Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: Kwaku Ananse    21/01/2013    0 recensioni
Allemby, 1865. La Guerra di Secessione è agli sgoccioli e il sergente Blaine Anderson è costretto nel letto di una clinica per colpa dell'esplosione di una granata. Annoiarsi a morte è lo sport preferito, in quel piccolo paesino della Pennsylvania, questo finché uno strano incontro non cambia le cose.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
    

Trickle of Ink

Blaine Anderson, degente presso Providence Institute                                                                                                                                

                                                          Allenby, Pennsylvania 22 Aprile 1865

                                                                                                                        

Caro Wes,

La situazione mi è leggermente sfuggita di mano.

In che senso? Lo vedrai tra poco.

Torniamo per un attimo alla giornata di ieri e ai suoi fatti: avevo deciso di avvisare Sebastian del grave pericolo che correva e il miglior modo per farlo era introdursi nella villa nottetempo. Lo ritenevo il sistema di gran lunga più sicuro, temevo, infatti, che ,se avessi provato ad andare da lui di giorno, qualcuno avrebbe provato a fermarmi, o magari, riconoscendomi come il forestiero che aveva frequentato negli ultimi tempi, riservarmi una sorte ben peggiore. Per cui si trattava di una missione notturna, con l'ovvio e non trascurabile inconveniente di dover evadere dalla clinica. In realtà quest'ultimo punto si dimostrò meno impervio del previsto, per fortuna, - buffo vero? - grazie al dottor Schuester. Ti avevo detto di aver fatto progressi da gigante nel recupero della mia gamba ferita, fino al quasi totale, per ora, recupero delle sue funzioni. Non fu quindi così difficile calarsi dalla finestra, sfruttando i facili appigli dati dai molti mattoni sconnessi del vecchio muro.

Nessuno mi notò, la sorveglianza era concentrata all'interno, nei corridoi, non ci si aspettava, in realtà, che un paziente desiderasse fuggire e, nell'eventualità, che riuscisse ad arrampicarsi come una lucertola. O forse fui aiutato nella mia impresa, mi lasciarono andare; qui la gente sa sempre più di quello che dice e di quello che appare e chissà che il dottor Schuester non lo abbia fatto per evitare, come diceva ieri, qualche pericolosa sciocchezza.

Un lato indiscutibilmente positivo di un tipico paese, rispetto ad una grande città come Boston o Chicago, è che la gente di notte dorme, seguendo il regolare corso della natura, invece che andare a zonzo a bere, fare baldoria o cacciarsi nei guai.

Un po' come stavo facendo io.

Nessuno mi vide, nessuno provò a ostacolarmi. Ma arrivato di fronte alla cancellata arrugginita, che mi era divenuta familiare come la facciata della mia vecchia casa, a Boston, un dubbio, e non da poco, balenò nella mia mente: e se non avesse voluto vedermi? Non c'eravamo lasciati certo molto bene e non mi aspettavo da lui un'accoglienza calorosa, ma la sua reazione era stata molto peggiore di quanto non avessi previsto. E se avesse provato a spararmi, appena entrato nel parco? O appena aperta la porta? Di certo con me avrebbe usato pallottole vere, non si sarebbe scomodato a sprecare grani di sale.

Avevo paura. Mi sporsi a dare un'occhiata. Il silenzio era perfetto. Nessuna luce filtrava dalle grandi finestre coperte. Forse stava dormendo. Probabilmente stava dormendo. Dovevo tentare.

Presi il coraggio a quattro mani e feci primi passi avanti. Superai il parco in pochi balzi affrettati e arrivai all'ingresso della villa incolume. Feci per spingere il pesante pomolo ed entrare all'interno, ma esitai.

La porta si spalancò di scatto. Il mio cuore smise di battere. Sebastian era di fronte a me, con indosso una vestaglia da casa di broccato rosso decisamente pacchiana anche per lui, mi guardava e i suoi occhi brillavano di collera. Era disarmato ma non dubitai che potesse farmi a pezzi con la sola forza delle braccia. In quel momento pensai che andare fin là fosse stato un tragico, madornale errore.

«Sebastian…» provai ad iniziare con voce esitante, senza sapere nemmeno io cosa dire.

«Non osare dire nulla, Anderson. Entra dentro e chiudi la porta.» il suo tono era così perentorio che non potei che ubbidire senza fiatare.

«Molto bene.» continuò «Adesso seguimi.»

«Sebastian, io veramente...» provai a ribellarmi.

«Avrai tutto il tempo di mostrarmi le tue ragioni dopo. Adesso sali e non fiatare.»

Sconfitto su tutta la linea.

Mi guidò in cima alle scale da cui era spuntato imbracciando il fucile, la prima volta che ci eravamo visti, e mi ritrovai a domandarmi se fosse un buono o un cattivo auspicio.

