Prima
di non poter più parlare
Il calore era insopportabile, la mente confusa. Non
capiva più nulla.
Non era nel presente, ma neanche nel passato. Immaginò che
il futuro fosse simile ad entrambi.
Damon aveva, per poco e in maniera per niente
consapevole, piccoli sprazzi di spiazzante lucidità.
Era fuggito istintivamente non appena aveva visto lo sceriffo col
fucile. Quando aveva sentito lo sparo, era già lontano;
fuori, nella sera fresca. Inutile per il fuoco che lo scuoteva
dall'interno. Sentiva la pelle bruciare come su un rogo, mai si era
avvicinato così tanto alla combustione.
Era orribile. Vagò nella notte, seguendo i rumori. Infine,
la febbre che lo divorava si calmò un poco, anche se la
sentiva dentro di sé, pronta a ripresentarsi ancora
più terribile. Era arrivato in uno spiazzo, dietro di lui un
grande schermo proiettava le immagini di “Via
col vento”.
Che ironia. Conosceva a memoria le battute, e quasi
le pronunciò in contemporanea all'attore: “Non abbiamo lasciato molto per i Nordisti,
vero? Dobbiamo darcela a gambe prima che il fuoco raggiunga le
munizioni!”
Anche lui si sentiva aggredito. E anche lui aveva un fuoco da domare,
che non lasciava niente al proprio passaggio. Se non la morte.
Poi, un odore nella leggera brezza. Una fitta al cuore e una, diversa,
alla gola. Elena.
La chiamò negli ultimi istanti di lucida quasi compostezza,
con una voce che non riconobbe come sua tanto era debole.
-Elena- sembrava quasi un lamento. Anzi, lo era
proprio. Dio, se stava male. Si diede dello stupido, ma più
che altro lanciò maledizioni e improperi irripetibili contro
il ragazzo Lockwood. Se fosse guarito (ma quante probabilità
aveva? Troppo poche perché il suo cervello sfinito le
potesse calcolare), quel cane male
addomesticato non sarebbe arrivato vivo alla seguente luna piena.
E Caroline doveva tapparsi la bocca.
Damon guardava la ragazza con occhi spalancati e
lucidi per lo sforzo di tenersi in piedi mentre lei si avvicinava. Gli
parlava, ma non la sentiva veramente.
Sembrava incitarlo. Cercò di concentrarsi e colse le ultime
parole, proprio mentre le gambe gli cedevano ed Elena si passava un suo
braccio attorno alle spalle per aiutarlo a camminare.
-..via da qui. Nasconderti.- sembrava preoccupata, spaventata quasi.
Con uno sforzo enorme, Damon raccolse qualcuna
delle sue oramai limitate energie per capire.
-Dove stiamo andando?- la bocca impastata era difficile da manovrare,
le parole uscivano a fatica.
Ma quelle parole evocarono un ricordo. Un ricordo che lo
portò dove non voleva tornare. Indietro.
Non era più Elena quella che lo
sorreggeva. E, soprattutto, non lo stava più tenendo, ma
correva avanti a lui fra rocce e radici con la chioma riccioluta
sciolta al vento, il lungo vestito violetto che volteggiava
nell'oscurità. Gridava, allegra.
-Dappertutto!- e rideva, rideva. La sua risata era bellissima.
Lui la seguiva con una torcia in legno, le fiamme che illuminavano gli
alberi intorno a loro, un po' camminando, un po' correndo. Le
urlò dietro, mentre lei avanzava ancora.
-Aspettami, voglio venire con te.- mentre incespicava in un sasso,
ritornò dove doveva essere.
Presente. Elena. Il prato. Ma era tanto, troppo
confuso. Camminò in avanti senza rendersene conto, e quasi
cadde, mentre Elena gli accarezzava la schiena aiutandolo a rialzarsi.
Lui tornò da Katherine. La sua testa gli giocava brutti
scherzi, la psiche febbricitante lo manipolava. Aveva paura mentre era
con Elena, ma era tanto felice quando era con Katherine. Come lo era
stato un tempo.
La raggiunse, spingendole lo stomaco con
una mano per costringerla ad indietreggiare, bloccandola contro un
giovane alberello e abbracciandole la vita. Teneva la torcia in alto,
per rischiararle il volto. I boccoli scuri brillavano dei riflessi del
fuoco, birichini.
Elena lo guardava dal basso, supplichevole. I suoi
occhi chiari, impazziti e incastonati nel viso pallido e smunto dalla
malattia, erano spaventosi. Lei provava a calmarlo, ma era come se non
la vedesse. La sua mente era nel 1864, il suo corpo ripeteva i gesti,
ma in realtà era lì, nel 2009. Solo che non lo
sapeva. O meglio, la piccolissima parte di lui ancora relativamente
cosciente lo sapeva; il resto no.
Scattò contro di lei, mettendola con la schiena poggiata ad
un palo con una velocità inumana, le mani sui fianchi,
mentre lei si divincolava e tendeva il collo in alto, come una cerva
intrappolata dai lupi.
La luna aiutava la debole luce della
torcia nella sua missione d'illuminazione, dando alla scena uno strano
colore a metà fra il giallo e l'argento.
Katherine era maliziosa, in un modo che non poteva essere definito
piacevole.
-Sei più veloce di quanto
pensassi- sorrise in un modo che di innocente non aveva nulla,
scoccandogli uno sguardo d'intesa.
Lui, invece, era un po' affaticato e respirava con un velo di affanno.
-Perché mi sfuggi sempre?-
chiese, sorridendo a sua volta in modo un po' troppo ingenuo. Sapeva di
lei. Sapeva che era pericolosa. E proprio per questo gli piaceva tanto.
-Perché so che mi inseguirai- gli rispose con orgoglio
malcelato, compiaciuta.
Il tono di lui cambiò. Divenne adorante, mostrando la sua
più grande debolezza. Un errore imperdonabile in quello
stupido gioco di vite. Perché l'amava,
diavolo. Ma non avrebbe mai dovuto dimostrarglielo. L'aveva capito
troppo tardi.
