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Autore: Luly Love    19/01/2013    4 recensioni
Roxas ha un appuntamento con Naminè e tutta l'intenzione di fare un grande passo avanti in fatto di relazioni. Ma il destino e Naminè stessa non gli rendono le cose facili...
Sequel di "All'ombra del vischio - Come tutto ebbe inizio" ma si può leggere anche come singolo.
Dedicato ad antocharis_cardamines. Perchè sì .
Dal testo :
Sussultai quando nel mio raggio d’azione non vi fu altro che il suo viso: si era avvicinata così tanto a me che le nuvolette dovute ai nostri respiri erano diventate una sola cosa.
– Hai il naso rosso. – mormorò.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naminè, Roxas, Sora
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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So hot your nose so sexy you
 

 

   L’amore ha tante facce.
È un mistero da scoprire ogni giorno
    

 
Sciarpa. Giacca a vento imbottita. Calzettoni.
Avevo tutto. Feci un respiro profondo e guardai fuori dalla finestra: il cielo era grigio e pesante, minacciava di nevicare da un momento all’altro.
– Non ci provare. – sibilai rivolto alle nuvole.
– Ribadisco quello che ho detto qualche giorno fa: perchè la gente dice che il fratello scemo sono io? – la voce di Sora mi giunse fastidiosa dall’altra parte della stanza.
Mi girai per lanciargli un’occhiata truce, ma lui non mi stava guardando: era impegnato a scrivere un  messaggio e, ci avrei scommesso, il destinatario era Kairi. Da quando il piano di Sora era andato a buon fine e lui e Kairi erano ufficialmente una coppia, passavano tutto il tempo a messaggiare; facevano le ore piccole vicino al cellulare e la mattina lui era uno straccio con occhiaie nere e voce (e non solo quella) da oltretomba, mentre lei era sempre fresca e raggiante. Nemmeno un segno di cedimento sul viso. Che fosse un superpotere solo di Kairi o delle donne in generale?
Tornando a noi, mio fratello non si accorse dell’occhiataccia perciò dovetti esprimermi a voce.
– Ascoltami bene, signore delle gufate, mancano venti minuti all’appuntamento con la ragazza dei miei sogni, perciò vedi di tapparti quel cesso di bocca. – ringhiai.
Ebbene sì, mio fratello era il re per eccellenza delle gufate. Che si trattasse di sport, compiti in classe, interrogazioni, relazioni, cose belle e cose brutte, ci azzeccava quasi sempre. Purtroppo, se lo si costringeva a gufare non si otteneva niente o peggio, si otteneva l’effetto contrario. In poche parole, Sora serviva a ben poco. L’unico motivo per cui non lo avevo ancora spedito in Perù a fare la guida turistica era che, essendo gemelli, se un giorno avessi avuto bisogno di qualcosa come un rene, un litro di sangue o un midollo, lui era il donatore perfetto. E poi, moooolto in fondo e nonostante tutto, gli volevo bene.
– Qualcuno è nervoso. – mormorò provocatorio lanciandomi una breve occhiata.
Feci per rifilargli una ripostaccia delle mie, ma all’ultimo istante mi accorsi che aveva ragione. Sospirando pesantemente mi lasciai cadere sul letto e sfregai i palmi delle mani inspiegabilmente sudati sul jeans nero che indossavo.
Sora mollò il telefono e si rizzò a sedere.
– Ansia da primo appuntamento? – chiese.
– Non è il mio primo appuntamento. È il primo appuntamento con lei. Ho paura di fare l’errore peggiore. – confessai.
– Cioè? – chiese, un sopracciglio alzato.
Mi alzai in piedi e cominciai a camminare a grandi passi per la stanza, provando a figurare tutte le cose più sbagliate che potessi fare. Quando arrivai a contarne più di dieci smisi, per evitare di cadere nella paranoia. O forse ci ero già caduto?
– Allora? – la nota di impazienza e preoccupazione nella voce di Sora, stranamente, mi calmò. Un po’.
– Non lo so di preciso cosa potrei fare, ma ho paura che, qualunque sia quell’errore, la allontanerò da me. –
Lui fece una smorfia, poi sorrise.
– Fratello, ci sono riuscito io. Okay che mi hai aiutato tu, ma a baciare Kairi sono stato io. E sempre io le ho fatto la dichiarazione. – si alzò in piedi, mi raggiunse e poggiò una mano sulla mia spalla.
Alzai lo sguardo e incrociai il suo: trasmetteva una sicurezza che spesso gli invidiavo, quella sicurezza propria dei bambini.
– Beh, effettivamente, se ci sei riuscito tu perché non dovrei farcela anche io? – dissi, con un sorriso a trentadue denti.
Mi diede una pacca sula spalla e uscì, sicuramente diretto in cucina, non prima di avermi augurato buona fortuna.
– Ne avrò bisogno. – dissi a mezza voce guardando preoccupato il cielo.
 
