Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: shirupandasarunekotenshi    20/01/2013    1 recensioni
Seiya e Marin, un allievo e la sua maestra sotto il cielo di Grecia.
Fanfic partecipante al contest "Un proverbio giapponese anche per te".
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eagle Marin, Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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LA VOLONTA’ DELLE STELLE
 
 "La forza di volontà attraversa anche le rocce."
 
 
Un riverbero del sole bruciante di Grecia brillò sulla maschera d'argento della sacerdotessa, guerriera di Athena, la schiena appoggiata al perimetro della soglia di casa, le braccia incrociate sul petto, un ginocchio leggermente sollevato.
Marin guardava lontano, apparentemente in attesa di qualcosa... o qualcuno. Il suo nervosismo era palpabile, nonostate quello strato di metallo celasse drasticamente ogni suo lineamento.
Sbuffò dietro la maschera, girò sui tacchi e rientrò nell'alloggio, la mente che tornava ad un anno prima, quando il suo allievo le era stato condotto.
Seiya si chiamava... minuscolo giapponese dallo sguardo vivace, gli occhi ardenti ma con quell'aria ingenua tipica dei bambini che, gettati da soli nel mondo, tentano di tirare fuori un orgoglio precoce sfidando tutto e tutti a muso duro.
Marin dell'Aquila non era tanto diversa da lui, solo un po' più grande: ormai, alla sua giovane età, aveva imparato a dosare, fino ad equilibrare, la fierezza guerriera ed una maturità necessaria per sopravvivere nell'universo dei saints di Athena.
Le era stato facile credere in quel ragazzino, meno facile non lasciarsi condizionare da un sentimento, non rischiare di lasciar prevalere la tenerezza sul dovere di maestra di saint. Un maestro di futuri saint non poteva essere tenero, non era concesso, perché un bambino tirato su con tenerezza, nel mondo dei sacri guerrieri, avrebbe avuto il destino segnato.
A lei non era stato concesso nulla.
E voleva bene a quel bambino, proprio per questo desiderava che sopravvivesse; per aiutarlo a sopravvivere, a sua volta non gli avrebbe concesso nulla, nessuna debolezza, nessuno sgarro... nessuna pietà.
Non avrebbe fatto di tutto per far sì che il suo fratellino scomparso avesse salva la vita?
Seiya... la stessa età che avrebbe dovuto avere suo fratello... anche lui giapponese.
Un pugno d'acciaio si abbatté sul tavolo di legno al centro della stanza.
“Piccolo lavativo, appena torni una lezione efficace non te la toglierà nessuno!”
 
***
Non aveva mai ben sopportato gli ordini nè le costrizioni.
Non ne capiva interamente il significato e non erano mai somministrati con gentilezza, meno che mai dolcezza.
Se il piccolo Seiya avesse dovuto dare un significato a quell'ultimo anno trascorso - strappato dall'orfanotrofio e da Seika-neesan per essere rinchiuso a Villa Kido e poi ... poi lì, in Grecia, lungi da tutto - la parola rabbia e il rosso che essa rappresentava erano tutto ciò che il suo giovane cuore riusciva a rammentare: essi accecavano i suoi grandi occhi.
Non vi era niente di giusto nè di sensato, a volte faticava a capire ancora il motivo della sua presenza lì.
A volte sperava di vivere solo un lungo incubo.
Ma quei pensieri erano chimere. E il sole della Grecia non perdonava i sogni, li distruggeva.
 
***
Il cielo brillava di stelle quando i suoi passi giunsero sulla soglia della capanna: i piedi e le mani erano caldi per il tocco della pietra, ma il viso era livido e freddo.
I pensieri non erano riusciti a sciogliersi alla calura mediterranea.
Il legno della soglia scricchiolò di salsedine sotto i suoi passi leggeri e veloci; si fermò solo quando giunse davanti a lei, la sensei.
Ogni volta che la guardava, la neesan tornava alla mente e il suo stomaco si costringeva su se stesso: troppo simili, troppo dissimili. Come la notte e il giorno. Lo stesso cielo, due maschere diverse.
Lo scricchiolio del legno, lieve sotto i suoi piedi di bimbo, si fece assordante quando a provocarlo furono i passi della guerriera: ferì le orecchie del piccolo e cessò solo quando lei gli fu vicino, così vicino da sfiorarlo, un tocco che parve, tuttavia, pesante, l'aria stessa sembrava crepitare intorno a Marin dell'Aquila.
“Cos'hai da dire?”.