-Permettimi d'inseguirti per sempre...-
non sapeva se quello che stava per chiederle l'avrebbe allontanata da
sé. Non conosceva ancora tutta la cattiveria di cui quella
donna era capace. Non comprendeva che un giorno gli avrebbe calpestato
il cuore. E così finì di parlare, tracciando la
strada che sarebbe stata sua per l'eternità, mentre col
pollice le accarezzava il collo con cerchi immaginari, piccoli e dolci,
un gesto pieno di una tenerezza infinita -...dammi il tuo sangue.-
Katherine sorrise ancora, per poi presentare una maschera seria.
Lui allontanò le dita dal suo collo, mentre lei sollevava la
mano verso l'acconciatura.
-Io non te lo darò, Damon...-
socchiuse gli occhi, lasciva, le labbra dischiuse sensualmente, una
pantera che aspetta prima di sbriciolare fra i denti le ossa della
preda. Tolse uno spillone dai capelli -...se lo vuoi, prendilo- e si
punse la gola. Un perfetto rivolo di denso, cremisi nettare le scese
lungo il collo di cigno, sfiorando la clavicola e il sottile spago
della sua collana, bagnando un poco il vestito.
Damon la guardava, sorpreso, allucinato. Espirò di botto,
sgranando gli occhi azzurri che brillavano di luce propria nella notte
debolmente rischiarata.
Katherine parlò ancora, le parole un sospiro nel vento.
-E' una scelta che devi fare tu- lo fissò, gli occhi ancora
mezzi chiusi, quasi sfidandolo. Sollevò il mento, mentre il
suo sangue si era come cristallizzato nel buio freddo.
Damon, spossato, sudato, le parlava. Le ripeteva
quello che le aveva già detto, senza rendersi conto che i
suoi capelli non avevano riccioli, che non vestiva d'indaco, che non
sanguinava, che la sua espressione era solo preoccupata. Non di
desiderio, o amore.
Era consapevole che lui non era in sé. Era preoccupata per lui.
Katherine era preoccupata? Ma perché mai? Un altro nome
comparve nei suoi pensieri. Elena.
L'angoscia di sapere che per lui era importante, ma non sapere quanto,
perché, come. Chi era Elena? Non lo ricordava, e l'ansia per
la sensazione di doverla riconoscere
era insostenibile. Gli sembrava di morire, mentre il mondo girava e lo
portava avanti e indietro nei ricordi, come su una giostra per bambini
troppo cresciuti. Doveva rispondere a Katherine.
-Io scelgo te...- avrebbe sempre scelto solo lei.
Ebbe un attimo di esitazione -...Katherine.-
La ragazza di fronte a lui aveva, ora, uno sguardo determinato. Lo
prese per le spalle, cercando di scuoterlo, di farlo rinsavire. Gli
parlò, con quella voce che tanto aveva sognato.
Ma in questa vita? O in quella prima? Non rammentava, anche se avrebbe
voluto.
-Ehi, guardami. Sono Elena, sono
Elena. - perché Katherine giocava così
con lui?
Ancora quel nome, Elena...
Perché cercava lui? Damon aveva la sensazione che lei stesse
cercando di farlo stare meglio.
Ma in che modo? Gli interrogativi pulsavano sulle sue tempie,
aggiungendo un velo di sudore in più sulla sua fronte,
serpeggiando fra le sopracciglia.
Katherine -Elena?- lo chiamava, ma già il girotondo di
pensieri l'aveva portato a quella notte, di nuovo.
-Promettimi che non lo dirai a mio
fratello- Damon sorrise, schiudendo appena la bocca, scoprendo i denti
candidi. Era euforico. Non era mai stato tanto allegro, vitale, come in
quell'istante.
Katherine lo guardò, quasi solennemente.
-Te lo prometto...- soffiò verso di lui le parole, intrise
di cose non ancora dette e promesse indecenti. Gli accarezzarono le
labbra con un nauseante sapore dolciastro.-...sarà il nostro
piccolo segreto.- concluse lei, mentre i suoi occhi guizzavano furbi
sul viso di lui. Damon aveva la sensazione che sarebbe stato solo il
primo di tanti, tanti altri.
Damon piegò il capo verso Katherine, che rovesciò
la testa all'indietro esponendo la gola. Sospirò.
-No, Damon. - la voce di lei era spaventata a
morte. Non capiva. Non gliel'aveva forse appena chiesto? Mentre
insisteva, cercò di spingerlo via, le mani sul suo petto,
mentre continuava, terrorizzata, la voce spezzata solo un fioco
sussurro. -N-no...-
Damon era perso nel delirio, incurante delle sue suppliche.
Quando parlò, non riconobbe sé stesso.
-Devo farlo..- sembrava un assetato nel deserto
(paragone più che mai appropriato nella situazione), o uno
schiavo davanti alla tavola imbandita del padrone. La sua voce di
solito calda, arrochita dall'arsura -..se dobbiamo stare insieme per
sempre- finì mormorando, le labbra già sulla gola
di lei.
Lei, che chiuse gli occhi soddisfatta
mentre beveva, la bocca poggiata con delicatezza sulla sua pelle.
Lei, che emise un gemito strozzato di dolore,
mentre i suoi canini affondavano nella morbida carne, squarciando
l'epidermide pallida, lacerando una delle vene minori. Cercava di
scappargli, gli spingeva sulle spalle.
Qualche lacrima scese dai suoi occhi mentre lo pregava, piegata dalla
sofferenza ma incapace di fermarlo. Lui aveva abbassato le palpebre,
beandosi del suo sangue caldo e della sensazione dei suoi capelli che
gli solleticavano il naso, ignorandola.
-Damon, ti prego..smettila...- quasi non la
sentiva, concentrato sulla sensazione piacevole del liquido che aiutava
la sua gola scorticata. -...mi fai male..-
Se anche l'avesse ascoltata, in quel momento, probabilmente non
l'avrebbe comunque lasciata andare.
