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Autore: Vals Fanwriter    11/01/2013    6 recensioni
Neanche a dirlo. Jeff si era già allontanato di un passo dal bancone, reggendo il boccale con una mano, e si era fatto più vicino all'uomo che gli stava accanto, col capo voltato dal lato opposto, a chiacchierare col barista.
Gli picchiettò con una mano su di una spalla e quello si girò a guardarlo stupito.
‹‹Ciao! Lo conosci Thad?››

Thadastian | OS | Commedia, Pseudo-Fluff | AU
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa alla storia: Non so quanti di voi siano appassionati di “How I met your mother”, ma chi lo è riconoscerà la citazione nel titolo e nella storia. Avevo questo pallino, scrivere di “quella” scena con i Warblers – tra l’altro io sono fermamente convinta che Thad sia un po’ Ted #scioglilingua – e ci ho provato. Non è venuta proprio come volevo e ho faticato un po’ a finirla (tra una tavola su autocad e l’altra), quindi ve la propino senza troppe aspettative. Gradirò comunque commenti e consigli se vorrete lasciarne. Intanto, ringrazio la mia metà, perché mi dà un sacco di pareri fondamentali, e Nym, perché sclera ad ogni cosa che scrivo.

Dunque vi lascio qui a leggere questa cosa insensata.

*fa un inchino e apre il sipario*

 

Vals

 

°*°*°*°

 

Lo conosci Thad?

 

 

 

Succedeva ogni volta che Jeff si ritrovava a briglia sciolta, in un pub, nelle mani del suo migliore amico; migliore amico che doveva intrattenerlo come meglio poteva, in quelle occasioni. Jeff, infatti, soleva diventare intrattabile quando Nick non era presente: quando non gli stringeva la mano sul tavolo, intrecciando le dita alle sue, quando non gli rivolgeva sguardi che avrebbero fatto sciogliere in una pozza di caramello anche il più freddo essere umano esistente, e quando non era lì a dividere a metà con lui il suo cheeseburger. Era come un bambino senza la mamma, uno di quelli che, lasciati da soli, combinano le marachelle più impensabili; e Thad, quella sera, era stato delegato a babysitter.

Nick, a detta sua, aveva bisogno di non avere un Jeff che gironzolasse per l’appartamento e che lo distraesse – a modo suo – impedendogli di concludere quella relazione che avrebbe dovuto consegnare il giorno seguente anche a costo di morire sui libri. Thad lo aveva capito dallo sguardo di Jeff che, se fosse rimasto a fare compagnia a Nick mentre studiava, quest’ultimo non avrebbe concluso poi molto; e figurarsi, non che a Nick dispiacesse, ma ne andava del suo esame. Perciò Thad gliel’aveva concessa un po’ di tranquillità e si era portato via Jeff, inventandosi qualcosa tipo “è una vita che non passiamo un po’ di tempo insieme”, alla quale Jeff aveva assentito concorde.

Eh, sì. Succedeva ogni volta che si ritrovavano, lui e Jeff, da soli in un pub. Il biondo non poteva avere relazione più felice e così, tra un sospiro e l’altro, dovuti alla noia, finiva per impicciarsi della vita del suo migliore amico. E fondamentalmente Thad non era poi così attaccato all’idea di fare nuove conoscenze e buttarsi in una storia. Certo è che si fermava spesso ad immaginare come sarebbe stata la sua vita al fianco di una persona speciale, per così dire; ma Jeff aveva una concezione tutta sua del conoscere qualcuno. Per lui era facile, era stato tutta la vita con lo stesso ragazzo, non aveva mica di questi problemi?

‹‹Quella ragazza lì, per esempio?›› Indicò l’ennesimo essere irto su due gambe, presente in quel pub – ce l’aveva quasi fatta, ancora un po’ e li avrebbe indicati tutti, uomini e donne. ‹‹È bionda come me, il che è un punto a suo favore, non ti pare?››

Thad neanche si sforzò di voltarsi e guardare nella direzione in cui era puntato l’indice di Jeff. Semplicemente roteò gli occhi, mentre se ne stava poggiato con i gomiti al bancone del pub e si rigirava il boccale di birra tra le mani.

