Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: __Di    14/01/2013    2 recensioni
Avrebbe scambiato tutta la sua magia, ancora una volta, solo per averlo ancora un po' con sé, per poter guardare ancora una volta i fiori di ciliegio. Ma già lo sapeva che difficilmente, uno come Kurogane, avrebbe sopportato e accettato d'essere bloccato a letto, perché non c'era proprio scampo per lui.
Però, lui non si lamentò mai, malgrado fosse un uomo d'azione e gli uomini d'azione che non possono combattere non sono in grado di fare molto altro se non annichilire.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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shottina

Last Words of Love






Aveva smesso di parlare gradualmente, come se una malattia lo costringesse a vivere il mondo come un afasico. Anche l'appetito era diventato irrilevante. Era come morto ma ancora non aveva avuto modo di piangere la sua stessa morte.
Parlava sempre di meno, ma la cosa più grave era che aveva smesso di vedere. Completamente. Era diventato cieco. I dottori avevano detto che era un qualcosa di anomalo, anormale, come se vi fosse una causa psicologica e non medica.
Yui ricorda esattamente il momento in cui il mondo ha perso d'attrattiva ed è scolorito proprio davanti ai suoi occhi, per poi essere inghiottito da una luce bianca, frizzante e dolorosamente abbacinante. Ricorda con un certo trasporto quel momento, ma non lo rimpiange. Non rimpiange il mondo che ha smesso di vedere, perché per lui non c'è più alcuna magnificenza nell'atto dell'osservare.
Gli bastano i ricordi, e poi ci sono gli altri sensi. La luce può percepirla comunque, da come si scontra sulla sua pelle. Si accorge, invece, che è ormai buio dall'odore che ha la notte e dai suoni riesce ad orientarsi.

Ha provato molta felicità, Yui. È stato felice per molto tempo, e quella era la felicità che esce fuori grande ma dalle piccole cose. Yui era stato particolarmente felice, e il merito, se così lo si può definire, era da attribuirsi solo e soltanto di Kurogane.
Kurogane aveva lasciato una traccia indelebile nel suo cuore, era stato lui a cambiarlo, o così gli piaceva pensare.
Anche Kurogane era stato molto felice. Era stato molto felice e altrettanto fortunato. E forse, anche lui era cresciuto. Era cresciuto molto da quel rapporto, erano cresciuti insieme, maturati insieme, cambiati insieme. Ed era stato bello anche per lui.

Tomoyo gli lascia la mano per permettergli di sedersi. «Siamo arrivati».
Yui carezza con le dita tremanti l'incisione sul marmo.
Ha cercato di scriverli tante volte quei caratteri, a memoria, ma sono sempre usciti un po' storti, quando vedeva, e lui brontolava sempre: possibile che non fosse in grado di scrivere neanche il suo nome? E gli viene da sorridere, ora, al solo ricordo. Come se lui fosse lì.

«Hai proprio una bruttissima cera, Kuro-rin».
«Te l'hanno detto?».
«L'avevo già capito».
«Magari starò meglio».
«Ah-Ah? Sei peggio di me con le menzogne».
«Antipatico».
«Dicono che durerai ancora dei mesi».
«Lo so».
«Avremo ancora tempo».
«Sì».
«Io...».
«Non pensiamoci ora. Abbiamo ancora tempo».

Quando avvenne, lo sapevano, erano pronti, preparati.
Yui sapeva da tempo che Kurogane non avrebbe visto un'altra primavera. C'era stato un asprissimo combattimento al limitare della brughiera. Lui era presente perché combatteva sempre al suo fianco, l'avevano sempre fatto. Si erano divisi per accompagnare l'attacco di entrambe le estremità dell'armata imperiale. Ma quando si concluse l'attacco e lui lo raggiunse, lo trovò lì, riverso in terra in un lago di sangue con l'aria che gli si spezzava in gola e un enorme buco in petto. Gli raccontarono come fosse accaduto, e anche lui aveva cercato di calmarlo perché, sì, bisognava calmarlo, ma non gli importavano già più le parole. Doveva salvare Kurogane, ad ogni costo.
Avrebbe scambiato tutta la sua magia, ancora una volta, solo per averlo ancora un po' con sé, per poter guardare ancora una volta i fiori di ciliegio. Ma già lo sapeva che difficilmente, uno come Kurogane, avrebbe sopportato e accettato d'essere bloccato a letto, perché non c'era proprio scampo per lui.
Però, lui non si lamentò mai, malgrado fosse un uomo d'azione e gli uomini d'azione che non possono combattere non sono in grado di fare molto altro se non annichilire.