Solo questo, tono freddo e metallico dietro la maschera.
"Niente!". Non si sarebbe tirato indietro, non lo faceva mai. "Sono tornato ...".
Era una prova, una sfida. Lo facevano tutti i bambini, ma con Marin...
“Sì, lo vedo, non sei ancora invisibile e hai dato la risposta sbagliata!”.
Tono ancor più tagliente, l'aria che quasi pulsava e occhi vuoti, d'argento, lucenti come lame, fissi sul bambino che la guardava a testa alta.
"Tanto sono tornato". L'amarezza nel tono di un bambino era impossibile cancellarla, mai del tutto. "Non posso certo scappare".
Fu un attimo, un suono secco e l'istante successivo una grande macchia rossa comparve sulla guancia di Seiya; lo schiaffo era stato così repentino e senza preavviso che, la prima conseguenza, fu un'innaturale immobilità, un silenzio, dopo quell'acuto rumore, quasi straniante, istanti dilatati interrotti dalla secca domanda:
“E pensi di cavartela così?!”.
Non faceva più male di altre volte, ormai le sue guance si erano tristemente abituate a certi trattamenti.
Ma Seiya non riusciva mai a capire che razza di domande lei gli facesse: cavarsela? Per cosa? Non aveva nemmeno tentato di inventarsi una scusa ... sapeva che era inutile, lo era sempre con la sensei. Ogni giorno che passava, al bambino pareva che, qualunque cosa lui avesse detta, la risposta di Marin sarebbe sempre stata la medesima.
C'erano sempre parole di rimprovero, durezza. Seiya odiava tutto quello.
"Non me la cavo mai".
Parole, tono ... tutto era sfida.
Ma una sfida era ormai anche la sua vita.
Marin lo osservò, chiedendosi se lui fosse in grado di interpretare il suo sguardo dietro la maschera; l'aveva capito, Seiya poteva sembrare una piccola peste poco portata al ragionamento ma, in realtà, lei le scorgeva tutte le doti mentali di quella creaturina iperattiva.
“Vatti a sedere!” ordinò, facendo un cenno verso il tavolo.
Pugni stretti, sguardo impavido dritto a sè, Seiya si mosse con piccole falcate, andandosi a sedere sulla sedia più prossima: strinse i pugni tra le gambe e fissò lo sguardo sulla maschera. Attendeva.
Chissà cosa avrebbe detto questa volta.
La giovane maestra lo raggiunse ed andò a sedersi dall'altra parte del tavolo, richiamando la sua attenzione perché si voltasse sulla sedia. Quindi si chinò in avanti, congiunse le mani davanti a sé e vi posò sopra il mento.
“Sentiamo, Seiya... secondo te, perché non te la cavi mai?”.
Lo sguardo del bambino si incupì, le gambe schiacciarono ancora di più le braccia tra esse catturate.
"Perchè non ho altro posto dove tornare".
La testa della sacerdotessa si reclinò su una spalla. Quello non se l'era aspettato. Lo studiò con ancor maggiore attenzione e il petto fu colto da un pizzico che tentò subito di ricacciare.
“Se potessi, scapperesti via?”.
Che domanda irritante, scomoda.
"Non posso scappare. Devo mantenere una promessa...". Ed era una promessa enorme. Talmente grande che Seiya temeva di affogarci dentro e perdersi e non tornare. "Devo".
Doveva perchè voleva realizzare il suo sogno. Non avrebbe voluto, altrimenti. Non voleva grandi cose, non ne aveva mai volute.
Lei annuì; l'aveva già sentito quel discorso, formulato con altre parole ma il senso restava, tutto.
“E per mantenerla... devi diventare un saint. Sai almeno cosa significa mantenere una promessa? Sei maturo abbastanza?”.
La testolina bruna si alzò di scatto, il rosso del viso vivido e violento.
"Sono piccolo, non sono stupido! Lo so cosa significa!". E sapeva quanto era difficile, l'aveva visto attorno a sè, il giorno in cui vi era stato il sorteggio: promesse fatte a loro stessi, fatte a qualcuno di davvero importante, forse l'unica persona che ancora si aveva al mondo.
Non che Marin non lo sapesse o non gli credesse. L'aveva capito fin dal primo giorno che dentro quel petto pulsava un piccolo, nobile cuore, un cuore già colmo di ideali ma che, privo di guida, si sarebbe perso; qualcuno l'avrebbe definitivamente infranto, facendo cessare forzatamente i suoi battiti; la violenza di quel mondo avrebbe trafitto quel petto e avrebbe spento un'esistenza promettente e tutto perché... perché lei avrebbe fallito come maestra? Tutto perché non lo avrebbe reso abbastanza forte, non l'avrebbe fatto crescere abbastanza in fretta?!
