiume in piena, per poi dissolversi in uno sconfortante senso di impotenza.
Vedevo chiaramente ciò che per gli altri non era che tenebra, distinguevo l’intero disegno dove nessuno riusciva a coglierne un singolo tratto, il buio era diventato luce. Una luce vivida e impietosa. Un fulgore mortale.
Sapevo che urlare, adesso, non sarebbe servito a nulla. Un grido in un deserto, e niente più.
Uscii per le strade del quartiere appena imbiancate da una delle rarissime ed effimere nevicate venefiche di Coruscant, camminai per ore senza una meta precisa. Tutto mi sembrava fugace, come quei gelidi cristalli di sostanze chimiche, scampate per una disfunzione temporanea dei depuratori d’aria e raggrumatesi negli alti strati dell’atmosfera, cui bastava solo il calore della mano per sciogliersi.
Mi sorpresi a riflettere cupamente sui fatti, ben più inquietanti rispetto alla bizzarra ma spiegabile neve chimica, che si erano susseguiti sulla Capitale Galattica con altrettanta evidenza e tra l’assoluta incomprensione generale. Mi si strinse il cuore.
 
Quando varcai, con passo incerto, la soglia del locale di Dexter, si era fatta sera, e non ero esattamente nel mondo dei vivi. Incespicai sulla soglia, l’ambiente era caldo e semivuoto, mi spolverai alcuni fiocchi superstiti sul giubbotto cercando, inutilmente, di controllare il lieve tremito della mano. Hermione mi salutò da dietro il bancone, e mi fece un cenno con la testa per indicarmi qualcuno in fondo alla stanza. Fu allora che lo vidi, si era alzato in piedi uscendo dallo stretto spazio tra il tavolo e la panca, sorrideva e allargò le braccia. Dexter, seduto davanti a lui, si era girato incrociando le quattro zampone per godersi la scena.
 Mi avvicinai e ci abbracciammo, sentii il tocco gentile e affettuoso delle sue mani sulla mia minuta ossatura da volatile. Ci scostammo per guardarci in faccia, il suo sorriso era stanco ma sembrava sereno. Fece una risatina e si chinò per bofonchiarmi qualcosa in un orecchio - “Cory dovresti mangiare di più, sei tutta pelle e ossa!”-
-         “A te, invece, sta venendo la pancia” – risposi caustica, mollandogli un manrovescio sul plesso solare - “saranno le belle bistecche al sangue che vi sbafate alla mensa del Tempio” - proseguii, ignorando la sua occhiata obliqua - “lo stesso liquido rosso con cui vi apprestate a lordare le vostre candide manine…” Considerai perfidamente, abbassando la voce ad un sussurro.
 
“Per lo stesso motivo per cui mi rifiuto di mangiare carne: mi ripugna l’idea di essere la causa della morte di qualcuno, foss’anche un animale!”- Risposi, con aria di sfida, al Maestro che aveva domandato il motivo della mia intenzione a non proseguire l’addestramento. Cercai di ergermi in tutta la mia minuscola statura, mentre un mormorio di disapprovazione serpeggiò nell’Alto Consiglio: mai nessun Iniziato aveva osato sfidarne l’autorità così sfrontatamente. Il Maestro sporse in avanti il capo per osservarmi meglio, lessi un moto di disgusto nei suoi occhi. -  “Stai dicendo che ci consideri dei macellai, Corydalis Koch?” -  Sibilò  gelido, inclinando un poco la testa e facendo evidentemente un grande sforzo per non perdere il controllo. Mi morsi a sangue un labbro, ma sostenni il suo sguardo. - “Io non oppongo giudizi morali. Quello che è giusto o sbagliato non sta a me stabilirlo; io affermo solo che, in ogni caso, non mi sento di farlo. Non avete chiesto la mia opinione quando mi avete portato al Tempio, anche perché avevo circa sei mesi. Be’, adesso so parlare, Maestro Windu,  e ve lo dico ora: non voglio diventare un Jedi!” -  Se non fossi stata più che certa che i Jedi rifuggono l’odio, quello che vidi, dipinto sul volto di quell’uomo, non mi avrebbe lasciato dubbi.
 
Il ricordo saettò via e mi resi conto che lui stringeva ancora le mie spalle, notai che s’irrigidì e la sua espressione si era fatta seria; aveva colto l’allusione.
 - “Non ti sopporto quando fai così…Il conflitto era inevitabile, sai bene che siamo guardiani della pace…” -  Protestò accigliato, ma debolmente e a bassa voce.
Scossi la testa. -  “Guardiani della pace! Suona strano detto da uno che è stato appena nominato Generale,  non ti pare, Obi-Wan?”- Lo rimbeccai, dardeggiandogli uno sguardo torvo.
- “E’ commovente assistere all’incontro fraterno di due cari vecchi amici!”- Interloquì il vecchio Dexter con una punta d’ironia, alzandosi per cedermi il posto. Sparì in cucina sogghignando.
Stirò le labbra in un faticoso sorriso. - “Non sei proprio cambiata in tutti questi anni, e ne sono passati parecchi…Vuoi farmi compagnia, o pensi che la mia presenza potrebbe turbare il tuo animo sensibile?”  - Propose conciliante.
Mi lasciai cadere con malagrazia sul divanetto, sbuffando.
- “Kenobi, in questi giorni ho sette demoni per capello, vedi di non seccarmi con i tuoi edificanti discorsi da Jedi perché proprio non è il caso…”
Prese posto davanti a me guardandomi perplesso.
Arrivò la sculettante Hermione per raccogliere le ordinazioni, io le chiesi il solito.
-         “Se continui solo a brucare quell’insalata anemica e scondita, prima o poi, ti trasformerai in una lumaca!”- Commentò la mia richiesta, ridacchiando, la cameriera.
-         “Fatti gli affari tuoi, Hermione!” – Ringhiai, rabbiosa.
-         “Il nostro matematico ha proprio la luna di traverso questa sera, eh?!” - Sghignazzò, facendo l’occhietto al Jedi.
-         “Sono un Fisico, non un matematico…Oh beh, per quello che importa…”- Le borbottai di rimando, portandomi una mano alla fronte e facendola ridere ancora più forte.
 
Quando la ragazza se ne andò, lui si sporse avvicinandosi attraverso il tavolo.
-         “Cory, c’è qualcosa che non va?” - Era quasi preoccupato, adesso.
-         “Oh mio caro, ce ne sono un sacco e una sporta di cose che non vanno! Vagonate di robe storte! Il fatto è, che non gliene frega un accidente a nessuno. E’ questo il problema principale, temo” – grugnii, levandomi i guanti che lanciai stizzosamente sulla panca. - “Come mai tutto solo? Il tuo padawan Anakim Qualchecosa, o come diavolo si chiama, lo hai lasciato al Tempio a prendere ripetizioni di spada?” – Divagai malignamente.
-         “Si chiama Anakin Skywalker, lo sai benissimo, e al momento è in missione a Naboo, su ordine del Consiglio…Forse ti è così antipatico perché in fondo, molto in fondo, ti rendi conto di assomigliargli, anche se non lo ammetteresti neanche sotto tortura ” – precisò, guardandomi da sotto in su, e offrendomi un mezzo sorriso canzonatorio.
 
