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Autore: Alina Alboran    19/01/2013    2 recensioni
"Il ricordo della felicità non è più felicità; il ricordo del dolore è ancora dolore." George Gordon Byron
***
Nero come la solitudine, nero come i ricordi che ti ostini a non dimenticare.
Nella tua mente si succedono immagini di un passato fin troppo recente per essere dimenticato.
Non hai mai amato gli ospedali, puzzano di disinfettante e sono pieni di bianco e a te non piace il bianco.
Il bianco è l’incertezza, è il futuro e nel futuro non ci possono essere ricordi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Fotografie della tua assenza

Non fai altro che ricordare: ricordi brutti, belli, divertenti, dolorosi, felici, malinconici…
La tua vita non è fatta che di semplici ricordi.
Da quando lui è uscito dalla tua vita, hai smesso di esistere.
Vai a fare la spesa, torni a casa, cucini, guardi la televisione e vai a dormire.
Questa non è vita.
Non puoi continuare così, lo sai bene, eppure non fai niente per andare avanti.
A te piace vivere di ricordi, ti piace ricordare i suoi baci, le sue carezze, il suo odore, il suo sapore.
Ricordi il vostro primo bacio, vero? Certo, come potresti mai scordarlo… la tua vita è un ricordare continuo.
Tua madre te l’ha sempre detto:
Innamorati, figlia mia, ridi, piangi, vivi!”.
Hai deciso di innamorarti, di donare tutta te stessa e ora smetti di vivere!
Il primo bacio, la prima volta, il primo ti amo…
Sono ricordi dolorosi o felici?
Sei felice di ricordare quella felicità che non sarà più tua?
Sono passati due anni, ma tu continui a soffrire come il primo giorno.
«Non sei la donna giusta per me!».
Ti ha lasciata in un modo meschino, crudele, meriterebbe il tuo odio, non il tuo amore.
Odio… non potresti mai odiarlo. Come odiare i lunghi pomeriggi passati insieme nel letto a farsi le coccole?
Come odiare quei magici momenti che trascorrevate insieme?
«Io merito il meglio e tu non sei il meglio».
Nessuna esitazione nella sua voce, solo determinazione.
Maledetta determinazione!
Maledetti ricordi!
Maledetta vita!
Con un gesto secco della mano sgombri la scrivania di tutte le pratiche non ancora concluse.
Una foto cade, producendo un rumore sordo.
La prendi in mano e continui a ricordare.
Sono passati due anni, ma tu tieni ancora la sua foto in ufficio!
Patetica!
Sei solo una patetica trentatreenne che ha smesso di vivere per amore di un uomo.
Aveva ragione lui, tu non sei il meglio.
Se fossi stata il meglio avresti amato te stessa, avresti odiato lui, e avresti smesso di ricordare.
Ma si sa, nella vita niente va così come dovrebbe andare, c’è sempre qualcosa che ti impedisce di essere veramente felice.
Neanche una volta in questi due anni hai mai pensato di prendere in mano le redini della tua vita. Hai continuato a ricordare in silenzio, a piangere coperta dal silenzio della notte.
Quando qualcuno ti chiede di uscire, tu rifiuti sempre a causa del ricordo delle sue crudeli parole.
«Nessun uomo si innamorerebbe davvero di te».
Questa frase è sempre nella tua mente: che tu faccia la spesa, oppure sia al parco con la tua nipotina, oppure al lavoro, il suo ricordo, e la voce tagliente con cui l’ha pronunciata, continua a rimbombarti in testa, come un disco rotto.
Nonostante i ricordi ti provochino più dolore che felicità, non smetti di rivivere ogni momento della vostra storia.
Avevi sognato il matrimonio con lui, avevi pensato all’abito, agli inviti, al catering.
Che umiliazione annullare tutto, che umiliazione dirlo a tuo padre.
«Non sei stata capace di tenere un uomo al tuo fianco, vergogna!».
Il tuo non è mai stato un padre come gli altri: non ti ha mai portato al parco, comprato un gelato, passato un pomeriggio solo con te.
Quando l’hai incontrato il tuo primo pensiero è stato:
“ Mio padre sarà orgoglioso di me.”
E avevi ragione… tuo padre era orgoglioso di te, ma lo era più di lui.
Aveva una bel lavoro, soldi in banca, una casa grandissima: era perfetto! Il figlio che avrebbe sempre voluto.
«Ancora non capisco perché hai scelto mia figlia, lei è così poca cosa per te».
Sei uscita via dalla stanza con le lacrime agli occhi, ma lui ti ha raggiunta, ti ha consolata, ti ha detto che mai e poi mai ti avrebbe lasciata, per nessuna ragione al mondo, perché eri tu la sua ragione.
E tu, da stupida, ci avevi creduto, e non puoi fare altro che dare ragione a tuo padre quanto ti diceva che il tuo essere troppo ingenua ti avrebbe portata alla rovina.
Ricordi il giorno del tuo compleanno? Quando ti ha fatto la proposta di matrimonio?
Eri così radiosa nel tuo vestito celeste, fin troppo elegante per una semplice cena…
Tu sapevi, ecco il perché della scelta, fin troppo azzardata, di quell’abito.
«Sposami, sii mia per sempre perché senza di te non sarei nulla. Sposami e ti renderò la donna più felice del mondo… Sposami e completami, senza te non vivo».
Ti sei commossa davanti alla sua voce rotta dall’emozione, alle sue parole confuse e, a dire il vero, neanche troppo romantiche, eppure nessuna dichiarazione ti è sembrata più dolce e romantica di quella.
Ricordi, e altre lacrime fuoriescono dai tuoi occhi celesti che ne hanno versate fin troppe, per essere ancora belli e splendenti come prima.
«Sei la mia speranza, la mia luce nel buio, i tuoi occhi illuminano tutto il mio mondo».
«Davvero hai creduto che ti avrei sposata?».
«Ti amo».
«Vattene da casa mia».

