*Enigma*
capitolo I
Fanfiction di Dikar 93 (e la sua
follia)
Ma ciao, miei cari lettori. Vi trovate davanti a un comunissimo caso di fanfiction. Di cui io non ne ho le responsabilità. Perché Bill e Tom Kaulitz e più in generale i Tokio Hotel non mi appartengono. Quindi ogni singola cosa scritta qui è pura fantasia. Fatti prodotti dalla mia mente malata.
Questa
fanfiction mi è venuta in mente quando ho pensato a come vivrei senza mia
sorella. Penso che la cercherei in lungo e in largo. Dalla mattina alla sera,
senza soste. Quando ho pensato che Bill porta sempre polsini.
E quando ho riletto l'intervista in cui dicono che se morisse uno dei due
l'altro morirebbe di dolore. Perché non possono fare a meno di stare insieme.
Spero che sia uscita bene, spero vi piaccia. Magari lasciatemi un commentino.
Danke!
Been a long
road to follow,
been there and gone Tomorrow
without saying goodbye to Yesterday.
Are the memories I hold still valid?
Or have the tears deluded them?
Maybe this time tomorrow
the rain will cease to follow
and the mist will fade into one more Today.
Something somewhere out there keeps calling.
Am I going home?
Will I hear someone singing solace to the silent moon?
Zero gravity what's it like?
Am I alone?
Is somebody there beyond these heavy aching feet?
Still the road keeps on telling me to go on,
something is pulling me.
I feel the gravity of it all...
(Gravity - Wolf's Rain Soundtrack)
Bill aprì la porta della stanza del
fratello. Si sedette sul letto, e si guardò intorno. Tutto era ancora come
quella mattina. Quando si era svegliato e non aveva visto Tom scendere a
colazione. Di solito il chitarrista si buttava sul cibo come un facocero, così
si era preoccupato.
Era corso a bussare alla porta del gemello.
Per poi chiedergli se stava bene, ma nessuno aveva risposto. Chiamò il nome del
fratello, bussando forte e chiedendogli di svegliarsi. Nessuna reazione. A quel
punto Bill non ce l'aveva fatta. Aveva aperto la porta. Il letto era stato
rifatto, ma Tom non c'era. Aprì l'armadio dove teneva la sua chitarra. Nemmeno
lei era più lì.
Chiamò la madre nel vedere la finestra spalancata. La camera di Tom dava sul
giardino, ed era al primo piano, quasi attaccata all'erba della villa.
La madre arrivò di corsa, nel sentire che il figlio era fortemente preoccupato.
Le spiegò la situazione. E la mamma dei due gemelli cercò Tom per tutta la
casa.
Ma di lui nemmeno l'ombra. Neanche per strada, nelle vie vicino, e nei negozi
che solitamente Tomas frequentava. Niente.
Era scappato di casa.
Bill si alzò e aprì l'armadio. Toccò
le maglie del gemello, una ad una. Ne prese una, la sua preferita. Era bianca
con una scritta azzurra. Se l'appoggiò al naso, così da sentirne l'odore.
Aveva il suo profumo. Si risedette sul letto, impugnandola. Si rannicchiò sulle
coperte celesti di Tom. E pian piano le lacrime gli scesero dagli occhi.
Sua madre non c'era, era partita a cercare Tom. Ovunque. Stava andando nella
città dove risiedeva suo padre.
Magari papà sa dov'è.
Penso Bill.
Ma la paura non si fermava. Soffocava i singhiozzi, provocandosi una strana
nausea, come se potesse vomitare da un momento all'altro. Il trucco era sfatto,
e aveva sporcato il cuscino del fratello di nero.
Aprì il primo cassetto del comodino di Tomi, prelevando un fazzoletto. Si mise
seduto, si asciugò gli occhi e si soffiò il naso. Smise di piangere.
Voleva cercarlo. Voleva trovarlo.
Corse in camera sua. Prese il cellulare e compose il numero di Tom.
'...il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la preghiamo di
riprovare più tardi'.
- Merda... - farfugliò Bill.
richiamò.
'...il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile , la preghiamo di
riprovare più tardi'.
richiamò e richiamò, ma niente da fare. Sempre quella vocetta odiosa che gli
diceva di non poter contattare il fratello.