Scoprii che non tutta la grande abitazione era in stato di abbandono come avevo pensato all'inizio - e in effetti con il senno di poi mi rendo conto di quanto questa mia teoria fosse ridicola - , ma Sebastian si era ritagliato un piccolo spazio su misura in cui vivere confortevolmente. Mi guidò ,infatti, in un salotto pulito e ordinato ben diverso dagli androni polverosi che avevo visto prima. Qui i mobili non erano protetti dai teloni, ed evidentemente qualcuno teneva la polvere lontana, probabilmente Sebastian stesso. Inoltre mancavano dell'opulenta magnificenza che sembrava dominare il resto della mobilia ma piuttosto a prevalere era un elegante semplicità, non priva di raffinatezza. Un caminetto spento faceva mostra di se sulla parete di fondo di fronte alle finestre rigorosamente coperte da pesanti tende nere. A dominare lo spazio era un pianoforte a coda, nero e lucido, e attraverso una porta aperta intravedevo un'altra stanza, una camera da letto.

Sebastian si accomodò su una poltroncina accanto al camino e mi fece cenno di fare altrettanto. Il suo sguardo non aveva perso nulla della sua ombrosità. Notai per la prima volta, in quel momento, un segno verde e bluastro che, sulla mascella , appena sotto la guancia, deturpava la sua pelle chiara coperta da una barba leggera; il segno lasciato dal mio pugno. Deglutii a vuoto sentendomi profondamente a disagio.

«Avanti su, Anderson, cosa aspetti, cosa devi dirmi? Non ti sparerò, se è questo che ti spaventa, soprattutto se porti con te delle scuse.»

«Scuse?» non potei trattenere l'indignazione e la sorpresa «E' per questo che pensi ch'io sia venuto? Per scusarmi? Sei tu che dovresti porgermi le tue scuse! Sei tu che mi sei saltato addosso come uno stallone in calore…!»

«Fino a prova contraria sono io ad aver preso un pugno in faccia.» commentò caustico Sebastian puntandosi un dito contro il mento per enfatizzare le sue parole «mi sembra che su di te le mie mani si siano comportate in modo molto diverso.»

Arrossii mio malgrado, sentendomi in colpa.

«Comunque avanti cosa sei venuto a dirmi?» la rabbia sembrava sparita da ogni sua fibra, sembrava solo molto stanco.

«Non avresti dovuto sparare a quella donna. Che ti è saltato in testa?» cercai di dare alla mia voce il tono più duro possibile.

Lui fece spallucce: «Volevo divertirmi. Ero molto arrabbiato. Molto, molto arrabbiato. Per colpa tua, ben inteso, e avevo bisogni di distrarmi.»

"Tipico" non potei fare a meno di pensare.

«Non ho mirato a lei, se davvero lo pensi. Non volevo ucciderla, sei forse impazzito? Non mi aveva fatto nulla. Ho sparato in aria e ho riso a crepapelle vedendo come filava via.» il ricordo gli strappo un sorriso sbieco.

Non avevo intenzione di demordere: «E l'uomo e il ragazzo, la scorsa notte?»

Il sorriso scomparve: «E' diverso. Loro sono entrati nella mia proprietà. Nessuno può entrare nella mia proprietà senza permesso.» mi lanciò uno sguardo tagliente che mi fece sentire esposto e vulnerabile « E per di più erano venuti non certo per complimentarsi per l'arredamento. Erano armati, ho agito per difendermi, nient'altro. Avrei potuto ucciderli, ma ormai sono affezionato a questi villici.»

Scossi la testa e mi preparai a dirgli quello per cui ero venuto ad affrontarlo: «Ripeto, hai esagerato. Quello che hai fatto non è passato sotto silenzio. Vogliono venire qui, non so quando. Vogliono portare fucili e torce, vogliono vendicarsi per i tuoi soprusi. Ti tireranno fuori da qui. Ti… faranno del male.» tirare fuori quelle parole fu per me più faticoso di quanto pensassi.

Per tutta risposta lui scoppiò a ridere, più correttamente a sghignazzare, fino alle lacrime. Mi sentivo alquanto piccato e non mancai di farglielo notare. Peggiorai solo la situazione e per poco non cadde dalla sedia da quanto stava ridendo.

Dopo un bel po' di tempo riuscì a riprendersi e a formulare una frase coerente: «Molto divertente, Blaine, davvero, mi hai fatto ridere tanto che potrei anche perdonarti, dopotutto. Com'è che hai detto? Portare torce? Farmi del male?» riprese a ridere.

« Io non li sottovaluterei così, credi forse che non ne sarebbero capaci?» ribattei io, seccamente.

