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Autore: Greta_Unicorn    19/01/2013    3 recensioni
Lo incontrai un giorno,dopo la scuola,era un po' che non lo vedevo.Aveva la fama di essere un cattivo ragazzo,ma in spalla aveva una chitarra,quindi mi sarei fidata ciecamente di lui in ogni caso.
Kurt mio passò di fianco e io mi decisi finalmente a fermarlo,a parlargli.
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trascinavo letteralmente da qualche mese dopo la litigata con Kurt.
Avevo ripreso la suola, per così dire, e mio padre era tornato a casa. Avevo riallacciato i rapporti con lui, lo avevo accettato.
Accettare.
Questo termine era stato usato milioni volte quando chiunque parlava con o di me…
“Vedo che hai accettato la situazione, qui a casa…”, diceva mio padre;
“Finalmente hai accettato la scuola e lo studio”, mi dicevano gli insegnanti;
“Dobbiamo accettare che tu non puoi cambiare il Mondo da sola, puoi solo fartene una ragione”, mi dicevano tutti gli atri.
Accettare.
Accettare era un termine totalmente sbagliato per quella situazione, io non avevo minimamente accettato tutto quello che mi era accaduto e che mi circondava.
Avevo solo smesso di interessarmene.
Tutte le volte che avevo tentato di cambiare le cose, di migliorarle, era stato inutile e addirittura dannoso.
Allora avevo deciso di lasciarmi andare, di lasciare che tutto mi passasse addosso e non mi scalfisse. Pensavo fosse la cosa migliore da fare, non volevo più impegnarmi per cambiare le cose.
Mi alzavo, mettevo due cose qualsiasi addosso, prendevo un libro o due e m’incamminavo. Uscivo la mattina presto, così presto che era ancora buio. Eppure arrivavo tardi alle lezioni o non ci andavo affatto.
Spesso me ne stavo solo fuori, camminando verso chissà dove e dovendo poi tornare sui miei passi, altre volte cercavo i posti peggiori della città, quelli meno conosciuti e più nascosti, dove altre persone si trascinavano in cerca di soldi e roba con cui sentirsi di nuovo a posto. Contrariamente a quanto si dicesse però, non avevo cominciato a drogarmi in quel periodo, me ne stavo in quei luoghi al di fuori della società per sentirmi capita, anche apprezzata.
Nessuno riusciva a capire cosa provassi…forse per colpa mia che non lasciavo intuire nulla, forse perché tutti quelli che credevo amici, erano solo ipocriti, approfittatori, falsi, perbenisti. Non era importante cosa fossero, ma il fatto che si fossero allontanati tutti quanti dopo e durante il mio cambiamento. Anziché essere più presenti per cercare di farmi tornare quella di una volta e tirarmi su di morale, se ne andarono tutti.
Forse odiavo me stessa, forse non m’interessavo più nemmeno di me…
Ormai mangiavo pochissimo, quasi nulla, e non mi curavo più nemmeno del mio aspetto. Non che io fossi una fanatica della bellezza esteriore, ma prima mi piaceva apparire in un certo modo…Ora si poteva intuire facilmente il mio stato d’animo…avendo smesso anche di tingermi i capelli che, ringraziando la crescita molto veloce, erano divisi a metà: dal cranio in su erano del mio bruno chiaro naturale e poi si vedeva una linea molto distinta dove iniziava il rosso ormai sbiadito e tendente all’arancione che un tempo era stato il mio orgoglio.
Tornavo a casa e a volte mangiavo altre no. Poi andavo in camera mia, spegnevo la luce, chiudevo le finestre e le tende e mi sdraiavo sul letto. Rimanevo lì alcune ore, senza fare nulla, stavo solo lì, a occhi aperti nell’oscurità. Poi uscivo nuovamente e tornavo nel giro più lontano possibile da casa e dalla mia “vita” quotidiana. Vita non si poteva chiamare, ma da quando Kurt ed io avevamo litigato, non riuscivo a fare nulla. Tutto mi sembrava inutile…perché mi sarei dovuta curare di me stessa se tanto a nessuno sarebbe interessato?
Nessuno si accorgeva più di me.
Io bruciavo dall’interno e nessuno se ne accorgeva.
Cominciai a marcire anche esteriormente e le persone si allontanarono per la paura.
Mio padre un giorno mi prese da parte e mi disse “Lo sai dove si arriva, smettila. Per favore, non farti questo…non te lo meriti.”.
Lo apprezzai davvero, fu l’unica persona che pensò a me, che rivoleva la vecchia me. Forse fu l’unico che si accorse di me, l’unica volta.
Fatto sta che la mia esistenza procedette così per alcuni mesi, diventando sempre più inutile e insignificante giorno dopo giorno.
Avevo già avuto momenti bui, ma le altre volte in fondo rimaneva la speranza che tutto si sarebbe aggiustato.