 – Roxas guardami! –
La voce cristallina di Naminè mi solleticò le orecchie e a quel suono la mia testa si girò quasi per riflesso verso di lei.
Eravamo alla pista di pattinaggio da un’ora, ormai, e dopo alcuni giri di pratica e due cadute, la mia bella ninfa padroneggiava appieno l’arte del pattinare, per mia somma sfortuna.
Avevo sperato che si rivelasse imbranata ma decisa a continuare e quindi bisognosa di un aiuto, il mio appunto; il bel programma che mi ero disegnato era, però, presto andato a farsi fottere, perché a quanto pareva Naminè aveva un talento nascosto.
Ero così nervoso e incazzato che dopo il primo turno avevo lasciato la pista e me ne ero andato nella piccola tribuna per gli spettatori, mentre la mia dama azzardava figure sempre più audaci.
Ora, per esempio, stava pattinando all’indietro.
Le feci un piccolo applauso e lei sorrise, raggiante.
Forse non tutto è perduto, pensai.
Si diresse verso di me e si appoggiò alla balaustra; io invece mi sporsi e poggiai le mie mani sulle sue. Rise.
– Chi l’avrebbe mai detto, eh? Sì insomma, è una cosa che ci si aspetterebbe da Kairi, non da me! – disse entusiasta, per la decima volta in un’ora.
– Nami, ti sottovaluti troppo. – ribattei io.
Mi lanciò un’occhiata scettica. – Stai dicendo che ci avresti scommesso? – chiese provocatoria.
– Sto dicendo che sei una ragazza meravigliosa sotto ogni punto di vista e, secondo il mio modestissimo parere, sotto quell’aspetto innocente si nasconde una grinta che supera quella di mio fratello e di Kairi. – dissi d’un solo fiato, con quella dolcezza che mi veniva naturale quando parlavo con lei.
– Nemmeno tu sai di cosa sei capace. – continuai – E ti auguro di scoprirlo. Spero solo che durante questo tuo cammino potrò rimanerti accanto. O, almeno da parte mia, io sarò sempre con te. –
A quel punto, non poté non arrossire, e io la seguii a ruota.
Mi guardò negli occhi ed io rischiai di perdermi in quelle pozze di cielo così simili alle mie.
Lei sospirò e si scostò impercettibilmente, così che io temetti di aver compiuto l’errore; i miei timori però svanirono quando mi sorrise.
– Facciamo una passeggiata, ti va? – mi chiese.
Io annuii e lei andò verso l’uscita.
Dieci minuti dopo eravamo l’uno di fianco all’altra, diretti non si sa bene dove. Tutto quello che mi importava era che fossimo insieme e credo che per lei fosse lo stesso. Stavamo in silenzio e anche questo bastava; suppongo che stesse elaborando il mio complimento e io non volevo certo interromperla.
Poi iniziò a parlare.
– Non vedo l’ora che ricominci a nevicare, sto lavorando ad un quadro e la neve, oltre ad esserne il soggetto, è anche fonte d’ispirazione. – e continuò a parlarmi di colori, tempeste e fiocchi di neve.
Ora, non è che non mi interessasse, mi piaceva che le porte del mondo dell’artista mi venissero aperte, però dovete sapere che quando Nami parlava del suo mondo diventava un’altra persona: gli occhi le si accendevano di una luce abbagliante, le labbra si piegavano in un sorriso tra i più belli, e lei si animava come non mai. Insomma, diventava ancora più bella, pulsava di vita in un maniera indicibile.
Perciò, mi concentrai più sul suo viso che sulle sue parole e ogni tanto annuivo, giusto perché non se ne accorgesse.
Ed ero così concentrato che quando lei si fermò di botto, io rischiai di travolgerla.
La guardai sconcertato senza capire il perché di quel repentino blocco.
– Eccola. – si limitò a dire lei e poi alzò il viso contro il cielo.
Io seguii il suo sguardo e in quell’istante un fiocco di neve si poggiò sulla punta del mio naso.
Naminè ridacchiò.
– È fredda! – mi lamentai come un bambino. In realtà il fiocco era troppo piccolo perché sentissi davvero freddo, ma pur di sentirla ridere avrei fatto di tutto.
Nel frattempo, l’aria si era fatta davvero fredda e intorno a noi cominciarono a turbinare fiocchi grandi come ostie. Ficcai le mani nelle tasche della giacca, pentendomi di non aver messo i guanti.