I ricordi felici si sovrappongono a quelli tristi e la testa ti sembra scoppiare.
«Sembra di essere in un film», dici con il poco fiato rimasto. Hai pianto e urlato per ore, eppure non ne hai ancora abbastanza.
Prendi il cellulare in mano e, con la mano che ti trema, componi il suo numero.
Sono passati otto mesi dall’ultima volta che l’hai fatto, ma non ti aveva risposto.
Che l’abbia fatto per evitare di renderti ancora più ridicola davanti ai suoi occhi?
Uno squillo.
Senti il cuore in gola, ti sembra quasi che stia per scoppiare.
Due squilli.
Ti fai prendere dal panico e stai per staccare.
Tre squilli.
«Pronto?». Una donna!
Mai il solo sentire una voce ti ha fatto male come adesso.
Interrompi subito la chiamata e lanci il telefonino lontano, contro la porta.
Il rumore attira l’attenzione dei tuoi colleghi, che si affacciano al tuo ufficio per controllare che tu stia bene.
Piangi, piangi, piangi e ricordi.
Vorresti strapparti il cuore dal petto, tanto è il dolore che provi ora.
«
Pensavo fossi diversa, pensavo di riuscire a renderti forte».
Non lo riconoscevi più. Non era quello l’uomo che avresti dovuto sposare da lì a pochi giorni.
«Miriam, stai bene?», ti domanda Stacy, quella gentile.
«Ma sì che sta bene, ha una dei suoi soliti scatti!», risponde scocciata l’altra Stacy, quella stronza.
Fai appello a tutte le tue forze per alzarti dal pavimento e riacquistare quel poco di autocontrollo che ti serve per rispondere a Stacy la stronza.
«Sto bene».
«L’avevo detto io che era tutta scena».
Le due abbandonano l’ufficio e tu puoi lasciarti andare nuovamente allo sconforto.
Ogni giorno ricordi una cosa diversa, anche le cose più insignificanti sono impresse nella tua memoria e sembra che niente e nessuno le possano cancellare.
«Lo zio ti manca tanto, vero zia?».
«Cosa?».
«Da quando se ne è andato sei triste, non mi porti più nemmeno al parco».

