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Autore: Soqquadro04    16/01/2013    2 recensioni
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Damon in delirio. Elena che vuole parlargli prima che il veleno di licantropo lo uccida.
Cosa succedeva nella mente stravolta del bel vampiro bruno?
Dal capitolo:
"...Il calore era insopportabile, la mente confusa. Non capiva più nulla. Non era nel presente, ma neanche nel passato. Immaginò che il futuro fosse simile ad entrambi..."
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Katherine Pierce | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Delena e Fluff dilagante'
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Prima di non poter più parlare


Il calore era insopportabile, la mente confusa. Non capiva più nulla. Non era nel presente, ma neanche nel passato. Immaginò che il futuro fosse simile ad entrambi.

Damon aveva, per poco e in maniera per niente consapevole, piccoli sprazzi di spiazzante lucidità.
Era fuggito istintivamente non appena aveva visto lo sceriffo col fucile. Quando aveva sentito lo sparo, era già lontano; fuori, nella sera fresca. Inutile per il fuoco che lo scuoteva dall'interno. Sentiva la pelle bruciare come su un rogo, mai si era avvicinato così tanto alla combustione.
Era orribile. Vagò nella notte, seguendo i rumori. Infine, la febbre che lo divorava si calmò un poco, anche se la sentiva dentro di sé, pronta a ripresentarsi ancora più terribile. Era arrivato in uno spiazzo, dietro di lui un grande schermo proiettava le immagini di “Via col vento”.

Che ironia. Conosceva a memoria le battute, e quasi le pronunciò in contemporanea all'attore: Non abbiamo lasciato molto per i Nordisti, vero? Dobbiamo darcela a gambe prima che il fuoco raggiunga le munizioni!”
Anche lui si sentiva aggredito. E anche lui aveva un fuoco da domare, che non lasciava niente al proprio passaggio. Se non la morte.
Poi, un odore nella leggera brezza. Una fitta al cuore e una, diversa, alla gola. Elena.
La chiamò negli ultimi istanti di lucida quasi compostezza, con una voce che non riconobbe come sua tanto era debole.

-Elena- sembrava quasi un lamento. Anzi, lo era proprio. Dio, se stava male. Si diede dello stupido, ma più che altro lanciò maledizioni e improperi irripetibili contro il ragazzo Lockwood. Se fosse guarito (ma quante probabilità aveva? Troppo poche perché il suo cervello sfinito le potesse calcolare), quel cane male addomesticato non sarebbe arrivato vivo alla seguente luna piena.
E Caroline doveva tapparsi la bocca.

Damon guardava la ragazza con occhi spalancati e lucidi per lo sforzo di tenersi in piedi mentre lei si avvicinava. Gli parlava, ma non la sentiva veramente.
Sembrava incitarlo. Cercò di concentrarsi e colse le ultime parole, proprio mentre le gambe gli cedevano ed Elena si passava un suo braccio attorno alle spalle per aiutarlo a camminare.
-..via da qui. Nasconderti.- sembrava preoccupata, spaventata quasi.

Con uno sforzo enorme, Damon raccolse qualcuna delle sue oramai limitate energie per capire.
-Dove stiamo andando?- la bocca impastata era difficile da manovrare, le parole uscivano a fatica.
Ma quelle parole evocarono un ricordo. Un ricordo che lo portò dove non voleva tornare. Indietro.

Non era più Elena quella che lo sorreggeva. E, soprattutto, non lo stava più tenendo, ma correva avanti a lui fra rocce e radici con la chioma riccioluta sciolta al vento, il lungo vestito violetto che volteggiava nell'oscurità. Gridava, allegra.
-Dappertutto!- e rideva, rideva. La sua risata era bellissima.
Lui la seguiva con una torcia in legno, le fiamme che illuminavano gli alberi intorno a loro, un po' camminando, un po' correndo. Le urlò dietro, mentre lei avanzava ancora.
-Aspettami, voglio venire con te.- mentre incespicava in un sasso, ritornò dove doveva essere.

Presente. Elena. Il prato. Ma era tanto, troppo confuso. Camminò in avanti senza rendersene conto, e quasi cadde, mentre Elena gli accarezzava la schiena aiutandolo a rialzarsi.
Lui tornò da Katherine. La sua testa gli giocava brutti scherzi, la psiche febbricitante lo manipolava. Aveva paura mentre era con Elena, ma era tanto felice quando era con Katherine. Come lo era stato un tempo.

La raggiunse, spingendole lo stomaco con una mano per costringerla ad indietreggiare, bloccandola contro un giovane alberello e abbracciandole la vita. Teneva la torcia in alto, per rischiararle il volto. I boccoli scuri brillavano dei riflessi del fuoco, birichini.

Elena lo guardava dal basso, supplichevole. I suoi occhi chiari, impazziti e incastonati nel viso pallido e smunto dalla malattia, erano spaventosi. Lei provava a calmarlo, ma era come se non la vedesse. La sua mente era nel 1864, il suo corpo ripeteva i gesti, ma in realtà era lì, nel 2009. Solo che non lo sapeva. O meglio, la piccolissima parte di lui ancora relativamente cosciente lo sapeva; il resto no.
Scattò contro di lei, mettendola con la schiena poggiata ad un palo con una velocità inumana, le mani sui fianchi, mentre lei si divincolava e tendeva il collo in alto, come una cerva intrappolata dai lupi.

La luna aiutava la debole luce della torcia nella sua missione d'illuminazione, dando alla scena uno strano colore a metà fra il giallo e l'argento.
Katherine era maliziosa, in un modo che non poteva essere definito piacevole.

-Sei più veloce di quanto pensassi- sorrise in un modo che di innocente non aveva nulla, scoccandogli uno sguardo d'intesa.
Lui, invece, era un po' affaticato e respirava con un velo di affanno.