Le sue mani erano passate dalle sue spalle ai suoi avambracci, deboli
ed umane mentre cercavano ancora, invano, di allontanarlo.
-D-damon, non devi fa-are questo...- sentiva i
singhiozzi trattenuti nella sua voce, ma capiva che stava smettendo di
ribellarsi.-...ti pr-rego...mi fai m-male.- un singulto non
più smorzato lo fece tornare, più o meno, alla
realtà. Con un piccolo strappo, si staccò di
scatto dal suo collo. Era disgustato da se stesso.
Sentiva il viso deformato dalla brama, non avrebbe voluto guardarla. Ma
non poteva farne a meno.
Lei quasi gridò, mettendo in fretta una mano sulla ferita,
piegandosi leggermente in avanti.
Damon era sconvolto. Non poteva aver fatto questo a lei.
Finalmente, un po' di quella chiarezza tanto
agognata era scesa ad illuminargli la mente: era nel 2009, in un prato,
con Elena. Elena, la ragazza che amava, per la quale avrebbe tolto la
luna dal cielo, e alla quale aveva appena fatto del male.
Perché il veleno del licantropo gli stava fondendo il
cervello.
Era così frustrante. Ma almeno, ora, si ricordava di Elena.
Quel senso di smarrimento nel sentire il suo nome...il non ricordare
quel bellissimo – anche se in un certo senso masochistico-
amore che provava per lei...era stato terribile. Ma, in quel momento,
Elena lo guardava come una vittima guarderebbe il suo carnefice.
Espressione quanto mai sensata, visto ciò che era appena
successo.
Lei era appoggiata con la schiena ad un palo, le palme premute contro
la gola, la bocca semiaperta in un muto grido.
-Elena-, la chiamò, un tono a
metà fra la supplica, lo sfinimento e la scocciante
sensazione di non potersi muovere come avrebbe voluto. Ansimava, di
paura e di fatica. Gli costava uno sforzo enorme mantenersi in piedi.
Era così stanco.
Cadde sulle ginocchia e poi quasi si accasciò a terra, il
viso stravolto rivolto verso di lei che si ritraeva.
Elena respirava ancora faticosamente, eppure si inginocchiò
vicino a lui che abbassò gli occhi, spossato, e le si
avvicinò.
I loro respiri stremati si confondevano nella luce crepuscolare della
sera, impossibile distinguere quali ansiti erano di lui e quali di lei.
Damon poggiò il capo contro il suo
petto, cercando un conforto che non meritava.
Elena lo abbracciò, accarezzandolo, mentre con l'altra mano
cercava di fermare il sangue che ancora sgorgava dalla ferita. Lui
incastrò la testa nell'incavo del braccio di lei.
Sentiva caldo, poi freddo, poi di nuovo caldo. Un secondo prima stava
congelando, quello dopo si sarebbe potuto strappare i vestiti di dosso.
Un continuo alternarsi di sensazioni, troppo forti, troppo dure,
insopportabili.
Aveva bisogno di lei,
come non mai.
Elena si guardava intorno, cercando di capire se qualcuno aveva
assistito alla scena, mentre continuava a rassicurarlo come poteva.
****************
Damon era sdraiato nel suo letto, a casa Salvatore.
Non ricordava praticamente nulla di come fossero arrivati
lì, e sinceramente non gli importava. Fitte di dolore sempre
più forti avevano preso a torturargli lo stomaco durante il
tragitto, e anche se ora si erano un poco calmate, sospettava che
stessero solo aspettando il momento giusto per tornare.
Elena era al suo capezzale, in mano una pezza bagnata con acqua fredda
per cercare di abbassare la febbre.
Lui la chiamò, sofferente. Avvertiva la necessità
sentirla accanto.
-Elena...- sussurrava, non aveva la forza di
parlare più forte. Ogni volta che diceva il suo nome era
come acqua fresca, o menta piperita.
Elena si appoggiò con le mani sulla coperta, sporgendosi
verso di lui.
La sua voce era affettuosa. Voleva calmarlo. E lui, forse, voleva solo
essere tranquillizzato come un bambino durante un temporale.
Voleva sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, anche quando non
era affatto così.
Il tormento interiore era straziante. Si odiava per
tutto quello che aveva fatto, a partire dagli omicidi. Ogni vita
strappata lo ossessionava...aveva marchiati a fuoco nella retina i visi
di ognuno di loro (che solitamente faceva così fatica a
ricordare), di quelli a cui aveva rovinato un'esistenza umana e, per la
maggior parte, felice.
Forse, si era comportato così solo per invidia. O forse no.
Era veramente troppo dolorante e troppo inerme per psicoanalizzarsi in
modo autonomo.
-Va tutto bene, Damon. Sono qui- sapeva sempre cosa
dire, cosa gli passava per la testa.
Come poteva pensare di amarla come l'amava? Era pazzo.
Teneva così tanto a lei. Non voleva che lo vedesse in quello
stato, voleva mandarla via, ma non era sicuro di riuscire ad opporsi se
lo avesse contrastato. Era sicuro che l'avrebbe fatto, ma
provò ugualmente.
-Elena, va...va via...- serrò gli occhi,
mentre percepiva le gocce di sudore scivolare lente lungo il suo viso,
la pelle che scottava. Gli venne in mente un altro valido motivo per
cui lei non poteva restare. -...potrei...farti del male- a quella
prospettiva, rabbrividì. Ricordava Rose, la follia che le
occupava la mente prima che sopraggiungesse la debolezza estrema,
innaturale per un vampiro. Una stilettata di fuoco al fianco. Gli si
mozzò il respiro.
Elena lo guardò con dolcezza. Sentì i suoi
occhi percorrergli il viso come accarezzandolo, delicati...amorevoli?
Il veleno lo stava facendo impazzire, più di quanto non
avesse già fatto.
