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Autore: fiddle    10/01/2013    2 recensioni
Il risveglio traumatico di un'anima che non ha colpe, se non quella di non aver mai vissuto prima.
Io… non avevo nome quando mi svegliai terrorizzata in preda all’ultimo ricordo del mio corpo ospite. Non avevo una personalità quando mi ritrovai rapita da una spirale di dolore. Non ero nessuno quando fui invasa dalle emozioni, dai colori, dagli odori, dai suoni, dal sapore di sangue.
Fu così che la mia prima esperienza cominciò, essendo già in partenza un’avventura.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cercatrice
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Io… non avevo nome quando mi svegliai terrorizzata in preda all’ultimo ricordo del mio corpo ospite. Non avevo una personalità quando mi ritrovai rapita da una spirale di dolore. Non ero nessuno quando fui invasa dalle emozioni, dai colori, dagli odori, dai suoni, dal sapore di sangue.
Fu così che la mia prima esperienza cominciò, essendo già in partenza un’avventura.

 
Rientro a casa e metto le chiavi come al solito nel cesto sotto la bacheca in entrata. «Sono tornata!», urlo, nella speranza di non ricevere risposta, di trovare la casa deserta. In un primo momento sembra non esserci nessuno. Poi mi accorgo che dalla cucina si sentono dei rumori. Infine, la voce di mia madre mi risponde: «Lacey, cara, bentornata!». Mi irrigidisco. Ho sempre avuto un sesto senso per certe situazioni, ma in questo caso non ci vuole un genio per capire che qualcosa non va. Questa mattina sono uscita sbattendo la porta dopo l’ennesimo litigio con mia madre e sono andata a scuola calciando sassi e meditando su come rimediare. Durante le lezioni non ho avuto modo di pensarci, anzi, me ne sono completamente dimenticata. Solo una volta uscita mi è tornata in mente la scenata che le ho fatto, ma nonostante l’intero quarto d’ora che ho avuto per pensarci mentre camminavo per tornare a casa, non sono riuscita a trovare una soluzione. E mi aspettavo che mia madre, come al solito, cominciasse a sgridarmi appena fossi rientrata.
Quindi, non è possibile che le sia già passata.
«Sai», mi dice tranquilla dalla cucina. «Oggi è venuta a trovarmi Becky, ti ricordi di lei vero?»
Sento dei rumori. Due persone stanno uscendo dalla cucina. Vado loro incontro.
Per prima esce Becky, una signora di mezz’età, una vecchia amica di mia madre. Saranno dieci anni che non si vedono o non si sentono più. Per cui, ciò che mi viene più spontaneo da chiedere è: «E’ morto qualcuno?»
Becky ride, e anche mia madre, che finalmente esce dalla cucina. Il suo aspetto mi colpisce: sembra che abbia fatto una bella dormita, che sia riposata e, soprattutto, tranquilla. Niente rughe sulla fronte, solo delle piacevoli zampe di gallina ai lati degli occhi, socchiusi dalla risata che sembra, in un qualche modo, falsa, costruita. Irreale.
«No, tesoro», mi dice, proseguendo con quella che potrebbe sembrare una farsa. Il suo tono è impostato. Quello che mi viene in mente è che si stia trattenendo dallo sgridarmi perché abbiamo ospiti. Appena se ne andrà questa Becky si scatenerà l’inferno.
Poi vedo un particolare. Qualcosa che, in un viso conosciuto come il suo, un viso che vedo ogni giorno, volente o nolente, beh, non può passare inosservato.
I suoi occhi, da sempre dello stesso nero dei miei, sono quasi azzurri. O meglio, un sottile anello luminoso le brilla attorno alla pupilla, schiarendoglieli esageratamente.
Mi preoccupo, comincio a sudare. «Dov’è Fred?», chiedo cambiando improvvisamente argomento.
«E’ in camera sua che dorme, non ti preoccupare, e non disturbarlo. Andare all’università stanca», sorride mia madre. Anche Becky sorride. Sembra mi vogliano calmare. Quando mi agito inutilmente tutti mi sorridono così. Ma a me sembra una sfida, per cui il mio cuore inizia a battere più forte, e sento le gambe premere.
In quel momento, un urlo squarcia la calma illusoria.
«Fred!», grido.

 
«Fred!», gridai.
 
Corro in camera sua, senza quasi accorgermi dello sguardo preoccupato che si sono scambiate mia madre e quella Becky. Solo di mio fratello mi importa.
Spalanco la porta della sua camera. Fred si sta contorcendo in preda al dolore, sembrerebbe. I suoi occhi sono chiusi, sta dormendo, avendo un incubo.
Soffre così tanto che vorrei svegliarlo.
«Ehi, Fred», dico piano avvicinandomi. Le mani di mia madre si serrano attorno alle mie braccia e mi bloccano.
«Lascialo dormire», dice poco convinta. Una ruga verticale fra le sopracciglia, il sorriso forzato, quegli occhi sconosciuti, tutto ciò la tradisce.
Mi arrabbio, e mi dimentico di mio fratello.

 
Una voce mi fece notare che urlavo. Disse che mi stavo straziando dal male.
 
