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Autore: KikiWhiteFly    14/01/2013    5 recensioni
{Oliver/Laurel | VIII° classificata al contest "Tv Shows Addicted - Quando i telefilm diventano droga"}.
«Oh, no. Sei solo un playboy, ricco, viziato, ereditario di una grandissima compagnia, pieno di cinismo, prepotenza e finta caparbietà».
Laurel elencò quella lista di aggettivi senza pensarci, almeno in pubblico Oliver si comportava esattamente così.
«Ti prego, non essere troppo gentile», Laurel sorrise, poi Oliver continuò: «Comunque, un giorno ti renderai conto di quanto ti piaccio».
«Sì. Proprio come nelle favole, tra uno shot e l'altro».
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oliver Queen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon non anniversario






Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le cose”.



Laurel varcò la soglia del suo appartamento, sperando che Oliver non l'avesse seguita fin lì: speranza estremamente vana, dal momento che si era intrufolato all'interno ancor prima di lei.


«Cosa ti ho detto riguardo la mia privacy?».

«Hai detto qualcosa riguardo la tua privacy?», chiese dubbiosamente Oliver.

«Oliver!», esclamò Laurel, gettando le pratiche sul divano. «Non sei più il mio fidanzato, non mi dovresti più infastidire. E nemmeno pretendere di potermi far prendere in considerazione i casi più disperati».

Da quando era tornato Oliver era una costante palla al piede, letteralmente: il fatto che gli avesse intimato più volte di non voler avere nulla a che fare con lui sembrava che non lo toccasse affatto.

«Pensavo che ti fossi abituata, dopo quell'equivoco».

«Quell'equivoco, come lo chiami tu, mi è quasi costato il rapporto con mio padre. Per non parlare della mia reputazione».
Naturalmente Oliver Queen pensava solo a se stesso, ragion per cui non aveva tenuto in conto altri fattori: erano cose come quelle che, per quanto si sforzasse, non riusciva a perdonargli.
«Avresti fatto di tutto per salvarmi il culo, Laurel. Si vede che conto ancora qualcosa per te».

Oliver disse l'ultima frase come un sussurro, apostrofando quelle parole con una nota malinconica.

«Questa, poi!», esclamò Laurel, voltandogli poco garbatamente le spalle. «Era un mio dovere, Oliver. Non sono più la ragazzina innamorata di cinque anni fa».

«Però sei innamorata», Oliver disse quelle parole di getto, poi si spostò di qualche millimetro, per poter decifrare l'espressione sul volto di Laurel.
«Se lo fossi davvero non avrei una relazione con Tommy».
Laurel lo conosceva sin troppo bene, sapeva ove colpire: quello era il punto giusto, persino per un vigilante dall'alta statura morale come lui.
Cadde un pesante silenzio nella stanza, nessuno dei due era pronto a cedere: né Oliver, il quale era stato colpito duramente, né Laurel, la quale era decisa a mantenere un atteggiamento il più possibile austero. Non si sarebbe fatta più ingannare come cinque anni prima: se Oliver non era maturato affatto, lei era cresciuta sin troppo.

«Allora guardami negli occhi, Laurel, guardami e dimmi che quel bacio non ha significato nulla».

Laurel si voltò, cercò di trattenere le lacrime ma il labbro inferiore era troppo debole e alla fine cedette alle sue stesse debolezze. Guardò per un momento al di fuori della finestra, in un punto imprecisato, poi scacciò le lacrime e ingoiò il pesante groppo che le si stringeva in gola.
«Se solo... se solo non fossi così pieno di te, Oliver, ti saresti accorto che oggi non è un giorno come gli altri. Se solo io non fossi così patetica – è la parola giusta, no? – non starei qui a pensare che più di cinque anni fa questo giorno era più importante degli altri», ingoiò visibilmente l'ennesimo groppo, poi riprese: «Quindi la risposta è sì, Oliver, sì. Ma la domanda giusta è: quel “noi” esiste ancora?».

Oliver avrebbe voluto dirle tante cose in quel momento, ma come farlo senza che lei scoprisse la sua reale natura?