-No, non è vero...- riponeva troppa
speranza nel suo autocontrollo e nel suo sistema nervoso. Erano tutti e
due maledettamente intaccati dalla..malattia.
Damon socchiuse le palpebre per guardarla, il suo volto poco illuminato
dalla flebile luce che invadeva la stanza. Aveva insistito per tenerla
bassa, e anche così le cornee gli dolevano in modo
insopportabile -...starò qui fino alla fine. Non ti
lascerò solo.-
Lo sguardo di lei brillava nella semi-oscurità, risoluto.
Dio, quanto la desiderava accanto.
Ma non poteva -e non voleva- permettersi di ferirla. O, peggio,
ucciderla nella demenza. Non l'avrebbe sopportato, neanche per i pochi
istanti che avrebbe impiegato a morire. La sofferenza, ne era
consapevole, sarebbe stata insostenibile. Per non parlare di quello che
sarebbe successo a Stefan. Perciò doveva mandarla via, per
quanto gli sembrasse assurdo non affianco nella morte.
La sensazione di una lama poco affilata che gli trapassava l'addome lo
fece gemere, sorpreso. La voce gli si alzò in un mezzo grido
mente parlava, chiudendo di nuovo gli occhi e storcendo la bocca per
combattere quel male.
-Vat-ttene via..- il suo tono sembrava il
più possibile convinto, per quanto credibile potesse essere
mentre il dolore invadeva ogni vena e gli scorreva nel sangue con
crudele violenza.
Buttò fuori, in un unico grande respiro, l'aria che
tratteneva nei polmoni e reclinò il capo contro il soffice
cuscino dalla federa bianca. Si tirò su subito dopo,
tossendo, rendendosi conto che così facendo la situazione
non solo non migliorava, ma, anzi, peggiorava visibilmente.
Elena salì sul letto con le ginocchia, abbracciandolo,
accarezzandogli la schiena per calmare la tosse mentre lui si portava
una mano al petto per lo stesso motivo.
Lei si sistemò dietro di lui, seduta sui cuscini, le braccia
a cingergli le spalle dolcemente. La tosse s'acquietò
trasformandosi in respiri pesanti. Avvertiva la pezza fredda e bagnata
contro la sua scapola, dove Elena poggiava la mano destra, che
andò poi a strofinargli sulla fronte per lenire il calore
mentre lo stringeva a sé, facendogli posare il capo sul suo
seno e baciandogli i capelli di tanto in tanto. Lo cullava, parlandogli.
-Shh...va tutto bene...- mormorava, per non
disturbare la mezza quiete della stanza. Lui, con gli occhi chiusi,
aveva voglia di sorridere. I muscoli facciali, però, erano
contratti in un'espressione di dolore.
Si accontentò di contraddirla.
-No, non...non è vero..- credeva sul serio di riuscire a
convincerlo? O stava cercando di convincere se stessa? In ogni caso, le
illusioni erano solo fastidiose mosche da scacciare prima che il freddo
dell'inverno (o della realtà?) le uccidesse. Durante
l'estate-finzione pungevano troppe persone, causando mali e discordie.
Quindi il problema era da prevenire.-...non va bene.-
Damon ansimava per la fatica che gli procurava
conversare. Le corde vocali erano come tranciate in due da macheti di
pessima qualità.
Doveva spiegarle. Sentiva che sarebbe potuto esplodere, se non lo
avesse fatto prima di lasciarsi tutto alle spalle.
Per questo cercava di parlare ancora, nonostante i polmoni in fiamme
chiedessero pietà, nonostante la fatica immensa che gli
costava rimanere sveglio, nonostante desiderasse solo il nero
rassicurante del riposo. Anche il rosso dell'inferno sarebbe andato
bene. Nonostante tutto questo.
-Ho..sempre dato..la colpa a...Stefan...- era vero.
Stefan era sempre stato il migliore fra loro due.
Il buono, coraggioso, onesto Stefan. E lui l'aveva tormentato sempre,
nella sua ottusità.
Il respiro profumato di Elena che gli solleticava la cute lo calmava,
come una camomilla prima di dormire.-...nessuno...mi ha costretto ad
amarla. E' stata una mia scelta...- anche questa era solo e
semplicemente la verità. Aveva amato Katherine (come, in
quel momento, amava Elena) senza che qualcuno l'avesse obbligato. Era
successo e basta. Si era innamorato come uno sciocco ragazzino (scusa
plausibile nel 1800, ma non più utilizzabile dopo quel
secolo e mezzo d'odio) e ne era uscito a pezzi. In tutti i sensi.
Nessuno aveva pensato per lui. Aveva fatto tutto di
testa sua.
Aveva scelto, e non poteva far pesare ad alcuno le sue decisioni.
Tantomeno a chi gli voleva bene.
Elena gli sussurrava all'orecchio con voce dolce, mormorii
incomprensibili che somigliavano al suono del vento che soffia sul mare.
-Shh...shh...- cercava di zittirlo, di non farlo
pensare. Ma mentre gli occhi gli si offuscavano e gli impedivano di vedere con chiarezza, non poteva evitarlo. Doveva
trovare un modo per redimersi, per farsi assolvere (anche se solo
immaginariamente). Non voleva sparire dal mondo con quel peso, quella
colpa, nel cuore; non voleva arrivare di là
come il più bugiardo degli assassini. Probabilmente, di
là (ovunque fosse) l'avrebbero ricacciato a calci di qua.
Non esisteva un luogo abbastanza terribile da accogliere quelli come
lui e quindi avrebbe vagato come fantasma nel mondo dei vivi, straziato
dai rimorsi, invisibile e costretto a guardare i suoi cari andare
avanti senza di lui. La prospettiva era annichilente.
-Ho fatto.... una scelta sbagliata..- si era
pentito in così tanti modi diversi. Se fosse tornato
indietro, probabilmente si sarebbe fatto sparare in guerra pur di non
tornare a casa, di non incontrare mai Katherine e le sue infide
promesse. Una bugiarda senza scrupoli, una stupida egoista che aveva
interrotto la sua esistenza in un modo indecoroso. Ma non era neanche
colpa di Katherine. Aveva scelto lui.