-Perché mi sfuggi sempre?- chiese, sorridendo a sua volta in modo un po' troppo ingenuo. Sapeva di lei. Sapeva che era pericolosa. E proprio per questo gli piaceva tanto.
-Perché so che mi inseguirai- gli rispose con orgoglio malcelato, compiaciuta.
Il tono di lui cambiò. Divenne adorante, mostrando la sua più grande debolezza. Un errore imperdonabile in quello stupido gioco di vite. Perché 
l'amava, diavolo. Ma non avrebbe mai dovuto dimostrarglielo. L'aveva capito troppo tardi.

-Permettimi d'inseguirti per sempre...- non sapeva se quello che stava per chiederle l'avrebbe allontanata da sé. Non conosceva ancora tutta la cattiveria di cui quella donna era capace. Non comprendeva che un giorno gli avrebbe calpestato il cuore. E così finì di parlare, tracciando la strada che sarebbe stata sua per l'eternità, mentre col pollice le accarezzava il collo con cerchi immaginari, piccoli e dolci, un gesto pieno di una tenerezza infinita -...dammi il tuo sangue.-
Katherine sorrise ancora, per poi presentare una maschera seria.
Lui allontanò le dita dal suo collo, mentre lei sollevava la mano verso l'acconciatura.

-Io non te lo darò, Damon...- socchiuse gli occhi, lasciva, le labbra dischiuse sensualmente, una pantera che aspetta prima di sbriciolare fra i denti le ossa della preda. Tolse uno spillone dai capelli -...se lo vuoi, prendilo- e si punse la gola. Un perfetto rivolo di denso, cremisi nettare le scese lungo il collo di cigno, sfiorando la clavicola e il sottile spago della sua collana, bagnando un poco il vestito.
Damon la guardava, sorpreso, allucinato. Espirò di botto, sgranando gli occhi azzurri che brillavano di luce propria nella notte debolmente rischiarata.
Katherine parlò ancora, le parole un sospiro nel vento.
-E' una scelta che devi fare tu- lo fissò, gli occhi ancora mezzi chiusi, quasi sfidandolo. Sollevò il mento, mentre il suo sangue si era come cristallizzato nel buio freddo.

Damon, spossato, sudato, le parlava. Le ripeteva quello che le aveva già detto, senza rendersi conto che i suoi capelli non avevano riccioli, che non vestiva d'indaco, che non sanguinava, che la sua espressione era solo preoccupata. Non di desiderio, o amore.
Era consapevole che lui non era in sé. Era preoccupata per lui.
Katherine era preoccupata? Ma perché mai? Un altro nome comparve nei suoi pensieri. Elena.
L'angoscia di sapere che per lui era importante, ma non sapere quanto, perché, come. Chi era Elena? Non lo ricordava, e l'ansia per la sensazione di doverla riconoscere era insostenibile. Gli sembrava di morire, mentre il mondo girava e lo portava avanti e indietro nei ricordi, come su una giostra per bambini troppo cresciuti. Doveva rispondere a Katherine.

-Io scelgo te...- avrebbe sempre scelto solo lei. Ebbe un attimo di esitazione -...Katherine.-
La ragazza di fronte a lui aveva, ora, uno sguardo determinato. Lo prese per le spalle, cercando di scuoterlo, di farlo rinsavire. Gli parlò, con quella voce che tanto aveva sognato.
Ma in questa vita? O in quella prima? Non rammentava, anche se avrebbe voluto.

-Ehi, guardami. Sono Elena, sono Elena. - perché Katherine giocava così con lui?
Ancora quel nome, Elena...
Perché cercava lui? Damon aveva la sensazione che lei stesse cercando di farlo stare meglio.
Ma in che modo? Gli interrogativi pulsavano sulle sue tempie, aggiungendo un velo di sudore in più sulla sua fronte, serpeggiando fra le sopracciglia.
Katherine -Elena?- lo chiamava, ma già il girotondo di pensieri l'aveva portato a quella notte, di nuovo.

-Promettimi che non lo dirai a mio fratello- Damon sorrise, schiudendo appena la bocca, scoprendo i denti candidi. Era euforico. Non era mai stato tanto allegro, vitale, come in quell'istante.
Katherine lo guardò, quasi solennemente.
-Te lo prometto...- soffiò verso di lui le parole, intrise di cose non ancora dette e promesse indecenti. Gli accarezzarono le labbra con un nauseante sapore dolciastro.-...sarà il nostro piccolo segreto.- concluse lei, mentre i suoi occhi guizzavano furbi sul viso di lui. Damon aveva la sensazione che sarebbe stato solo il primo di tanti, tanti altri.
Damon piegò il capo verso Katherine, che rovesciò la testa all'indietro esponendo la gola. Sospirò.

-No, Damon. - la voce di lei era spaventata a morte. Non capiva. Non gliel'aveva forse appena chiesto? Mentre insisteva, cercò di spingerlo via, le mani sul suo petto, mentre continuava, terrorizzata, la voce spezzata solo un fioco sussurro. -N-no...-
Damon era perso nel delirio, incurante delle sue suppliche.
Quando parlò, non riconobbe sé stesso.

-Devo farlo..- sembrava un assetato nel deserto (paragone più che mai appropriato nella situazione), o uno schiavo davanti alla tavola imbandita del padrone. La sua voce di solito calda, arrochita dall'arsura -..se dobbiamo stare insieme per sempre- finì mormorando, le labbra già sulla gola di lei.

Lei, che chiuse gli occhi soddisfatta mentre beveva, la bocca poggiata con delicatezza sulla sua pelle.

Lei, che emise un gemito strozzato di dolore, mentre i suoi canini affondavano nella morbida carne, squarciando l'epidermide pallida, lacerando una delle vene minori. Cercava di scappargli, gli spingeva sulle spalle.
Qualche lacrima scese dai suoi occhi mentre lo pregava, piegata dalla sofferenza ma incapace di fermarlo. Lui aveva abbassato le palpebre, beandosi del suo sangue caldo e della sensazione dei suoi capelli che gli solleticavano il naso, ignorandola.