Saltò in piedi, per poco la sedia dietro di sé non si ribaltò, e puntò le mani sul tavolo, trafiggendolo con le orbite d'argento.
“Allora perché non lo dimostri? Perché continui a comportarti come un moccioso immaturo?!”.
Lo sguardo scuro e intimorito di Seiya andò alla sedia tremolante della sensei, inspirò a fondo prima riaprire bocca. Sapeva che la ragazza aveva colpito il bersaglio.
"Non sono un moccioso immaturo" il borbottio venne fuori stentato, incerto. Non lo era mai stato. Ma a volte era qualcosa più forte di lui.
“Ah, davvero?”.
Marin fece il giro del tavolo, fino a torreggiare su di lui; l'istante successivo il polso di Seiya si trovò prigioniero di un pugno impietoso e il bambino venne trascinato giù dalla sedia, senza gentilezza, tanto che faticò a reggersi in equilibrio.
“Hai capito cosa viene richiesto ad un saint?! Hai capito che qui non si gioca?!”.
Seiya si raddrizzò, tirando verso di sè con tutta la forza che aveva in corpo, e puntò di nuovo gli occhi sulla maschera d'argento.
"Io non sto giocando! Io ... io lo so cosa devo fare ... lo so ...".
Forse, realmente, nessuno sapeva cosa significasse esserlo ... finchè non lo eri diventato. Non del tutto almeno.
Un brivido corse lungo il braccio di Marin e lei sperò che Seiya non lo avesse percepito in quel loro contatto; allentò e sciolse la stretta piuttosto bruscamente, mentre un'idea estrema si faceva strada in lei.
“D'accordo; oggi affronterai un test importante allora. Se sopravvivi, allora, forse, comincerò a crederti sul serio”.
Un bambino qualunque non sarebbe sopravvissuto a quel che aveva in mente... un bambino? Un essere umano qualunque e di qualunque età.
“Per essere un saint, la prima cosa è la volontà: se manca quella meglio rinunciare in partenza. La volontà è determinazione a portare in fondo uno scopo. Per un saint, volontà è anche sopravvivere... ma non sopravvivere fuggendo... sopravvivere quando non si ha altra scelta che lottare”.
... quando non si ha... altra scelta ...
Le parole risuonavano nelle orecchie di Seiya mentre annuiva lentamente: non aveva scelta, non ne aveva mai avuta molta.
E cosa sarebbe successo ora?
Seiya era un bambino e, come tale, non riusciva ancora a comprendere a cosa andava incontro. Ci andava, portando tutto se stesso, tutto quello in cui credeva, sperava. Tutto quello che erano in grado di fare le sue piccole mani.
 
***
Le onde si infrangevano parecchi metri più in basso, urlavano contro gli scogli a picco, le loro grida erano simili ad ululati di spettri: forse antichi spiriti che avevano preso dimora negli anfratti e nelle numerose caverne che si aprivano in quelle rocce? Altrettanti varchi per discendere nell'Ade?
Il mare di Grecia, le sue coste, sapevano essere selvagge, impervie e la zona del Santuario non aveva mai conosciuto l'influenza di mano umana: i suoi abitanti, fedeli ad una dimensione immobilizzata nel mito, non erano intervenuti in nessun modo a modificare quanto, in quella terra, apparisse ancora incontaminato.
Marin invitò l'allievo a contemplare quel paesaggio.
“Ti sembra bello, Seiya?”
"No ..." il suo fu un sussurro, rubato dal vento freddo. Gli occhi si perdevano nell'acqua scura e roboante, guardava le onde infrangersi e morire contro le rocce spigolose. Ingollò e guardò Marin con incauta temerarietà. "Non lo è ...".
Lo sguardo della sacerdotessa, invece, guardava fisso davanti a sé; oltre quel mare, disperso chissà dove, si trovava forse suo fratello?
“E sai perché non è bello, per te, Seiya? Per gli artisti, per i poeti, questo sarebbe il più straordinario e appagante degli spettacoli... ma per te, se non dimostrerai di avere dentro di te l'anima del saint, significherà morte. Non è bello perché dentro di te l'hai capito che questo mare che strepita, adesso, è il nemico: è il fragore della battaglia, tutto il dolore della violenza di corpi che si scontrano e si colpiscono fino a ferirsi a morte...”.