Aveva messo a repentaglio tante volte la sua vita affinché lei ne uscisse illesa, non poteva lasciarsi vincere dalle sue debolezze proprio in quel momento. Una delle cose che aveva imparato sull'isola era che ogni segno di cedimento andava combattuto, fino allo stremo delle forze.
Eppure l'umanità di Oliver talvolta usciva allo scoperto, in particolare quando si trovava con Laurel: avrebbe voluto dirle che non era più il ragazzo che aveva conosciuto cinque anni prima, che la sua era solo una faccia della medaglia cosicché potesse adempiere al suo compito con più precauzione. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma in quel momento dalle sue labbra uscì solo un banalissimo: «Buonanotte, Laurel».

Oliver lasciò scivolare la maniglia, attese lo scatto e poggiò la schiena sulla porta: pensò che gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo, quando tutto era meno complicato. Sperò addirittura che potesse piovere, proprio come quel giorno.

E, mentre percorreva la via del ritorno, schizzò qualche zampillo d'acqua piovana sul suo finestrino e Oliver pensò che quella fosse una magra consolazione. Era convinto che, nonostante tutto, Laurel avesse pensato la stessa cosa.


-


17 Novembre 2007, New York.



Oliver ordinò l'ennesimo shot, facendo un rapido cenno al barista, il quale si precipitò a servirlo.
«Vacci piano, Oliver. È già il secondo giro», lo ammonì Laurel, contando mentalmente i bicchierini.
Tommy stava ancora cercando di riprendersi dal primo giro e, a giudicare dal modo in cui reggeva gli alcolici, era già arrivato al limite. Come al solito, Laurel doveva essere la mente del gruppo.

«Solo il secondo? Un terzo giro, barman, anche per la signorina!».

«Oliver, sei un irresponsabile!», esclamò Laurel, dopo aver esalato un sonoro sospiro.

«Lo prendo come un complimento».

«E uno spaccone».

«Che però ti piace».

Laurel esitò un sol momento, poi ribatté: «Sei proprio ubriaco».

«E tu sei arrossita. È quasi divertente, sai?».

«Quasi quanto lo schiaffo che sto per darti».

Oliver Queen non aveva ancora imparato che tentare di discutere con Laurel era una impresa vana, alla fine vinceva sempre lei. E lui ne usciva quasi sempre illeso, in tutti i sensi.

«Già, infatti», Oliver poggiò lo shot che era in procinto di bere sul bancone. «Cosa?».


Quando uscirono dal locale – o, meglio, quando Oliver uscì sorreggendo l'amico, nel mentre Laurel lo attendeva all'esterno –, un dolore lancinante premeva sulle sue guance e, almeno per una volta, non erano i bicchierini di troppo.

«Potevi almeno aspettarci!», esclamò Oliver.

Laurel si strinse nel suo doppiopetto, esitò il tempo di prendersi in pieno una raffica di vento.

«Non mi sarei potuta godere questa scena, sai...».

Oliver ghignò, doveva ammetterlo: Laurel era una donna forte, lo era sempre stata, forse l'unica che non si sentiva in imbarazzo quando sfoggiava il suo sarcasmo. L'unica che riusciva a tenergli testa, in pratica.

«Sarà meglio riportarlo a casa», disse Oliver, indicando Tommy, il quale continuava a biascicare qualcosa in merito al fatto che non era affatto ubriaco.

«Oliver Queen che fa una buona azione. Allora, cosa c'è sotto?».

Laurel si avvicinò, tanto quanto bastava per sorreggere Tommy dal lato opposto.

«Non sono così terribile come credi, Laurel».

«Oh, no. Sei solo un playboy, ricco, viziato, ereditario di una grandissima compagnia, pieno di cinismo, prepotenza e finta caparbietà».
Laurel elencò quella lista di aggettivi senza pensarci, almeno in pubblico Oliver si comportava esattamente così.

«Ti prego, non essere troppo gentile», Laurel sorrise, poi Oliver continuò: «Comunque, un giorno ti renderai conto di quanto ti piaccio».

«Sì. Proprio come nelle favole, tra uno shot e l'altro».