Quando prendeva le parti del suo scapestrato allievo, suscitava in me contrastanti sentimenti, altalenanti tra ira (per quello che ritenevo un’ostinata volontà a chiudere gli occhi) e tenerezza (per l’assoluta sincerità dell’uomo in buona fede). Ma quella sera non mi sentivo molto caritatevole.
-         “Non dire fesserie, Ben!…Andiamo, io assomiglio al tuo Padawan quanto un angelo di Iego può essere scambiato per un Nexu di Cholganna. Non puoi nemmeno pensare di paragonare un’inveterata pacifista come me a quel pazzo attaccabrighe del tuo apprendista! ” – Il suo sguardo si rabbuiò, io proseguii imperterrita –“beh, comunque, con il bel conflitto galattico totale testé scoppiato,  i tipi come lui si fregheranno le zampine per la contentezza! C’è un sacco di gente  in giro che non vede l’ora di menar le mani, e senza mai chiedersi se sia giusto o sbagliato…Lui è solo uno di molti. Il fatto, poi, che sia un futuro Cavaliere rimane solo un trascurabile dettaglio” – sospirai scotendo la testa, e prima che potesse ribattere, continuai –“adesso evita di propinarmi un’arringa in difesa del tuo pupillo, so come la pensi, e non sono d’accordo. Lo abbiamo già stabilito una volta per tutte, mi pare.”
Si accarezzò con una mano la barba, pensoso.
-         “Mi dispiace che tu non abbia cambiato la cattiva opinione su di lui….E su di me. Credo che sia ingiusta anche se, a volte, avrei voluto essere un Maestro migliore per Anakin”-  ammise mestamente.
-         “Caro Ben, apprezzo il tuo zelante impegno come insegnante” -  mi sporsi attraverso il tavolo ponendogli una mano sull’avambraccio, e proseguii – “che poi, su al Consiglio, non ne abbiano azzeccata una negli ultimi dieci anni, è tutta un’altra faccenda! E non mi riferisco solo alla questione dell’addestramento fuori tempo massimo di Skywalker. Ci sono un bel po’ d’altre cosucce, ben più gravi e cruciali, su cui Yoda e Soci hanno preso, secondo me, delle gran cantonate” - conclusi, ritraendomi contro lo schienale e tentando di stemperare l’effetto del colpo basso con un sorrisetto che assomigliava un po’ troppo ad un ghigno.
In quel momento, comparve la bionda cameriera con il suo vassoio e ci servì rapidamente le vivande.
-         “Se tu avessi terminato il tuo addestramento Jedi, a quest’ora, magari avresti potuto far parte del Consiglio e manifestare liberamente il tuo dissenso” - mi stuzzicò, appena la ragazza si fu allontanata per raccogliere le ordinazioni ad un altro tavolo. - “Sono certo che la tua opinione sarebbe stata tenuta in gran conto” – concluse con un pizzico di, non so quanto involontario, sarcasmo.
-         “Ben, mi stai prendendo in giro?! No dico, sai bene quale sia la mia…Opinione sulla vostra…’Missione’ di Jedi, e sui mezzi che usate per compierla; è sempre la solita vecchia storia: percepire la Forza non è l’unica via per conoscere la realtà, esiste anche la logica. Ma su questo punto il Consiglio si è sempre ostinato a tapparsi occhi ed orecchi, e sicuramente io non avrei convinto nessuna di quelle mummie a cambiare idea…Ho fallito pure con te!” – Lui mi lanciò uno sguardo tra il dubbioso e il rassegnato. –“Non fare quella faccia, sai cosa voglio dire, son secoli che lo ripeto inutilmente: quando la Forza non vi aiuta, dovreste tentare altre strade. Guarda, che a certe conclusioni ci si può arrivare anche solo con un minimo di ragionamento. Usare il cervello non è mai disdicevole, neanche per un Jedi...”  Esitai, prima di continuare, protendendomi verso di lui,  ridussi la voce ad un feroce sussurro  - “questa guerra è una trappola, e voi siete così ciechi da non accorgervene!”  - Sparai in un solo fiato.
 Stava portando un boccone alla bocca e si fermò, rimanendo con la posata sollevata e guardandomi impietrito.
-         “ Ma di che diamine stai parlando?” - Mi chiese in un soffio.
Volsi attorno lo sguardo: il locale si era riempito, un gruppo di giovani Ithoriani si era appena seduto al tavolo davanti al nostro, e altre persone stavano entrando borbottando per il tempo inclemente. Gli feci un cenno con il capo come per dire “non qui”, lui capì e riprese a mangiare.
Osservai, pensierosa, quell’uomo con cui avevo condiviso, a gomito a gomito, parte dell’infanzia; stentavo a riconoscere in lui il bambino smanioso di conoscere le vie della Forza, che diveniva addirittura scalpitante all’arrivo di un Maestro senza Padawan, segretamente terrorizzato all’idea di non essere scelto per proseguire l’addestramento e quindi, al compimento del tredicesimo anno d’età, sbattuto su un remoto mondo agricolo a coltivar verdura per il resto della vita. A quei tempi mi faceva un po’ pena, però forse mi piaceva anche per quel suo ostinato e limpido attaccamento ad un sogno; io, sogni, non ne avevo avuti mai, la Forza era per me solo un torrente freddo da cui non traevo pace, ma solo inquietudine e il Tempio mi opprimeva come una prigione. Dalla più tenera età, mi ero posta inconfessabili domande se quello fosse l’unico destino possibile. A tutti avevo faticosamente nascosto, senza mai quasi sfiorarli a livello di pensieri consci, i dubbi che crescevano dentro di me come frutti avvelenati. Era giusto imporre una strada durissima ad un bimbo inconsapevole? Oppure, la percezione della Forza, che tutto regolava nella vita di un Iniziato, giustificava pienamente la scelta, da parte dell’Ordine, di troncare ogni legame con le sue radici? E poi, sarei riuscita veramente, in un momento critico, a non dare ascolto alla voce imperiosa della mia mente, bensì a fondermi ed affidarmi al volere di un’entità, la Forza, che sentivo intimamente, ad ogni giorno che passava, sempre più ostile? Ce l’avrei mai fatta, anche con giusta causa, ad uccidere?
Era possibile scegliere di non fare, di rinunciare, di tornare indietro, di andare altrove, non lì?
Ma ancora di più, mi bruciava la consapevolezza che nemmeno all’unica persona che consideravo amica in quel luogo, non avrei mai potuto parlare apertamente di tutta quella valanga di riflessioni per non coinvolgerla in quello che, sempre più chiaramente, si delineava come un piano di fuga.  Ero quasi certa che, negli ultimi tempi, avesse intuito qualcosa, anche se per anni avevamo danzato sul filo del rasoio del detto e non detto, senza mai affrontare di petto ogni argomento che fosse appena al di sotto dell’ortodossia.
Quando, con gran scandalo, riuscii ad andarmene lui era ancora un allievo senza Maestro, io una ribelle che aveva rifiutato un cammino tracciato.
Scacciai con fatica dalla mia mente l’increscioso ricordo del nostro commiato: due ragazzini di quasi dodici anni, in un corridoio buio, alle prese con gli informi fantasmi del proprio futuro.
 Ci si era rivisti poi, nel corso degli anni, in molte occasioni, e si era istintivamente condotto il rapporto sul sicuro binario di una schietta amicizia non priva di reciproche bonarie frecciatine sulle nostre carriere, diametralmente opposte.
 