E se Seiya aveva percepito tutto questo, significava che, forse, in lui, già ribolliva l'anima del saint?
Marin fremette; non doveva pensarci, non doveva illudersi... non doveva sperare... perché quel bambino, entro pochissime ore, avrebbe potuto non essere più di questo mondo... e lei stessa ne avrebbe provocato la scomparsa.
Seiya si accucciò a terra, fissò in silenzio il mare ai suoi piedi e, solo a quel punto, riaprì bocca.
"Cosa ... cosa devo fare ...?".
Si sentiva piccolo. Non sapeva se sentirsi forte come ... come gli era stato chiesto. Ma doveva, doveva esserlo.
Un braccio di Marin si tese ed indicò un punto preciso.
“Vedi quell'asta conficcata nella roccia?”.
Il viso del bambino si sporse un poco e vide ciò che lei gli indicava, scosse la testa.
"Sì".
“Raggiungila!”.
Nient'altro, il suo solito modo di ordinare e di pretendere immediata obbedienza.
Seiya si rialzò, guardò la ragazza, ma non replicò una sola parola: tornò a guardare lo strapiombo, poi l'asta, fece un grande respiro e allungò le braccia, finchè le mani non si aggrapparono con tutta la loro forza ad essa. Si lasciò andare, trattenenedo il fiato, mentre il vento gli sferzava il corpo, verso l'alto: le gambe sentirono il vuoto, tutto il suo corpo lo percepì distintamente.
Temerari, i grandi occhi nocciola volarono verso il basso: le prospettive erano, ora, diverse.
La voce della sacerdotessa, portata dal vento, raggiunse le sue orecchie, conducendo a lui un nuovo ordine.
“NON COSI' SEIYA, E' TROPPO FACILE! APPENDITI ALL'ASTA CON I PIEDI!”.
Facile?
Seiya inspirò a fondo, trattenne l'aria dentro di sè e, in un solo movimento agile, sostituì i piedi - rigidi come sassi - alle mani che ricaddero oltre il capo, penzolanti verso gli scogli, il mare: Seiya aveva richiuso gli occhi mentre si 'appendeva' a testa in giù. Li riaprì quando sentì sul viso delle gocce d'acqua, portate dal vento.
Il respiro gli si mozzò in gola.
Ancora, la voce metallica ed impietosa che non lasciava scampo solcò l'aria fino a lui:
“E ADESSO MILLE FLESSIONI! DOVRAI RESISTERE IN QUELLA POSIZIONE FINO A CHE NON LE AVRAI CONCLUSE!”
E forse non era solo forza di volontà quello che lo smuoveva; forse era solo il desiderio di mostrare alla sensei che le sue parole non erano aria, ma sassi. E non sarebbero crollate, nemmeno in quel posto, nemmeno con la paura di non potercela fare, nemmeno con la tristezza che la solitudine gli dava, nemmeno con tutto quel disperato desiderio di tornare a casa.
Doveva resistere e andare avanti.
Doveva vedere il domani e il giorno dopo ancora.
Doveva andare avanti per poter tornare a casa e rivedere Seika-neesan e dare fine a tutto questo.
Solo per ritrovare la sua felicità, aveva bisogno solo di questo.
Così cominciò a contare nella sua mente, perchè il respiro serviva per andare avanti, per muovere il corpo verso l'alto e mettere fine a quella che era, semplicemente, una pazzia.
Per Seiya era realtà e lui ce l'aveva addosso, come una pellicola malata ma da cui era impossibile spogliarsi.
E se nella sua mente i numeri proseguivano lenti, nelle sue orecchie roboava il mare e le grida severe di Marin.
La maestra osservava, imperturbabile sul volto di metallo: difficile immaginare che, dentro, il cuore batteva e nelle sue orecchie rombava più del mare, più del vento. Ma al suo cuore lei non dava ascolto, solo la ragione, solo l'utilità, solo il formare un futuro saint degno di Athena, degno dei sacri guerrieri e, soprattutto, della cloth di Pegasus, una delle cloth speciali, una delle più celebri nella storia dei sacri guerrieri.
E il futuro saint di Pegasus non poteva frignare di fronte ad una prova impossibile. Il futuro saint di Pegasus non poteva permettersi di essere bambino. I sacri guerrieri affrontavano l'impossibile e lo superavano.
Quella che Seiya stava fronteggiando, per un ragazzino della sua età, per qualunque essere umano comune, appariva di sicuro un'impresa impossibile, ma non per un saint. Se era destinato ad essere un saint sarebbe sopravvissuto... altrimenti, meglio morire il prima possibile...
