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Autore: PrivateStalker    08/01/2013    2 recensioni
Gioia è una ragazza italiana, ventenne, che da poco ha perso la sua migliore amica.
La mamma la incita ad andare ad un viaggio di lavoro, con lei, viaggio senza una data di scadenza.
Contrariata, Gioia parte per questo viaggio ed inizierà a rendersi conto che la sua vita non è finita con la morte della sua migliore amica; del resto, questo viaggio si rivelerà un nuovo inizio per Gioia..e il tutto, grazie a Joseph Morgan.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joseph Morgan, Joseph Morgan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'avevo persa; la mia migliore amica da una vita aveva avuto un incidente ed aveva avuto la peggio. Ne era uscita da unica vittima.

La mia migliore amica... ancora stentavo a crederci, eppure... era la realtà.

Erano ormai passati diversi giorni dalla sua morte ed io continuavo a piangere la sua morte.

La vita era da sempre stata ingiusta, ma questa... questa era la cosa peggiore che potesse farmi; portarmi via la sola persona che potesse capirmi, l'unica che potesse darmi consigli che avrei accettato e messo in pratica, da sempre la mia migliore amica, no... davvero non lo accettavo.

Ero consapevole che lei non avrebbe voluto questo per me.

Come suo solito mi avrebbe detto di sorridere alla vita, di affrontarla – giorno dopo giorno – mostrandole che tra le due ero io quella più forte, quella che avrebbe vinto, ma non ci riuscivo.

Mi sentivo vuota.

Ero vuota.

Nessun sentimento attraversava più la mia anima, se non quel dolore lancinante che la perdita di Vanessa, la mia migliore amica, mi aveva procurato.

Rannicchiata nel letto, a volte seduta a terra, di spalle al muro e con le ginocchia tra le braccia, ascoltavo la Nostra compilation, formata dalle canzoni che avevano formato l'intera adolescenza, l'intera vita mia e di Vanessa. Mi faceva sentire accanto a lei.

Pensavo di non farcela e, forse, senza l'aiuto di mia madre non ci sarei mai riuscita.

Se mia madre non mi avrebbe costretta ad accompagnarla a quel viaggio di lavoro, forse, non mi sarei ripresa mai. Ed è merito suo, in parte, se oggi sono qui a scrivere queste poche righe.. a raccontare la mia storia.

 

ATLANTA

 

L'aereo è appena atterrato e mia madre, con il suo solito sorriso stampato in volto – a volte dannatamente fastidioso, mi prende sotto braccio, trascinandomi con lei nel gate, per aspettare di prendere le valigie.

Non so cosa, nella frase 'non sono dell'umore di fare un viaggio o qualsiasi altra cosa', non le era stato chiaro; mi ha praticamente catapultata su quel dannatissimo aereo, contro la mia volontà, e si aspettava anche che le fossi grata della cosa, che la ringraziassi.. assurdo!

“Gioia, dai... hai sempre sognato di fare un viaggio in America, ad Atlanta..” incalza, mostrandomi il suo sorriso che a volte vorrei proprio strapparglielo dalle labbra.

“No, mamma.” incrocio le braccia e allo stesso tempo porto il peso tutto su un lato, guardandola con circospezione. “Non ho mai sognato di fare un viaggio ad Atlanta. Io e Vanessa volevamo venirci. Ora non ha alcun senso.” continuo, puntualizzando la cosa. Il mio sogno era andare in America, certo, ma non con mia madre per lavoro. Il mio sogno era andarci con Vanessa, ma quel sogno si è frantumato con la morte di Vanessa. Ben tre mesi fa, ormai.

Volgo lo sguardo altrove, consapevole che il bel sorrisino di mia madre è svampito nel momento stesso in cui ho pronunciato quelle parole e che mi sta fissando con quella sua espressione da 'non so più cosa fare con te, figlia mia'.

“Le valigie.” incalzo, avanzando di pochi passi e chinandomi per prenderle, una dopo l'altra, per poi incamminarci all'uscita per prendere un taxi ed andare, finalmente, in quella che sarebbe stata la nostra nuova casa, momentaneamente.

 

Il tassista si ferma davanti un enorme edificio, all'interno del quale, credo, vi è anche il nostro appartamento, quello che sarà la nostra casa fino a tempo da definire. Certo, perchè mia madre non è mai stata chiara su quanto dovremmo rientrare in Italia, nella nostra piccola ed umile cittadina, dimenticata dal mondo intero e sconosciuta da molti.

Non che ami quel piccolo paesino, fatto di persone da riciclare uno dopo l'altra e semmai scambiare con qualcosa di molto meglio, ma al momento è l'unico posto in cui mi piacerebbe essere.. l'unico posto in cui sono certa che Lei sarà sempre al mio fianco.

Impaziente di chiudermi, con me medesima, nella mia nuova camera, scendo lasciando mia madre ancora intenta a pagare il tassista.

Mi guardo intorno, osservando tutto lo spazio circostante, studiandone ogni cosa, nei minimi particolari. L'edificio si trova in un piccolo quartiere, tranquillo sembrerebbe.. meglio, non ho certo voglia di iniziare il mio pernottamento qui con gli stramazzi di ragazzini in preda a chissà quale crisi.

“Gioia, ti spiacerebbe aiutarmi con le valigie?” la mamma richiama la mia attenzione e con i miei modi, talvolta poco garbati, mi volto e, in quello stesso istante, mi ritrovo corpo a corpo con qualcuno, ignara che quel qualcuno fosse alle mie spalle.