 
-         “Come procedono i tuoi studi, Cory? Si è parlato molto delle applicazioni pratiche delle tue teorie negli ultimi anni…Ormai sei una celebrità!” – Chiese, ad un certo punto, con apparente noncuranza,  mi riscossi bruscamente, sospirai volgendo gli occhi al soffitto.
-         “Che cosa penseresti se ti dicessi che non ho pubblicato più niente da…oh, da almeno cinque anni, e che ho distrutto ogni bozza dei miei lavori degli ultimi sette?”- Domandai a mia volta, con un’occhiata che lasciava intendere che sull’argomento avrei avuto molto da dire.
-         “Be’, penserei che stai meditando di cambiare mestiere…” – Suppose giudiziosamente, e poi aggiunse con aria ironica – “oppure, che stai cedendo definitivamente alle tue paranoie, a scelta.”
Ridacchiai senza gioia, grattandomi il mento.
-         “Ben, sinceramente, ti sentiresti la coscienza a posto se lasciassi incustodito un fulminatore carico in un asilo d’infanzia?”- Gli lanciai un altro sguardo eloquente – “visti i tempi bui a cui andiamo in contro, è esattamente questo il rischio che si correrebbe a far circolare certa roba….” – Borbottai, tetra.
-         “Cory, non puoi fermare il progresso, quello che non scoprirai tu, sarà inevitabilmente studiato e svelato da qualcun altro…Questo non dovrei dirtelo io, ti pare?”
-         “Esatto, assolutamente esatto!” – Esclamai, osservando il suo pacato sorriso – “però è anche vero che le domande giuste, che bisognerebbe porsi, sono: perché e quando” – la perplessità trasparse dai suoi occhi –  “a che pro concepire nuove teorie che, in questo preciso momento storico, verranno, quasi sicuramente, applicate per scopi deteriori?  Non credo che mi piacerebbe passare alla storia per aver partorito il principio generale con il quale si potrà creare l’arma definitiva.” – Rabbrividii  involontariamente all’idea –“mi fai notare, giustamente, che le ricerche saranno portate avanti da altri; be’, vedi, io gli ‘altri’ li conosco…Fidati, ci vorranno anni (a meno di un clamoroso colpo di fortuna) per arrivare dove sono giunta io. Spero sinceramente, per tutti noi, che questo tempo basti.” –
-         “Non  credi di essere un po’ presuntuosa nell’affermare ciò?” – Mi rimproverò bonariamente.
-         “Non è presunzione, bensì la constatazione di un fatto” – esitai un attimo –“… O, forse, solo una speranza” – conclusi semplicemente. Cincischiai il cibo immersa nei miei pensieri.
 
 
“E’ vero quello che si dice? E’ vero?”- I suoi occhi mi scrutarono come ad indagare la bizzarra anatomia di un animale deforme, cercò di dissimulare l’ansia sorridendo, ma di un sorriso stentato e pieno di imbarazzo.
“Sì, me ne vado. Non voglio diventare un Jedi” – confermai, osservando con estremo interesse le punte dei miei piedi.
“Cosa ne sarà di te se non seguirai le vie della Forza?”-  Chiese quasi con un lamento.
“Cercherò di non fare danni”  - fu tutto quello che riuscii a rispondere.
In piedi, l’uno di fronte all’altra, senza osare nemmeno sfiorarci, il tunnel semibuio, e un po’ tetro, del corridoio degli alloggi riservati agli Iniziati  pareva volesse pietosamente inghiottirci, assieme alle altre cose che non avevamo il coraggio di dire. Cose normali del tipo: mi mancherai, spero di rivederti, mi dispiace perderti.
Niente.
La consapevolezza di due granelli di polvere destinati a traiettorie uguali e contrarie; due di tanti in una nuvola di sabbia alzata dal vento.
 
Spostai di lato il piatto mezzo vuoto e feci cenno di andare, lui annuì.
Quasi litigammo con Dexter per pagare il conto, Kenobi si offrì di accompagnarmi a casa, si stupì quando gli dissi che ero arrivata a piedi. Uscimmo sotto una pioggerella sottile, la neve chimica era scomparsa, camminammo a lungo in silenzio per le strade semideserte del quartiere.
 
-         “Che cosa volevi dire, esattamente, quando prima da Dexter hai affermato che la guerra è una trappola?” – Mi chiese all’improvviso, con tono neutro, fermandosi nell’attesa di una risposta; io ero avanzata di un paio di passi, mi girai lentamente verso di lui. Eravamo nel bel mezzo di un marciapiede sbrecciato, le sagome cupe degli edifici male illuminati incombevano su di noi, un grido lontano echeggiò lugubre nella notte. Lo guardai scuotendo la testa. –“Sei proprio così sicuro di volere ascoltare le farneticazioni di una scienziata pazza?”
-          – “Non te lo avrei chiesto, altrimenti” – chiarì, serissimo.
-         -“OK Ben, seguimi nel ragionamento.”- Feci qualche passo, su e giù, mentre il mio vecchio amico assentiva attento e immobile. – “Metti il caso che ci sia un assassino, un omicida, un delinquente (chiamalo come ti pare), che voglia commettere un delitto; ora, se il nostro aspirante criminale vorrà mettere in pratica il suo insano gesto, dovrà necessariamente sottostare a tre condizioni” – alzai un dito dopo l’altro, elencandole seccamente – “un movente, l’opportunità materiale…E l’arma.” -  Lo guardai e vidi tutta la sua perplessità condensarsi nella domanda che, inevitabilmente, mi pose: -“Scusa, ma questo cosa c’entra con la guerra? Perdonami, ma non vedo il nesso.”
Sospirai sconsolata. –“Già, non lo vedi, e purtroppo non sei il solo!”- Mormorai.
-         “Allora prova a spiegarmelo” – insistette lui, con dolcezza.
-         “Bene, molto bene,  stavamo parlando di un delitto” – continuai, cercando di non perdere la pazienza –“tu come definiresti la morte della democrazia? Delitto? Vogliamo chiamarlo così?” – Alzai gli occhi e osservai, per un attimo, il flusso incessante dei veicoli nel cielo – “basta mettersi d’accordo sul significato delle parole. Se ammettiamo che sia un delitto, allora c’è anche un assassino con un movente, l’opportunità materiale e, naturalmente, l’arma” – senza volerlo mi stavo accalorando, la frustrazione che avevo covato in quei giorni stava crescendo in me.
-         “Secondo te sarebbe la democrazia ad essere in pericolo? Sarebbe lei la vittima del tuo ipotetico assassino? Questo stai cercando di dirmi?”- Domandò Kenobi perplesso.
-         “Ben, apri gli occhi! Della Costituzione si sta facendo carta straccia, si è già cominciato anni fa a calpestarla e vedrai che, a furia d’emendamenti, presto ne resterà solo un guscio vuoto. Anche il Senato sarà impotente davanti ad una tale valanga. Onestamente, non ti chiedi chi ci guadagnerà di più da un simile sfacelo?” - Ruggii, stizzita, afferrandogli con entrambe le mani la toga sul petto, lui cercò di contenere la mia furia trattenendomi per i gomiti.  - “Sono molti i possibili ‘assassini’ ma, da quello che sento, penso che tu un’idea te la sia già fatta”- ribatté in un sussurro, stringendomi più forte le braccia. Mi divincolai dalla sua stretta indietreggiando, sentii un sudore gelido velarmi la fronte, stavo tremando.
-         “Ti do un ulteriore indizio, Ben: chi?!…Chi ha avuto l’opportunità di accentrare nelle proprie mani sempre più potere, un potere inaudito senza precedenti, nell’ultimo decennio?”- avvertii i muscoli del mio viso ritorcersi in una smorfia involontaria. –
Lui sospirò, si avvicinò incrociando le braccia sul petto e mi guardò aggrottato – “E l’arma? Dovrebbe essere anch’essa indispensabile per il… ‘Delitto’…Non vorrei sentirti affermare che noi Jedi siamo quell’arma!”
-         “Ben! Ben! Ma non capisci che si tratta soltanto di un banale gioco di specchi! Poni un solido tra due superfici riflettenti e vedrai cosa succede. Repubblicani e Separatisti” – alzai le mani davanti a me –“sono immagini dello stesso oggetto” – le unii serrandole con forza in un unico pugno, presi fiato ed alzai progressivamente la voce fino ad arrivare quasi ad un urlo –“un gioco di prestigio, prodotto ad arte, solo per rendere plausibile la formazione di un ESERCITO…UN ESERCITO APPARSO DAL NULLA IN UN SOLO GIORNO!” - Sentii una lacrima bruciarmi la guancia, poi un’altra e una ancora, non potei fare nulla per trattenerle. - “La…La creazione dell’esercito di Cloni è l’arma “- balbettai, un lampo squarciò il buio seguito da un tuono che rimbombò cupo – “voi…V-voi siete…Solo uno dei bersagli. E’ così…Chiaro!” - Ormai singhiozzavo senza ritegno. Le ultime parole pesavano come pietre, lui troppo scosso e imbarazzato per confortarmi; mi trascinò via, mentre dal cielo incominciavano a cadere grosse gocce di pioggia.
 