-Calmo...- sentiva quasi le lacrime nella voce roca
di lei. Alzò lo sguardo verso il suo viso, faticosamente,
per godere un'ultima volta di quei bellissimi lineamenti, del delizioso
cioccolato nero dei suoi occhi. Anche lei lo guardò,
dall'alto, le braccia che lo cullavano piano, ancora strette attorno a
lui, il mento poggiato sul suo capo.
Doveva darle un messaggio, per suo fratello. Doveva fargli sapere
quanto stava male per quel che era successo. E poi doveva dirle addio
in un modo consono ai suoi sentimenti. Sentì la tenerezza
farsi strada dentro il suo petto squassato dalla tosse e dagli ansiti,
mentre ancora le osservava il viso.
-Dì...a Stefan...che mi
dispiace...okay?- sentiva la voce incrinata dallo sfinimento e dalla
tristezza. Mancava poco prima che si mettesse a piangere. Lei lo
strinse più forte, come in una muta conferma, prima di
annuire mordendosi piano le labbra e serrando forte gli occhi. Una
lacrima le rigò la guancia di nero. Doveva essersi messa un
po' di mascara. Quasi rise.
Bah, la sua mente era assurda. Come poteva notare
un particolare simile in un momento del genere?
Elena aprì gli occhi e parlò per riempire quel
silenzio che non era veramente silenzio, spezzato dai respiri
irregolari di Damon.
-Glielo dirò- provava a mostrarsi decisa
di fronte a lui, ma la conosceva bene. Sentiva il suo pianto - lacrime
fresche, salate- mescolarsi al sudore che gli impregnava i capelli,
percepiva la tensione nel suo corpo mentre lo abbracciava stretto,
l'urgenza delle sue mani che accarezzavano inconsapevolmente le spalle
tremanti di lui. Sapeva che stava trattenendo i singhiozzi. Eppure non
poté non ammirarla.
Perché con quelle due parole gli aveva confermato che non
credeva più alle illusioni. Aveva capito che non ci sarebbe
stato nulla da fare.
****************
Da qualche minuto non facevano nulla, l'atmosfera
tesa, ascoltando i rispettivi cuori battere impazziti, lo svuotarsi
regolare (per almeno uno di loro) dei polmoni, l'abbassarsi delle
palpebre dell'altro, il lavorio frenetico delle menti che riflettevano
sulle cose da dire, prima di non poter più parlare.
Si tenevano per mano, le dita intrecciate mollemente sul petto ansante
di lui. Il dolore e la lucidità erano svaniti in
un torpore pericolosamente intenso, che gli annebbiava i sensi
come vino. Sospettava che fosse il preludio a qualcosa di orribile.
-E' ancora più penoso di quanto
pensassi...- disse, tranquillo. Oramai si era rassegnato. Ma, a quanto
pareva, Elena non aveva fatto cadere ogni muro del suo castello in
aria. O forse stava soltanto cercando di convincerlo (convincersi?) che
Stefan avrebbe trovato il modo di salvarlo nei suoi ultimi dieci
minuti. Alla fine, la morte poteva anche essere un sollievo. Niente
più amori fatti di fragile ed inutile vetro veneziano,
così sottile che, quando si rompe, i graffi bruciano di
fuoco rosso e giallo.
-C'è ancora speranza...- lo
contraddisse, con la voce strana che ha la gente prima di scoppiare a
piangere disperatamente. Non capiva proprio per quale motivo si desse
tanta pena. Era solo lui, soltanto il fratello malvagio, soltanto
l'ombra o macchia, che dir si voglia, che minacciava la sua
felicità. Almeno, una delle tante.
Voleva far durare quei minuti d'attesa il più a lungo
possibile. Non gli era mai piaciuto aspettare, in nessun caso, eppure i
secondi che passava assieme a lei gli parevano preziosi come gioielli.
Come poteva far rallentare il tempo, se non così?
Ma lei era inquieta, sentiva il bisogno di riempire l'aria di parole
per la maggior parte inutili. Ma se poteva farla sentire meglio, chi
era lui per opporsi?
Se Elena desiderava vederlo sereno nell'angoscia, sarebbe riuscito a
mostrarle una maschera. Se desiderava le stelle, le avrebbe staccate
dal cielo e posate nelle sue mani una ad una. Così sarebbe
stato, fintanto che ne fosse stato in grado. E anche oltre.
-Ho fatto tante scelte che mi hanno portato a
questo..- lei guardava fisso davanti a sé, attenta anche se
cercava di sembrare indifferente.
Tutto ricadeva sulle sue spalle. Occhio per occhio, dente per dente.
Quella notte di così tanto tempo prima era solo, e aveva
sbagliato. Capendolo troppo tardi. -..me..lo merito...- dopo tutto
ciò che aveva fatto, la punizione adeguata era quella. La
morte più dolorosa e macabra possibile.
Cosa si aspettava? La signora con la falce non accredita nulla, neanche
a chi ha ingrossato le sue sinistre file di anime per tutta la propria
esistenza. La vita non è di sua competenza. E' un giudice
imparziale, non le importa di quella sorella bianca e perfetta che
tutti danno per scontata, ma che si trovano ad invocare quando lei
presenta il conto.
Era ironico. Anche lui aveva un fratello bianco e perfetto. Anche lui
era considerato quello nero e cattivo. C'era solo una piccola, grande
differenza: la Morte si era mai innamorata? Aveva mai voluto essere
egoista, risparmiare qualcuno solo per sé stessa?
-Io...merito...di morire.- era uno solo delle tante
soluzioni per pagare ogni secondo strappato alle sue vittime, ogni
spaventoso istante in cui aveva giocato con le loro paure,
sfiancandoli, manipolandoli. L'altra era il modo terribile nel quale se ne stava
andando.
Ma era contento di questo; avrebbe finalmente trovato un po' di pace.