Lo osservava dall'alto; le sue gambe tremavano, tutto il suo corpo fremeva nello sforzo. Le prime flessioni erano state abbastanza agili; lei le contava, una ad una, nessuna le sfuggiva.
Le membra di Seiya si stavano indebolendo, era così chiaro; i gemiti che denotavano uno sforzo immane si trasformavano, via via, in singhiozzi.
“Non piangere” pregò dentro di sé, “non piangere assolutamente!”.
Non glielo gridò quello, Seiya avrebbe potuto leggere nel suo tono, nelle sue parole, una gentilezza, una tenerezza che lei non voleva lasciar sgorgare in superficie.
Ma quei singhiozzi si facevano sempre più frequenti, finché esplosero in un pianto disperato. Marin chiuse ancor di più le orecchie al proprio cuore, così come le chiuse alle richieste di aiuto che si levarono dal bambino poco più in basso.
Il suo corpicino frustato dall'acqua e dalle folate feroci, ora, restava appeso, senza riuscire ancora a sollevarsi.
Si acquattò sulla roccia ed affidò al vento le sue nuove, severe direttive.
“Dopo un anno di addestramento dovresti averlo capito che non ti ascolterò finché non avrai terminato le mille flessioni! Te ne rimangono 362!”.
Gli rispose uno strillo che le penetrò l'anima.
“Aiuto!!! Sto per cadere, morirò!”.
Sotto la maschera, Marin si morse il labbro inferiore e ringhiò, tra sé:
“Ebbene... muori...”.
Quasi Seiya tentasse disperatamente di obbedire ad un suo ordine, anche in quel momento, i piedi smisero di reggerlo.
La giovane sacerdotessa udì il suo grido straziante mentre scompariva in basso, tra i flutti.
Cadeva.
Precipitava nel vuoto.
Aria, vento, freddo, acqua.
L'acqua ... il mare.
Stava morendo?
Singhiozzò, prima di cadere nella spuma del Mediterraneo.
Gelo ... c'era tutto gelo attorno a lui.
Non respirava!
Aria, ARIA!
Ma le gambe non rispondevano ... sentiva dolore ...  e poi il gelido freddo del mare quietava tutto, anche quello.
Non sentiva più nulla.
 
Neesan! Neesan, dove sei? Voglio rivederti! Non voglio morire! Ho freddo, così tanto freddo ... ho paura ... non voglio andarmene ... non voglio ... voglio ... voglio ...
Distese verdi ... gli alberi bruciano di rosso ... è autunno ... è il colore della neesan... mi sembra di sentire la sua voce ... mi chiama? Mi stai chiamando, neesan?
"Torna Seiya. Io ti sto aspettando...".
Ma è buio ... c'è solo acqua ... non c'è più il sole ... dove sei, neesan?
"Devi tornare, Seiya... devi tornare ... cerca la luce ... cercala, cercala dentro di te ...".
Luce? Non c'è ... è tutto buio ... non ci sono ... nemmeno le stelle ...
"Io sono dentro di te. Sono sempre stato qui ...".
Una voce ... è strana ... sembra che non parli la mia lingua ... sembra lontana, sembra ...
"Chi ... sei?".
"Sono parte di te, Seiya. Noi siamo una sola cosa ...".
"Noi?".
Sono solo. Non c'è nessuno qui.
"Senti ...".
 
E Seiya tornò a sentire. Sentì il calore, dentro di sè. E sentì il gelo su tutto il suo corpo.
Ma intravvedeva la luce. Ed il corpo si muoveva, a stento, ma si muoveva ... verso la vita.
Non ricordò mai il momento in cui riaffiorò in superficie, nè quando il suo corpo si aggrappò alla sua unica salvezza, gli scogli.
Non ricordò mai nemmeno quando Marin lo afferrò, strappandolo al mare e al freddo.
Qualcuno l'aveva protetto, ma lui non ricordò mai chi.
 
***
Nel frattempo era scesa la sera.
Lo spirito e il cuore di Marin divennero preda di una strana calma, alla quale la ragazza non seppe dare una spiegazione, né un senso.
Seiya non aveva portato a compimento l'impresa, non aveva completato la serie di flessioni, ma la maestra non riusciva a considerarlo un fallimento: il suo corpo si era lasciato andare, ma il suo spirito aveva resistito ed ora quel corpicino tremante per il freddo era lì, imbronciato, tranquillo e mogio, a lasciarsi asciugare dalle sue mani un po' brusche ma, forse, più gentili del solito. Non poteva farne a meno.
