Premessa alla storia: Non
so quanti di voi siano appassionati di “How I met your mother”, ma chi lo è
riconoscerà la citazione nel titolo e nella storia. Avevo questo pallino,
scrivere di “quella” scena con i Warblers – tra l’altro
io sono fermamente convinta che Thad sia un po’ Ted #scioglilingua – e ci ho provato. Non è venuta proprio
come volevo e ho faticato un po’ a finirla (tra una tavola su autocad e l’altra), quindi ve la propino senza troppe
aspettative. Gradirò comunque commenti e consigli se vorrete lasciarne.
Intanto, ringrazio la mia metà, perché mi dà un sacco di pareri
fondamentali, e Nym, perché sclera ad ogni
cosa che scrivo.
Dunque vi lascio qui a
leggere questa cosa insensata.
*fa un inchino e apre il
sipario*
Vals
°*°*°*°
Lo
conosci Thad?
Succedeva
ogni volta che Jeff si ritrovava a briglia sciolta, in un pub, nelle mani del
suo migliore amico; migliore amico che doveva intrattenerlo come meglio poteva,
in quelle occasioni. Jeff, infatti, soleva diventare intrattabile quando Nick
non era presente: quando non gli stringeva la mano sul tavolo, intrecciando le
dita alle sue, quando non gli rivolgeva sguardi che avrebbero fatto sciogliere
in una pozza di caramello anche il più freddo essere umano esistente, e quando
non era lì a dividere a metà con lui il suo cheeseburger. Era come un bambino
senza la mamma, uno di quelli che, lasciati da soli, combinano le marachelle
più impensabili; e Thad, quella sera, era stato
delegato a babysitter.
Nick, a detta sua, aveva
bisogno di non avere un Jeff che gironzolasse per l’appartamento e che lo distraesse – a modo suo – impedendogli
di concludere quella relazione che avrebbe dovuto consegnare il giorno seguente
anche a costo di morire sui libri. Thad lo aveva capito dallo sguardo di Jeff che, se fosse
rimasto a fare compagnia a Nick mentre studiava, quest’ultimo non avrebbe
concluso poi molto; e figurarsi, non che a Nick dispiacesse, ma ne andava del
suo esame. Perciò Thad gliel’aveva concessa un po’ di
tranquillità e si era portato via Jeff, inventandosi qualcosa tipo “è una vita
che non passiamo un po’ di tempo insieme”, alla quale Jeff aveva assentito
concorde.
Eh, sì. Succedeva ogni volta
che si ritrovavano, lui e Jeff, da soli in un pub. Il biondo non poteva avere
relazione più felice e così, tra un sospiro e l’altro, dovuti alla noia, finiva
per impicciarsi della vita del suo migliore amico. E fondamentalmente Thad non era poi così attaccato all’idea di fare nuove
conoscenze e buttarsi in una storia. Certo è che si fermava spesso ad immaginare
come sarebbe stata la sua vita al fianco di una persona speciale, per così dire; ma Jeff aveva una concezione tutta
sua del conoscere qualcuno. Per lui
era facile, era stato tutta la vita con lo stesso ragazzo, non aveva mica di
questi problemi?
‹‹Quella ragazza lì, per
esempio?›› Indicò l’ennesimo essere irto su due gambe, presente in quel pub –
ce l’aveva quasi fatta, ancora un po’ e li avrebbe indicati tutti, uomini e
donne. ‹‹È bionda come me, il che è un punto a suo favore, non ti pare?››
Thad
neanche si sforzò di voltarsi e guardare nella direzione in cui era puntato
l’indice di Jeff. Semplicemente roteò gli occhi, mentre se ne stava poggiato
con i gomiti al bancone del pub e si rigirava il boccale di birra tra le mani.
‹‹No, Jeff, né biondi, né mori
e né rossi.›› rispose con una smorfia in viso, dopo aver sospirato, ‹‹Te l’ho
detto migliaia di volte: non puoi attaccarmi sulla schiena un cartello con
sopra scritto “svendita” ogni volta che veniamo al bar.››
Jeff, come da copione, mise su
un finto broncio – uno dei suoi classici – e picchiettò lievemente il piede sul
piolo dello sgabello sul quale stava seduto.