Persino una bambina di sette anni ha capito quanto quel maledetto ti abbia fatto male. Perché sei così cieca? Perché non vuoi vedere?
In molti sono rimasti abbagliati dalla tua bellezza, dai tuoi capelli scuri come la pece e da quei occhi azzurri, un tempo così belli e luminosi da far ammaliare chiunque li guardasse.
Ti basterebbe sbattere un paio di volte le ciglia e decine di uomini sarebbero pronti a fare follie per te.
«Non piangere più, Miriam, le difficoltà sono delle costanti nelle nostre vite, ma con ciò non significa che dobbiamo arrenderci. Dimenticalo, tesoro mio, costruisciti una vita insieme a chi ti ama davvero». Tua madre aveva ragione, come sempre del resto: le difficoltà fanno parte della vita di tutti noi, ma dobbiamo andare avanti, lottare e superarle.
Ti piangi addosso come una bambina e in fondo è proprio quello che sei, nonostante i tuoi trentatré anni, ti comporti come se fossi un’adolescente in piena crisi ormonale.
Ma ora basta, devi lottare per riavere la tua vita!
Ti alzi dal pavimento e con aria decisa dici:
«Da oggi tutto cambierà». Non ne sei convita, è già la decima volta che lo dici questo mese. Io continuo a crederci ogni volta, come potrei non farlo? Quella piccola pagliuzza di speranza che rivedo nei tuoi occhi è capace di ipnotizzarmi.
Perché non mi vedi? Perché non mi ami? Sarei pronto a darti tutto!
Il telefonino che prima hai lanciato squilla e, anche se a malavoglia, rispondi senza nemmeno guardare il numero sul display.
«Pronto?», dici annoiata.
«Ha chiamato prima, ma poi la chiamata si è interrotta». Quella voce! È lei.
«Ho sbagliato numero. M- mi scusi». Riattacchi velocemente e, mandando al diavolo tutti i tuoi buoni propostiti, cominci a piangere nuovamente.
Perché lo ami così tanto? Perché continui a ricordare le sue labbra che ti sussurravano un misero “ti amo” mentre facevate l’amore? Perché continui a ricordare i suoi occhi e il disprezzo con cui ti hanno guardata l’ultima volta?
Perché, per una volta, non mi guardi veramente e non ti accorgi di quanto amore sarei pronto a darti?
Da ore continui a chiederti chi sia quella donna e l’unica ipotesi plausibile è proprio quella che non vuoi accettare.
Per lei, ha lasciato te per lei.
«Mi sono innamorato. Lei è tutto quello che non sei tu. È una vera donna!».
Non hai osato rispondere quella volta perché, nelle sue parole, tu ci credevi. Credevi veramente che lei fosse migliore di te.
Forse lo è, anzi sicuramente lo è! Lei non si metterebbe a supplicare l’amore di un uomo. Forse è migliore di te, ma non potrà mai amare con la tua stessa intensità.
Perché tu, piccola mia, ami con una passione mai incontrata prima di ora.

Alle cinque staccherai e, come al solito, io sarò lì, a osservare come ti allontani, a sussurrarti che ti amo.
Stacy la gentile ti avvisa che il “grande capo” vuole vederti.
Sei agitata, ma fai il possibile per non darlo a vedere; cammini spedita verso l’ufficio del Signor Parker mentre l’ansia non ti dà tregua.
Sai che verrai licenziata, sai che non potrai dire nulla a tua discolpa.
Sei arrivata davanti alla sua porta e tutti gli uomini dell’ufficio non possono fare a meno di notare quanto tu sia bella oggi.
I lunghi capelli neri ti ricadono delicatamente sulle spalle arcuate dal grande peso della sofferenza e i tuoi bellissimi occhi azzurri, ora rossi a causa del pianto, sono fissi sulla porta.
Entri nell’ufficio e il forte odore di tabacco ti dà la nausea, stai per svenire, ma fai di tutto per resistere: l’immagine del tuo capo diventa sfuocata e la sua voce sempre più ovattata.
Dopo pochi attimi non vedi altro che nero.
Nero come la solitudine, nero come i ricordi che ti ostini a non dimenticare.
Nella tua mente si succedono immagini di un passato fin troppo recente per essere dimenticato.
«Un’ambulanza, presto! Chiamate un’ambulanza», urla qualcuno.
Dopo minuti che sembrano ore, arriva l’ambulanza.
Il signor Parker chiama la tua famiglia e la informa sulle tue condizioni.
Tua madre, con la voce rotta dal pianto, non fa altro che sussurrarti parole piene d’amore.
Sei in ospedale: devi essere tenuta sotto osservazione per capire il motivo del tuo svenimento.

Benché tu non te ne renda conto, la tua voglia di aggrapparti al passato, ai ricordi, la tua voglia di soffrire, di non dimenticare, rende vulnerabili tutti coloro che ti stanno accanto.
Le ore passano e finalmente i medici hanno capito cosa c’è che non va: sei anemica.
Niente di cui preoccuparsi, dicono i medici; l’inizio della tua fine, dico io.
Domani dovresti essere dimessa e tu non vedi l’ora.
Non hai mai amato gli ospedali, puzzano di disinfettante e sono pieni di bianco e a te non piace il bianco.
Il bianco è l’incertezza, è il futuro e nel futuro non ci possono essere ricordi.