« No!» la sua veemenza mi stupì «Blaine andiamo le pecore non impugnano armi, le pecore non si ribellano ai pastori! Credi davvero che io sia il peggiore padrone che abbiano avuto? Illuso, mio padre era sicuramente peggio di me, figurarsi mio nonno! Non lo faranno, mi temono. E mi amano assieme. Sono abituati ad avere qualcuno sopra di loro, senza sarebbero persi, confusi. Ognuno ha un ruolo da rivestire in questo mondo. Io sono sopra, loro sotto. Non c'è niente di strano o innaturale in questo.» sogghignò «A proposito di sopra e sotto. Oggi potremmo riprendere ciò che abbiamo interrotto così bruscamente l'ultima volta.» fece per alzarsi ma io lo bloccai mettendo una mano avanti.

«No.» dissi ma non dovetti essere molto convincente - non mi sentivo convincente nemmeno per me stesso - perché Sebastian tornò all'attacco.

«Andiamo, non puoi negare che io non rappresenti qualcosa per te, se no non saresti venuto fino qua, col rischio di affrontare la mia giusta collera, solo per avvisarmi di un possibile pericolo.»

Ragionamento impeccabile.

«Sì, è vero. M'importa di te, e molto, per quanto io di fatto non ti conosca.» ammisi, era inutile ormai negare «Però non avresti dovuto...»

Mi interruppe, la voce rotta dalla collera: «Che cosa? Baciarti? Darti piacere? Non mi sembra di averti torturato. Hai detto tu stesso che io sono importante, per te. E inoltre ti dirò di più. Mi vuoi, mi desideri almeno quanto io desidero te, te lo leggo negli occhi ogni volta che mi faccio più vicino, perfino quando mi hai buttato a terra con un pugno, perfino ora.» scosse la testa «Perché vuoi negarlo? Credi che per me sia un gioco? Be’, non lo è . E' qualcosa di molto più serio di quanto tu creda. Nessuno è mai riuscito a farmi provare quello che provo ora per te.» sospirò fissandomi intensamente «Sei contento adesso?»

Ero basito, la mia mente girava a vuoto, non sapevo assolutamente che dire: «Io...»

«Oh, al diavolo!»

Sebastian mi risparmiò una risposta, che sarebbe di certo stata penosa, gettandosi su di me e premendo con forza le sue labbra contro le mie.

Capitolai definitivamente.

La foga del suo slancio fu tale che la mia sedia si ribaltò gettandoci a terra, sdraiati l'uno sull'altro.

Non ci fu più tempo per pensare, per riflettere, ma solo per agire.

Non mi ero accorto davvero di quanto avessi bisogno di lui, di quanto lo volessi, finché non fu sopra di me, le gambe strette ai miei fianchi. Scoprii in quel momento che sotto l'orrida vestaglia non c'era niente se non pelle bianca e calda.

Scoprii anche che non mi dispiaceva.

Potresti pensare che fu solo un'esplosione dei sensi, un bisogno istintivo, da animali, dettato dalle nostre voglie, e dalla lunga astinenza di entrambi. Ma non sarebbe la verità. Era un bisogno, è innegabile, un bisogno forte e tangibile, ma andava ben oltre il semplice contatto dei nostri corpi. Erano le nostre menti, le nostre anime ad avere bisogno, le nostre anime a toccarsi, il contatto dei corpi era solo una conseguenza incidentale, un tentativo disperato di unirci nel modo più completo possibile, volevamo essere vicini. Dovevamo. In queste condizioni, la carne non era meno d'impaccio che i vestiti. Erano i nostri due mondi ora, ad essersi congiunti, senza più bisogno di mediazioni o zone franche, una congiunzione violenta e appassionata che ci lasciò entrambi disorientati quando alla fine riaffiorammo alla superficie della coscienza.

E' l'alba adesso e mentre scrivo queste righe, seduto sulla sedia che aveva subìto per prima la nostra foga, Sebastian ancora dorme, nella camera accanto. Non avevo mai dormito su un letto a baldacchino, figurarsi fare l'amore. Nessuna torcia è venuta a disturbarci, quindi, in fondo, le mie paure dovevano essere mal riposte. Un rumore, alle mie spalle, forse si è svegliato. Si è alle mie spalle, forse già da un po' e mi sta guardando come... come se fosse il caso smettere di scrivere.

Non mancherò di darti altre mie notizie.

 

Blaine Anderson
 

________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Eccoci arrivati a quello che è un po' il cuore di questa miniserie.... Per me non è stato facile scriverla, soprattutto entrare nella testa dei protagonisti, capire le paure che Blaine si porta avanti da qualche capitolo, ma ne sono tutto sommato soddisfatto :) spero possa piacere anche a voi. Buona lettura!

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Kwaku Ananse