Naminè, invece, era stata più saggia: alle mani portava dei candidi ed eleganti guanti bianchi.
In effetti, rispetto a me, la bionda era bardata come un eschimese: cappotto di panno, guanti, sciarpa di lana, cappello da Babbo Natale, leggings invernali e scaldamuscoli. Ai piedi, converse alte foderate di pelliccia. Al confronto, io, che di invernale avevo solo le Timberland, sembravo un idiota masochista. O un figo, di quelli tosti che sfidano il clima. Conoscendo la mia fortuna, sembravo un idiota.
Sussultai quando nel mio raggio d’azione non vi fu altro che il suo viso: si era avvicinata così tanto a me che le nuvolette dovute ai nostri respiri erano diventate una sola cosa.
– Hai il naso rosso. – mormorò.
– Non lo sento nemmeno più. – ammisi, poi la squadrai per bene e sorrisi. – Ma non sono l’unico. – le dissi, facendole l’occhiolino.
Lei portò le mani a coppa davanti alla bocca ed espirò; il suo alito, che sapeva di cannella, mi raggiunse il viso, trasmettendomi  un piacevole calore.
– Grazie, è d’aiuto. Ti renderei il favore, ma col naso rosso sei incredibilmente sexy. – e nuovamente ammiccai.
Lei arrossì fino alla punta delle orecchie e boccheggiò.
Decisi di non darle il tempo di trovare una risposta o anche solo di elaborare le mie parole, perciò la presi per mano e cominciai a camminare, tirandomela dietro dolcemente.
Arrivammo a casa sua in un lampo, perché senza volerlo eravamo già di strada, e non parlammo per niente. Tuttavia, Naminè non lasciò mai la mia mano, anzi, ci si aggrappò.
Ci fermammo davanti alla porta inghirlandata e lei si portò di fronte a me, le mani ancora unite.
– È stato un bel pomeriggio. Grazie per... per tutto. – mormorò.
Una risposta seducente, una risposta seducente, una risposta...
– La stessa cosa per me. – mi sentii dire.
Inorridii immediatamente. Che razza di idiota! Ero stato un gentile playboy per tutto il tempo, l’avevo inondata di complimenti e ora, negli ultimi, decisivi minuti di gioco con cosa me ne uscivo? “ La stessa cosa per me.”
Nemmeno Sora sarebbe stato capace di una risposta del genere!
Intanto, lei mi aveva lasciato la mano per prendere la chiavi ed aprire.
– Beh, allora ci sentiamo e ci vediamo. – disse, uno spiraglio di porta già aperto.
Mi limitai ad annuire e sorridere, non volendo spazzare ulteriormente ciò che avevo guadagnato.
Mi girai e, lentamente, mi avviai lungo il vialetto, insultandomi mentalmente.
– Roxas! – mi chiamò, con una strana veemenza.
Mi voltai, fulmineo. Lei mi raggiunse svelta, sorridendo raggiante.
– Ricordi cosa hai detto prima? Anch’io sarò sempre con te. Non dubitarne! (*) – disse, sempre con quella veemenza.
Annuii, capendo a cosa si riferisse; lei a quel punto mi buttò le braccia al collo e mi baciò.
Un bacio al sapore di neve e cannella che mi lasciò estasiato.
Quando ci staccammo (il mio cuore non voleva, ma i miei polmoni sì) lei mi lanciò uno sguardo malizioso.
– E questo? Te lo saresti aspettato? – chiese impertinente.
Ridacchiai e la strinsi ancor più a me, seguendo il profilo della sua mascella con la punta del naso.
Solo quando ebbi finito le risposi.
– No, non me lo sarei aspettato. Continuerai a sorprendermi? –
Le scintillarono gli occhi.
– Puoi contarci. –
 
 
 
(*) vi ricorda qualcosa? XD
 
Angolo autrice:
Vi sono mancata? *si sente solo il vento*
Oooook, passiamo avanti. Questa fic è il seguito di All’ombra del vischio – Come tutto ebbe inizio (qui) ed è dedicata alla mitica e geniale antocharis_cardamines. I motivi sono molti: primo, anche lei mi ha dedicato una RokuNami (LEGGETELA. Leggete tutte le sue meraviglie. È UN ORDINE.) secondo perché aspettava questa fic. Terzo, perché SÌ.
 Bene, credo di aver detto tutto. Lasciatemi una recensione, anche se corta, anche e soprattutto per farmi notare errori, io mi accontento di poco.
Un bacio,
Luly 


  
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