-Damon, ti prego..smettila...- quasi non la sentiva, concentrato sulla sensazione piacevole del liquido che aiutava la sua gola scorticata. -...mi fai male..-
Se anche l'avesse ascoltata, in quel momento, probabilmente non l'avrebbe comunque lasciata andare.
Le sue mani erano passate dalle sue spalle ai suoi avambracci, deboli ed umane mentre cercavano ancora, invano, di allontanarlo.

-D-damon, non devi fa-are questo...- sentiva i singhiozzi trattenuti nella sua voce, ma capiva che stava smettendo di ribellarsi.-...ti pr-rego...mi fai m-male.- un singulto non più smorzato lo fece tornare, più o meno, alla realtà. Con un piccolo strappo, si staccò di scatto dal suo collo. Era disgustato da se stesso.
Sentiva il viso deformato dalla brama, non avrebbe voluto guardarla. Ma non poteva farne a meno.
Lei quasi gridò, mettendo in fretta una mano sulla ferita, piegandosi leggermente in avanti.
Damon era sconvolto. Non poteva aver fatto questo a lei.

Finalmente, un po' di quella chiarezza tanto agognata era scesa ad illuminargli la mente: era nel 2009, in un prato, con Elena. Elena, la ragazza che amava, per la quale avrebbe tolto la luna dal cielo, e alla quale aveva appena fatto del male. Perché il veleno del licantropo gli stava fondendo il cervello.
Era così frustrante. Ma almeno, ora, si ricordava di Elena. Quel senso di smarrimento nel sentire il suo nome...il non ricordare quel bellissimo – anche se in un certo senso masochistico- amore che provava per lei...era stato terribile. Ma, in quel momento, Elena lo guardava come una vittima guarderebbe il suo carnefice. Espressione quanto mai sensata, visto ciò che era appena successo.
Lei era appoggiata con la schiena ad un palo, le palme premute contro la gola, la bocca semiaperta in un muto grido.

-Elena-, la chiamò, un tono a metà fra la supplica, lo sfinimento e la scocciante sensazione di non potersi muovere come avrebbe voluto. Ansimava, di paura e di fatica. Gli costava uno sforzo enorme mantenersi in piedi. Era così stanco.
Cadde sulle ginocchia e poi quasi si accasciò a terra, il viso stravolto rivolto verso di lei che si ritraeva.
Elena respirava ancora faticosamente, eppure si inginocchiò vicino a lui che abbassò gli occhi, spossato, e le si avvicinò.
I loro respiri stremati si confondevano nella luce crepuscolare della sera, impossibile distinguere quali ansiti erano di lui e quali di lei.

Damon poggiò il capo contro il suo petto, cercando un conforto che non meritava.
Elena lo abbracciò, accarezzandolo, mentre con l'altra mano cercava di fermare il sangue che ancora sgorgava dalla ferita. Lui incastrò la testa nell'incavo del braccio di lei.
Sentiva caldo, poi freddo, poi di nuovo caldo. Un secondo prima stava congelando, quello dopo si sarebbe potuto strappare i vestiti di dosso. Un continuo alternarsi di sensazioni, troppo forti, troppo dure, insopportabili.
Aveva bisogno di lei, come non mai.
Elena si guardava intorno, cercando di capire se qualcuno aveva assistito alla scena, mentre continuava a rassicurarlo come poteva.

****************

Damon era sdraiato nel suo letto, a casa Salvatore. Non ricordava praticamente nulla di come fossero arrivati lì, e sinceramente non gli importava. Fitte di dolore sempre più forti avevano preso a torturargli lo stomaco durante il tragitto, e anche se ora si erano un poco calmate, sospettava che stessero solo aspettando il momento giusto per tornare.
Elena era al suo capezzale, in mano una pezza bagnata con acqua fredda per cercare di abbassare la febbre.
Lui la chiamò, sofferente. Avvertiva la necessità sentirla accanto.

-Elena...- sussurrava, non aveva la forza di parlare più forte. Ogni volta che diceva il suo nome era come acqua fresca, o menta piperita.
Elena si appoggiò con le mani sulla coperta, sporgendosi verso di lui.
La sua voce era affettuosa. Voleva calmarlo. E lui, forse, voleva solo essere tranquillizzato come un bambino durante un temporale.
Voleva sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, anche quando non era affatto così.

Il tormento interiore era straziante. Si odiava per tutto quello che aveva fatto, a partire dagli omicidi. Ogni vita strappata lo ossessionava...aveva marchiati a fuoco nella retina i visi di ognuno di loro (che solitamente faceva così fatica a ricordare), di quelli a cui aveva rovinato un'esistenza umana e, per la maggior parte, felice. 
Forse, si era comportato così solo per invidia. O forse no.
Era veramente troppo dolorante e troppo inerme per psicoanalizzarsi in modo autonomo.

-Va tutto bene, Damon. Sono qui- sapeva sempre cosa dire, cosa gli passava per la testa.
Come poteva pensare di amarla come l'amava? Era pazzo.
Teneva così tanto a lei. Non voleva che lo vedesse in quello stato, voleva mandarla via, ma non era sicuro di riuscire ad opporsi se lo avesse contrastato. Era sicuro che l'avrebbe fatto, ma provò ugualmente.

-Elena, va...va via...- serrò gli occhi, mentre percepiva le gocce di sudore scivolare lente lungo il suo viso, la pelle che scottava. Gli venne in mente un altro valido motivo per cui lei non poteva restare. -...potrei...farti del male- a quella prospettiva, rabbrividì. Ricordava Rose, la follia che le occupava la mente prima che sopraggiungesse la debolezza estrema, innaturale per un vampiro. Una stilettata di fuoco al fianco. Gli si mozzò il respiro.
Elena lo guardò con dolcezza. Sentì i suoi occhi percorrergli il viso come accarezzandolo, delicati...amorevoli? Il veleno lo stava facendo impazzire, più di quanto non avesse già fatto.