 
Salimmo su aereo-taxi che, in pochi minuti, ci depositò davanti al portone sempre aperto del vecchio e scrostato palazzo in cui abitavo, diluviava. Sgocciolando, entrammo nell’androne, lo invitai a salire per asciugarsi, lui mi porse il suo diniego con cortesia. 
-   “Allora ci salutiamo qui…” mormorai, allargando le braccia attendendo il suo fraterno abbraccio che non tardò ad avvolgermi con un trasporto che non avevo mai conosciuto; mi stava stringendo a sé in una stretta troppo simile al suggello di un addio.
-         “So che non hai creduto a nulla di quello che ti ho detto questa sera” – proferii con un filo di voce, il suo volto si fece terreo, tentò una protesta ma non gli lasciai il tempo di aprir bocca –“ciò nonostante, cerca di non dimenticare le mie parole, e soprattutto… Vedi di non farti ammazzare in questa follia” – gli raccomandai mentre grosse lacrime mi rigavano le gote e non potevo fare nulla per trattenerle, scaturivano incessanti come se sgorgassero direttamente da una polla posta dentro al cuore.
-         “Tu cosa farai?” – Mormorò con un lieve tremito della voce, temendo la mia risposta.
-         “La cosa più logica” – abbassai lo sguardo per non incrociare il suo. –“Sparire.”
-         “Non vorrai suicidarti, spero?!…”- trasalì, allarmato.
-         “No, no, non lo farei mai, troverò un modo, sai che se voglio veramente qualcosa…Scomparirò, ti prego non chiedermi altro” – balbettai singhiozzando.
 
Detto questo,  mi aggrappai a lui come se fosse l’ultimo baluardo  fra me e l’abisso.
 
Il corridoio buio del Tempio, due bambini pervasi da un imbarazzo tanto forte da tramutarli in fantocci, burattini di carta pesta sulla soglia di una stanza vuota e sulla porta di tenebra del futuro, l’addio ad un’infanzia mai esistita veramente,  l’incapacità di esprime l’affetto né con gesti, né parole  … Tutto era ancora lì, ora, adesso…
 
 
Per un breve istante cercò di resistere alla potente onda emotiva che lo stava investendo con la forza di un ciclone, sentii il suo corpo irrigidirsi alla mia stretta, poi cedette. 
Due dita sollevarono il mio mento e un delicato movimento del pollice percorse il tratto umido di una lacrima che, nella sua traiettoria curvilinea,  mi aveva raggiunto le labbra, e lì si fermò.
I miei occhi, dall’incerto color ambra, fissarono le sue iridi indaco per un attimo che sembrò  eterno, poi qualcuno fece la prima mossa. Fu confuso e strano: ci stavamo baciando nell’androne scalcinato del mio palazzo, dapprima timidamente, con gesti un po’ goffi, e poi sempre più con trascinante trasporto.
Mi accorsi che stavo ancora piangendo, e sentii una percezione raggiungere la coscienza dal profondo della mia anima con chiarezza assoluta: il mondo intorno a noi letteralmente crollava a pezzi. Tutto si era capovolto.
 
 In quel momento un ardore irrefrenabile, scatenato da una passione imprevista e ad entrambi del tutto ignota, ci indusse a cingerci con maggior foga in una stretta torrida; quasi barcollando, indietreggiammo inconsapevolmente sino alla torre dell’elevatore finché sentii il peso del suo corpo premermi sempre più contro la porta serrata dell’ascensore, fu allora che l’entità del gesto lo trattenne. Avvertii tutta la sua incertezza.
-         “Sai ciò che sono…”- Ansimò – “lo sai, Cory”…- Mormorò, ancora, in tono di scusa, abbassando lo sguardo e allentando l’abbraccio  senza, tuttavia, abbandonarlo  – “io sono…”
-         “…Un Jedi! Sì, lo so da quando ci conosciamo, cioè da sempre, Ben! “– Sbuffai, stizzita, con il volto ancora rigato  di lacrime e un ghigno sarcastico che mi arricciava le labbra – “adesso, per favore, non pigliarti l’alibi, o il gusto, di guastarci la festa con il pretesto dello stramaledetto Codice: che diavolo di attaccamento ci può essere tra due persone perfettamente coscienti del fatto che non si vedranno più? Questo è un party d’addio, accidenti!… E lo sai benissimo anche tu!” – sottolineai il concetto pestando con rabbia un piede sul pavimento sbrecciato.
Gli strappai un sorriso malinconico, ma inequivocabile: era tutto esatto, impossibile negarlo, il ragionamento era ineccepibile…Ora dipendeva da lui, solo dal lui…
 
-         “Sei sicura…Di volerlo?” – mi domandò con un’espressione cupa, fissandomi dritto negli occhi.
 
Non mi presi nemmeno il disturbo di rispondergli e, senza voltarmi, schiacciai il pulsante dell’ascensore, afferrandogli con una sola mano la toga sul petto lo trascinai all’indietro, con tutta la forza che potei esercitare data la mia modesta massa, mentre le porte si aprirono con un sussurro; praticamente, rotolammo dentro al cubicolo avvinghiati, senza smettere di baciarci.
 
Non ebbi, neanche in seguito, un’idea precisa del modo in cui riuscii ad aprire la porta del mio appartamento, ma è certo che i nostri abiti caddero come petali appassiti prima di arrivare alla camera da letto. Ci furono amarezza e dolcezza, indicibile piacere, speranza e cupo dolore nella danza perfetta e sublime dei nostri corpi, e aleggiante come uno spettro su noi l’implacabile consapevolezza che non sarebbe bastata una notte per soddisfare il nostro desiderio.
L’ultimo, forse.
Non parlammo molto in quella manciata di ore, però, con una sorta d’amara malizia, considerammo che la nostra personalissima trasgressione costituiva, probabilmente, l’unico autentico inno alla vita davanti all’incombere dell’oscurità che ormai avvolgeva ogni cosa. In tutti quegli anni non avevamo mai raggiunto una simile vicinanza, un’intimità emotiva così profonda, nessuno dei due, ritengo, tentò di costringerla in un’etichetta, nessuno osò pensare che quello fosse amore. Sarebbe stato davvero troppo.
 
La luce dell’alba sfiorò i nostri corpi abbracciati come il riverbero di un fuoco infernale. La notte finì, ma ero assolutamente certa che anche lui, come me in quel momento, avrebbe desiderato con tutto il cuore che le tenebre ci avvolgessero in eterno.
Inesorabile, il  nuovo giorno portò il distacco.
 Lo vidi rivestirsi svogliatamente mentre indugiavo nella vicina stanza da bagno, una plumbea cappa di tristezza avvolgeva tutto il mio essere e, tramite canali che credevo recisi per sempre, avvertii in lui gli stessi sentimenti.
 
Ci abbracciammo per l’ultima volta sulla soglia dell’appartamento, mi baciò e accarezzò con una dolcezza di cui, fino al giorno prima, lo ritenevo incapace  .
-         “Non dimenticherò mai questa notte, Cory. Mai…Io, io…Non…”
Gli posi delicatamente quattro dita sulle labbra prima che pronunciasse qualcosa di veramente inopportuno…Qualcosa che spezzasse l’incantesimo di quell’intermezzo tra noi e l’orrore.
-         “Che la Forza sia con te!” – mormorai con un sorriso beffardo.
Mi ricambiò con uno sguardo triste e assieme luminoso.
-         “E con te, Cory!” – soggiunse chinandosi per baciarmi in mezzo agli occhi.
 
Sparì nel vano dell’ascensore con un ultimo sorriso e un cenno della mano.
 
Lo guardai dalla finestra del soggiorno allontanarsi a piedi, nella luce rosea  che aveva tinto il cielo ad oriente, fino a quando divenne una macchiolina indistinta in fondo alla strada. Appoggiai la tempia allo stipite, e rimasi a fissare il punto dove era scomparso per un bel pezzo.
 
Sentii il mio cuore fermarsi per un attimo, assieme alla mia vita.
 
Senza pace – romantic edition.
 