‹‹Ma io voglio solo vederti
felice, Thaddy.››
Si premurò di sottolineare e scandire per bene quel soprannome a fine frase, prima
di scostarsi la frangetta bionda dagli occhi con le dita e aggiungere: ‹‹Se non
fossi sempre così brontolone, a
quest’ora avresti una calca di pretendenti a fare la fila per poter scambiare
quattro chiacchiere con te.››
Il musone stava già sparendo
dal volto di Jeff, lasciandovi su un sorriso birichino, mentre Thad si voltava lentamente a guardarlo e, con altrettanta
lentezza, inarcava un sopracciglio e scuoteva il capo, scettico.
‹‹Non mi pare di vedere una
gran folla dietro di te, invece, Jeff.›› replicò il moro, un sorrisino ironico
a colorargli il viso, ‹‹Questo significa che la tua teoria non è così valida.››
Tornò a fissare la bibita
gialla nel bicchiere, la schiuma si era quasi del tutto ritirata da quando il
barista aveva posato le birre davanti a loro. Fece roteare un po’ il boccale,
osservando il liquido ondeggiare da destra verso sinistra e viceversa, e
scrollo leggermente le spalle.
‹‹E poi ai ragazzi piacciono i bronci…
e anche alle ragazze.››
‹‹Lo so.›› asserì Jeff, con
fare saputo, e Thad con la coda dell’occhio poté
notare il suo petto gonfiarsi e il suo sguardo farsi sicuro, ‹‹Nick ci muore
quando gli faccio il broncio.›› Il sorriso gli si allargò notevolmente, mentre
proseguiva soddisfatto: ‹‹Riesco a piegarlo sempre al mio volere quando-››
‹‹Mi risparmi i dettagli? Ti
prego…››
Jeff parve zittirsi un attimo,
forse un po’ offeso dal freno che l’amico gli aveva imposto; ma del resto,
anche alla bontà d’animo di Thad Harwood
c’era un limite, e quel limite corrispondeva ad un ben poco celato “Ti prego, non
infierire. La mia vita è già deprimente di per sé”. Perché Thad
ci aveva provato davvero ad avere a che fare con possibili spasimanti/donzelle
in cerca dell’uomo giusto, ma non era mai andata in porto. Era come se si
trovasse perennemente avvolto da una membrana trasparente che allontanava le
sue conquiste – conquiste poi! – un po’ come la gabbia di Faraday, insomma, che
isola l’interno dall’elettricità, ma all’esterno la conduce. Ecco, Thad era fuori da qualsiasi intreccio amoroso, se così
vogliamo metterla, e non era neanche colpa sua.
‹‹Però…›› Jeff aveva iniziato a
far tintinnare lievemente il boccale tamburellandovi l’unghia dell’indice sopra
e, nel frattempo, rimuginando con gli occhi rivolti al solaio in legno.
Thad lo
sapeva che quella semplice congiunzione avversativa non prometteva nulla di
buono; per questo stette all’erta, mentre Jeff scendeva dallo sgabello e
fingeva di stiracchiare le gambe. Lo fissò con la fronte aggrottata.
‹‹Però… cosa?›› lo interrogò pacatamente e con estrema cautela.
Jeff gli restituì uno sguardo
luminoso, mentre le sue mani si serravano maggiormente attorno al boccale, come
a temere che potesse scappare. Drizzò maggiormente la schiena, ergendosi in
tutto il suo metro e ottanta, e sorrise man mano di più.
‹‹Dicevo, potremmo giocare.››
E nel sentire quelle parole, Thad inarcò un sopracciglio così tanto da farsi venire il
mal di testa e boccheggiò un attimo prima di chiedere:
‹‹Giocare? A cosa?››
La smorfia sempre più birichina
di Jeff bastò a fargli capire quali erano le sue intenzioni.
‹‹No, Jeff, non ci provare. Non
azzardarti a giocare a-››
Neanche a dirlo. Jeff si era
già allontanato di un passo dal bancone, reggendo il boccale con una mano, e si
era fatto più vicino all’uomo che gli stava accanto, col capo voltato dal lato
opposto, a chiacchierare col barista.
Gli picchiettò con una mano su
di una spalla e quello si girò a guardarlo stupito.
‹‹Ciao! Lo conosci Thad?››
Puntò un indice verso il suo
migliore amico – che, dal canto suo, si ritrovò a voler morire colpito da un
fulmine, in modo rapido e indolore – e poi sparì dalla circolazione con la
stessa velocità con cui sparivano le ali di pollo nelle sue mani.