-No, non è vero...- riponeva troppa speranza nel suo autocontrollo e nel suo sistema nervoso. Erano tutti e due maledettamente intaccati dalla..malattia.
Damon socchiuse le palpebre per guardarla, il suo volto poco illuminato dalla flebile luce che invadeva la stanza. Aveva insistito per tenerla bassa, e anche così le cornee gli dolevano in modo insopportabile -...starò qui fino alla fine. Non ti lascerò solo.-
Lo sguardo di lei brillava nella semi-oscurità, risoluto.

Dio, quanto la desiderava accanto.
Ma non poteva -e non voleva- permettersi di ferirla. O, peggio, ucciderla nella demenza. Non l'avrebbe sopportato, neanche per i pochi istanti che avrebbe impiegato a morire. La sofferenza, ne era consapevole, sarebbe stata insostenibile. Per non parlare di quello che sarebbe successo a Stefan. Perciò doveva mandarla via, per quanto gli sembrasse assurdo non affianco nella morte.
La sensazione di una lama poco affilata che gli trapassava l'addome lo fece gemere, sorpreso. La voce gli si alzò in un mezzo grido mente parlava, chiudendo di nuovo gli occhi e storcendo la bocca per combattere quel male.

-Vat-ttene via..- il suo tono sembrava il più possibile convinto, per quanto credibile potesse essere mentre il dolore invadeva ogni vena e gli scorreva nel sangue con crudele violenza.
Buttò fuori, in un unico grande respiro, l'aria che tratteneva nei polmoni e reclinò il capo contro il soffice cuscino dalla federa bianca. Si tirò su subito dopo, tossendo, rendendosi conto che così facendo la situazione non solo non migliorava, ma, anzi, peggiorava visibilmente.
Elena salì sul letto con le ginocchia, abbracciandolo, accarezzandogli la schiena per calmare la tosse mentre lui si portava una mano al petto per lo stesso motivo.
Lei si sistemò dietro di lui, seduta sui cuscini, le braccia a cingergli le spalle dolcemente. La tosse s'acquietò trasformandosi in respiri pesanti. Avvertiva la pezza fredda e bagnata contro la sua scapola, dove Elena poggiava la mano destra, che andò poi a strofinargli sulla fronte per lenire il calore mentre lo stringeva a sé, facendogli posare il capo sul suo seno e baciandogli i capelli di tanto in tanto. Lo cullava, parlandogli.

-Shh...va tutto bene...- mormorava, per non disturbare la mezza quiete della stanza. Lui, con gli occhi chiusi, aveva voglia di sorridere. I muscoli facciali, però, erano contratti in un'espressione di dolore.
Si accontentò di contraddirla.
-No, non...non è vero..- credeva sul serio di riuscire a convincerlo? O stava cercando di convincere se stessa? In ogni caso, le illusioni erano solo fastidiose mosche da scacciare prima che il freddo dell'inverno (o della realtà?) le uccidesse. Durante l'estate-finzione pungevano troppe persone, causando mali e discordie. Quindi il problema era da prevenire.-...non va bene.-

Damon ansimava per la fatica che gli procurava conversare. Le corde vocali erano come tranciate in due da macheti di pessima qualità.
Doveva spiegarle. Sentiva che sarebbe potuto esplodere, se non lo avesse fatto prima di lasciarsi tutto alle spalle.
Per questo cercava di parlare ancora, nonostante i polmoni in fiamme chiedessero pietà, nonostante la fatica immensa che gli costava rimanere sveglio, nonostante desiderasse solo il nero rassicurante del riposo. Anche il rosso dell'inferno sarebbe andato bene. Nonostante tutto questo.

-Ho..sempre dato..la colpa a...Stefan...- era vero. Stefan era sempre stato il migliore fra loro due.
Il buono, coraggioso, onesto Stefan. E lui l'aveva tormentato sempre, nella sua ottusità.
Il respiro profumato di Elena che gli solleticava la cute lo calmava, come una camomilla prima di dormire.-...nessuno...mi ha costretto ad amarla. E' stata una mia scelta...- anche questa era solo e semplicemente la verità. Aveva amato Katherine (come, in quel momento, amava Elena) senza che qualcuno l'avesse obbligato. Era successo e basta. Si era innamorato come uno sciocco ragazzino (scusa plausibile nel 1800, ma non più utilizzabile dopo quel secolo e mezzo d'odio) e ne era uscito a pezzi. In tutti i sensi.

Nessuno aveva pensato per lui. Aveva fatto tutto di testa sua.
Aveva scelto, e non poteva far pesare ad alcuno le sue decisioni.
Tantomeno a chi gli voleva bene.
Elena gli sussurrava all'orecchio con voce dolce, mormorii incomprensibili che somigliavano al suono del vento che soffia sul mare.

-Shh...shh...- cercava di zittirlo, di non farlo pensare. Ma mentre gli occhi gli si offuscavano e gli impedivano di vedere con chiarezza, non poteva evitarlo. Doveva trovare un modo per redimersi, per farsi assolvere (anche se solo immaginariamente). Non voleva sparire dal mondo con quel peso, quella colpa, nel cuore; non voleva arrivare di là come il più bugiardo degli assassini. Probabilmente, di là (ovunque fosse) l'avrebbero ricacciato a calci di qua. Non esisteva un luogo abbastanza terribile da accogliere quelli come lui e quindi avrebbe vagato come fantasma nel mondo dei vivi, straziato dai rimorsi, invisibile e costretto a guardare i suoi cari andare avanti senza di lui. La prospettiva era annichilente.

