Ogni mattina, dalle 6:49 alle 7:00, passavano lenti e tranquilli unidici minuti. Non passavano mai troppo in fretta, nè sembravano volare.

Ogni mattina Lovino, appena sveglio, godeva segretamente di quegli undici minuti di calma piatta. Ogni mattina, puntuale, si rendeva conto che avrebbe potuto usufruire di quel lasso di tempo per fare altro, anche se alla fine giungeva sempre alla stessa conclusione: non c' era modo migliore di passare quegli undici minuti a guardare Antonio dormire. Non che fosse così angelico come si può immaginare, intendiamoci.

Sempre a bocca aperta, con qualche segno di cuscino sulla faccia e le braccia spalancate, una che penzolava pigramente fuori dal letto e l' altra sopra il cuscino di Lovino.

Non succedeva come nei film, dove al risveglio - magicamente contemporaneo - ci si guardava negli occhi con i capelli perfettamente in ordine, lo sguardo vivo e l' alito fresco.

Nonostante questo, e nonostante i vaghi rumori provenienti dal corridoio dove già in molti si erano alzati, Lovino semplicemente non poteva fare a meno di guardarlo. Non lo toccava, o si contorceva in silenzio per osservarlo da varie prospettive. Non gli disegnava sulla faccia strani disegni e non gli legava insieme i piedi con le lenzuola per farlo cadere appena si sarebbe alzato - cose che, per inciso, aveva fatto e rifatto da piccolo. Lo guardava e basta.

E accettava, stranamente di buon grado, anche di farsi prendere in giro dallo spagnolo che, appena sveglio, non poteva fare a meno di baciarlo e di ripetergli almeno una decina di volte che era ancora più carino quando diventava rosso come un pomodoro.