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Autore: Nimel17    16/01/2013    2 recensioni
Un diverso finale di Wicked, in cui Fiyero non si trasforma come vorrebbe Elphaba, incrocia la sua strada con quella del Signore Oscuro
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Signor Gold/Tremotino, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Rumpelstiltskin era nel suo laboratorio, lavorando ossessivamente ad un’altra pozione che gli permettesse di andare nel mondo senza magia in cui c’era suo figlio.
Il suo Bae.
Si tagliò con un pezzo di vetro e qualche goccia di sangue scivolò dentro la provetta, trasformando quello che doveva essere una soluzione diluita e violacea in una materia vischiosa e verde smeraldo. Il suo autocontrollo si ruppe e gettò la fiala contro il muro, infrangendo tutto quello che gli capitava sotto mano. Quando il tavolo rimase spoglio, si costrinse a calmarsi e si prese la testa tra le mani, massaggiandosi le tempie.
Bae non avrebbe mai voluto vederlo così. Respirò profondamente due volte, poi iniziò a scendere le scale per andare al suo arcolaio, per dimenticare il suo dolore.
Per dimenticare il suo ennesimo fallimento.
Rumpelstiltskin.
Rumpelstiltskin.
Rumpelstiltskin.
Qualcuno lo stava invocando.
Il cuore gli si alleggerì dall’angoscia. Niente lo rendeva… non felice, ma sicuro di sé, come trattare con anime disperate come lui. Si materializzò dove il richiamo proveniva: un castello polveroso come il suo,  con scaffali pieni di libri e manoscritti antichi, spoglio di mobilia preziosa.
Le finestre avevano vetri oscuri, per impedire alla luce del giorno di passare, ma il soffitto era un cielo notturno, senza stelle, ma con i pianeti che ruotavano per magia, sprigionando aloni luminosi.
Affascinante. La donna che l’aveva chiamato aveva buon gusto.
Proseguì lungo uno stretto corridoio, ricoperto da un tappeto di velluto viola scuro, uno dei pochi ornamenti che aveva visto nel castello. Un gatto nero appostato sopra uno scaffale seguiva ogni sua mossa con i suoi occhi verdi e gli soffiava contro, minaccioso.
Rumpelstiltskin si bloccò quando altri gatti neri arrivarono come dal nulla, esaminandolo attentamente. Lui fece un ironico inchino.
“Mi ha invitato la vostra padrona. Chiedeteglielo, se non ci credete.”
Gli animali soffiarono, rizzarono il pelo ma si distesero verso il basso, per riconoscergli la sua superiorità. Probabilmente doveva sentirsi onorato.
Avanzò ancora, fino ad arrivare in quella che doveva essere la biblioteca ufficiale del maniero. Assomigliava moltissimo alla sua: scaffali altissimi pieni di manoscritti, i titoli incisi in targhette di metallo attaccate al legno, molti avevano l’aria di essere pericolosi addirittura a causa di marchi nelle copertine che rassomigliavano moltissimo a piccole zanne: un tempo aveva preso un manoscritto simile, ma la sua abitudine di stracciare le proprie pagina l’aveva reso inutilizzabile.
“Il Signore Oscuro.”
Lui non poteva che ammirare la donna per essere riuscita ad avvicinarsi senza essere udita. I suoi occhi si accesero d’interesse quando la vide: era piccola, snella, con lineamenti rigidi, occhi di un verde così scuro da confondersi quasi con la pupilla, capelli neri che ricadevano ribelli sulle spalle e sulla schiena, vestita con un abito nero, semplice e accollato. Il particolare più strano era la pelle: era colorata come la sua, ma era verde chiara invece di dorata e la tinta era uniforme.
Dalla sua persona emanava una forte aura di magia. Doveva essere una strega molto potente.
S’inchinò profondamente.
“Rumpelstiltskin, al vostro servizio.”
Gli occhi della donna sembravano avere un fuoco al loro interno, pieno di forza e mettevano soggezione.
“Il mio nome è Elphaba.”
“Elphaba.”
Lui pronunciò il suo nome, meravigliandosi di quanto suonasse bene.
“Cosa posso fare per voi, Elphaba?”
“Voglio stringere un patto con voi.”
Rumpelstiltskin si lasciò scappare un risolino.
“Immaginavo, dearie, qualcosa di simile. Nessuno mi chiama senza avere un accordo in mente.”
La strega si sedette in una poltrona e gli fece cenno con la testa di sedersi in quella di fronte. I movimenti erano rigidi, quasi meccanici. Non doveva intrattenere ospiti molto spesso.
Si sedeva dritta come un filo di ferro e la bocca era ridotta ad una linea sottile di preoccupazione. Gli dispiacque: sarebbe stata una donna estremamente affascinante se avesse sorriso.
“Mi ha parlato di voi un uomo che avevo catturato qualche tempo fa mentre curiosava nel mio giardino. L’ho lasciato andare, perché le sue chiacchiere erano estremamente fastidiose, ma mi ha detto qualcosa d’interessante. Per esempio, che poteva viaggiare tra i mondi.”
“State parlando di Jefferson, il caro Cappellaio Matto.”
“Così ha detto di chiamarsi. Voglio sapere se potete riportare indietro le persone.”
Lui digrignò i denti, furioso che tutte le questioni si riducessero ad una sola: far rivivere i morti. Comunque, si calmò e scosse la testa.
“Ciò che ò morto è morto, dearie. Nemmeno…”
La strega lo interruppe, agitando una mano in segno di diniego.
“Mi avete fraintesa. So che non è possibile riportare i morti alla vita, e nemmeno lo vorrei. Si sconvolgerebbe un equilibrio troppo delicato per correre questo rischio. Ciò che chiedevo, era se potevate far rivivere qualcosa di inanimato.”
Rumpelstiltskin sbatté due volte le palpebre. Che richiesta singolare.
“Spiegatevi meglio.”
I begli occhi di Elphaba si fecero tristi, vuoti.
“Molto tempo fa, studiavo all’università di Shiz. Non starò a dilungarmi troppo, basterà dire che ne fui cacciata, ma ciò non fu sufficiente a distruggere l’amore tra me e un altro studente, Fiyero, nonostante lui fosse fidanzato con la Strega Buona del Nord, Glinda, e fosse incaricato di dare la caccia a me, la Malvagia Strega dell’Ovest. Purtroppo, i cacciatori di streghe ci trovarono e per salvarlo lo tramutai in uno spaventapasseri, in modo che non provasse dolore.”
“Avete utilizzato un incantesimo di sangue?”
La strega sorrise tristemente.
“Purtroppo sì. All’epoca ero molto più giovane e inesperta.”
“Posso vederlo?”
Lei fece un gesto con la mano e, steso sul tavolo che stava tra di loro, comparve uno spaventapasseri dai tondi occhi azzurri, spalancati e fissi.
“Credete sia cosciente?”
“Doveva esserlo. Doveva essere sempre animato, solamente fatto di paglia.”
“Qualcosa è andato storto, ovviamente.”
Prese la mano del giovane Fiyero, poi fece passare la sua sopra il suo viso impagliato.
“Ricordate l’incantesimo? Le parole esatte.”
La voce di Elphaba era roca e spezzata, come se le facesse male pronunciarle.
“Eleka nahmen nahmen, ahtum ahtum eleka nahmen.”
Rumpelstiltskin sospirò profondamente. Si sentiva triste per quella povera infelice, che doveva pagare per la sua inesperienza, il suo coraggio e la sua dedizione.
“Ho paura che quello che avete usato non fosse un semplice artificio, ma una maledizione.”
La donna lo guardò, sconvolta.
“Ma… ogni maledizione si può spezzare.”
“Con il bacio del Vero Amore, certamente.”
Gli occhi della strega erano come pozzi neri. Era intelligente, aveva capito il problema.
“E uno spaventapasseri non può provare sentimenti.”
“Posso fare in modo che il tempo o qualsiasi altra cosa non lo danneggi.”
Elphaba si era voltata, allontanandosi da loro due e stringendo le mani in due pugni serrati.
“Fatelo. Come prezzo… v’interessa sapere cos’ho da proporre?”
“Solitamente, sono io che lo decido, dearie.”
“Credetemi, lo vorrete.”
Sulla mano affusolata della donna era comparso un volume sottile, rosso scuro, scritto con le rune. Lui lo prese con aria annoiata.
“Bene, bene dearie, una descrizione di tutti i passaggi tra mondi magici. Ma io non ne ho bisogno.”
“Non solo tra mondi magici. Anche per un mondo senza magia.”
La mano di Rumpelstiltskin si bloccò a mezz’aria. Elphaba gli tese il libro.
“Ve l’ho detto, Jefferson è un chiacchierone fastidioso. Abbiamo un patto?”
“L’accordo è sigillato, dearie.”
 