Forse Seiya non se ne era reso conto, ma lei sì, le aveva viste quelle tredici stelle accendersi nel momento stesso in cui il bambino era stato inghiottito dal mare.
Con il panno ruvido gli sfregò con forza i capelli.
“Ti è passato il freddo?”.
Un mugugno pensieroso, morbido sgattaiolò fuori dalle labbra di Seiya: pensava tra sè e sè che qualcosa sarebbe dovuto succedere. Non aveva portato a termine la lezione. Era caduto, Marin l'aveva ripescato, ma ...
"E ... ora ...?".
Le mani di Marin si fermarono, l'asciugamano scivolò dalla testa di Seiya.
“Dovresti guardare in alto, non in basso...”.
Seiya rialzò lo sguardo, disorientato, verso quello argentato di Marin.
"Perchè?".
Marin sospirò... ancora troppo poco consapevole, troppo bambino... ma era così sbagliato, dopotutto? Pegasus l'aveva protetto, qualcosa doveva voler dire.
“Perché sta scendendo la notte e ci sono le stelle. Se non le consideri, se non impari a guardarle, come puoi sperare di diventare un sacro guerriero?”.
La testolina bruna di Seiya si alzò e gli occhi brillarono delle stelle che riuscivano a scorgere, quelle più brillanti.
"Anche le stelle ci guardano? Anche loro sanno ... che noi siamo qui?".
Il capo della guerriera si mosse, lo scrutò attraverso le orbite di metallo. ''Ma Seiya, dopo un anno... ancora simili domande?''.
Il bambino sussultò, nei suoi occhi la paura di aver fatto ancora qualcosa di male, che quella dose di gentilezza inattesa fosse già esaurita e chissà quale nuova punizione avrebbe ideato per lui la sua imprevedibile maestra. Abbassò il capo, un broncio un pò offeso sul visetto abbronzato.
"Mi hai sempre detto tante cose, mi hai nominato le stelle ma. . . Credi sia così facile capire? Non ti metti mai nei miei panni, parli di tutto come se fosse facile e io uno stupido bambino se non capisco subito".
Non aveva ancora concluso che già aveva serrato gli occhi e rintanatola testa tra le spalle, pronto ad essere picchiato per quell' insolenza.
Invece non giunsero né botte né dure parole; seguirono, anzi, istanti di silenzio e Seiya si decise, allora, a sollevare lo sguardo, ora incuriosito, sulla sacerdotessa.
Lei aveva smesso di guardarlo, il suo viso era rivolto verso il cielo, ormai quasi del tutto prossimo alla notte.
A volte Marin-san era strana, pensò il bambino, sembrava farsi triste, malinconica, soprattutto quando guardava il cielo... e il mare. Doveva ammettere che, anche se a volte le sembrava cattiva, sapeva dentro di sé che dentro non lo era, che aveva i suoi motivi per fare quel che faceva. Forse... forse le voleva bene?
La ragazza mosse qualche passo verso l'orlo della roccia; dava l'impressione di aver dimenticato ciò che la circondava, persino essersi scordata di lui. Ma poi il piccolo udì il suo richiamo.
''Seiya, vieni qui".
Dov'era il trabocchetto? Non che Seiya non volesse proprio fidarsi ma aveva una certa esperienza; deglutì e si alzò . Per farsi vedere forte decise di non portarsi dietro l'asciugamano nel quale Marin l'aveva avvolto e lasciò che scivolasse lungo la sua schiena, fino a terra. Ma il fresco della sera aggredì il suo corpo ancora umido, facendolo rabbrividire. Si strinse le braccia intorno al petto e saltellò per tentare di riscaldarsi fino a portarsi al fianco di Marin e, lì giunto, continuò ad agitarsi, muovendo le gambe e sfregandosi le braccia. Non gli piaceva molto stare lì, con il mare che urlava, in basso; gli faceva ricordare il precedente salto nel vuoto... per lui era la voce della morte.
Forse... non stava tremando solo per il freddo.
Per non guardare in basso, sollevò lo sguardo verso la volta celeste, istintivamente nella medesima direzione di Marin.
"Seiya, come sei riuscito a sopravvivere?". Gli occhi del bambino si sgranarono, anche la bocca si spalancò, ma lui non riuscì a formulare un suono ; che razza di domanda era? "Non hai sentito nulla?".