Non
di nuovo. Pensò mentre il viso gli si colorava di rosso per la
vergogna e mentre i suoi occhi si posavano sull’ennesimo ragazzo a caso scelto
da Jeff. Lo faceva spesso quel gioco, si giustificava dicendo che la sorte
doveva girare dalla parte giusta prima o poi; e Thad
lo odiava quando lo metteva in quelle situazioni imbarazzanti, lo odiava
perché, dannazione, lo sapeva che lui non era bravo con quelle cose.
Ma stranamente, quando il
nocciola dei suoi occhi si specchiò nel mare verde e brillante che costituiva
le iridi di quello sconosciuto, il suo stomaco fece una capriola e tutto l’odio
che stava provando per quel gioco insulso si dissolse, come un cumulo di neve cosparso
di sale.
Si voltò completamente verso di
lui e Thad si fermò ad analizzare la sua immagine:
era alto, magro, slanciato; aveva dei capelli castani liscissimi il cui ciuffo
era perfettamente tenuto in su e voltato su un lato; la carnagione chiara, gli
zigomi pronunciati e le labbra incurvate in un lieve sorriso; la camicia che
indossava era di un grigio neutro, il cui tessuto accarezzava in maniera
perfetta le spalle, il petto e i fianchi; i pantaloni, rigorosamente neri e
attillati, mettevano in risalto le sue gambe magre.
‹‹Thad,
presumo.››
Sollevò nuovamente lo sguardo
sul suo viso, colto alla sprovvista dalla voce dell’altro, così melliflua e…
sensuale, sì. Maledizione.
Sentì il calore espandersi
dalle guance a tutto il corpo e non seppe se era causato dall’imbarazzo, dovuto
all’essersi soffermato troppo ad osservarlo, o dalla soggezione che gli metteva
il suo sguardo sicuro.
‹‹Thad,
sì.›› riuscì a dire, senza staccare gli occhi da lui, ‹‹Mi chiamo Thad.››
Quello
sconosciuto, dagli occhi tremendamente belli e incantevoli, si fece più vicino
a Thad che, dal canto suo, rimase fermo, sul suo
sgabello, ad osservarlo porre rimedio a quella quasi inconsistente distanza che
li divideva; quando si sedette al posto dove prima stava accomodato Jeff, le
sue ginocchia sfiorarono quelle di Thad, voltate
verso di lui e sporgenti, dato che aveva i piedi poggiati sul piolo della
sedia.
‹‹Thad.›› Assaporò lentamente il suo nome e quella voce, di
nuovo, fece venire i brividi al ragazzo a cui si stava rivolgendo. ‹‹È un nome
decisamente appropriato per un bel
faccino come il tuo.››
Thad non
si permise di distogliere lo sguardo dal suo, probabilmente stregato dalla
disinvoltura con cui lo stava rapendo lentamente. Riuscì solo a sbirciare per
un attimo, con la coda dell'occhio, la sua mano, lasciata giacere sul bancone;
le sue dita, a due centimetri da quelle dell'altro, non toccavano la sua mano
ma Thad ne avvertiva ugualmente il calore, come se
fossero dei fiammiferi accesi - aveva paura di scottarsi ad avvicinarsi ancora.
‹‹Anche
tu devi avere un nome, immagino.›› disse con un filo di voce e lui si sporse in
avanti, come se volesse comunicarglielo in segreto.
‹‹Sebastian.››
Un nome, un sibilo che scivolò via dalle sue labbra in maniera elegante, mentre
le sue dita si andavano a posizionare negli spazi vuoti di quelle di Thad, leggermente divaricate, infiammandole.
Non
si lasciò intimidire più del dovuto, Thad. Nonostante
il cuore avesse iniziato a palpitare forsennatamente, si costrinse a tenere la
testa alta e a non lasciarsi plagiare da quello sguardo.
‹‹È
un nome decisamente appropriato... per un ragazzo tanto appariscente come
te.›› disse con una punta di ironia, al che il suddetto Sebastian incurvò
maggiormente le labbra, quasi divertito da quella lotta fatta di parole, appena
ingaggiata.
‹‹Appariscente?››
Ancora quel tono di voce che, dannazione, Thad stava
cominciando a non sostenere più – gli faceva venire la pelle d’oca. Sebastian
fece un cenno con la testa verso un tavolo al centro della sala e Thad, voltandosi lievemente, vi vide seduto Jeff che li
osservava attento e vigile, nascondendo parte del viso con il boccale di birra.