‹‹No, Jeff, né biondi, né mori e né rossi.›› rispose con una smorfia in viso, dopo aver sospirato, ‹‹Te l’ho detto migliaia di volte: non puoi attaccarmi sulla schiena un cartello con sopra scritto “svendita” ogni volta che veniamo al bar.››

Jeff, come da copione, mise su un finto broncio – uno dei suoi classici – e picchiettò lievemente il piede sul piolo dello sgabello sul quale stava seduto.

‹‹Ma io voglio solo vederti felice, Thaddy.›› Si premurò di sottolineare e scandire per bene quel soprannome a fine frase, prima di scostarsi la frangetta bionda dagli occhi con le dita e aggiungere: ‹‹Se non fossi sempre così brontolone, a quest’ora avresti una calca di pretendenti a fare la fila per poter scambiare quattro chiacchiere con te.››

Il musone stava già sparendo dal volto di Jeff, lasciandovi su un sorriso birichino, mentre Thad si voltava lentamente a guardarlo e, con altrettanta lentezza, inarcava un sopracciglio e scuoteva il capo, scettico.

‹‹Non mi pare di vedere una gran folla dietro di te, invece, Jeff.›› replicò il moro, un sorrisino ironico a colorargli il viso, ‹‹Questo significa che la tua teoria non è così valida.››

Tornò a fissare la bibita gialla nel bicchiere, la schiuma si era quasi del tutto ritirata da quando il barista aveva posato le birre davanti a loro. Fece roteare un po’ il boccale, osservando il liquido ondeggiare da destra verso sinistra e viceversa, e scrollo leggermente le spalle.

‹‹E poi ai ragazzi piacciono i bronci… e anche alle ragazze.››

‹‹Lo so.›› asserì Jeff, con fare saputo, e Thad con la coda dell’occhio poté notare il suo petto gonfiarsi e il suo sguardo farsi sicuro, ‹‹Nick ci muore quando gli faccio il broncio.›› Il sorriso gli si allargò notevolmente, mentre proseguiva soddisfatto: ‹‹Riesco a piegarlo sempre al mio volere quando-››

‹‹Mi risparmi i dettagli? Ti prego…››

Jeff parve zittirsi un attimo, forse un po’ offeso dal freno che l’amico gli aveva imposto; ma del resto, anche alla bontà d’animo di Thad Harwood c’era un limite, e quel limite corrispondeva ad un ben poco celato “Ti prego, non infierire. La mia vita è già deprimente di per sé”. Perché Thad ci aveva provato davvero ad avere a che fare con possibili spasimanti/donzelle in cerca dell’uomo giusto, ma non era mai andata in porto. Era come se si trovasse perennemente avvolto da una membrana trasparente che allontanava le sue conquiste – conquiste poi! – un po’ come la gabbia di Faraday, insomma, che isola l’interno dall’elettricità, ma all’esterno la conduce. Ecco, Thad era fuori da qualsiasi intreccio amoroso, se così vogliamo metterla, e non era neanche colpa sua.

‹‹Però…›› Jeff aveva iniziato a far tintinnare lievemente il boccale tamburellandovi l’unghia dell’indice sopra e, nel frattempo, rimuginando con gli occhi rivolti al solaio in legno.

Thad lo sapeva che quella semplice congiunzione avversativa non prometteva nulla di buono; per questo stette all’erta, mentre Jeff scendeva dallo sgabello e fingeva di stiracchiare le gambe. Lo fissò con la fronte aggrottata.

‹‹Però… cosa?›› lo interrogò pacatamente e con estrema cautela.

Jeff gli restituì uno sguardo luminoso, mentre le sue mani si serravano maggiormente attorno al boccale, come a temere che potesse scappare. Drizzò maggiormente la schiena, ergendosi in tutto il suo metro e ottanta, e sorrise man mano di più.

‹‹Dicevo, potremmo giocare.››

E nel sentire quelle parole, Thad inarcò un sopracciglio così tanto da farsi venire il mal di testa e boccheggiò un attimo prima di chiedere:

‹‹Giocare? A cosa?››

La smorfia sempre più birichina di Jeff bastò a fargli capire quali erano le sue intenzioni.

‹‹No, Jeff, non ci provare. Non azzardarti a giocare a-››

Neanche a dirlo. Jeff si era già allontanato di un passo dal bancone, reggendo il boccale con una mano, e si era fatto più vicino all’uomo che gli stava accanto, col capo voltato dal lato opposto, a chiacchierare col barista.

Gli picchiettò con una mano su di una spalla e quello si girò a guardarlo stupito.