Oliver ridacchiò tra sé e sé, a volte il sarcasmo di Laurel sapeva essere davvero pungente. Poi, a qualche passo dalla limousine, decise di affidare al suo personale autista la cura dell'amico: «Riportalo a casa, ti chiamerò più tardi».


Una volta congedato l'uomo, Oliver si avvicinò all'unica compagnia che gli era rimasta e le offrì un braccio in maniera galante che lei, sorprendentemente, accettò.

«Oliver Queen e Laurel Lance che passeggiano a braccetto per le vie illuminate. Potrebbe quasi far notizia, sai?», dichiarò Oliver, puntando lo sguardo verso l'alto.

«Daresti a mio padre un motivo in più per odiarti», ribatté Laurel, stringendo ancor più il braccio attorno a quello di Oliver.

«Chissà cosa direbbe se facessi prendere una polmonite a sua figlia, allora».

«Cosa?».

Oliver spalancò teatralmente le braccia, constatando che stava iniziando a piovere.

«Per fortuna che a New York ci sono locali ogni due passi».

«Per fortuna che a me piace camminare sotto la pioggia, allora».

Oliver avrebbe potuto dibattere con una risposta qualunque e pregarla di ragionare, ma per una volta preferì seguirla. Ultimamente gli capitava di pensarla molto spesso, sebbene si conoscessero da anni: Laurel era così bella, sfrontata, intelligente e lui, invece, era misero a suo confronto.

«Oh, Oliver, evita questa espressione, ti prego. Andremo in un locale, te lo prometto», disse Laurel, compiendo una breve piroetta.

Oliver abbozzò un mezzo sorriso, non glielo avrebbe mai detto ma per vederla ridere così di gusto avrebbe girato l'uggiosa New York per l'intera notte. E probabilmente quella pioggia fu davvero provvidenziale perché, nel tentativo di compiere un giro di trecentosessanta gradi, Laurel perse l'equilibrio e si trovò tra le braccia di Oliver: sarebbe stata una scena da film, avrebbero potuto celebrare un cliché, se solo avessero trovato le parole adatte.

Laurel si alzò di scatto, prendendo immediatamente le distanze. Poi, dopo qualche passo in assoluto silenzio, mormorò: «Allora, in quale locale andiamo?».

Laurel si muoveva in maniera impacciata, incredibile come lei negasse più di quanto egli volesse ammettere la realtà dei fatti. Per una volta nella sua vita, allora, Oliver Queen fece la prima mossa.

«Non andiamo da nessuna parte», dichiarò, estremamente sicuro di sé.

Poi, afferrò con forza la sua mano e la trascinò verso di sé: Laurel non disse nulla, non ne aveva avuto neppure il tempo, lo guardò negli occhi, spostò lo sguardo quando si accorse che l'altra mano le si era poggiata sulla guancia e il resto venne da sé. Oliver la baciò con delicatezza, come nell'atto di chiederle il permesso, ma quando le braccia di Laurel si avvolsero attorno al suo collo e la borsetta cadde rumorosamente a terra, si permise di approfondire quel contatto.

Solo quando le labbra di Laurel arretrarono un po' e le sue braccia fecero meno resistenza, ambedue tornarono a respirare come se fosse stata la prima volta.

«Scusa se ti ho colta di sorpresa».

Laurel si avvicinò, poi disse: «Sta zitto, Queen, non ci credi nemmeno tu», strofinò l'indice sul suo labbro per levargli una chiazza di rossetto, dopodiché aggiunse: «Ecco. Adesso nessuna donna potrà stamparti uno schiaffo prima del previsto. Puoi tornare in pista».

Laurel si allontanò a gran passi, fingendo una espressione divertita; Oliver rimase a fissare il vuoto, non aveva ancora realizzato del tutto cosa fosse successo, solo quando si rese conto che il loro bacio non era stato altro che un momento passeggero trovò il coraggio di ribattere.

«Ehi... cosa stai facendo?», le corse incontro, afferrandole ancora una volta la mano.

Laurel lo ignorò bellamente, al fine di concentrare la sua attenzione alla ricerca di un taxi.

«È stato bello, Oliver. Ma sappiamo entrambi che non ci potrà mai essere un “noi”. Non duraturo, perlomeno. E credo che... che mi farebbe troppo male».