Con uno strattone mi libero dalla sua fragile presa. Invano cerca ancora di sorridermi. Crede di potermi ingannare ancora? L’ho già smascherata!
«Mamma», comincio, restando seria quanto posso. Ma la mia voce trema di rabbia, lacrime stanno per scendere dai miei occhi, che una volta somigliavano ai suoi. «Mamma, ho visto a scuola dei ragazzi improvvisamente cambiare comportamento. I più indisciplinati, i bulli, gli stronzi non attaccare più briga con nessuno. E mi sono accorta che alcuni di loro avevano gli occhi scuri fino a due, tre mesi fa, poi hanno, non so, forse hanno iniziato a usare delle lenti a contatto. Che ne so» Lei mi ascolta silenziosa e preoccupata. Intuisce dove sto andando a parare. Continuo: «Beh, ricordo bene di Bill Swift, quello di colore che picchiava sempre i ragazzini del primo anno. Un giorno mi accorsi che aveva gli occhi chiari. E’ di colore, mi sembra strano che avesse gli occhi chiari. Impossibile. Cosa ti è successo, mamma?» La rabbia mi sta passando. Aver parlato così mi ha solo resa triste, e spaventata: ho paura di quale possa essere la risposta. Ho paura di aver perso mia madre.
Mi guarda con un sguardo un po’ malinconico e comprensivo.
Becky invece no. Becky è seria. Becky non sorride più.

 
Un’altra parola senza senso sgorgò dalla bocca del mio corpo. «Aiuto», strillai, in agonia. Il suo ricordo non finiva più. Dalle memorie che avevo acquisito dalla mia Madre sapevo che ogni risveglio era un trauma, ma nessuno dei suoi era stato così complesso. La sua esperienza evidentemente non bastava per affrontare un mondo così ostile.
 

Le molle del letto cigolano.
Fred!
Il mio fratellone si è svegliato. Non ci somigliamo molto, io e lui. Lui è alto e muscoloso, io bassa e gracile. Dice sempre che è così perché deve proteggermi. Ma ho così tanta paura di dover essere io a proteggere lui, oggi.
Fred si è seduto sul bordo del letto. Ha la schiena ricurva, con un braccio si sostiene appoggiandosi al ginocchio, con l’altro si strofina gli occhi. Poi si alza, tenendoci le spalle, e si stiracchia.
Infine, si gira.
Sì, noi due non ci somigliamo molto, è vero. Ma gli occhi… gli occhi sono gli stessi. Grandi e neri, un po’ sporgenti.
E quest’uomo non ha i suoi occhi. Ha gli occhi freddi e argentei di mia madre, di Bill Swift e di questa Becky.
Fred sorride. «Ehi Lacey», esclama. «Fatti abbracciare»
Come lui muove un passo verso di me allargando le braccia, io mi giro e guardo mia madre, che sorride come se stesse per… non so, non l’ho mai vista sorridere così contenta.
La spingo violentemente. Lei non se lo aspettava e cade a terra con un’espressione sorpresa e ridicola in volto. Spingo via anche Becky e corro.
Non ci vuole molto ad arrivare alla porta. Ad uscire. Scappare.
Ma quando manca poco, pochi centimetri e avrò raggiunto la maniglia, due braccia forti mi abbracciano da dietro con affetto. Forse non voglio scappare. Forse non sono abbastanza convinta. Mi manca la motivazione. Non ho mai avuto amici, tutta la mia famiglia è qui, perché scappare? Da chi?
«Su Lacey», dice la voce di mio fratello. «Non ci vorrà molto, poi saremo tutti insieme»
Una mano sconosciuta – Becky, probabilmente – si avvicina reggendo un fazzoletto e me lo preme sul volto. Mi mordo la lingua nell’impatto.
Ho capito. Ho capito tutto.
Ho perso tutto.


Poi, finalmente il nero.
Avevo il fiatone, mi informò sempre quella voce.
Strano, dai ricordi della mia Madre non avrebbe dovuto esserci una voce nella mia testa, al di là della mia stessa linea dei pensieri. Però forse negli umani era normale. La mia Madre non era mai stata umana. Era stata in un posto dove non si vedeva e in un altro pieno di colori e di… “Sole”, terminò per me la voce.
“E non sono solo una voce. Sono qualcuno che ti rovinerà l’esistenza”
Le parole che disse, che contemporaneamente erano comprensibili e non avevano alcun senso, mi spaventarono.
Non capivo cosa significasse. Non sapevo niente, mi sentivo così persa… e così, agendo da umana perché ormai ero quello, aprii gli occhi. Li spalancai.
Presi fiato, con la bocca, respirando a fondo. Tutti gesti istintivi.
Sentii dei mormorii, poi tre corpi mi si avvicinarono e quello maschile mi aiutò a sedermi. Mi massaggiai le tempie con il pollice e il medio sinistri e sentii una risatina. Mi girai scocciata verso il maschio.
Lui semplicemente disse, sorridendo: «Anche Lacey faceva sempre così, a quanto si ricorda il mio ospite»
E tanto bastò a terrorizzare me e ad intristire la voce nella mia testa.
Non so chi delle due pianse, ma lacrime sgorgarono copiose dai miei occhi, una volta neri, ora rischiarati da un bagliore d’argento: il segno inequivocabile della morte dell’anima.



Beh, eccomi qui.
Ho scritto la mia prima fanfiction sull'ospite.
Ho immaginato il risveglio della Cercatrice. In verità, mi sta in simpatia. Era solo una povera anima senza personalità, come ho detto, che è stata plasmata dal caratteraccio di Lacey. E, ho immaginato, dalla sua brutta esperienza e dall'odio che provava per le anime.
Non va odiata, quella povera creatura. Come Wanda quando l'ha estratta dal cranio di Lacey, anch'io ho provato una profonda compassione per lei.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
  
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