 
 
 
Nell’arco di quattro giorni una sorda rabbia aveva montato dentro di me, come un fiume in piena, per poi dissolversi in uno sconfortante senso di impotenza.
Vedevo chiaramente ciò che per gli altri non era che tenebra, distinguevo l’intero disegno dove nessuno riusciva a coglierne un singolo tratto, il buio era diventato luce. Una luce vivida e impietosa. Un fulgore mortale.
Sapevo che urlare, adesso, non sarebbe servito a nulla. Un grido in un deserto, e niente più.
Uscii per le strade del quartiere appena imbiancate da una delle rarissime ed effimere nevicate venefiche di Coruscant, camminai per ore senza una meta precisa. Tutto mi sembrava fugace, come quei gelidi cristalli di sostanze chimiche, scampate per una disfunzione temporanea dei depuratori d’aria e raggrumatesi negli alti strati dell’atmosfera, cui bastava solo il calore della mano per sciogliersi.
Mi sorpresi a riflettere cupamente sui fatti, ben più inquietanti rispetto alla bizzarra ma spiegabile neve chimica, che si erano susseguiti sulla Capitale Galattica con altrettanta evidenza e tra l’assoluta incomprensione generale. Mi si strinse il cuore.
 
Quando varcai, con passo incerto, la soglia del locale di Dexter, si era fatta sera, e non ero esattamente nel mondo dei vivi. Incespicai sulla soglia, l’ambiente era caldo e semivuoto, mi spolverai alcuni fiocchi superstiti sul giubbotto cercando, inutilmente, di controllare il lieve tremito della mano. Hermione mi salutò da dietro il bancone, e mi fece un cenno con la testa per indicarmi qualcuno in fondo alla stanza. Fu allora che lo vidi, si era alzato in piedi uscendo dallo stretto spazio tra il tavolo e la panca, sorrideva e allargò le braccia. Dexter, seduto davanti a lui, si era girato incrociando le quattro zampone per godersi la scena.
 Mi avvicinai e ci abbracciammo, sentii il tocco gentile e affettuoso delle sue mani sulla mia minuta ossatura da volatile. Ci scostammo per guardarci in faccia, il suo sorriso era stanco ma sembrava sereno. Fece una risatina e si chinò per bofonchiarmi qualcosa in un orecchio - “Cory dovresti mangiare di più, sei tutta pelle e ossa!”-
-         “A te, invece, sta venendo la pancia” – risposi caustica, mollandogli un manrovescio sul plesso solare - “saranno le belle bistecche al sangue che vi sbafate alla mensa del Tempio” - proseguii, ignorando la sua occhiata obliqua - “lo stesso liquido rosso con cui vi apprestate a lordare le vostre candide manine…” Considerai perfidamente, abbassando la voce ad un sussurro.
 
“Per lo stesso motivo per cui mi rifiuto di mangiare carne: mi ripugna l’idea di essere la causa della morte di qualcuno, foss’anche un animale!”- Risposi, con aria di sfida, al Maestro che aveva domandato il motivo della mia intenzione a non proseguire l’addestramento. Cercai di ergermi in tutta la mia minuscola statura, mentre un mormorio di disapprovazione serpeggiò nell’Alto Consiglio: mai nessun Iniziato aveva osato sfidarne l’autorità così sfrontatamente. Il Maestro sporse in avanti il capo per osservarmi meglio, lessi un moto di disgusto nei suoi occhi. -  “Stai dicendo che ci consideri dei macellai, Corydalis Koch?” -  Sibilò  gelido, inclinando un poco la testa e facendo evidentemente un grande sforzo per non perdere il controllo. Mi morsi a sangue un labbro, ma sostenni il suo sguardo. - “Io non oppongo giudizi morali. Quello che è giusto o sbagliato non sta a me stabilirlo; io affermo solo che, in ogni caso, non mi sento di farlo. Non avete chiesto la mia opinione quando mi avete portato al Tempio, anche perché avevo circa sei mesi. Be’, adesso so parlare, Maestro Windu,  e ve lo dico ora: non voglio diventare un Jedi!” -  Se non fossi stata più che certa che i Jedi rifuggono l’odio, quello che vidi, dipinto sul volto di quell’uomo, non mi avrebbe lasciato dubbi.
 
Il ricordo saettò via e mi resi conto che lui stringeva ancora le mie spalle, notai che s’irrigidì e la sua espressione si era fatta seria; aveva colto l’allusione.
 - “Non ti sopporto quando fai così…Il conflitto era inevitabile, sai bene che siamo guardiani della pace…” -  Protestò accigliato, ma debolmente e a bassa voce.
Scossi la testa. -  “Guardiani della pace! Suona strano detto da uno che è stato appena nominato Generale,  non ti pare, Obi-Wan?”- Lo rimbeccai, dardeggiandogli uno sguardo torvo.
- “E’ commovente assistere all’incontro fraterno di due cari vecchi amici!”- Interloquì il vecchio Dexter con una punta d’ironia, alzandosi per cedermi il posto. Sparì in cucina sogghignando.
Stirò le labbra in un faticoso sorriso. - “Non sei proprio cambiata in tutti questi anni, e ne sono passati parecchi…Vuoi farmi compagnia, o pensi che la mia presenza potrebbe turbare il tuo animo sensibile?”  - Propose conciliante.
Mi lasciai cadere con malagrazia sul divanetto, sbuffando.
- “Kenobi, in questi giorni ho sette demoni per capello, vedi di non seccarmi con i tuoi edificanti discorsi da Jedi perché proprio non è il caso…”
Prese posto davanti a me guardandomi perplesso.
Arrivò la sculettante Hermione per raccogliere le ordinazioni, io le chiesi il solito.
-         “Se continui solo a brucare quell’insalata anemica e scondita, prima o poi, ti trasformerai in una lumaca!”- Commentò la mia richiesta, ridacchiando, la cameriera.
-         “Fatti gli affari tuoi, Hermione!” – Ringhiai, rabbiosa.
-         “Il nostro matematico ha proprio la luna di traverso questa sera, eh?!” - Sghignazzò, facendo l’occhietto al Jedi.
-         “Sono un Fisico, non un matematico…Oh beh, per quello che importa…”- Le borbottai di rimando, portandomi una mano alla fronte e facendola ridere ancora più forte.
 
Quando la ragazza se ne andò, lui si sporse avvicinandosi attraverso il tavolo.
-         “Cory, c’è qualcosa che non va?” - Era quasi preoccupato, adesso.
-         “Oh mio caro, ce ne sono un sacco e una sporta di cose che non vanno! Vagonate di robe storte! Il fatto è, che non gliene frega un accidente a nessuno. E’ questo il problema principale, temo” – grugnii, levandomi i guanti che lanciai stizzosamente sulla panca. - “Come mai tutto solo? Il tuo padawan Anakim Qualchecosa, o come diavolo si chiama, lo hai lasciato al Tempio a prendere ripetizioni di spada?” – Divagai malignamente.
-         “Si chiama Anakin Skywalker, lo sai benissimo, e al momento è in missione a Naboo, su ordine del Consiglio…Forse ti è così antipatico perché in fondo, molto in fondo, ti rendi conto di assomigliargli, anche se non lo ammetteresti neanche sotto tortura ” – precisò, guardandomi da sotto in su, e offrendomi un mezzo sorriso canzonatorio.
 