Certo, qualcosa... forse... ma non vi sapeva dare un nome. E ancora non sapeva cosa rispondere; era un'altra prova? Una specie di interrogazione? Siccome dal bambino non giungeva alcuna reazione, la maestra insistè ancora.
"Tu non ti sei reso conto di essere stato protagonista di un miracolo, vero?".
Le orbite d'argento, improvvisamente, lo trafissero.
"Mi... miracolo?" balbettò lui, senza potersi trattenere dal fare un passettino indietro.
"Un altro essere umano, un adulto forte, difficilmente sarebbe sopravvissuto, o avrebbe resistito tanto a lungo".
E, pur sapendolo, lei lo aveva, quasi consapevolmente, condannato a morte? Seiya si imbronciò ancora, ma lei non gli diede il tempo di riflettere a lungo sulla questione: il suo volto tornò a guardare il cielo e riprese a parlare.
"Quando un sacro guerriero è di fronte alla morte, la sua stella protettrice appare, perché gli dei gli donino la forza che gli manca...". Tornò a guardarlo. "Seiya, la tua costellazione è quella di Pegaso e se lei ti protegge, allora, un giorno...".
Il bambino aprì bocca, ma non diede fiato alla bizzarra idea che, all'improvviso, gli era cascata in testa.
"Un ... giorno ...?".
Marin lo fissò per un attimo, quasi intenerita da quell'insicurezza così poco da lui: dov'era finita la sua linguaccia? Scrollò il capo, la sua maschera tornò a fissare la volta celeste.
"Allora, un giorno ... vedremo ...".
Tipico dei grandi. Evitare le risposte e fare i misteriosi.
Con uno sbuffo, Seiya tornò a guardare il cielo, trovò facilmente la costellazione di Pegaso e la fissò con cocciutaggine: che glielo dicesse lei ciò che nessuno voleva confessargli.
L'intensità del lucore degli astri parve farsi più intensa, per un attimo.
Una risposta compiaciuta che, però, il bimbo non seppe leggere.
 
***
La notte era profonda, dormiva silenziosa tra i massi color ocra delle pareti rocciose e i pavimenti di marmo rosato: qua e là vi erano spuntoni antichi, distrutti o abbandonati, di colonne di tempi mitologici. Qualche cicala cantava pigramente dai meandri più freschi infilati tra roccia e roccia e il suo canto cadeva a terra, sotto il peso di un insopportabile canicola.
Erano passati ancora due anni ... due anni e Seiya era sopravvissuto, si era fatto più forte, più maturo. Non era più scappato.
Marin l'aveva trascinato con sè quella notte, con un ordine, come sempre, ma ancora con una speranza: se le stelle avevano continuato a brillare, per tutti quegli anni, tutti i momenti più difficili che quel bambino aveva vissuto ... allora tutto stava a indicare che il momento designato per Seiya era sempre più vicino. E doveva afferrarlo senza indugio.
Seiya aveva imparato a non chiedere più nulla: la sensei era un continuo mistero, le sue parole più oscure, di giorno in giorno.
Giunsero vicino all'arena, Seiya ne scorse le pareti verticali da molto lontano,completamente immersa in un bizzarro e sinistro silenzio: a Seiya quel posto, in particolare, non era mai piaciuto troppo. Sentiva spesso urla e rumori che ghiacciavano il sangue se solo ascoltavi troppo a lungo la loro voce.
"Seiya, non rimanere indietro!". Marin lo richiamò, era rimasto troppi metri dietro di lei: il suo sguardo aveva indugiato troppo a lungo su quelle pareti verticali. "Non è ancora un posto per te l'arena".
Poi il braccio della ragazza si alzò ed andò ad indicare un punto impreciso avanti a lei.
"Vedi la base di quella colonna?".
Alla luce della luna, il marmo rosato riverberò di uno strano alone pallido; sulla superficie della colonna infranta giaceva una pietra ovale, abbastanza grande da poter stare a fatica nella mano di un adulto. Quando donna e bambino giunsero abbastanza vicino, Marin gridò un nuovo ordine.
"Avanti, spaccala!".
Seiya guardò la pietra, parve studiarla da ogni angolo, sperando di trovare il punto giusto o una crepa che gli permettesse di portare a termine l'ordine impartitogli: ma gli occhi vagarono inutilmente e, quando alzò il braccio, la mano in posizione di taglio, sperò ardentemente che qualcosa accadesse.
Ma ... accadde solo che la sua mano si scontrò con la pietra e quest'ultima ebbe la meglio.