Elena abbassò lo sguardo triste verso di lui, scuotendo la
testa.
-No..no..- la sua voce era poco più di
un sussurro pieno di risolutezza mentre si sdraiava lentamente affianco
a lui, continuando a carezzarlo come fosse un gatto da vezzeggiare.
-...non è vero...-
Cercava di guardarlo negli occhi, ma lui li teneva chiusi. Non avrebbe
potuto sopportare la pietà o la compassione di lei. Non
l'avrebbe mai accettata, non dalla donna che amava. Soprattutto visto
il loro...rapporto particolare.
Però gli faceva piacere sapere che lo riteneva degno di
vivere. Era una piccola consolazione in quell'abisso nero di
depressione.
-Sì, Elena...ma è
tutto...okay...- aprì gli occhi, increspando appena la bocca
dischiusa. Quello che stava per dirle sarebbe suonato sdolcinato e
melenso, insolitamente dolce da parte sua. Di solito lasciava a Stefan
il compito del romantico cavaliere. Quella frase, però...gli
era sempre piaciuta. Erano solamente mancate le occasioni per
pronunciarla. -...perché se avessi scelto...in modo
diverso...non ti avrei mai...conosciuta.- finì, lentamente,
con cautela, osservando le emozioni di lei che sfilavano sul volto
deformato dalle ombre della stanza. Gli teneva ancora la mano, col viso
a pochi centimetri dal suo, ancora distesa per metà sul lato
sinistro del letto. Abbassò lo sguardo. -...mi
dispiace...tanto.- non era propriamente vero.
Non poteva pentirsi di averla incontrata e di essersene innamorato. Non
ci riusciva.
Era stato troppo felice di avere una persona cui donare se stesso dopo
Katherine, anche se non aveva potuto farlo formalmente. Era stato
felice di amarla, di migliorare per lei.
L'amore era sempre stato così, per lui. Sofferto, ma
terribilmente meraviglioso. Poteva esserne amareggiato, forse, ma di
sicuro non aveva voglia di rifiutarlo.
Per quale motivo, poi? Qualche altro affondo a quel cuore freddo?
Avrebbe accettato di esserne dilaniato, piuttosto che rinunciare a quel
calore rincuorante che lo riempiva di vita. C'era solo un motivo per
cui aveva provato a rifiutare quello che gli passava nel cuore, ma non
era sicuro che l'avrebbe fatto se non fosse stato per suo fratello.
-Ti ho..fatta soffrire, Elena..- non avrebbe mai
voluto vederla triste, o anche solo abbattuta, per colpa sua. Non era
mai stata sua intenzione. Però era successo,
perché da bravo, stupido egoista non aveva pensato (ancora
una volta) prima di agire.
Lei sorrise e fece un cenno di diniego, gli occhi bassi.
-Non fa niente. Io
ti perdono.- sapeva che stava mentendo per farlo sentire
più o meno meglio nell'oblio. Non era sicuro di cosa
provava. Da una parte le era grato per quella piccola recita, ma
dall'altra...oh, dall'altra era infuriato. Con lei, con se stesso, con
il mondo intero.
Non aveva ancora finito. Improvvisamente, molte cose gli erano saltate
alla mente. Gesti da fare, parole per chiarire. Ma il suo tempo stava
scadendo in fretta, sentiva le forze abbandonarlo, le palpebre farsi
pesanti; faticava a non cedere alla sensazione di tante pezzuole umide
e calde sul corpo, piacevole dopo il dolore. Notava che le due
sensazioni si erano alternate un po' troppo spesso nel corso della
serata. Doveva sbrigarsi.
-So...che tu..ami Stefan..- gli costava un certo
sforzo ammetterlo. Gli costava un certo sforzo manovrare il suo corpo,
in effetti. L'aria che gli entrava nei polmoni sembrava impregnata
d'olio, l'odore di chiuso gli assaliva le narici -..e...sarà
per sempre...Stefan- era consapevole di questo. Eccome se lo era. Tutto
quel faticosissimo discorso era mirato a farle capire che non si
gettava in vane fantasticherie. A volte, la consapevolezza era talmente
forte da spingerlo verso pensieri che alcuni avrebbero trovato
pericolosi. Come, per esempio, fare fuori il rivale (soluzione non
praticabile visto chi
era il suo rivale...ma la gelosia è cieca)..o piazzarsi
sotto il sole lasciandosi bruciare, per poi volare via nel vento
sottoforma di cenere grigia e anonima. Aveva pensato al suicidio
più di una volta, per poi abbandonare l'idea.
Non ne valeva la pena, se poi avrebbe vissuto
momenti come quello, con Elena che accarezzava piano il suo
avambraccio, gli occhi e le labbra serrati per non lasciarsi vincere
dalla malinconia. La sua mano era morbida, leggera come una piuma.
Quando lei aprì gli occhi, scuri e caldi, lui li
catturò con i propri azzurri, un poco opachi per la febbre.
Le strinse le dita, piano, per farle comprendere che era lì
e che non la stava ancora lasciando.
Elena si accoccolò nell'incavo del suo
collo, i capelli setosi e profumati gli solleticavano il mento e
odoravano di rose, in una posa insolitamente intima. Teneva una mano
stretta al petto, come per trattenere i battiti furiosi che le
risuonavano nella cassa toracica. L'altra era in quella di lui.
Damon le baciò la testa, piano. Un groppo in gola lo
bloccava.
Mancava ancora qualcosa.
Mancava la parte più importante. Non era sicuro di riuscire
a sembrare forte, in quel momento.
-Ma io...ti amo...- con sua grande soddisfazione,
la voce non s'incrinò. Forse, giusto un po' sulle ultime
lettere. Ma l'aveva previsto.