Quella volta no, forse perché non sapevo da che cosa derivasse la mia depressione, perché a quel punto si poteva parlare di depressione.
Ero una donna forte, era per me impensabile poter cadere tanto in fondo per un ragazzo.
Ma in lui avevo visto più di un amico. Più di un ragazzo. Più di un essere umano. Lui era superiore, non era paragonabile a nessuno che io avessi mai conosciuto, e mi aveva presa in giro. L’avevo perso…Durante quella riflessione ero sdraiata per terra, ascoltando al massimo volume la cassetta che mesi prima i Nirvana mi avevano regalato chiedendomi che ne pensassi. Mio padre uscì per andare al lavoro ma la porta rimase aperta troppo tempo.
Una figura si mosse di fianco a me. Sentii qualcuno sdraiarsi alla mia sinistra.
“Si sta bene qui, fa solo un po’ freddo, ma l’oscurità totale mi piace. Entrando in questa camera sembra di trovarsi in qualcosa di denso e oscuro, come se tutti i pensieri e tutte le emozioni provate qui si addensassero nell’aria e riempissero la stanza.” L’ultima frase fu pronunciata in tono più profondo, come per rafforzare le parole dette. Non avrei saputo sbagliarmi. Lui era lì di fianco a me.
“Più o meno è così…è una sorta di stanza/pensatoio dove torno per rivivere le emozioni che ho lasciato in sospeso e che se ne stanno a mezz’aria.” Ho risposto.
“…riesco a sentirle tutte.” Ha detto lui, per poi proseguire dopo una lunga pausa: “ma non ti sentire imbarazzata sapendo che so cosa pensi e cosa provi. Questa è una stanza magica, anche tu senti le mie emozioni.”
Che cosa significava?! Piombava a casa mia mentre ero depressa a causa sua e mi diceva di non sentirmi imbarazzata se sapeva cosa provavo.
Io ero imbarazzata anche di fronte a me stessa, come potevo non esserlo con lui?! Così non risposi, prolungando il silenzio che già si dilungava da diversi minuti…in fondo però aver sentito qualcuno parlare in quella camera era bello come dividere quel silenzio opprimente e quell’oscurità pesante in due.
Rimanemmo in quella situazione a lungo, finché lui non mi sfiorò il fianco sinistro con la mano. L’aria si era caricata di tristezza sovrannaturale e sentivo quel suono umido che accompagna un pianto silenzioso. Mi resi conto che in tre o quattro mesi di depressione non avevo pianto nemmeno una volta. Non ci riuscivo, ma in quel momento mi sentii totalmente a mio agio che non mi sorpresi quando le lacrime mi bagnarono le guance, formando due rivoletti che confluivano negli angoli della mia bocca.
Aprii la finestra, la spalancai il più possibile, quasi la ruppi. Kurt strappò le tende e ne fece due pezzi che ci legammo in testa e usammo come mantella, poi prese i barattoli di vernice dal seminterrato e cominciammo a ridipingere la stanza di bianco. Non la mia stanza di prima, ma quella che una volta era dei miei genitori e che mio padre aveva lasciato libera dopo la morte di mia madre. Avevo deciso di lasciare la stanza in cui ero stata così male così com’era stata durante la depressione, in modo da poterci tornare e sentire di nuovo i miei pensieri di quel momento. Tutta la vernice colò sui vecchi mobili da pochi soldi che ne sarebbero usciti solo migliorati. Kurt prese la vernice gialla e dietro il letto disegnò un cerchio, due crocette, una linea irregolare.
Una faccina sorridente con la lingua di fuori e gli occhi a crocetta.
“Questa è l’anteprima del logo dei NIRVANA!” e scrisse in alto il nome della band. “Chiamo i ragazzi per vedere che ne pensano!”
Trenta minuti dopo anche Chad e Krist erano nella mia nuova stanza, seduti per terra insieme a noi due. Non c’era un letto e nemmeno una sedia o un tavolo, quindi avevo steso un vecchio materasso con un piumino sopra.
Stavo bene, davvero bene.
Anche loro apprezzarono il logo dei Nirvana e decisero di rimanere a cena e pensarono di dimostrarci la loro bravura in cucina.
Verso le 11:40 eravamo seduti sul tappeto di camera mia, nell’attesa di assaggiare le delizie preparate dai nostri cuochi…c’era davvero di tutto, diversi primi e secondi, contorni e dolci prelibati e l’immancabile liquore di mio padre alla fine.
Mangiai tutto in meno di venti minuti…divorai la mia parte e mi avventai sugli avanzi degli altri, non ero mai stata così sazia e appagata.
Finalmente ero tornata, anzi ero rinata.
[Ciao Faaaans!! Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento,non ne sono sicurissima...grazie ancora a quei pochi che mi seguono e mi raccomando ancora:recensite,recensite,RECENSITE!! Amo sentire le vostre idee!! :3
A presto,
G. <3]
  
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