‹‹Al
tuo amico non sembravo così tanto appariscente.›› bisbigliò Sebastian, ad un
palmo di distanza dal suo orecchio – un attimo di distrazione e si era
avvicinato così tanto, ‹‹Per presentarmi a te, intendo.››
Thad
riportò gli occhi su di lui e si sforzò di sorridere, nonostante l’averlo così
vicino gli stesse procurando agitazione.
‹‹Cosa
ti fa pensare che i tipi appariscenti mi dispiacciano?›› domandò con quanta più
calma riuscì a racimolare.
‹‹Oh,
nulla.›› rispose l’altro con semplicità, drizzandosi sulla schiena e quasi
sovrastandolo in altezza, cosa che mise ulteriormente Thad
in soggezione, soprattutto nel momento in cui due dita dell’altra sua mano gli
sfiorarono la guancia, ‹‹A giudicare dal tuo colorito, sembra che io non ti
dispiaccia per niente.››
E Thad non credeva affatto nei colpi di fulmine, né tantomeno
nei colpi di testa ma, porca miseria,
perché quella vicinanza e quelle maledette pozze verdi lo stavano facendo
andare in fiamme in quella maniera?
‹‹Il…
mio colorito?›› Si ritrovò a boccheggiare subito dopo e quello sconosciuto –
che tanto sconosciuto non era più – sorrise maggiormente, e a Thad parve un sorriso sincero, non un ghigno, non una
smorfia.
‹‹Sei
arrossito.›› ovviò, inclinando leggermente la testa di lato per guardarlo con
tenerezza, ‹‹Non credevo che un uomo potesse risultare adorabile e allo stesso
tempo sexy.›› Thad
avvertì quell’ultima parola scorrergli nelle vene fin dentro lo stomaco e
scombussolarlo tutto. ‹‹Ma evidentemente ho avuto a che fare con ragazzi troppo
semplici nella mia vita.››
‹‹Anche
io mi ritengo un ragazzo semplice.›› A Sebastian arrivò come un mormorio quella
frase, faticò quasi a recepirla in mezzo al trambusto tonante del pub.
‹‹Non
così semplice come credi.›› Aveva abbassato anche lui la voce e si era perso a
studiare il suo viso con fare concentrato.
Thad si
allontanò lievemente dal suo tocco, scivolando più indietro sulla seduta dello
sgabello e permettendo a se stesso di riprendere fiato, dato che quello lo
aveva abbandonato, e di riacquistare una temperatura corporea decente.
‹‹Ti
ho appena conosciuto, eppure già mi sembri un ragazzo dalle mille sfumature.›› Un po’ si permise di
alludere al suo rossore, Sebastian. ‹‹Nel vero senso della parola.›› Rise, dopo
aver detto ciò, ma fu una risata così composta che Thad
non se la sentì di fare l’offeso.
‹‹A
me invece sembri un tipo molto adulatore, Sebastian.›› Gli sorrise di rimando,
mentre avvertiva il corpo rilassarsi – ringraziò mentalmente il suo carattere
tenace per quello – ed osservò il ragazzo farsi indietro, accomodarsi meglio
sulla sua sedia e rubare un sorso di birra dal suo boccale – quello di Thad, sì.
‹‹Non
sto adulando nessuno.›› disse con disinvoltura, ‹‹Il sottoscritto dice sempre e
solo quello che pensa.››
‹‹E
non pensi, per esempio, che quella birra sia mia?›› Thad
non usò un tono acido. Gli fece quella domanda con un sorriso amichevole e
divertito sulle labbra, e attese la sua risposta. Attese quell’incurvarsi di
labbra e quel luccichio interessato negli occhi di Sebastian.
Quest’ultimo
abbassò il boccale e lo posò nuovamente sul bancone.
‹‹Credevo
volessi offrirmi da bere.›› replicò con un sorrisino sfacciato.
‹‹Anch’io.
Credevo che mi dovessi offrire da
bere.›› Si prese un labbro tra i denti per avere osato dire una cosa del
genere, ma il sorriso non gli si spense, e quell’espressione colpì Sebastian
dritto al petto. Glielo lesse negli occhi, nel movimento veloce che compirono
le sue palpebre, e sulle sue labbra schiuse.
‹‹Quanta
importanza ti dai, piccolo?›› scandì,
sibilando di nuovo e occultando al meglio lo stupore.