-Ho fatto.... una scelta sbagliata..- si era pentito in così tanti modi diversi. Se fosse tornato indietro, probabilmente si sarebbe fatto sparare in guerra pur di non tornare a casa, di non incontrare mai Katherine e le sue infide promesse. Una bugiarda senza scrupoli, una stupida egoista che aveva interrotto la sua esistenza in un modo indecoroso. Ma non era neanche colpa di Katherine. Aveva scelto lui.

-Calmo...- sentiva quasi le lacrime nella voce roca di lei. Alzò lo sguardo verso il suo viso, faticosamente, per godere un'ultima volta di quei bellissimi lineamenti, del delizioso cioccolato nero dei suoi occhi. Anche lei lo guardò, dall'alto, le braccia che lo cullavano piano, ancora strette attorno a lui, il mento poggiato sul suo capo.
Doveva darle un messaggio, per suo fratello. Doveva fargli sapere quanto stava male per quel che era successo. E poi doveva dirle addio in un modo consono ai suoi sentimenti. Sentì la tenerezza farsi strada dentro il suo petto squassato dalla tosse e dagli ansiti, mentre ancora le osservava il viso.

-Dì...a Stefan...che mi dispiace...okay?- sentiva la voce incrinata dallo sfinimento e dalla tristezza. Mancava poco prima che si mettesse a piangere. Lei lo strinse più forte, come in una muta conferma, prima di annuire mordendosi piano le labbra e serrando forte gli occhi. Una lacrima le rigò la guancia di nero. Doveva essersi messa un po' di mascara. Quasi rise.

Bah, la sua mente era assurda. Come poteva notare un particolare simile in un momento del genere?
Elena aprì gli occhi e parlò per riempire quel silenzio che non era veramente silenzio, spezzato dai respiri irregolari di Damon.

-Glielo dirò- provava a mostrarsi decisa di fronte a lui, ma la conosceva bene. Sentiva il suo pianto - lacrime fresche, salate- mescolarsi al sudore che gli impregnava i capelli, percepiva la tensione nel suo corpo mentre lo abbracciava stretto, l'urgenza delle sue mani che accarezzavano inconsapevolmente le spalle tremanti di lui. Sapeva che stava trattenendo i singhiozzi. Eppure non poté non ammirarla.
Perché con quelle due parole gli aveva confermato che non credeva più alle illusioni. Aveva capito che non ci sarebbe stato nulla da fare.

****************

Da qualche minuto non facevano nulla, l'atmosfera tesa, ascoltando i rispettivi cuori battere impazziti, lo svuotarsi regolare (per almeno uno di loro) dei polmoni, l'abbassarsi delle palpebre dell'altro, il lavorio frenetico delle menti che riflettevano sulle cose da dire, prima di non poter più parlare.
Si tenevano per mano, le dita intrecciate mollemente sul petto ansante di lui. Il dolore e la lucidità erano svaniti in un torpore pericolosamente intenso, che gli annebbiava i sensi come vino. Sospettava che fosse il preludio a qualcosa di orribile.

-E' ancora più penoso di quanto pensassi...- disse, tranquillo. Oramai si era rassegnato. Ma, a quanto pareva, Elena non aveva fatto cadere ogni muro del suo castello in aria. O forse stava soltanto cercando di convincerlo (convincersi?) che Stefan avrebbe trovato il modo di salvarlo nei suoi ultimi dieci minuti. Alla fine, la morte poteva anche essere un sollievo. Niente più amori fatti di fragile ed inutile vetro veneziano, così sottile che, quando si rompe, i graffi bruciano di fuoco rosso e giallo.

-C'è ancora speranza...- lo contraddisse, con la voce strana che ha la gente prima di scoppiare a piangere disperatamente. Non capiva proprio per quale motivo si desse tanta pena. Era solo lui, soltanto il fratello malvagio, soltanto l'ombra o macchia, che dir si voglia, che minacciava la sua felicità. Almeno, una delle tante.
Voleva far durare quei minuti d'attesa il più a lungo possibile. Non gli era mai piaciuto aspettare, in nessun caso, eppure i secondi che passava assieme a lei gli parevano preziosi come gioielli. Come poteva far rallentare il tempo, se non così?
Ma lei era inquieta, sentiva il bisogno di riempire l'aria di parole per la maggior parte inutili. Ma se poteva farla sentire meglio, chi era lui per opporsi?
Se Elena desiderava vederlo sereno nell'angoscia, sarebbe riuscito a mostrarle una maschera. Se desiderava le stelle, le avrebbe staccate dal cielo e posate nelle sue mani una ad una. Così sarebbe stato, fintanto che ne fosse stato in grado. E anche oltre.

-Ho fatto tante scelte che mi hanno portato a questo..- lei guardava fisso davanti a sé, attenta anche se cercava di sembrare indifferente.
Tutto ricadeva sulle sue spalle. Occhio per occhio, dente per dente.
Quella notte di così tanto tempo prima era solo, e aveva sbagliato. Capendolo troppo tardi. -..me..lo merito...- dopo tutto ciò che aveva fatto, la punizione adeguata era quella. La morte più dolorosa e macabra possibile.
Cosa si aspettava? La signora con la falce non accredita nulla, neanche a chi ha ingrossato le sue sinistre file di anime per tutta la propria esistenza. La vita non è di sua competenza. E' un giudice imparziale, non le importa di quella sorella bianca e perfetta che tutti danno per scontata, ma che si trovano ad invocare quando lei presenta il conto.
Era ironico. Anche lui aveva un fratello bianco e perfetto. Anche lui era considerato quello nero e cattivo. C'era solo una piccola, grande differenza: la Morte si era mai innamorata? Aveva mai voluto essere egoista, risparmiare qualcuno solo per sé stessa?