Elena abbandonò ogni ritegno, la sua maschera d'indifferenza
andò in frantumi. I singhiozzi iniziarono a straziarle il
petto, prima piano e poi sempre più violenti, facendola
tremare incontrollatamente. Damon provò una gran pena per
quella giovane donna che tanto lo aveva stregato. Avrebbe fatto
qualsiasi cosa -dato qualsiasi cosa- per alleggerirla, prendere su di
sé tutti i brutti sentimenti che la tormentavano. Ma non
poteva. Si stava spegnendo, lo capiva. Non avrebbe potuto aiutarla in
nessun modo. -...dovevi saperlo...- in realtà, non era
sicuro che lei non lo sapesse. Eppure, voleva essere certo che sarebbe
morto vicino ad un' Elena consapevole. Non la voleva accanto solo per
far cessare i suoi sensi di colpa. Se si fosse ritratta dopo quello,
non l'avrebbe biasimata. Ne sarebbe stato contento.
Lei annuì, mentre il respiro affaticato di lui le
s'infrangeva sui capelli, i polmoni arrancanti che stavano per
concludere il proprio lavoro, il cuore che rallentava i battiti
impercettibilmente, eppure inesorabilmente. Quella tortura stava per
concludersi.
-Lo so..- Elena glielo mormorò piano, la
bocca schiacciata contro la sua spalla, mentre annuiva ancora. Lui
sorrise di uno di quei sorrisi mezzi sarcastici che nascondevano tanto
altro. Uno dei suoi ultimi sorrisi, solo un leggero incurvamento della
parte sinistra del viso. Avevano entrambi gli occhi chiusi, come per
non rovinare quei pochi istanti con le domande dell'anima.
-Avresti...dovuto conoscermi...nel 1864..- in
quegli anni era una persona migliore.
Un giovane e sprovveduto ragazzino di ventitré anni. Allora
era considerato già un uomo, ma dentro di sé era
ancora un bambino. Un bambino che giocava in una fossa di serpenti
velenosi senza rendersene conto. Il timbro della sua voce
vibrò in modo strano. -...ti...sarei piaciuto.- sicuramente
non l'avrebbe fatta star male come era, invece, successo in quel secolo
moderno. Anche se non ne era proprio sicurissimo.
Elena si sollevò su un gomito, in modo da poterlo guardare
in viso. Sentiva il suo sguardo su di sé, il rumore delle
gocce salate che finivano la loro corsa sulla coperta dopo averle
rigato le guance.
-Mi piaci anche ora..- Damon espirò,
trovando che questo processo solitamente facile ed immediato stesse
richiedendo un po' troppe energie. Girò lentamente il capo
verso di lei, mentre la ascoltava.-.così come sei..-
cercò di aprire gli occhi per vederla in volto, ma
riuscì solamente a socchiudere le palpebre per qualche
secondo, prima di soccombere alla stanchezza. Oramai non respirava
quasi più. L'aria gli pareva fin troppo solida. Inoltre, ad
ogni respiro la spiacevole sensazione di mille piccoli spilli
conficcati nei bronchi lo faceva rallentare ulteriormente.
Percepì lo spostamento di Elena mentre si avvicinava a lui,
registrò la sensazione delle sue labbra -erano soffici come
le aveva immaginate- sulle proprie e annoverò poi quel
ricordo fra i più felici della sua vita. Finalmente. Quanto
aveva desiderato un bacio? L'aveva voluto, sognato, ogni notte e ogni
giorno da quando l'aveva conosciuta. Poteva abbandonare il mondo
felicemente in pace, dopo quello.
Aveva solo una piccola parola -una parola per lei e solo per lei- da
aggiungere alla sua brillante arringa. Un discorso durato
così poco materialmente, ma che gli era sembrato lungo una
vita o due.
-Grazie.- nella sua mente appannata, la vide
sorridere fra le lacrime. Non riconosceva la sua voce, tanto era rotta
e inframmezzata da piccoli singulti.
-Di niente- soffiò le parole verso di lui, come per donargli
un altro secondo.
Non c'era più nulla da fare. Ancora poco -troppo poco-, e si
sarebbe dovuta alzare per dare la notizia agli altri componenti della
bizzarra compagnia che avevano messo insieme. Avrebbe fatto una fatica
tremenda, Damon lo immaginava. Voleva un funerale. Niente di pomposo.
Solo suo fratello, Elena, quei pochi amici che si ritrovava, suo
malgrado. Chissà se Bonnie sarebbe andata. Avrebbe voluto
sorridere, ma gli mancavano le forze.
Dentro di lui, il canto seducente dell'oscurità. Stava per
abbandonarsi ad esso, quando qualcosa -o meglio, qualcuno- gli
impedì di farlo.
-Dovresti ringraziare me, invece. Insomma...sono io
che ti porto la cura - quella voce...era quella di Elena, ma il
contesto era sbagliato. Una scarica di adrenalina iniziò a
scorrere nelle sue vene intirizzite e spalancò gli occhi,
stupito. Elena era voltata verso la porta, il corpo in tensione. Quando
si spostò, Damon intuì il perché.
Appoggiata mollemente allo stipite, una bottiglia sporca di rosso in
mano, c'era Katherine.
Non riusciva a smettere di fissarla. Cosa faceva lì? Non lo
lasciava neanche crepare in pace, quella strega?
La sua voce sprezzante invase di nuovo la stanza.
-Credevo che fossi morta- si rivolse ad Elena,
completamente indifferente mentre si avvicinava al letto -il suo letto
di morte- facendo ondeggiare la bottiglietta. C'era del sangue, dentro.
-Infatti - Elena non sembrava particolarmente intimorita. Aveva
utilizzato un tono orgoglioso, spazzando via la lacrimosità
e ogni sentimentalismo.
Mentre Katherine saliva sul letto, stappando la bottiglia, lui
cercò di capirci qualcosa.
-Ti..sei liberata...- dolore alla gola. Dubitava
fortemente che l'ultima arrivata a quell'allegra riunione portasse con
sé la sua salvezza. Se fosse stato veramente
così, avrebbe dovuto erigere un monumento a Stefan nella
piazza centrale di quello stramaledettissimo paesino. E chiedergli
più volte perdono per essersi lasciato baciare dalla sua
ragazza. A sua discolpa, avrebbe dovuto essere condannato e non si
aspettava nessun intervento miracoloso.