«Ti prometto che sarà diverso con te».

«Sì. Come con tutte le altre», sentenziò freddamente Laurel.

«Delle altre non ricordo neppure il volto».

«Che consolazione, Queen. Non puoi comprarmi o adularmi, ti conosco troppo bene».

«Forse è proprio per questo che siamo perfetti insieme», disse Oliver, con tono supplichevole.

«Da amici, forse».

«Allora lascia che ti dica una cosa: se prendi quel taxi, ti seguirò sotto la pioggia a piedi. Esatto, fino a casa tua», la frenò, ancor prima che potesse ribattere. «E tu dovrai darmi una possibilità perché, andiamo, mi prenderò una polmonite per due», concluse Oliver.

«Questo è folle».

«Se vuoi vederla così».

Quella notte Oliver camminò davvero sotto la pioggia: commise la prima follia d'amore della sua vita per Laurel Lance e, a distanza d'anni, era una delle poche cose buone che riconosceva di aver fatto.


-


Oliver si sdraiò sul letto, più stremato di un'intera nottata di combattimenti in difesa del crimine: la verità era che dibattere con Laurel lo sfiniva, era l'unica a conoscere ogni sfumatura del suo carattere. Oliver aveva fatto degli orribili sbagli in passato e, se avesse potuto, avrebbe cancellato ogni cosa. Se Laurel aveva alzato quelle barriere, era stato soprattutto a causa sua.

D'un tratto, si udì un rumore di nocche premere sul legno; Laurel oltrepassò la soglia della porta, dopodiché disse: «Ho pensato di venire a piedi, inizialmente. Poi, ho realizzato che bisogna lasciare il masochismo a chi di dovere».

«Laurel».

«Non ti agitare troppo, sono solo venuta a sentire il caso che hai da propormi», sentenziò Laurel, poggiando la fedele ventiquattrore sulla poltrona.

«Sei arrivata fin qui nel cuore della notte, però», ribatté Oliver, sperando di stuzzicarla come ai vecchi tempi. Un tentativo vano, dal momento che Laurel non era più la donna di cinque anni prima e aveva eretto nei suoi confronti un muro estremamente impenetrabile.

«Il dovere non dorme mai».

«Neppure il piacere».

«Queen, se continui con queste battute me ne vado direttamente a casa», obiettò in maniera glaciale.

«Okay, okay. Sarà come ai vecchi tempi».

«Dubito fortemente».

«Tra un drink e l'altro», disse Oliver, fantasticando tra sé e sé.

«Io non bevo più».

«Com'era, vediamo... proprio come nelle favole, giusto?», Oliver poggiò l'indice sul mento, tentando di ricordare le parole esatte.
Laurel sospirò, probabilmente si era già pentita di aver guidato di notte fonda per ascoltare le sue sciocchezze.

«Sono tornata coi piedi per terra», rispose, arcuando un sopracciglio.

«Questo perché avevi smesso di uscire con me».

«Oliver!», esclamò Laurel, ormai provata.

«Va bene, lavoriamo. Perché lavorare domani, in una bella giornata di sole, quando ce ne possiamo stare rinchiusi nel mio studio, con il rumore della pioggia in sottofondo?».

Oliver indagò nello sguardo di Laurel, sperando che cogliesse l'arguto riferimento.

«Allora lo ricordi. Buon non anniversario, Oliver Queen».

«Buon non anniversario, Laurel Lance».







Oh, vabeh, sono proprio unpopular fino alla fine: “Arrow” è un telefilm drammatico e io giustamente scrivo una commedia romantica, al momento le coppie che vanno per la maggiore sono ben altre e io sono sempre quella più sfigata. XD
Questa storia si è classificata ottava al Tv Shows Addicted - Quando i telefilm diventano droga
, di Deb e Ili e vincitrice del "Premio Grammatica". L'ho collocata cinque anni prima dell'isola, quindi noterete dei caratteri molto più "spensierati". E ho lavorato tra passato e presente.
Prossimamente: una serie di frasi ispirate ai "64 damn_prompts" del Live Journal. :)

- Kì.

   
 
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