Il sangue sgorgò dalla mano e Seiya la trasse contro il proprio corpo, sporcando di un rosso intenso la casacca mentre un mugolio di dolore gli sfuggì, senza possibilità di soffocarlo.
"Stupido ... sono già passati tre anni e non riesci ancora a spaccare una pietra come questa?".
Marin aveva preso la pietra fra le mani, la faceva saltare sul proprio palmo come se fosse stato un banale sassolino di poca importanza.
"Ugh ... che male ...".
Tremava Seiya, davanti a quelle parole. E i suoi occhi si spalancarono quando quella roccia si sgretolò, come sabbia, nella mano destra della sensei.
Sembrava così semplice, così naturale per lei.
"Ascoltami!". La maschera era severa e fredda, come sempre. Seiya non sentiva più il disagio, non dopo tutti quegli anni. "La pietra è composta da atomi .... ma anche il mio e il tuo corpo ne sono composti ...". Gli occhi del ragazzino si spalancarono in un'espressione che solo il tempo, il dolore, l'esperienza avevano modellato: c'era voglia di imparare, migliorare ... di non guardarsi più alle spalle. "... anche i fiori, gli alberi, gli insetti ... tutto quello che si trova su questa terra è composto da atomi!". Il braccio della sensei si alzò ancora una volta, ma le sue dita andarono più in alto, verso la volta celeste, verso Pegaso. "Anche quelle stelle che brillano nel cielo".
Seiya guardò quelle stelle, forse per la milionesima volta: erano le sue stelle? Dovevano esserle? Avrebbe voluto imparare ad ascoltare la loro voce, aveva tentato così tanto, ma il silenzio che aveva ricevuto in cambio delle sue domande...
Pegasus brillò, come spesso accadeva nelle notti d'estate, e una stella cadente ne attraversò la figura: Seiya percepì il proprio cuore battere più forte, il viso divenire caldo, gli occhi riempirsi del cielo.
"Tutto quello che esiste nell'universo è composto da atomi! Distruggere qualcosa significa, quindi, scomporne gli atomi ...".
Alla voce di Marin se ne sovrappose un’altra.
“Seiya, ascolta il tuo cuore, ascoltami, Seiya… Seiya… io sono con te, ancora…”.
Non l’aveva forse già sentita? Non era la voce della salvezza?
“Non della salvezza… ma della forza… della tua forza… se lo vorrai, se vorrai ascoltarmi e farmi tuo, nel tuo cuore, nel tuo spirito…”.
“Nel mio cosmo” mormorò il ragazzo.
Marin si voltò di scatto a guardarlo. Aveva parlato di cosmo? E con quello sguardo? Cos’aveva negli occhi? Una fiamma… bianca e accecante, due ali candide rubate al cielo.
Seiya raccolse da terra una pietra, simile a quella polverizzata poco prima dalla maestra, andò a posarla sulla colonna, poi la fissò a lungo, intensamente. Intorno a lui non esisteva più nulla, se non la voce di Marin che, superato l’istante di meraviglia, aveva ripreso con le sue direttive… ma non era solo quella di Marin.
“Seiya, concentra la tua forza…”.
Il pugno del ragazzo si levò, i denti si strinsero in un ringhio di determinazione, tutta la determinazione che lui aveva da sempre cercato in sé, senza mai trovarla fino in fondo. Era tutto lì? Solo volerlo, bastava quello per udire quella voce, la voce delle stelle? La voce di… Pegasus…
“Raccoglila in te, nel fondo della tua anima…”.
Il pugno si strinse, tremò, la forza era lì, era calda, bruciante, era una luce che avvampava e crepitava e c’era tutta, tutta in un unico punto, simile a un globo, simile all’energia primordiale del big bang che ribolliva per il bisogno di esplodere ed espandersi, per generare la vita.
“E concentrala verso una sola direzione!”
La pietra… guardare la pietra… no… non guardarla, osservarla, studiarla… capirla… carpirne la struttura, ogni singola molecola, ogni… atomo… eccoli!
“Nel tuo pugno!”
Il pugno si abbassò e poi fu solo un’esplosione di energia, di frammenti di roccia che si sparsero intorno e Seiya comprese: per tutti quegli anni aveva solo represso perché non capiva, non sentiva… forse non voleva?
Era tutto lì, ed era così semplice e bello, era Pegasus e l’aveva trovato.
Non il suo pugno ... ma il suo cuore, la sua mente avevano compiuto il miracolo.
Stretto tra le sue mani.
  
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