Un’infermiera entra in camera e ti informa di una nuova visita; non sei in vena per vedere nessuno, ma non dici niente: aspetti pazientemente che tua madre, almeno credi sia lei, entri da quella porta e ti sorrida bonariamente.
Guardi fuori dalla finestra, la pioggia sbatte furiosamente contro il vetro, e tu non puoi non ricordare la prima volta che ti ha detto ti amo.
Pioveva, pioveva così forte che uscire anche se solo per pochi attimi, era impensabile, ma tu l’avevi fatto:
amavi la pioggia e niente ti avrebbe vietato di goderla pienamente.
Dopo i tuoi cinque minuti di pazzia, passati nel gelo più totale, sei ritornata in casa, infreddolita e bagnata come un pulcino.
Lui era sull’uscio della porta che ti aspettava con un asciugamano pulito.
«Pazza, sei pazza!», ti dice con uno dei suoi soliti sorrisi che ti fanno battere forte il cuore.
«Sei pazza, ma ti amo!».

Altre lacrime fuoriescono dai tuoi occhi, ma non fai niente per trattenerle.
«Miriam». Ti giri di scatto.
Nonostante siano passati due anni, non hai ancora dimenticato il melodioso suono della sua voce.
Con il viso bagnato dalle lacrime sembri ancora più indifesa di quanto tu non sia.
«Che vuoi?». La voce ti trema, ma lui sembra non accorgersene.
«Mi sposo!». Spalanchi leggermente gli occhi, mentre il tuo volto viene investito da un’altra ondata di lacrime.
«Mi sembrava giusto dirtelo», continua con voce ferma. Sembra che vedere la tua sofferenza non gli faccia alcun effetto.
Come hai potuto innamorarti di una persona del genere? Come hai potuto donare tutta te stessa a chi non ti merita?

«Perché sei venuto?», gli domandi con la voce che ti trema.
«Per dirti, farti capire, che è ora che tu ti rifaccia una vita, non puoi continuare così».
«Ch-che intendi dire?», domandi con la voce spezzata dal pianto.
«So che sei stata tu a chiamare». Abbassi lo sguardo, colpevole. Ancora una volta ti sottometti a lui, alle sue parole, ancora una volta ti fai umiliare.
Quanto vorrei farti capire che tu vali molto, che non hai bisogno dell’amore di un uomo per vivere…
«Sono passati due anni, Miriam, non puoi sperare che io ti accetti nuovamente nella mia vita».
Quanto sono dure le sue parole, quanto ti feriscono…
È uno stronzo, amore mio, perché continui ad amarlo? Cosa ha lui che io non ho? I soldi? La bella casa? Il conto in banca? Non ho tutte queste cose, è vero, ma ho qualcosa che probabilmente lui non ha mai avuto: un cuore.
Un cuore per amarti, per farti sorridere, per dirti che, anche nei momenti più bui e difficili, io sarò sempre al tuo fianco per proteggerti, per darti amore.
«Perché? Dimmi perché?». La tua voce non è altro che un sussurro, non sai nemmeno se lui ti abbia sentita oppure no.
«Perché…». Anche la sua voce è un sussurro. Che per una volta tu l’abbia lasciato senza parole? Strano…
«Avevi detto di amarmi, che mai mi avresti lasciata! Perché? Non ti ho forse amato abbastanza? Non sono forse stata una buona amante? Dimmi dove ho sbagliato…».
Perché continui a umiliarti in questo modo? Perché vuoi soffrire? Sai bene che dalla sua bocca non potrebbero mai uscire parole gentili e confortevoli.
«Non sei abbastanza per me! Ho bisogno di una donna forte, che non pianga a ogni minima difficoltà». Queste parole sono le stesse che ha usato quella sera.
«Ti amo,». Patetica! «se non mi vuoi come compagna… lascia almeno che io sia la tua amante».
No, amore mio, no!
Non vedi cosa sei disposta a fare per lui? Non vedi che questo amore ti sta distruggendo? Perché vuoi essere il suo passatempo? Perché vuoi che sfoghi le sue frustrazioni sul tuo corpo?
Ride delle tue parole e, nonostante ciò, sei felice di sentire nuovamente la sua risata.
«… certo che devi avermi amato veramente tanto per propormi una cosa del genere», dice tornato serio.
«Sì, sarei, sono, capace di dare la vita per te! Perché non mi accetti?».
«Non sei degna di me! Lo vuoi capire una volta per tutte? Io per te non devo esistere! Smettila di amarmi! Odiami, perché io non merito questo tuo grande amore! Devi odiarmi, hai capito? Odiami e dimenticami!». Le sue urla attirano l’attenzione di un’infermiera.
«Che succede qui?», domanda rossa in volto. «Questo è un ospedale e perciò è-». Si interrompe non appena vede il
bastardo.
«E lei cosa ci fa qui? Il suo reparto è dall’altra parte dell’ospedale. Perché si è alzato? Il medico le ha chiaramente detto che qualsiasi sforzo potrebbe compromettere ancora di più la sua salute».
«Nicholas…».
«Io…»
«Chiamerò qualcuno per farla accompagnare nella sua stanza, signor Price».
Sei confusa, non sai cosa stia succedendo.
«Nicholas!», tenti ancora, questa volta alzando il tono della voce.
«…».
«Che diamine sta succedendo, Nicholas? Perché sei ricoverato in ospedale?». Ormai le lacrime sono un lontano ricordo.
«…».
L’infermiera se n’è andata, probabilmente in cerca di aiuto. Siete rimasti solo vuoi due e, urlando, gli chiedi ancora una volta cosa abbia voluto dire prima quella donna.
«Per favore, Nicholas… dimmi che succede, non farmi soffrire ancora di più. Capisco di non essere abbastanza per te, che non sono degna del tuo amore, ma ti prego, se in te è rimasto ancora un po’ di quell’amore che vantavi di portarmi, dimmi la verità».
I suoi occhi diventano lucidi e, lentamente, si fa scivolare a terra. Il mento sulle ginocchia e le spalle che tremano ogni tanto: sta piangendo.
Ti si stringe il cuore vedendolo.
Ti alzi dal letto e ti avvicini a lui.
«Nicholas», sussurri prima di stringerlo in un attesissimo abbraccio.
Alza il viso- come sono rossi i suoi occhi-e ti sussurra un “ti amo”, tanto inaspettato quanto gradito.
«Ti amo», ripete questa volte più forte,« e sono io a non essere degno di te!», urla nuovamente, ma questo è un urlo pieno di disperazione e di angoscia.
«Cosa state facendo entrambi per terra?», domanda l’infermiera sorpresa. È accompagnata da un uomo, hai la sensazione di averlo già visto.