‹‹Ciao! Lo conosci Thad?››

Puntò un indice verso il suo migliore amico – che, dal canto suo, si ritrovò a voler morire colpito da un fulmine, in modo rapido e indolore – e poi sparì dalla circolazione con la stessa velocità con cui sparivano le ali di pollo nelle sue mani.

Non di nuovo. Pensò mentre il viso gli si colorava di rosso per la vergogna e mentre i suoi occhi si posavano sull’ennesimo ragazzo a caso scelto da Jeff. Lo faceva spesso quel gioco, si giustificava dicendo che la sorte doveva girare dalla parte giusta prima o poi; e Thad lo odiava quando lo metteva in quelle situazioni imbarazzanti, lo odiava perché, dannazione, lo sapeva che lui non era bravo con quelle cose.

Ma stranamente, quando il nocciola dei suoi occhi si specchiò nel mare verde e brillante che costituiva le iridi di quello sconosciuto, il suo stomaco fece una capriola e tutto l’odio che stava provando per quel gioco insulso si dissolse, come un cumulo di neve cosparso di sale.

Si voltò completamente verso di lui e Thad si fermò ad analizzare la sua immagine: era alto, magro, slanciato; aveva dei capelli castani liscissimi il cui ciuffo era perfettamente tenuto in su e voltato su un lato; la carnagione chiara, gli zigomi pronunciati e le labbra incurvate in un lieve sorriso; la camicia che indossava era di un grigio neutro, il cui tessuto accarezzava in maniera perfetta le spalle, il petto e i fianchi; i pantaloni, rigorosamente neri e attillati, mettevano in risalto le sue gambe magre.

‹‹Thad, presumo.››

Sollevò nuovamente lo sguardo sul suo viso, colto alla sprovvista dalla voce dell’altro, così melliflua e… sensuale, sì. Maledizione.

Sentì il calore espandersi dalle guance a tutto il corpo e non seppe se era causato dall’imbarazzo, dovuto all’essersi soffermato troppo ad osservarlo, o dalla soggezione che gli metteva il suo sguardo sicuro.

‹‹Thad, sì.›› riuscì a dire, senza staccare gli occhi da lui, ‹‹Mi chiamo Thad.››

Quello sconosciuto, dagli occhi tremendamente belli e incantevoli, si fece più vicino a Thad che, dal canto suo, rimase fermo, sul suo sgabello, ad osservarlo porre rimedio a quella quasi inconsistente distanza che li divideva; quando si sedette al posto dove prima stava accomodato Jeff, le sue ginocchia sfiorarono quelle di Thad, voltate verso di lui e sporgenti, dato che aveva i piedi poggiati sul piolo della sedia.

‹‹Thad.›› Assaporò lentamente il suo nome e quella voce, di nuovo, fece venire i brividi al ragazzo a cui si stava rivolgendo. ‹‹È un nome decisamente appropriato per un bel faccino come il tuo.››

Thad non si permise di distogliere lo sguardo dal suo, probabilmente stregato dalla disinvoltura con cui lo stava rapendo lentamente. Riuscì solo a sbirciare per un attimo, con la coda dell'occhio, la sua mano, lasciata giacere sul bancone; le sue dita, a due centimetri da quelle dell'altro, non toccavano la sua mano ma Thad ne avvertiva ugualmente il calore, come se fossero dei fiammiferi accesi - aveva paura di scottarsi ad avvicinarsi ancora.

‹‹Anche tu devi avere un nome, immagino.›› disse con un filo di voce e lui si sporse in avanti, come se volesse comunicarglielo in segreto.

‹‹Sebastian.›› Un nome, un sibilo che scivolò via dalle sue labbra in maniera elegante, mentre le sue dita si andavano a posizionare negli spazi vuoti di quelle di Thad, leggermente divaricate, infiammandole.

Non si lasciò intimidire più del dovuto, Thad. Nonostante il cuore avesse iniziato a palpitare forsennatamente, si costrinse a tenere la testa alta e a non lasciarsi plagiare da quello sguardo.

‹‹È un nome decisamente appropriato... per un ragazzo tanto appariscente come te.›› disse con una punta di ironia, al che il suddetto Sebastian incurvò maggiormente le labbra, quasi divertito da quella lotta fatta di parole, appena ingaggiata.