Yui aveva curato Kurogane con infinita devozione.
Non l'aveva lasciato solo nemmeno un momento, gli aveva parlato in continuazione, degli argomenti più disparati. Non era mai stato a corto di parole, per lui.
Ma poi, un giorno, quel giorno, si fermò. Le parole finirono all'improvviso, anche se ne avrebbe avute ancora di cose da dire, si era sdraiato accanto a Kurogane ed era rimasto abbracciato a lui tutto il tempo.

«Lasciaci soli.» dice.
Neanche ce ne sarebbe stato bisogno, Tomoyo avrebbe comunque lasciato loro tutta l'intimità possibile, così si allontana reggendosi a quel vecchio bastone nodoso.
Non parla, non parla mai quando sta lì. È inutile, si sono già detti tutto, gli ha già detto tutte le cavolate che doveva dirgli e gli argomenti sono finiti tanto tempo fa. Gli basta essere accompagnato lì, una volta la settimana, inginocchiarsi davanti a quella lastra di marmo e ascoltare il mondo che continuava a vivere. Perché, sì, anche se lui non c'è più, il mondo va avanti comunque. Non finisce mica, il mondo, se una persona va via.
È stanco, Yui, tanto stanco, ma non può definirsi vecchio, uno come lui, è solo molto, molto stanco. È stanco come gli anziani, ma non è invecchiato più da allora. È come cristallizzato in quel giorno, dopo la battaglia, come se la sua esistenza si fosse congelata mentre il mondo continua a camminare a passo svelto, a progredire.
Ha sempre pesato che, una volta che lui l'avesse preceduto, la sua esistenza avrebbe rallentato, fino ad annichilire del tutto, così l'avrebbe raggiunto.
E invece no.
Sono passati anni.
Tomoyo è invecchiata molto, la sua voce non mente, né mente il lieve tremore o la grinzosa fragilità delle sue mani.
Presto o tardi anche lei lo lascerà, raggiungerà Kurogane lì dove lui non può arrivare.

«Kuro-tan?».
«Sì?».
«Che ne dici se cogliessi qualche fiore? Questa stanza è così triste».
«Coglili».
«Che fiori ti piacciono?».
«Non lo so».
«Ti piacciono colorati?».
«Non ne ho idea, mago. Fa' di testa tua».
«E se poi non ti piacciono?».
«Mi piaceranno».
«Ma...».
«Mi fido di te, sceglili tu. Io non so neanche che nomi abbiano.
Tu sembri più il tipo di idiota a cui piace sapere i nomi dei fiori».

Accarezza dolcemente i fiori, quei petali delicati. Chissà di che colore sono, quelli che sceglieva per lui, ogni giorno, per rallegrare un po' quella stanzetta semibuia erano variopinti, mille e mille colori li illuminavano. E anche a lui piacevano. Preferiva scegliere quelli più colorati, magari rossi, perché ricordavano la sua forza, la sua bravura con la spada.
Magari sono rossi anche questi che sono ora davanti alla sua tomba, chissà.

Yui aveva visto morire tutte le persone a cui teneva, tutte le persone a cui aveva donato un pezzetto di cuore s'erano spente e Kurogane lo sapeva e per questa ragione aveva cercato di non rendere quell'addio qualcosa che potesse distruggere definitivamente la caduca stabilità della sua psiche.

Yui aveva sviluppato un orrendo sesto senso quando si trattava di morte, sapeva che a Kurogane restava poco, gliel'avevano detto, e fu in quel momento esatto che le sue parole finirono. Aveva cercato di tirargli su il morale in tutti i modi possibili, coi fiori, con le sue storie, ma poi le parole erano finite e... niente, quel giorno smise di lottare.
S'arrampicò sul letto e l'abbracciò, lui che aveva evitato di toccarlo da quando era rimasto ferito, che al massimo gli stringeva la mano ad occhi bassi i primi tempi per paura di cosa potessero dire i suoi stessi occhi, si abbracciò il suo amore per tutto il tempo che restava.
Fu Kurogane a parlare quella notte.
E Yui ascoltò.

«Mago?».
«Scusa, ero sovrappensiero».
«Mi dispiace».
«Cosa?».
«Che tu debba...».
«Non sono solo io che dico cavolate, allora?».
«So che sei triste».
«Te l'ha detto Tomoyo?».
«Ti conosco e... Si vede. Siamo stati insieme, no?».
«Forse lo sono, ma solo un po'».
«Vuoi parlarne?».
«No. Hai altro a cui pensare, tu».
«Mago...».
«Sono serio, Kuro-pon, non ce n'è alcun bisogno. È solo un momento così».

Poggia la testa contro il marmo freddo. Sente il vento mormorare basso tra le foglie degli alberi.
È stato bravo, Yui. Kurogane sarebbe molto fiero di lui. Fierissimo, anzi. Non che non lo fosse già stato in vita, eh, però è davvero stato bravissimo. Yui è rimasto in vita per quasi ventisette anni dopo l'ultimo giorno di Kurogane.
Yui ha mantenuto la promessa, è stato davvero bravo.