Quando prendeva le parti del suo scapestrato allievo, suscitava in me contrastanti sentimenti, altalenanti tra ira (per quello che ritenevo un’ostinata volontà a chiudere gli occhi) e tenerezza (per l’assoluta sincerità dell’uomo in buona fede). Ma quella sera non mi sentivo molto caritatevole.
-         “Non dire fesserie, Ben!…Andiamo, io assomiglio al tuo Padawan quanto un angelo di Iego può essere scambiato per un Nexu di Cholganna. Non puoi nemmeno pensare di paragonare un’inveterata pacifista come me a quel pazzo attaccabrighe del tuo apprendista! ” – Il suo sguardo si rabbuiò, io proseguii imperterrita –“beh, comunque, con il bel conflitto galattico totale testé scoppiato,  i tipi come lui si fregheranno le zampine per la contentezza! C’è un sacco di gente  in giro che non vede l’ora di menar le mani, e senza mai chiedersi se sia giusto o sbagliato…Lui è solo uno di molti. Il fatto, poi, che sia un futuro Cavaliere rimane solo un trascurabile dettaglio” – sospirai scotendo la testa, e prima che potesse ribattere, continuai –“adesso evita di propinarmi un’arringa in difesa del tuo pupillo, so come la pensi, e non sono d’accordo. Lo abbiamo già stabilito una volta per tutte, mi pare.”
Si accarezzò con una mano la barba, pensoso.
-         “Mi dispiace che tu non abbia cambiato la cattiva opinione su di lui….E su di me. Credo che sia ingiusta anche se, a volte, avrei voluto essere un Maestro migliore per Anakin”-  ammise mestamente.
-         “Caro Ben, apprezzo il tuo zelante impegno come insegnante” -  mi sporsi attraverso il tavolo ponendogli una mano sull’avambraccio, e proseguii – “che poi, su al Consiglio, non ne abbiano azzeccata una negli ultimi dieci anni, è tutta un’altra faccenda! E non mi riferisco solo alla questione dell’addestramento fuori tempo massimo di Skywalker. Ci sono un bel po’ d’altre cosucce, ben più gravi e cruciali, su cui Yoda e Soci hanno preso, secondo me, delle gran cantonate” - conclusi, ritraendomi contro lo schienale e tentando di stemperare l’effetto del colpo basso con un sorrisetto che assomigliava un po’ troppo ad un ghigno.
In quel momento, comparve la bionda cameriera con il suo vassoio e ci servì rapidamente le vivande.
-         “Se tu avessi terminato il tuo addestramento Jedi, a quest’ora, magari avresti potuto far parte del Consiglio e manifestare liberamente il tuo dissenso” - mi stuzzicò, appena la ragazza si fu allontanata per raccogliere le ordinazioni ad un altro tavolo. - “Sono certo che la tua opinione sarebbe stata tenuta in gran conto” – concluse con un pizzico di, non so quanto involontario, sarcasmo.
-         “Ben, mi stai prendendo in giro?! No dico, sai bene quale sia la mia…Opinione sulla vostra…’Missione’ di Jedi, e sui mezzi che usate per compierla; è sempre la solita vecchia storia: percepire la Forza non è l’unica via per conoscere la realtà, esiste anche la logica. Ma su questo punto il Consiglio si è sempre ostinato a tapparsi occhi ed orecchi, e sicuramente io non avrei convinto nessuna di quelle mummie a cambiare idea…Ho fallito pure con te!” – Lui mi lanciò uno sguardo tra il dubbioso e il rassegnato. –“Non fare quella faccia, sai cosa voglio dire, son secoli che lo ripeto inutilmente: quando la Forza non vi aiuta, dovreste tentare altre strade. Guarda, che a certe conclusioni ci si può arrivare anche solo con un minimo di ragionamento. Usare il cervello non è mai disdicevole, neanche per un Jedi...”  Esitai, prima di continuare, protendendomi verso di lui,  ridussi la voce ad un feroce sussurro  - “questa guerra è una trappola, e voi siete così ciechi da non accorgervene!”  - Sparai in un solo fiato.
 Stava portando un boccone alla bocca e si fermò, rimanendo con la posata sollevata e guardandomi impietrito.
-         “ Ma di che diamine stai parlando?” - Mi chiese in un soffio.
Volsi attorno lo sguardo: il locale si era riempito, un gruppo di giovani Ithoriani si era appena seduto al tavolo davanti al nostro, e altre persone stavano entrando borbottando per il tempo inclemente. Gli feci un cenno con il capo come per dire “non qui”, lui capì e riprese a mangiare.
Osservai, pensierosa, quell’uomo con cui avevo condiviso, a gomito a gomito, parte dell’infanzia; stentavo a riconoscere in lui il bambino smanioso di conoscere le vie della Forza, che diveniva addirittura scalpitante all’arrivo di un Maestro senza Padawan, segretamente terrorizzato all’idea di non essere scelto per proseguire l’addestramento e quindi, al compimento del tredicesimo anno d’età, sbattuto su un remoto mondo agricolo a coltivar verdura per il resto della vita. A quei tempi mi faceva un po’ pena, però forse mi piaceva anche per quel suo ostinato e limpido attaccamento ad un sogno; io, sogni, non ne avevo avuti mai, la Forza era per me solo un torrente freddo da cui non traevo pace, ma solo inquietudine e il Tempio mi opprimeva come una prigione. Dalla più tenera età, mi ero posta inconfessabili domande se quello fosse l’unico destino possibile. A tutti avevo faticosamente nascosto, senza mai quasi sfiorarli a livello di pensieri consci, i dubbi che crescevano dentro di me come frutti avvelenati. Era giusto imporre una strada durissima ad un bimbo inconsapevole? Oppure, la percezione della Forza, che tutto regolava nella vita di un Iniziato, giustificava pienamente la scelta, da parte dell’Ordine, di troncare ogni legame con le sue radici? E poi, sarei riuscita veramente, in un momento critico, a non dare ascolto alla voce imperiosa della mia mente, bensì a fondermi ed affidarmi al volere di un’entità, la Forza, che sentivo intimamente, ad ogni giorno che passava, sempre più ostile? Ce l’avrei mai fatta, anche con giusta causa, ad uccidere?
Era possibile scegliere di non fare, di rinunciare, di tornare indietro, di andare altrove, non lì?
Ma ancora di più, mi bruciava la consapevolezza che nemmeno all’unica persona che consideravo amica in quel luogo, non avrei mai potuto parlare apertamente di tutta quella valanga di riflessioni per non coinvolgerla in quello che, sempre più chiaramente, si delineava come un piano di fuga.  Ero quasi certa che, negli ultimi tempi, avesse intuito qualcosa, anche se per anni avevamo danzato sul filo del rasoio del detto e non detto, senza mai affrontare di petto ogni argomento che fosse appena al di sotto dell’ortodossia.
Quando, con gran scandalo, riuscii ad andarmene lui era ancora un allievo senza Maestro, io una ribelle che aveva rifiutato un cammino tracciato.
Scacciai con fatica dalla mia mente l’increscioso ricordo del nostro commiato: due ragazzini di quasi dodici anni, in un corridoio buio, alle prese con gli informi fantasmi del proprio futuro.
 Ci si era rivisti poi, nel corso degli anni, in molte occasioni, e si era istintivamente condotto il rapporto sul sicuro binario di una schietta amicizia non priva di reciproche bonarie frecciatine sulle nostre carriere, diametralmente opposte.
 