-Sì..- mormorò lei mentre avvicinava
l'imboccatura macchiata alle sue labbra. Mentre gli versava il liquido
nell'esofago, quasi senza lasciargli il tempo di deglutire
(così se non fosse morto avvelenato l'avrebbe affogato),
concluse -...finalmente.-
La cosa non gli tornava. Era libera e la sua prima deviazione era per
salvargli la vita? Nah, decisamente non da Katherine.
-E sei venuta..qui lo stesso?- il sangue era
strano. Freddo. Lo sentiva letteralmente aggredire i corpi estranei nel
suo organismo, scacciare l'infezione dai polmoni man mano che penetrava
nei tessuti. Era...piacevole riuscire a pensare nuovamente.
Sospirò godendosi la sensazione di vento freddo che
scacciava la nebbia dalla sua mente.
Katherine gli accarezzò il viso, mentre si piegava
leggermente verso di lui, sorridendo.
-Ti dovevo un favore.- semplice. Su quello era
sempre stata sincera (quasi sempre). Non lasciava mai un debito
impagato.
Si allontanò da lui, alzandosi dal letto e cominciando a
dirigersi verso l'uscita.
-Dov'è Stefan?- la domanda di Elena lo mise in allarme. Era
vero. Dove diavolo si era cacciato suo fratello?
-Sicura che t'importi?- Katherine era falsamente rammaricata. Qualunque
gratitudine avesse provato nei suoi confronti, si sciolse come neve al
sole.
-Dov'è?- Elena sembrava parecchio arrabbiata. Parlare con
l'altra le faceva quest'effetto. Aggiungendo poi la preoccupazione e lo
stress...era meglio starle lontano.
Sollevando la bottiglia vuota, Katherine sorrise malignamente.
-Sta pagando per questa. Si è donato a
Klaus.- rispose come se fosse del tutto ovvio. Come se dovessero averlo
già capito. Scuotendo la testa, continuò -Io non
lo aspetterei tanto presto..-
Damon era pietrificato. Se non fosse stato ancora così
debole, sarebbe già saltato al collo di quella vipera
cornuta. Stefan si era donato a Klaus?
Una calamità naturale. Il suo adorabile fratellino, quando
scatenato, era una maledettissima calamità.
-Che vuol dire si è donato a Klaus?-
Elena non capiva. Certo che non capiva. Non aveva conosciuto Stefan nei
momenti bui. Era quasi più terrificante di lui, quando
capitavano i decenni difficili. Rettificò: era più
terrificante di lui.
Katherine scrollò le spalle.
-Ha sacrificato tutto per salvare suo
fratello..compresa te.- quella stronza. Doveva proprio mettergliela
giù così? Elena l'avrebbe odiato. Detestato.
L'avrebbe ammazzato con le sue stesse mani.-...è un bene che
tu abbia Damon a farti compagnia.- gli gettò una rapida
occhiata da sopra la spalla, prima di girarsi di nuovo verso Elena. Il
vampiro le scoccò uno sguardo il più minaccioso
possibile. Sdraiato così, ancora febbricitante e inerme,
faceva ben poca figura.
-Addio, Elena.- Katherine inarcò un
sopracciglio, come se avesse visto il suo penoso tentativo, e poi
imboccò la porta. Grazie al cielo.
Si fermò sulla soglia, come se avesse dimenticato qualcosa.
Damon strinse i denti -Oh..va bene amarli tutti e due.- sorrise alla
vista dell'espressione di Elena. Omicida. -Io l'ho fatto.- e la cosa
l'aveva portata a distruggere due esistenze anziché una
soltanto. Che risultato magnifico.
Lanciò la boccetta vuota fra le mani di Elena, che
sussultò come se scottasse e la fissò per qualche
secondo. Katherine gli fece un ultimo occhiolino prima di correre via.
Quando Elena alzò lo sguardo, se n'era già andata.
Si girò verso di lui, che cercò di sollevarsi a
sedere. Puntellandosi sui gomiti, dolorante e intorpidito, fece una
smorfia. L'addome protestava (si sentiva come fasciato da bende. Troppo
strette), ma respirava liberamente. L'aria era di nuovo una sostanza
gassosa che entrava e usciva dai polmoni.
Sentiva gli occhi sgranarsi man mano che realizzava
di stare meglio. Molto meglio.
Sollevò lo sguardo su Elena, che lo fissava furiosa. E anche
un pelino preoccupata.
La capiva. Stefan in libertà in un pessimo momento della sua
vita. O, come doveva apparire la cosa nella sua mente: il suo amore che
aveva aiutato il fratello morente (che oltretutto aveva un pessimo
carattere) a costo della sua libertà. E della
possibilità di libero arbitrio.
Si osservavano dalle parti opposte della stanza.
Lo aspettavano giorni d'inferno. Gli occhi di Elena non lasciavano
scampo.
Damon rabbrividì leggermente. Non gli avrebbe dato neanche
il tempo di rimettersi completamente.
L'avrebbe scuoiato vivo.
Angolo
autrice:
Buonasera
^^
Sono
tornata con una riscrittura XD E sì..
Chi ha letto "Almeno una volta"
(cliccate il link!!) conosce il mio stile ^^
Siccome quest'ultima è piaciuta, ho deciso di farne qualche
altra XD
In breve, fra poco potreste trovarvi una raccolta di momenti Delena ^^
So cosa state pensando. Lo so.
Che sono una malata di mente ^^
Non mi offendo, me lo dice spesso anche mia madre. E mio padre. E mia
sorella. Anche il mio cane ^^
Però...è più forte di me. Adoro
descrivere. E queste occasioni sono irripetibili.
Va bé, chiusa parentesi.
Spero vivamente che questa FF riscuota critiche positive come la sua
sorellina della 2X08 XD
Ciao ciao ^^
So04
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