Le sue ultime parole furono dolci, quanto le sue carezze.
Yui aveva per lo più ascoltato e s'era stretto a lui forte forte. Aveva ascoltato i battiti del suo cuore procedere lentamente.

Ogni volta che sta da solo, nella sua stanza, abbraccia il cuscino e si immagina quella scena, quell'ultimo momento con lui. Ad occhi chiusi, ricorda quel giorno, quell'istante e si addormenta dolcemente cullato dalla lenta cadenza della sua voce. Perché, sì, lui lo sente ancora Kurogane, e lo sente ancora brontolare, come quando senza motivo lo svegliava, giusto così, per infastidirlo un po'.

«Kuro-baaau?».
«Cosa?».
«Non lo so, volevo controllare che tu fossi vivo».
«Sei un idiota, io dormivo».
«Mh, scusa».
«Ti avvertirò quando sentirò che il momento è giunto».
«E se non te ne accorgi?».
«Sono un ninja, me ne accorgerò».

Accarezza ancora il suo nome, come vorrebbe fare col suo viso, con i capelli, con le cicatrici.
Non parla, non ce n'è bisogno. Sa che Kurogane è lì, perché ne sente la presenza costante, ma ha questo sentimento antitetico che gli dice che, comunque, lui è morto, e sta lì sotto sei piedi di terra, e sicuramente non sentirebbe neanche le sue parole.
Yui sa perfettamente che Kurogane è morto, lui lo sa meglio di chiunque altro, perché lui era lì quando aveva respirato l'ultima volta, era con lui.

L'aveva accettata quella fine, anche se Kurogane avrebbe meritato d'avere ancora molti anni davanti, da vivere con lui, Yui aveva accettato quella fine, tanto tempo fa.
Kurogane aveva chiuso gli occhi e se n'era andato pacificamente, in silenzio, con un'espressione così bella, così soddisfatta da spezzargli il cuore. Ma, no, Yui non aveva pianto, Mai. Né quando lui era rimasto ferito, né quando dissero loro che non poteva più riprendersi, perché la ferita era troppo grave, né quando respirò un'ultima volta. Mai.
Yui non aveva pianto perché non aveva lacrime, né la forza di piangere. E poi, beh, non doveva piangere, no? Aveva avuto tutto l'amore di Kurogane, perché avrebbe dovuto piangere?

Respira a lungo contro il freddo marmo. C'è l'odore dei ciliegi nell'aria. Lui lo sa, perché è stato lui a scegliere dove dovesse riposare. È ai piedi di un bel ciliegio, dove si sedevano a guardare i boccioli schiudersi e colorare quella fetta di cielo terso tra i rami. In quel luogo sono stati felici ed è in quel luogo che deve riposare il suo spirito.

«Perché hai quell'aria mogia?».
«Scusa... Oggi non riesco a sorridere».
«Sei sincero...».
«Lo so, scusami...».
«Perché ti scusi? È normale essere tristi».
«Non è che sono triste. È che... mi manchi già. Scusami».

In quei giorni, prima della sua fine, l'unica cosa che era stato in grado di fare, era stare lì con lui e aspettare. Non aveva fatto altro che raccontargli i ricordi di viaggio, enumerare tutte quelle arrabbiature che gli aveva procurato e niente di più. Lui sorrideva con trasporto, e annuiva, sempre, divertito. Non poteva dire altro. Non sapeva che altro dire. Quando lo vedeva indebolirsi ogni giorno di più, gli finivano le parole, però si impegnava a tirarlo su di morale, perché vederlo sorridere, anche se era stanco e debole, gli dava la forza per lottare per entrambi, per quel futuro che ormai era un'utopia. Non poteva essere esuberante, né allegro, non poteva fingere.

Sorride. Si ricorda ogni cosa, ogni cosa, anche il tono di voce che aveva. Ha smesso di vedere perché non c'era motivo di vedere il mondo se lui non ne faceva più parte. Ed è contento di aver chiuso il mondo lontano dalle sue pupille, di non riuscire più a vedere, perché ha solo lui negli occhi, ha solo lui nella testa. Tutta la collezione delle sue espressioni del viso. Ha tutto di lui.

Per un periodo, aveva anche sperato, sì. Aveva sperato che si trattasse di un errore, che, di lì a poco, l'avrebbe visto in piedi, sano e forte come era prima.
Ma poi aveva cominciato a disperare, o meglio a sperare che lui smettesse di soffrire così, vedendosi strappata la dignità e la voglia di vivere.
L'aveva detto a Kurogane, un giorno. Gli aveva detto che avrebbe preferito vederlo morto piuttosto che vederlo così, dandosi poi dell'egoista, mentre sperava che almeno una lacrima gli bagnasse il volto. Kurogane gli aveva lanciato una smorfia comprensiva, e gli aveva accarezzato la testa, in un gesto infinitamente dolce. Gli disse che era normale, che anche lui voleva morire quel giorno ma che avevano ancora un po' di tempo insieme e poteva aiutarlo ad abituarsi all'idea.