-Io...merito...di morire.- era uno solo delle tante soluzioni per pagare ogni secondo strappato alle sue vittime, ogni spaventoso istante in cui aveva giocato con le loro paure, sfiancandoli, manipolandoli. L'altra era il modo terribile nel quale se ne stava andando.
Ma era contento di questo; avrebbe finalmente trovato un po' di pace.
Elena abbassò lo sguardo triste verso di lui, scuotendo la testa.

-No..no..- la sua voce era poco più di un sussurro pieno di risolutezza mentre si sdraiava lentamente affianco a lui, continuando a carezzarlo come fosse un gatto da vezzeggiare. -...non è vero...-
Cercava di guardarlo negli occhi, ma lui li teneva chiusi. Non avrebbe potuto sopportare la pietà o la compassione di lei. Non l'avrebbe mai accettata, non dalla donna che amava. Soprattutto visto il loro...rapporto particolare.
Però gli faceva piacere sapere che lo riteneva degno di vivere. Era una piccola consolazione in quell'abisso nero di depressione.

-Sì, Elena...ma è tutto...okay...- aprì gli occhi, increspando appena la bocca dischiusa. Quello che stava per dirle sarebbe suonato sdolcinato e melenso, insolitamente dolce da parte sua. Di solito lasciava a Stefan il compito del romantico cavaliere. Quella frase, però...gli era sempre piaciuta. Erano solamente mancate le occasioni per pronunciarla. -...perché se avessi scelto...in modo diverso...non ti avrei mai...conosciuta.- finì, lentamente, con cautela, osservando le emozioni di lei che sfilavano sul volto deformato dalle ombre della stanza. Gli teneva ancora la mano, col viso a pochi centimetri dal suo, ancora distesa per metà sul lato sinistro del letto. Abbassò lo sguardo. -...mi dispiace...tanto.- non era propriamente vero.
Non poteva pentirsi di averla incontrata e di essersene innamorato. Non ci riusciva.
Era stato troppo felice di avere una persona cui donare se stesso dopo Katherine, anche se non aveva potuto farlo formalmente. Era stato felice di amarla, di migliorare per lei.
L'amore era sempre stato così, per lui. Sofferto, ma terribilmente meraviglioso. Poteva esserne amareggiato, forse, ma di sicuro non aveva voglia di rifiutarlo.
Per quale motivo, poi? Qualche altro affondo a quel cuore freddo?
Avrebbe accettato di esserne dilaniato, piuttosto che rinunciare a quel calore rincuorante che lo riempiva di vita. C'era solo un motivo per cui aveva provato a rifiutare quello che gli passava nel cuore, ma non era sicuro che l'avrebbe fatto se non fosse stato per suo fratello.

-Ti ho..fatta soffrire, Elena..- non avrebbe mai voluto vederla triste, o anche solo abbattuta, per colpa sua. Non era mai stata sua intenzione. Però era successo, perché da bravo, stupido egoista non aveva pensato (ancora una volta) prima di agire.
Lei sorrise e fece un cenno di diniego, gli occhi bassi.

-Non fa niente. Io ti perdono.- sapeva che stava mentendo per farlo sentire più o meno meglio nell'oblio. Non era sicuro di cosa provava. Da una parte le era grato per quella piccola recita, ma dall'altra...oh, dall'altra era infuriato. Con lei, con se stesso, con il mondo intero.
Non aveva ancora finito. Improvvisamente, molte cose gli erano saltate alla mente. Gesti da fare, parole per chiarire. Ma il suo tempo stava scadendo in fretta, sentiva le forze abbandonarlo, le palpebre farsi pesanti; faticava a non cedere alla sensazione di tante pezzuole umide e calde sul corpo, piacevole dopo il dolore. Notava che le due sensazioni si erano alternate un po' troppo spesso nel corso della serata. Doveva sbrigarsi.

-So...che tu..ami Stefan..- gli costava un certo sforzo ammetterlo. Gli costava un certo sforzo manovrare il suo corpo, in effetti. L'aria che gli entrava nei polmoni sembrava impregnata d'olio, l'odore di chiuso gli assaliva le narici -..e...sarà per sempre...Stefan- era consapevole di questo. Eccome se lo era. Tutto quel faticosissimo discorso era mirato a farle capire che non si gettava in vane fantasticherie. A volte, la consapevolezza era talmente forte da spingerlo verso pensieri che alcuni avrebbero trovato pericolosi. Come, per esempio, fare fuori il rivale (soluzione non praticabile visto chi era il suo rivale...ma la gelosia è cieca)..o piazzarsi sotto il sole lasciandosi bruciare, per poi volare via nel vento sottoforma di cenere grigia e anonima. Aveva pensato al suicidio più di una volta, per poi abbandonare l'idea.

Non ne valeva la pena, se poi avrebbe vissuto momenti come quello, con Elena che accarezzava piano il suo avambraccio, gli occhi e le labbra serrati per non lasciarsi vincere dalla malinconia. La sua mano era morbida, leggera come una piuma.
Quando lei aprì gli occhi, scuri e caldi, lui li catturò con i propri azzurri, un poco opachi per la febbre. Le strinse le dita, piano, per farle comprendere che era lì e che non la stava ancora lasciando.

Elena si accoccolò nell'incavo del suo collo, i capelli setosi e profumati gli solleticavano il mento e odoravano di rose, in una posa insolitamente intima. Teneva una mano stretta al petto, come per trattenere i battiti furiosi che le risuonavano nella cassa toracica. L'altra era in quella di lui.
Damon le baciò la testa, piano. Un groppo in gola lo bloccava.
Mancava ancora qualcosa.
Mancava la parte più importante. Non era sicuro di riuscire a sembrare forte, in quel momento.