 
-         “Come procedono i tuoi studi, Cory? Si è parlato molto delle applicazioni pratiche delle tue teorie negli ultimi anni…Ormai sei una celebrità!” – Chiese, ad un certo punto, con apparente noncuranza,  mi riscossi bruscamente, sospirai volgendo gli occhi al soffitto.
-         “Che cosa penseresti se ti dicessi che non ho pubblicato più niente da…oh, da almeno cinque anni, e che ho distrutto ogni bozza dei miei lavori degli ultimi sette?”- Domandai a mia volta, con un’occhiata che lasciava intendere che sull’argomento avrei avuto molto da dire.
-         “Be’, penserei che stai meditando di cambiare mestiere…” – Suppose giudiziosamente, e poi aggiunse con aria ironica – “oppure, che stai cedendo definitivamente alle tue paranoie, a scelta.”
Ridacchiai senza gioia, grattandomi il mento.
-         “Ben, sinceramente, ti sentiresti la coscienza a posto se lasciassi incustodito un fulminatore carico in un asilo d’infanzia?”- Gli lanciai un altro sguardo eloquente – “visti i tempi bui a cui andiamo in contro, è esattamente questo il rischio che si correrebbe a far circolare certa roba….” – Borbottai, tetra.
-         “Cory, non puoi fermare il progresso, quello che non scoprirai tu, sarà inevitabilmente studiato e svelato da qualcun altro…Questo non dovrei dirtelo io, ti pare?”
-         “Esatto, assolutamente esatto!” – Esclamai, osservando il suo pacato sorriso – “però è anche vero che le domande giuste, che bisognerebbe porsi, sono: perché e quando” – la perplessità trasparse dai suoi occhi –  “a che pro concepire nuove teorie che, in questo preciso momento storico, verranno, quasi sicuramente, applicate per scopi deteriori?  Non credo che mi piacerebbe passare alla storia per aver partorito il principio generale con il quale si potrà creare l’arma definitiva.” – Rabbrividii  involontariamente all’idea –“mi fai notare, giustamente, che le ricerche saranno portate avanti da altri; be’, vedi, io gli ‘altri’ li conosco…Fidati, ci vorranno anni (a meno di un clamoroso colpo di fortuna) per arrivare dove sono giunta io. Spero sinceramente, per tutti noi, che questo tempo basti.” –
-         “Non  credi di essere un po’ presuntuosa nell’affermare ciò?” – Mi rimproverò bonariamente.
-         “Non è presunzione, bensì la constatazione di un fatto” – esitai un attimo –“… O, forse, solo una speranza” – conclusi semplicemente. Cincischiai il cibo immersa nei miei pensieri.
 
 
“E’ vero quello che si dice? E’ vero?”- I suoi occhi mi scrutarono come ad indagare la bizzarra anatomia di un animale deforme, cercò di dissimulare l’ansia sorridendo, ma di un sorriso stentato e pieno di imbarazzo.
“Sì, me ne vado. Non voglio diventare un Jedi” – confermai, osservando con estremo interesse le punte dei miei piedi.
“Cosa ne sarà di te se non seguirai le vie della Forza?”-  Chiese quasi con un lamento.
“Cercherò di non fare danni”  - fu tutto quello che riuscii a rispondere.
In piedi, l’uno di fronte all’altra, senza osare nemmeno sfiorarci, il tunnel semibuio, e un po’ tetro, del corridoio degli alloggi riservati agli Iniziati  pareva volesse pietosamente inghiottirci, assieme alle altre cose che non avevamo il coraggio di dire. Cose normali del tipo: mi mancherai, spero di rivederti, mi dispiace perderti.
Niente.
La consapevolezza di due granelli di polvere destinati a traiettorie uguali e contrarie; due di tanti in una nuvola di sabbia alzata dal vento.
 
Spostai di lato il piatto mezzo vuoto e feci cenno di andare, lui annuì.
Quasi litigammo con Dexter per pagare il conto, Kenobi si offrì di accompagnarmi a casa, si stupì quando gli dissi che ero arrivata a piedi. Uscimmo sotto una pioggerella sottile, la neve chimica era scomparsa, camminammo a lungo in silenzio per le strade semideserte del quartiere.
 
-         “Che cosa volevi dire, esattamente, quando prima da Dexter hai affermato che la guerra è una trappola?” – Mi chiese all’improvviso, con tono neutro, fermandosi nell’attesa di una risposta; io ero avanzata di un paio di passi, mi girai lentamente verso di lui. Eravamo nel bel mezzo di un marciapiede sbrecciato, le sagome cupe degli edifici male illuminati incombevano su di noi, un grido lontano echeggiò lugubre nella notte. Lo guardai scuotendo la testa. –“Sei proprio così sicuro di volere ascoltare le farneticazioni di una scienziata pazza?”
-          – “Non te lo avrei chiesto, altrimenti” – chiarì, serissimo.
-         -“OK Ben, seguimi nel ragionamento.”- Feci qualche passo, su e giù, mentre il mio vecchio amico assentiva attento e immobile. – “Metti il caso che ci sia un assassino, un omicida, un delinquente (chiamalo come ti pare), che voglia commettere un delitto; ora, se il nostro aspirante criminale vorrà mettere in pratica il suo insano gesto, dovrà necessariamente sottostare a tre condizioni” – alzai un dito dopo l’altro, elencandole seccamente – “un movente, l’opportunità materiale…E l’arma.” -  Lo guardai e vidi tutta la sua perplessità condensarsi nella domanda che, inevitabilmente, mi pose: -“Scusa, ma questo cosa c’entra con la guerra? Perdonami, ma non vedo il nesso.”
Sospirai sconsolata. –“Già, non lo vedi, e purtroppo non sei il solo!”- Mormorai.
-         “Allora prova a spiegarmelo” – insistette lui, con dolcezza.
-         “Bene, molto bene,  stavamo parlando di un delitto” – continuai, cercando di non perdere la pazienza –“tu come definiresti la morte della democrazia? Delitto? Vogliamo chiamarlo così?” – Alzai gli occhi e osservai, per un attimo, il flusso incessante dei veicoli nel cielo – “basta mettersi d’accordo sul significato delle parole. Se ammettiamo che sia un delitto, allora c’è anche un assassino con un movente, l’opportunità materiale e, naturalmente, l’arma” – senza volerlo mi stavo accalorando, la frustrazione che avevo covato in quei giorni stava crescendo in me.
-         “Secondo te sarebbe la democrazia ad essere in pericolo? Sarebbe lei la vittima del tuo ipotetico assassino? Questo stai cercando di dirmi?”- Domandò Kenobi perplesso.
-         “Ben, apri gli occhi! Della Costituzione si sta facendo carta straccia, si è già cominciato anni fa a calpestarla e vedrai che, a furia d’emendamenti, presto ne resterà solo un guscio vuoto. Anche il Senato sarà impotente davanti ad una tale valanga. Onestamente, non ti chiedi chi ci guadagnerà di più da un simile sfacelo?” - Ruggii, stizzita, afferrandogli con entrambe le mani la toga sul petto, lui cercò di contenere la mia furia trattenendomi per i gomiti.  - “Sono molti i possibili ‘assassini’ ma, da quello che sento, penso che tu un’idea te la sia già fatta”- ribatté in un sussurro, stringendomi più forte le braccia. Mi divincolai dalla sua stretta indietreggiando, sentii un sudore gelido velarmi la fronte, stavo tremando.
-         “Ti do un ulteriore indizio, Ben: chi?!…Chi ha avuto l’opportunità di accentrare nelle proprie mani sempre più potere, un potere inaudito senza precedenti, nell’ultimo decennio?”- avvertii i muscoli del mio viso ritorcersi in una smorfia involontaria. –
Lui sospirò, si avvicinò incrociando le braccia sul petto e mi guardò aggrottato – “E l’arma? Dovrebbe essere anch’essa indispensabile per il… ‘Delitto’…Non vorrei sentirti affermare che noi Jedi siamo quell’arma!”
-         “Ben! Ben! Ma non capisci che si tratta soltanto di un banale gioco di specchi! Poni un solido tra due superfici riflettenti e vedrai cosa succede. Repubblicani e Separatisti” – alzai le mani davanti a me –“sono immagini dello stesso oggetto” – le unii serrandole con forza in un unico pugno, presi fiato ed alzai progressivamente la voce fino ad arrivare quasi ad un urlo –“un gioco di prestigio, prodotto ad arte, solo per rendere plausibile la formazione di un ESERCITO…UN ESERCITO APPARSO DAL NULLA IN UN SOLO GIORNO!” - Sentii una lacrima bruciarmi la guancia, poi un’altra e una ancora, non potei fare nulla per trattenerle. - “La…La creazione dell’esercito di Cloni è l’arma “- balbettai, un lampo squarciò il buio seguito da un tuono che rimbombò cupo – “voi…V-voi siete…Solo uno dei bersagli. E’ così…Chiaro!” - Ormai singhiozzavo senza ritegno. Le ultime parole pesavano come pietre, lui troppo scosso e imbarazzato per confortarmi; mi trascinò via, mentre dal cielo incominciavano a cadere grosse gocce di pioggia.
 