Deciso a trovarlo percorse tutte le scale
di un fiato, spalancò la porta per poi sbattersela alle spalle e iniziò a
correre come un pazzo per i vicoli del paese in cui viveva. Guardandosi agitato
a destra e a sinistra.
"Perché te ne sei andato? Cosa ti ha preso? Cosa c'era che non andava
Tomi! Perché non me ne hai parlato?! Avrei potuto fare qualcosa, ti avrei
sicuramente aiutato! Perché mi hai fatto questo?!" Bill aveva gli occhi
lucidi, correva mentre le gambe gli tremavano, a causa della paura di non
trovarlo. Aveva paura che per qualche astruso motivo facesse qualcosa che non
doveva fare.
"Tom, dove sei? Perché non mi rispondi? Perché hai il telefono spento?!
TOM!" non si fermò di correre un secondo. Correva, correva, correva. Anche
se le gambe gli facevano male, anche se il fiatone gli lacerava i polmoni.
A un certo punto, però, il dolore alla
milza lo fermò. Si piegò, ansimante, tutto sudato. Cadde a terra, con le gambe
che tremavano come ramoscelli al vento. I polmoni gli raschiavano e respirava a
fatica. Scoppiò a piangere, tirando fuori dalla tasca dei suoi jeans l'ultimo
regalo che Tomi gli aveva fatto. Un ciondolo con la T, mentre il chitarrista lo
aveva con la B.
Se lo strinse al petto. Mentre piangeva come un matto.
Un gruppo di ragazzine passò di lì. E
appena lo videro si misero a urlare, senza pensare che non era di umore gli si
buttarono addosso. Bill cercò di divincolarsi dalle mani delle fan che lo
toccavano ovunque. Ma niente da fare. Erano quattro contro uno.
Una gli prese la mano, facendogli scivolare il ciondolo. Bill a quel punto non
ci vide più, tirò uno strattone alla ragazza che lo teneva per le spalle e le
scansò tutte. Cercò il ciondolo con le lacrime agli occhi.
Le fans si guardano e compassionevoli chiesero: - Bill... cosa c'è? Se è colpa
nostra ci dispiace! - dissero in coro.
- Ma per favore! A voi basta toccarmi, baciarmi e abbracciarmi. Poi se io sono
di pessimo umore, se sono rimasto solo, se ho perso la cosa più importante
della mia vita chi se ne frega! Siete egoiste. Non avete pensato a guardarmi gli
occhi quando mi siete saltate addosso. Non avete pensato che se stavo piangendo
non mi andava di farmi spupazzare dalle fans! Andatevene! - urlò Bill in preda
al panico.
- Bill... - farfugliò una fan con le lacrime agli occhi.
- ANDATEVENE HO DETTO! - a quel punto le fans scoppiarono a piangere e fuggirono
di corsa.
Non avrebbe voluto trattare così delle
sue fans, ma potevano toccare tutto tranne quel ciondolo. Si mise a quattro
zampe e cercò ovunque la T. Ma non la trovò da nessuna parte. Finché la vide.
Lì, in mezzo alla strada davanti a lui, che brillava sotto il sole. Si
precipitò per prenderla, ma proprio in quell'istante, quando impugno la lettera
fra le dita, una macchina gli andò addosso, scagliandolo sul marciapiede.
Non sapeva cosa provava, sentiva vuoto
nella sua testa. E l'unica cosa che riusciva a ricordare era: trovare Tom, il
suo gemellino.
E, per fortuna, sapeva ancora il suo nome, cognome ed età.
Non ricordava le fans.
Non ricordava Gustav.
Non ricordava Georg.
Non ricordava le sue canzoni, se non 'spring nicht'. Quella che più volte aveva
cantato e suonato con Tomi.
Non si ricordava dei Tokio Hotel.
Non ricordava più sua mamma, suo papà, il suo patrigno, i suoi live, il
menager. Niente, solo Tom. E gli facevano ancora tanto male i polmoni, ma non
intendeva fermarsi, anche con un braccio rotto, anche con le stampelle, non gli
importava, lo avrebbe cercato. Comunque.
Nel giro di due minuti fu circondato di gente. E un'ambulanza se lo portò via.
In mano aveva ancora la T. Il suo ciondolo. La cosa più importante della sua vita.
fine primo capitolo.