 
 
Non rivide la Strega dell’Ovest fino a molto tempo dopo. Una sera l’aveva trovata lì, nel suo salone dove filava. Aveva sempre i capelli ribelli, gli occhi bellissimi e tormentati, le mani eleganti e delicate.
“Elphaba.”
“Deduco che non siete riuscito ad arrivare al mondo senza magia.”
Lui scrollò le spalle.
“Il  libro mi è stato utile, ma la magia oscura è respinta costantemente da quei passaggi magici.”
“Mi dispiace.”
Rumpelstiltskin cominciò a filare, volendo dimenticarsi anche della sua presenza.
“Perché?”
Non si voltò.
“Perché cosa?”
“Siete il Signore Oscuro. Siete potente. Perché volete andare in un mondo dove sareste un mortale qualunque?”
“Affar mio.”
Non si accorse di quanto si fosse avvicinata fino a quando non gli prese la mano.
“Vi prego. Io vi ho raccontato la mia storia, anche se mi faceva soffrire.”
Lui smise di toccare l’arcolaio e rimase fermo, senza liberarsi dal tocco di lei. La sua pelle era più morbida di quanto avesse pensato.
“Mio figlio. Mio figlio è in quel mondo a solo, per colpa mia e ho giurato di riunirmi a lui.”
Perso nel suo dolore, si accorse a malapena quando Elphaba gli prese timidamente il viso tra le mani e gli sfiorò le labbra con le sue.
Erano salate, perché erano bagnate dalle sue lacrime, ma morbide e fresche. La cercò a sua volta, facendo scorrere le dita tra i riccioli setosi, usandoli per tenerle ferma la testa e poterla baciare meglio.
Era troppo tempo che non aveva provato la gioia di un contatto umano. E con Milah non aveva mai provato la sensazione di esser voluto, richiesto.
Sapeva che era quello che desiderava anche Elphaba, perché erano troppo simili nello spirito per amarsi, ma sapevano fare entrambi a meno di un fuoco per accontentarsi di qualche scintilla.
  
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