-Ma io...ti amo...- con sua grande soddisfazione, la voce non s'incrinò. Forse, giusto un po' sulle ultime lettere. Ma l'aveva previsto.
Elena abbandonò ogni ritegno, la sua maschera d'indifferenza andò in frantumi. I singhiozzi iniziarono a straziarle il petto, prima piano e poi sempre più violenti, facendola tremare incontrollatamente. Damon provò una gran pena per quella giovane donna che tanto lo aveva stregato. Avrebbe fatto qualsiasi cosa -dato qualsiasi cosa- per alleggerirla, prendere su di sé tutti i brutti sentimenti che la tormentavano. Ma non poteva. Si stava spegnendo, lo capiva. Non avrebbe potuto aiutarla in nessun modo. -...dovevi saperlo...- in realtà, non era sicuro che lei non lo sapesse. Eppure, voleva essere certo che sarebbe morto vicino ad un' Elena consapevole. Non la voleva accanto solo per far cessare i suoi sensi di colpa. Se si fosse ritratta dopo quello, non l'avrebbe biasimata. Ne sarebbe stato contento.
Lei annuì, mentre il respiro affaticato di lui le s'infrangeva sui capelli, i polmoni arrancanti che stavano per concludere il proprio lavoro, il cuore che rallentava i battiti impercettibilmente, eppure inesorabilmente. Quella tortura stava per concludersi.

-Lo so..- Elena glielo mormorò piano, la bocca schiacciata contro la sua spalla, mentre annuiva ancora. Lui sorrise di uno di quei sorrisi mezzi sarcastici che nascondevano tanto altro. Uno dei suoi ultimi sorrisi, solo un leggero incurvamento della parte sinistra del viso. Avevano entrambi gli occhi chiusi, come per non rovinare quei pochi istanti con le domande dell'anima.

-Avresti...dovuto conoscermi...nel 1864..- in quegli anni era una persona migliore.
Un giovane e sprovveduto ragazzino di ventitré anni. Allora era considerato già un uomo, ma dentro di sé era ancora un bambino. Un bambino che giocava in una fossa di serpenti velenosi senza rendersene conto. Il timbro della sua voce vibrò in modo strano. -...ti...sarei piaciuto.- sicuramente non l'avrebbe fatta star male come era, invece, successo in quel secolo moderno. Anche se non ne era proprio sicurissimo.
Elena si sollevò su un gomito, in modo da poterlo guardare in viso. Sentiva il suo sguardo su di sé, il rumore delle gocce salate che finivano la loro corsa sulla coperta dopo averle rigato le guance.

-Mi piaci anche ora..- Damon espirò, trovando che questo processo solitamente facile ed immediato stesse richiedendo un po' troppe energie. Girò lentamente il capo verso di lei, mentre la ascoltava.-.così come sei..- cercò di aprire gli occhi per vederla in volto, ma riuscì solamente a socchiudere le palpebre per qualche secondo, prima di soccombere alla stanchezza. Oramai non respirava quasi più. L'aria gli pareva fin troppo solida. Inoltre, ad ogni respiro la spiacevole sensazione di mille piccoli spilli conficcati nei bronchi lo faceva rallentare ulteriormente.
Percepì lo spostamento di Elena mentre si avvicinava a lui, registrò la sensazione delle sue labbra -erano soffici come le aveva immaginate- sulle proprie e annoverò poi quel ricordo fra i più felici della sua vita. Finalmente. Quanto aveva desiderato un bacio? L'aveva voluto, sognato, ogni notte e ogni giorno da quando l'aveva conosciuta. Poteva abbandonare il mondo felicemente in pace, dopo quello.
Aveva solo una piccola parola -una parola per lei e solo per lei- da aggiungere alla sua brillante arringa. Un discorso durato così poco materialmente, ma che gli era sembrato lungo una vita o due.

-Grazie.- nella sua mente appannata, la vide sorridere fra le lacrime. Non riconosceva la sua voce, tanto era rotta e inframmezzata da piccoli singulti.
-Di niente- soffiò le parole verso di lui, come per donargli un altro secondo.
Non c'era più nulla da fare. Ancora poco -troppo poco-, e si sarebbe dovuta alzare per dare la notizia agli altri componenti della bizzarra compagnia che avevano messo insieme. Avrebbe fatto una fatica tremenda, Damon lo immaginava. Voleva un funerale. Niente di pomposo. Solo suo fratello, Elena, quei pochi amici che si ritrovava, suo malgrado. Chissà se Bonnie sarebbe andata. Avrebbe voluto sorridere, ma gli mancavano le forze.
Dentro di lui, il canto seducente dell'oscurità. Stava per abbandonarsi ad esso, quando qualcosa -o meglio, qualcuno- gli impedì di farlo.

-Dovresti ringraziare me, invece. Insomma...sono io che ti porto la cura - quella voce...era quella di Elena, ma il contesto era sbagliato. Una scarica di adrenalina iniziò a scorrere nelle sue vene intirizzite e spalancò gli occhi, stupito. Elena era voltata verso la porta, il corpo in tensione. Quando si spostò, Damon intuì il perché.
Appoggiata mollemente allo stipite, una bottiglia sporca di rosso in mano, c'era Katherine.
Non riusciva a smettere di fissarla. Cosa faceva lì? Non lo lasciava neanche crepare in pace, quella strega?
La sua voce sprezzante invase di nuovo la stanza.

-Credevo che fossi morta- si rivolse ad Elena, completamente indifferente mentre si avvicinava al letto -il suo letto di morte- facendo ondeggiare la bottiglietta. C'era del sangue, dentro.
-Infatti - Elena non sembrava particolarmente intimorita. Aveva utilizzato un tono orgoglioso, spazzando via la lacrimosità e ogni sentimentalismo.
Mentre Katherine saliva sul letto, stappando la bottiglia, lui cercò di capirci qualcosa.