«A che cosa pensi?».
«Se succedesse stanotte?».
«Perché? Mi trovi tanto male?».
«No... È che sono stanco, se mi addormentassi e non ti salutassi io...
Mi sentirei uno schifo».
«Scemo».

Yui non s'è mai abituato all'idea. È vero, sa che lui non c'è più, sa che Kurogane ha respirato un'ultima volta ventisette anni fa, l'ha assimilato, l'ha compreso, ma non s'è certo abituato.
S'è abituato ad andare a trovarlo lì, a non sentire più il suo abbraccio, ma non all'idea di non aver potuto fare nulla per lui.

Yui ora è Yui, non è più Fay, non è più il fratello morto che non è arrivato alla maggiore età. È Yui, si è preso la sua vita, si è preso la sua esistenza e ha lottato. Ha perso, sì, ha perso quell'amore che dava un po' di senso a quella sua vita, ma è comunque Yui. E lo sarà per sempre, anche perché il suo nome non conta, d'altronde Kurogane neanche lo chiamava per nome.

Il giorno in cui Kurogane chiuse gli occhi per non riaprirli più, Yui era abbracciato a lui, con la testa poggiata sul suo petto in un silenzio raccolto.
Kurogane aveva parlato molto quel giorno, proprio lui che non era di molte parole, e se n'era andato poi, in silenzio, tenendolo stretto a sé, il suo braccio era scivolato di lato, abbandonando i suoi fianchi e se n'era andato tranquillo.

«Mago?».
«Sì?».
«Sono pronto. È ora».
«Ah».
«Guardami, mh? Non sono tanto ridotto male, eh?».
«No».
«Promettimi che non cercherai di morire. Promettimi che vivrai.
Perché anche se ti sentirai uno schifo, dovrai ricordarti di me,
ma solo nei momenti belli. E le volte che mi hai fatto arrabbiare».
«Kuro-tan».
«Fammi parlare. Sono le ultime cose che ti dico,
quindi apri bene le orecchie, idiota.
Nulla cancellerà ciò che siamo stati. Niente, capito?».
«Sì».
«Non ti dico di essere felice, non lo sarai per molto tempo, conoscendoti, ma...
Cerca di vivere. Non ti dico se bene o male. Ti sto già chiedendo abbastanza,
ma devi vivere per me. Devi vivere, eh? Perché io potrò vivere solo in te,
nei tuoi ricordi, nei tuoi gesti...».
«Mi stai chiedendo troppo, sì».
«Avrei voluto avere più tempo».
«Perché io no?».

Yui è felice, tutto sommato, anche se il suo amore si è concluso, anche se è finita quella bella storia d'amore che però gli brucia ancora dentro il cuore. Si ricorda esattamente l'ultimo momento di Kurogane. Sente ancora le sue dita sul suo viso, sente ancora la lieve pressione di quelle ruvide labbra contro le sue, sente ancora la sensazione di quel tiepido respiro sul suo viso.

Yui sorride, alla sua lapide e al suo Kuro-tan. Si tocca le labbra con le dita e poi accarezza il suo nome, un'ultima volta. Lo saluta così, come tutte le volte e si aggrappa all'albero, per alzarsi.
Tornerà a casa, adesso, andrà a riposare nel letto che divideva con lui e penserà ancora a quel giorno, a quel respiro e a quell'abbraccio che non sentirà più e che però gli scalda ancora il cuore.

Gli parlò prima che fosse tardi, gli disse che l'amava e ottenne una risposta esattamente da lui. Kurogane conosceva bene i suoi sentimenti, così l'accarezzò e se lo baciò un'ultima volta. Lo strinse a sé come a imprimergli quell'ultimo caldo abbraccio sulla pelle, sotto la pelle. Anche lui si strinse a Kurogane, lo abbracciò forte forte, e lo sentì andar via. Sentì il suo cuore fermarsi piano, il suo petto smettere di tremare. Fu una buona fine, dopotutto, fu la buona conclusione della sua vita.

«Kuro-tan?».
«Cosa?».
«Ti amo».
«Lo so».
«Mh».
«Ti amo anche io, mago».
«Lo so».
«Eh».
«Chiudi gli occhi e abbracciami forte».
«Anche tu, stringiti».






È una storia squallida, lo so, ma volevo pubblicarla comunque. Ringrazio chiunque l'abbia letta, arrivederci <3
   
 
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