«Non puoi continuare così… non ti resta molto, massimo due o tre mesi», dice un uomo sulla cinquantina con aria grave.
«Non posso, lei non deve saperlo, ne soffrirebbe troppo», dice Nicholas con aria affranta.


Non ci avevi fatto molto caso, eri indaffarata con i preparativi prematrimoniali e niente, che non fossero fiori, centrotavola e le varie tonalità di rosso, ti sembrava importante.
«Miriam!», esclama l’uomo quando ti vede. «Che ci fa lei qui?».
Sposta lo sguardo da te a Nicholas, come in trance.
«Glielo hai detto?», domanda dopo secondi interminabili.
Il bastardo nega e tu sei sempre più confusa.
«Dirmi cosa?».
«…».
«Dirmi cosa, Nicholas? Rispondi, maledizione!».
«Lasciaci soli, Rick, ti prego», dice con la voce che gli trema.
Ancora seduto per terra, prendendo la tua mano tra le sue, ripete di amarti.
«Ho il cancro. Non avrei mai creduto di vivere per altri due anni, quando ti ho lasciato la mia speranza di vita erano due, massimo tre, mesi. Non volevo che mi vedessi morire, non volevo che soffrissi. Ho creduto che, lasciandoti e comportandomi da stronzo, sarei riuscito a farmi odiare da te e che, prima o poi, mi avresti dimenticato. Credevo, speravo, che ti saresti rifatta una vita, che saresti stata felice anche senza di me». Non riesci a crederci. Non puoi crederci…
«Mi avevi detto che avevi un’altra…».Non gli credi, amore mio, vero? Non puoi credere alle sue bugie. Ti sta solo prendendo in giro,
nuovamente.
«Balle! Non sapevo che scusa inventarmi per far finire la nostra storia così, su due piedi, e allora ho inventato questa scusa patetica».
«Oggi ti ho chiamato, e mi ha risposto una donna». Brava, non devi credergli. E smettila di piangere, accidenti, ché hai già versato troppe lacrime per lui!
«Lo so, era mia sorella Kate, sono stato io a chiederle di risponderti».
Ormai non riesco più a distinguere le tue lacrime dalle sue. Che stia dicendo la verità?
«Perché mi hai lasciata? Se mi ami perché l’hai fatto?».
«Un mese su tre lo trascorro qui, in ospedale. Certe volte anche più di un mese. Non volevo sottoporti a questo, non volevo che rinunciassi alla tua vita per me, non me lo merito». Le sue parole risultano così vere, così sofferenti, che persino io non riesco a fare a meno di credergli.
«Quando te ne sei andato, lasciandomi, la mia vita è finita».
«Lo so, e non sai quanto mi dispiace».
Le vostre labbra si toccano leggermente; entrambi sussultate, come scottati da questo avvicinamento.
«Ti amo».
«Ti amo».

   
 
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