 
Salimmo su aereo-taxi che, in pochi minuti, ci depositò davanti al portone sempre aperto del vecchio e scrostato palazzo in cui abitavo, diluviava. Sgocciolando, entrammo nell’androne, lo invitai a salire per asciugarsi, lui mi porse il suo diniego con cortesia. 
-   “Allora ci salutiamo qui…” mormorai, allargando le braccia attendendo il suo fraterno abbraccio che non tardò ad avvolgermi con un trasporto che non avevo mai conosciuto; mi stava stringendo a sé in una stretta troppo simile al suggello di un addio.
-         “So che non hai creduto a nulla di quello che ti ho detto questa sera” – proferii con un filo di voce, il suo volto si fece terreo, tentò una protesta ma non gli lasciai il tempo di aprir bocca –“ciò nonostante, cerca di non dimenticare le mie parole, e soprattutto… Vedi di non farti ammazzare in questa follia” – gli raccomandai mentre grosse lacrime mi rigavano le gote e non potevo fare nulla per trattenerle, scaturivano incessanti come se sgorgassero direttamente da una polla posta dentro al cuore.
-         “Tu cosa farai?” – Mormorò con un lieve tremito della voce, temendo la mia risposta.
-         “La cosa più logica” – abbassai lo sguardo per non incrociare il suo. –“Sparire.”
-         “Non vorrai suicidarti, spero?!…”- trasalì, allarmato.
-         “No, no, non lo farei mai, troverò un modo, sai che se voglio veramente qualcosa…Scomparirò, ti prego non chiedermi altro” – balbettai singhiozzando.
 
Detto questo,  mi aggrappai a lui come se fosse l’ultimo baluardo  fra me e l’abisso.
 
Il corridoio buio del Tempio, due bambini pervasi da un imbarazzo tanto forte da tramutarli in fantocci, burattini di carta pesta sulla soglia di una stanza vuota e sulla porta di tenebra del futuro, l’addio ad un’infanzia mai esistita veramente,  l’incapacità di esprime l’affetto né con gesti, né parole  … Tutto era ancora lì, ora, adesso…
 
 
Per un breve istante cercò di resistere alla potente onda emotiva che lo stava investendo con la forza di un ciclone, sentii il suo corpo irrigidirsi alla mia stretta, poi cedette. 
Due dita sollevarono il mio mento e un delicato movimento del pollice percorse il tratto umido di una lacrima che, nella sua traiettoria curvilinea,  mi aveva raggiunto le labbra, e lì si fermò.
I miei occhi, dall’incerto color ambra, fissarono le sue iridi indaco per un attimo che sembrò  eterno, poi qualcuno fece la prima mossa. Fu confuso e strano: ci stavamo baciando nell’androne scalcinato del mio palazzo, dapprima timidamente, con gesti un po’ goffi, e poi sempre più con trascinante trasporto.
Mi accorsi che stavo ancora piangendo, e sentii una percezione raggiungere la coscienza dal profondo della mia anima con chiarezza assoluta: il mondo intorno a noi letteralmente crollava a pezzi. Tutto si era capovolto.
 
 In quel momento un ardore irrefrenabile, scatenato da una passione imprevista e ad entrambi del tutto ignota, ci indusse a cingerci con maggior foga in una stretta torrida; quasi barcollando, indietreggiammo inconsapevolmente sino alla torre dell’elevatore finché sentii il peso del suo corpo premermi sempre più contro la porta serrata dell’ascensore, fu allora che l’entità del gesto lo trattenne. Avvertii tutta la sua incertezza.
-Sai ciò che sono…”- Ansimò – “lo sai, Cory”…- Mormorò, ancora, in tono di scusa, abbassando lo sguardo e allentando l’abbraccio  senza, tuttavia, abbandonarlo  – “io sono…”
         - “…Un Jedi! Sì, lo so da quando ci conosciamo, cioè da sempre, Ben! “– Sbuffai, stizzita, con il volto ancora rigato  di lacrime e un ghigno sarcastico che mi arricciava le labbra – “adesso, per favore, non pigliarti l’alibi, o il gusto, di guastarci la festa con il pretesto dello stramaledetto Codice: che diavolo di attaccamento ci può essere tra due persone perfettamente coscienti del fatto che non si vedranno più? Questo è un party d’addio, accidenti!… E lo sai benissimo anche tu!” – sottolineai il concetto pestando con rabbia un piede sul pavimento sbrecciato.

Gli strappai un sorriso malinconico, ma inequivocabile: era tutto esatto, impossibile negarlo, il ragionamento era ineccepibile…Ora dipendeva da lui, solo dal lui…
 
-         “Sei sicura…Di volerlo?” – mi domandò con un’espressione cupa, fissandomi dritto negli occhi.
 
Non mi presi nemmeno il disturbo di rispondergli e, senza voltarmi, schiacciai il pulsante dell’ascensore, afferrandogli con una sola mano la toga sul petto lo trascinai all’indietro, con tutta la forza che potei esercitare data la mia modesta massa, mentre le porte si aprirono con un sussurro; praticamente, rotolammo dentro al cubicolo avvinghiati, senza smettere di baciarci.
 
Non ebbi, neanche in seguito, un’idea precisa del modo in cui riuscii ad aprire la porta del mio appartamento, ma è certo che i nostri abiti caddero come petali appassiti prima di arrivare alla camera da letto. Ci furono amarezza e dolcezza, indicibile piacere, speranza e cupo dolore nella danza perfetta e sublime dei nostri corpi, e aleggiante come uno spettro su noi l’implacabile consapevolezza che non sarebbe bastata una notte per soddisfare il nostro desiderio.
L’ultimo, forse.
Non parlammo molto in quella manciata di ore, però, con una sorta d’amara malizia, considerammo che la nostra personalissima trasgressione costituiva, probabilmente, l’unico autentico inno alla vita davanti all’incombere dell’oscurità che ormai avvolgeva ogni cosa. In tutti quegli anni non avevamo mai raggiunto una simile vicinanza, un’intimità emotiva così profonda, nessuno dei due, ritengo, tentò di costringerla in un’etichetta, nessuno osò pensare che quello fosse amore. Sarebbe stato davvero troppo.
 
La luce dell’alba sfiorò i nostri corpi abbracciati come il riverbero di un fuoco infernale. La notte finì, ma ero assolutamente certa che anche lui, come me in quel momento, avrebbe desiderato con tutto il cuore che le tenebre ci avvolgessero in eterno.
Inesorabile, il  nuovo giorno portò il distacco.
 Lo vidi rivestirsi svogliatamente mentre indugiavo nella vicina stanza da bagno, una plumbea cappa di tristezza avvolgeva tutto il mio essere e, tramite canali che credevo recisi per sempre, avvertii in lui gli stessi sentimenti.
 
Ci abbracciammo per l’ultima volta sulla soglia dell’appartamento, mi baciò e accarezzò con una dolcezza di cui, fino al giorno prima, lo ritenevo incapace  .
-         “Non dimenticherò mai questa notte, Cory. Mai…Io, io…Non…”
Gli posi delicatamente quattro dita sulle labbra prima che pronunciasse qualcosa di veramente inopportuno…Qualcosa che spezzasse l’incantesimo di quell’intermezzo tra noi e l’orrore.
-         “Che la Forza sia con te!” – mormorai con un sorriso beffardo.
Mi ricambiò con uno sguardo triste e assieme luminoso.
-         “E con te, Cory!” – soggiunse chinandosi per baciarmi in mezzo agli occhi.
 
Sparì nel vano dell’ascensore con un ultimo sorriso e un cenno della mano.
 
Lo guardai dalla finestra del soggiorno allontanarsi a piedi, nella luce rosea  che aveva tinto il cielo ad oriente, fino a quando divenne una macchiolina indistinta in fondo alla strada. Appoggiai la tempia allo stipite, e rimasi a fissare il punto dove era scomparso per un bel pezzo.
 

Sentii il mio cuore fermarsi per un attimo, assieme alla mia vita.

  
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