‹‹Appariscente?›› Ancora quel tono di voce che, dannazione, Thad stava cominciando a non sostenere più – gli faceva venire la pelle d’oca. Sebastian fece un cenno con la testa verso un tavolo al centro della sala e Thad, voltandosi lievemente, vi vide seduto Jeff che li osservava attento e vigile, nascondendo parte del viso con il boccale di birra.

‹‹Al tuo amico non sembravo così tanto appariscente.›› bisbigliò Sebastian, ad un palmo di distanza dal suo orecchio – un attimo di distrazione e si era avvicinato così tanto, ‹‹Per presentarmi a te, intendo.››

Thad riportò gli occhi su di lui e si sforzò di sorridere, nonostante l’averlo così vicino gli stesse procurando agitazione.

‹‹Cosa ti fa pensare che i tipi appariscenti mi dispiacciano?›› domandò con quanta più calma riuscì a racimolare.

‹‹Oh, nulla.›› rispose l’altro con semplicità, drizzandosi sulla schiena e quasi sovrastandolo in altezza, cosa che mise ulteriormente Thad in soggezione, soprattutto nel momento in cui due dita dell’altra sua mano gli sfiorarono la guancia, ‹‹A giudicare dal tuo colorito, sembra che io non ti dispiaccia per niente.››

E Thad non credeva affatto nei colpi di fulmine, né tantomeno nei colpi di testa ma, porca miseria, perché quella vicinanza e quelle maledette pozze verdi lo stavano facendo andare in fiamme in quella maniera?

‹‹Il… mio colorito?›› Si ritrovò a boccheggiare subito dopo e quello sconosciuto – che tanto sconosciuto non era più – sorrise maggiormente, e a Thad parve un sorriso sincero, non un ghigno, non una smorfia.

‹‹Sei arrossito.›› ovviò, inclinando leggermente la testa di lato per guardarlo con tenerezza, ‹‹Non credevo che un uomo potesse risultare adorabile e allo stesso tempo sexy.›› Thad avvertì quell’ultima parola scorrergli nelle vene fin dentro lo stomaco e scombussolarlo tutto. ‹‹Ma evidentemente ho avuto a che fare con ragazzi troppo semplici nella mia vita.››

‹‹Anche io mi ritengo un ragazzo semplice.›› A Sebastian arrivò come un mormorio quella frase, faticò quasi a recepirla in mezzo al trambusto tonante del pub.

‹‹Non così semplice come credi.›› Aveva abbassato anche lui la voce e si era perso a studiare il suo viso con fare concentrato.

Thad si allontanò lievemente dal suo tocco, scivolando più indietro sulla seduta dello sgabello e permettendo a se stesso di riprendere fiato, dato che quello lo aveva abbandonato, e di riacquistare una temperatura corporea decente.

‹‹Ti ho appena conosciuto, eppure già mi sembri un ragazzo dalle mille sfumature.›› Un po’ si permise di alludere al suo rossore, Sebastian. ‹‹Nel vero senso della parola.›› Rise, dopo aver detto ciò, ma fu una risata così composta che Thad non se la sentì di fare l’offeso.

‹‹A me invece sembri un tipo molto adulatore, Sebastian.›› Gli sorrise di rimando, mentre avvertiva il corpo rilassarsi – ringraziò mentalmente il suo carattere tenace per quello – ed osservò il ragazzo farsi indietro, accomodarsi meglio sulla sua sedia e rubare un sorso di birra dal suo boccale – quello di Thad, sì.

‹‹Non sto adulando nessuno.›› disse con disinvoltura, ‹‹Il sottoscritto dice sempre e solo quello che pensa.››

‹‹E non pensi, per esempio, che quella birra sia mia?›› Thad non usò un tono acido. Gli fece quella domanda con un sorriso amichevole e divertito sulle labbra, e attese la sua risposta. Attese quell’incurvarsi di labbra e quel luccichio interessato negli occhi di Sebastian.

Quest’ultimo abbassò il boccale e lo posò nuovamente sul bancone.

‹‹Credevo volessi offrirmi da bere.›› replicò con un sorrisino sfacciato.

‹‹Anch’io. Credevo che mi dovessi offrire da bere.›› Si prese un labbro tra i denti per avere osato dire una cosa del genere, ma il sorriso non gli si spense, e quell’espressione colpì Sebastian dritto al petto. Glielo lesse negli occhi, nel movimento veloce che compirono le sue palpebre, e sulle sue labbra schiuse.