Stavolta
fu Thad a farsi più vicino, puntellandosi col gomito
sul bancone e parlandogli a voce bassa.
‹‹Non
è colpa mia, sei tu che mi hai fatto montare la testa.››
‹‹Beh,
tu puoi permettertelo, hai ragione.›› Sebastian colse l’occasione per sporgersi
verso di lui, nuovamente, e per accarezzare il suo braccio da sopra la camicia
azzurrissima, gesto che provocò a Thad un brivido
lento, che gli percorse tutto l’arto seguendo le dita del ragazzo che le stava
causando.
‹‹Anche
tu… credo.›› replicò, col cervello che man mano lo abbandonava e che lasciava
il posto ad un susseguirsi di respiri veloci.
‹‹Non
sono più appariscente quindi?››
Sei dannatamente appariscente, avrebbe voluto rispondergli, ma quel ragazzo
aveva la capacità di distrarlo e Thad l’insana mania
di perdere le parole per strada. Era di nuovo troppo vicino adesso, in piedi,
chinato sul suo viso, e Thad quasi lo sentiva
respirare sulla sua pelle. Rimase immobile stavolta, immobile mentre lui si
avvicinava ancora e riempiva il suo braccio di carezze. Una parte di lui gli
consigliò che, no, non era il caso di lasciarsi andare in questo modo, col
primo venuto. Vi avrebbe anche dato ascolto, alla sua coscienza, se non si
fosse trovato irrimediabilmente paralizzato dal suo sguardo.
‹‹No,
non lo sei.›› mormorò e si risvegliò quasi dal torpore che lo avvolgeva, nel sentire
le sue dita sfiorargli appena il petto e infilargli un oggetto rettangolare e
sottile all’interno del taschino.
‹‹Allora
credo che…››
Una
mano si posò sulla spalla di Sebastian, proprio in quel momento, premendovi
sopra e separandolo da Thad, facendolo tornare al suo
posto; ma la mano non era quella di Thad – le dita
erano più lunghe e sottili; bastò voltare lo sguardo per rendersi conto che
Jeff era “corso in suo aiuto”, se così si può dire.
‹‹Jeff…?››
‹‹Io
credo che basti così invece.›› Jeff Sterling completò al posto di Sebastian la
frase che quest’ultimo aveva lasciato in sospeso. Ora stava poggiato al bancone
con disinvoltura, quel ragazzo bellissimo dagli occhi verdi, e li guardava
entrambi con un’espressione a metà tra il soddisfatto e il divertito, il
sopracciglio lievemente inarcato.
‹‹Sei
tu che mi hai chiesto di conoscerlo.›› si giustificò, ghignando.
‹‹Conoscere
Thad, non comprendeva farsi Thad.›› borbottò in risposta Jeff,
e Thad lo sapeva che quando il suo migliore amico
iniziava a fare le sue solite scenate di gelosia e di iperprotettività, non c’era
limite al peggio. Ma quella volta, Jeff si limitò a prendergli la mano e a
tirarlo leggermente per farlo alzare. ‹‹Andiamo, Thad,
questo qui non fa per te.››
Jeff
si era voltato e Thad aveva abbandonato lo sgabello,
lasciandosi trascinare dal suo migliore amico.
‹‹Questo
bar è pieno di imbecilli.›› lo sentì borbottare, ma non distolse lo sguardo
dagli occhi di Sebastian, che lo seguivano, mentre si allontanava, e che gli
apparivano sicuri e per niente arrabbiati per quell’interruzione.
Lo
vide sollevare il braccio che giaceva lungo il suo fianco, portare la mano
all’altezza del petto e infine indicarsi la tasca della camicia con un indice.
Automaticamente,
Thad fece lo stesso: premette il palmo sulla sua
tasca e avvertì quel rettangolo sottile e rigido che Sebastian vi aveva
infilato dentro. Jeff era distratto, concentrato a maledire qualsiasi essere
vivente esistente, e Thad ne approfittò. Tirò fuori
dalla tasca quello che risultò essere un cartoncino bianco.
Sopra
c’era scritto il nome completo di Sebastian, con inchiostro blu.
Sotto,
in rosso, il suo numero di cellulare.
Thad
sorrise e nascose immediatamente il cartoncino, giusto prima che Jeff si
girasse e gli chiedesse:
‹‹Non
ho ragione?››
‹‹Oh,
sicuro, Jeff. Sicuro.››
Fine… forse.
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