-Ti..sei liberata...- dolore alla gola. Dubitava fortemente che l'ultima arrivata a quell'allegra riunione portasse con sé la sua salvezza. Se fosse stato veramente così, avrebbe dovuto erigere un monumento a Stefan nella piazza centrale di quello stramaledettissimo paesino. E chiedergli più volte perdono per essersi lasciato baciare dalla sua ragazza. A sua discolpa, avrebbe dovuto essere condannato e non si aspettava nessun intervento miracoloso.
-Sì..- mormorò lei mentre avvicinava l'imboccatura macchiata alle sue labbra. Mentre gli versava il liquido nell'esofago, quasi senza lasciargli il tempo di deglutire (così se non fosse morto avvelenato l'avrebbe affogato), concluse -...finalmente.-
La cosa non gli tornava. Era libera e la sua prima deviazione era per salvargli la vita? Nah, decisamente non da Katherine.

-E sei venuta..qui lo stesso?- il sangue era strano. Freddo. Lo sentiva letteralmente aggredire i corpi estranei nel suo organismo, scacciare l'infezione dai polmoni man mano che penetrava nei tessuti. Era...piacevole riuscire a pensare nuovamente.
Sospirò godendosi la sensazione di vento freddo che scacciava la nebbia dalla sua mente.
Katherine gli accarezzò il viso, mentre si piegava leggermente verso di lui, sorridendo.

-Ti dovevo un favore.- semplice. Su quello era sempre stata sincera (quasi sempre). Non lasciava mai un debito impagato.
Si allontanò da lui, alzandosi dal letto e cominciando a dirigersi verso l'uscita.
-Dov'è Stefan?- la domanda di Elena lo mise in allarme. Era vero. Dove diavolo si era cacciato suo fratello?
-Sicura che t'importi?- Katherine era falsamente rammaricata. Qualunque gratitudine avesse provato nei suoi confronti, si sciolse come neve al sole.
-Dov'è?- Elena sembrava parecchio arrabbiata. Parlare con l'altra le faceva quest'effetto. Aggiungendo poi la preoccupazione e lo stress...era meglio starle lontano.
Sollevando la bottiglia vuota, Katherine sorrise malignamente.

-Sta pagando per questa. Si è donato a Klaus.- rispose come se fosse del tutto ovvio. Come se dovessero averlo già capito. Scuotendo la testa, continuò -Io non lo aspetterei tanto presto..-
Damon era pietrificato. Se non fosse stato ancora così debole, sarebbe già saltato al collo di quella vipera cornuta. Stefan si era donato a Klaus?
Una calamità naturale. Il suo adorabile fratellino, quando scatenato, era una maledettissima calamità.

-Che vuol dire si è donato a Klaus?- Elena non capiva. Certo che non capiva. Non aveva conosciuto Stefan nei momenti bui. Era quasi più terrificante di lui, quando capitavano i decenni difficili. Rettificò: era più terrificante di lui.
Katherine scrollò le spalle.

-Ha sacrificato tutto per salvare suo fratello..compresa te.- quella stronza. Doveva proprio mettergliela giù così? Elena l'avrebbe odiato. Detestato. L'avrebbe ammazzato con le sue stesse mani.-...è un bene che tu abbia Damon a farti compagnia.- gli gettò una rapida occhiata da sopra la spalla, prima di girarsi di nuovo verso Elena. Il vampiro le scoccò uno sguardo il più minaccioso possibile. Sdraiato così, ancora febbricitante e inerme, faceva ben poca figura.

-Addio, Elena.- Katherine inarcò un sopracciglio, come se avesse visto il suo penoso tentativo, e poi imboccò la porta. Grazie al cielo.
Si fermò sulla soglia, come se avesse dimenticato qualcosa. Damon strinse i denti -Oh..va bene amarli tutti e due.- sorrise alla vista dell'espressione di Elena. Omicida. -Io l'ho fatto.- e la cosa l'aveva portata a distruggere due esistenze anziché una soltanto. Che risultato magnifico.
Lanciò la boccetta vuota fra le mani di Elena, che sussultò come se scottasse e la fissò per qualche secondo. Katherine gli fece un ultimo occhiolino prima di correre via. Quando Elena alzò lo sguardo, se n'era già andata.
Si girò verso di lui, che cercò di sollevarsi a sedere. Puntellandosi sui gomiti, dolorante e intorpidito, fece una smorfia. L'addome protestava (si sentiva come fasciato da bende. Troppo strette), ma respirava liberamente. L'aria era di nuovo una sostanza gassosa che entrava e usciva dai polmoni.

Sentiva gli occhi sgranarsi man mano che realizzava di stare meglio. Molto meglio.
Sollevò lo sguardo su Elena, che lo fissava furiosa. E anche un pelino preoccupata.
La capiva. Stefan in libertà in un pessimo momento della sua vita. O, come doveva apparire la cosa nella sua mente: il suo amore che aveva aiutato il fratello morente (che oltretutto aveva un pessimo carattere) a costo della sua libertà. E della possibilità di libero arbitrio.

Si osservavano dalle parti opposte della stanza.
Lo aspettavano giorni d'inferno. Gli occhi di Elena non lasciavano scampo.
Damon rabbrividì leggermente. Non gli avrebbe dato neanche il tempo di rimettersi completamente.
L'avrebbe scuoiato vivo.

Angolo autrice:

Buonasera ^^
Sono tornata con una riscrittura XD E sì..
Chi ha letto "Almeno una volta" (cliccate il link!!) conosce il mio stile ^^
Siccome quest'ultima è piaciuta, ho deciso di farne qualche altra XD
In breve, fra poco potreste trovarvi una raccolta di momenti Delena ^^
So cosa state pensando. Lo so. 
Che sono una malata di mente ^^
Non mi offendo, me lo dice spesso anche mia madre. E mio padre. E mia sorella. Anche il mio cane ^^
Però...è più forte di me. Adoro descrivere. E queste occasioni sono irripetibili.
Va bé, chiusa parentesi.
Spero vivamente che questa FF riscuota critiche positive come la sua sorellina della 2X08 XD
Ciao ciao ^^
So04


   
 
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