“Ehi!” urlo, alzando lo sguardo per vedere di chi si trattasse ed è in quel momento che noto due pozze d'acqua intente a fissarmi, intensamente, accompagnate da un sorriso che mette in evidenza quelle labbra dannatamente sexy ed invitanti e quelle fossette altrettanto sexy.

Sgrano gli occhi, mentre la mia bocca si apre istintivamente, evidenziando la sorpresa di trovarmi Quella persona davanti. Scuoto la testa e socchiudo gli occhi, per riprendermi da quello che sembra essere un sogno e quando li riapro le due pozze d'acqua sono ancora lì, più intense che mai, quei riccioli d'oro, potrei dire, sempre lì insieme a quel sorriso che per intere notti, prima che Vanessa morisse, avevo sognato.

“Io...” tento di dire qualcosa di sensato, ma non riusco a capacitarmi della cosa.

Non può essere vero; non ci credo.

Se ne sta fermo lì, immobile, a fissarmi, deliziandomi con quel suo sorriso dannatamente sexy... bello da morire, incantandomi con il suo sguardo, con quegli occhi azzurro intenso.

“Devo andare” non riesco a dire altro. Gli sorriso, indicando la figura di mia madre, alle sue spalle, intenta ad osservare l'intera scena. So già che avrà da chiedere molto al riguardo e che starà per giorni interi a prendermi in giro, ma del resto.... è mia madre. È fatta così. Ed è per questo che la amo.

Annuisce, con un semplice cenno con il capo, rendendo sexy anche quel piccolo movimento, mi regala un ultimo sorriso poi avanza, passo dopo passo, verso l'entrata dell'edificio, mentre io... bè... io rimango ferma lì, a vedere la sua figura allontanarsi fino a sparire dalla mia vista.

Mi riprendo, per quanto posso, dallo shock appena avuto e vado ad aiutare mia madre con le valigie, senza degnarla di uno sguardo o di una parola, consapevole che è in attesa di una mia spiegazione.

Non c'è poi molto da dire.

Ho solo incontrato l'uomo dei miei sogni, l'uomo delle mie fantasie vietate ai minori e non sono stata in grado di dire una parola; sono apparsa come una bambina, che gli sbavava sotto il naso, mentre lui se la rideva a pieno gusto. Oltre questo... no, non c'è niente da dire.

“chi era quello?” chiede mia madre. Ne ero certa. Sempre la solita storia.

Per una buona volta non posso avere un segreto, un qualcosa senza che mia madre lo sappia?

Va bene che il nostro rapporto madre – figlia è fondato sulla fiducia verso l'un l'altra, sul dirsi sempre tutto, come fossimo due amiche, ma.... ancora non sono pronta a condividere questo avvenimento con lei. Devo ancora capire cosa sia realmente accaduto, vale a dire niente.

“Chi era?” chiede nuovamente mia madre, entrando nell'enorme edificio, in attesa dell'ascensore.

Oddio, sta per portarmi all'esasperazione e se non le dico di chi si trattava non smetterà mai.

Scuoto la testa, ormai arresami a mia madre, stringo la valigia tra le mani, quasi a farmi forza, la guardo con uno sguardo torvo, poi sbuffo e mi arrendo del tutto, vuotando il sacco.

“Ma... Quel Joseph?” incalza, perplessa su ciò che le ho appena detto.

La osservo con uno sguardo inceneritore; qualora potessi, l'avrei già incenerita con il solo sguardo.

Dio Santo, ma quanti Joseph Morgan vuoi che esistano?

E soprattutto... Quanti Joseph Morgan conosco?

Faccio un lungo respiro, cercando di calmarmi, poi le rispondo “certo, mamma. Quel Joseph Morgan. Quel Joseph che ogni notte sogno, al mio fianco. Quel Joseph Morgan.” ribadisco il concetto, alzando leggermente la voce ed è in quel preciso istante che vorrei sotterrarmi, tanta la vergogna. Il bip dell'ascensore echeggia nell'aria e quando le ante di aprono rieccolo, di nuovo.

Arrossisco, pensando a quanto detto a mia madre, pochi istanti fa.

Non ho nemmeno il coraggio di guardarlo in volto, mentre mia mamma si lascia andare nei suoi soliti commenti di apprezzamento, cosa che – in un altro momento - avrei fatto anche io.

“wow” esclama mia madre, guardandolo dalla testa ai pieni, soffermandosi persino sui particolari discussi svariate volte a casa, quando eravamo solite parlarne.

“Sì, wow. Andiamo.” affermo in tono freddo, del tutto incavolata nera con mia madre che deve farmi fare sempre la solita figura. Aspettare che fossimo sole, noi due, nell'appartamento per indagare, no eh? Mai.

Aspetto che Joseph, finalmente, esca dall'ascensore, con il suo impeccabile sorriso, meraviglioso quanto conscio dell'apprezzamento fatto da mia madre, e sbuffando entro.

“Mamma!” incalzo, con un tono del tutto glaciale, invitandola a sbrigarsi ad entrare nell'ascensore.

Iniziamo male il pernottamento ad Atlanta, proprio male, e con il pensiero di Joseph mi lascio trasportare, dall'ascensore, verso quella che sarà la mia nuova casa, a tempo indeterminato.

  
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