‹‹Quanta importanza ti dai, piccolo?›› scandì, sibilando di nuovo e occultando al meglio lo stupore.

Stavolta fu Thad a farsi più vicino, puntellandosi col gomito sul bancone e parlandogli a voce bassa.

‹‹Non è colpa mia, sei tu che mi hai fatto montare la testa.››

‹‹Beh, tu puoi permettertelo, hai ragione.›› Sebastian colse l’occasione per sporgersi verso di lui, nuovamente, e per accarezzare il suo braccio da sopra la camicia azzurrissima, gesto che provocò a Thad un brivido lento, che gli percorse tutto l’arto seguendo le dita del ragazzo che le stava causando.

‹‹Anche tu… credo.›› replicò, col cervello che man mano lo abbandonava e che lasciava il posto ad un susseguirsi di respiri veloci.

‹‹Non sono più appariscente quindi?››

Sei dannatamente appariscente, avrebbe voluto rispondergli, ma quel ragazzo aveva la capacità di distrarlo e Thad l’insana mania di perdere le parole per strada. Era di nuovo troppo vicino adesso, in piedi, chinato sul suo viso, e Thad quasi lo sentiva respirare sulla sua pelle. Rimase immobile stavolta, immobile mentre lui si avvicinava ancora e riempiva il suo braccio di carezze. Una parte di lui gli consigliò che, no, non era il caso di lasciarsi andare in questo modo, col primo venuto. Vi avrebbe anche dato ascolto, alla sua coscienza, se non si fosse trovato irrimediabilmente paralizzato dal suo sguardo.

‹‹No, non lo sei.›› mormorò e si risvegliò quasi dal torpore che lo avvolgeva, nel sentire le sue dita sfiorargli appena il petto e infilargli un oggetto rettangolare e sottile all’interno del taschino.

‹‹Allora credo che…››

Una mano si posò sulla spalla di Sebastian, proprio in quel momento, premendovi sopra e separandolo da Thad, facendolo tornare al suo posto; ma la mano non era quella di Thad – le dita erano più lunghe e sottili; bastò voltare lo sguardo per rendersi conto che Jeff era “corso in suo aiuto”, se così si può dire.

‹‹Jeff…?››

‹‹Io credo che basti così invece.›› Jeff Sterling completò al posto di Sebastian la frase che quest’ultimo aveva lasciato in sospeso. Ora stava poggiato al bancone con disinvoltura, quel ragazzo bellissimo dagli occhi verdi, e li guardava entrambi con un’espressione a metà tra il soddisfatto e il divertito, il sopracciglio lievemente inarcato.

‹‹Sei tu che mi hai chiesto di conoscerlo.›› si giustificò, ghignando.

‹‹Conoscere Thad, non comprendeva farsi Thad.›› borbottò in risposta Jeff, e Thad lo sapeva che quando il suo migliore amico iniziava a fare le sue solite scenate di gelosia e di iperprotettività, non c’era limite al peggio. Ma quella volta, Jeff si limitò a prendergli la mano e a tirarlo leggermente per farlo alzare. ‹‹Andiamo, Thad, questo qui non fa per te.››

Jeff si era voltato e Thad aveva abbandonato lo sgabello, lasciandosi trascinare dal suo migliore amico.

‹‹Questo bar è pieno di imbecilli.›› lo sentì borbottare, ma non distolse lo sguardo dagli occhi di Sebastian, che lo seguivano, mentre si allontanava, e che gli apparivano sicuri e per niente arrabbiati per quell’interruzione.

Lo vide sollevare il braccio che giaceva lungo il suo fianco, portare la mano all’altezza del petto e infine indicarsi la tasca della camicia con un indice.

Automaticamente, Thad fece lo stesso: premette il palmo sulla sua tasca e avvertì quel rettangolo sottile e rigido che Sebastian vi aveva infilato dentro. Jeff era distratto, concentrato a maledire qualsiasi essere vivente esistente, e Thad ne approfittò. Tirò fuori dalla tasca quello che risultò essere un cartoncino bianco.

Sopra c’era scritto il nome completo di Sebastian, con inchiostro blu.

Sotto, in rosso, il suo numero di cellulare.

Thad sorrise e nascose immediatamente il cartoncino, giusto prima che Jeff si girasse e gli chiedesse:

‹‹Non ho ragione?››

‹‹Oh, sicuro, Jeff. Sicuro.››

 

 

Fine… forse.

 

 

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