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Autore: Quintessence    21/01/2013    3 recensioni
La terribile esperienza di vedersi usare, insultare, distruggere dall'esterno e senza poter fare niente, rendendosi conto di essere stati depredati di un pezzo di vita. Spaccatura su una transizione e del recupero dei ricordi che ne consegue dopo, per tanto tempo, averlo chiamato amore.
Ho appena deciso di riaddormentarmi, e sono sul punto di farlo quando un terribile suono mi scaraventa di nuovo nella coscienza dolorosa, e appena apro gli occhi non c'è più la pioggia battente, ma un viso. Grido tutta l'aria che ho nei polmoni e mi scaravento giù dal letto, rotolando scomposta sul pavimento. Quella sono io.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Vi giuro che mi sono sentita derubata vedendo Elena che si vedeva mentre Damon le cancellava la memoria e piangeva. In effetti il bastardo non ha mai pensato a chiedere scusa a Caroline, e neppure lo farà mai temo. Non ha speso nemmeno un briciolo di questa sensibilità decantata per chiedere scusa per averla manipolata, praticamente violentata e provato a ucciderla. E il problema ancora più grosso? La Plec ci mostra con tutta la sua delicatezza Elena guardare piangere Damon. E allora ho pensato, immaginate di guardarvi supplicare, di guardarvi pregare e chiamare tutto quanto AMORE, soprattutto per una come Caroline per cui l'indipendenza era così imporante, e quest'uomo non l'ha MAI valutata, MAI considerata e piange per Elena solo perché le ha detto di amarla, e Caroline che si vede gridare, e correre, e Damon trattenerla, e dirle di stare zitta stupida e inutile cretina, e che se l'è cercata. Non posso farmi piacere del tutto Damon, e per questo, per non aver mai nemmeno provato a chiedere scusa... Lo odio profondamente. E nemmeno Katherine in effetti, perché Stefan avrà sicuramente subito l'identico, infinito dolore. Questa fanfiction non rende giustizia a quello che un personaggio come Caroline ha subito... E il fatto che facciano sembrare quel ricordo di Elena così importante quando, nella realtà, se uno ci pensa è veramente indisponente. Aveva bisogno di una voce, per mostrare, almeno in parte, il peso dei ricordi.
 

The weight of.
Oh tell me now, where was my fault in loving you with my whole heart?



Entro dalla porta insieme a lui. L'aria è fredda, ma in qualche modo sa di casa; mi tolgo la sciarpa e la lascio scivolare pigramente sul divano. Non l'ho più rivista. Forse ancora oggi è in qualcuno dei suoi cassetti.

 

-

 

Apro gli occhi sulla pioggia battente della finestra, mi bruciano. Mugolo qualche stralcio di dolore e rotolo sul letto, aprendoli e chiudendoli diverse volte. Questo non scaccia comunque il terribile mal di testa che mi schiaccia il cranio come una pressa; mi metto le mani sulle tempie e le lascio lì, nella speranza che assorbano il dolore. Non lo fanno. Mi rannicchio sotto le coperte e chiudo gli occhi di nuovo. Ho appena deciso di riaddormentarmi, e sono sul punto di farlo quando un terribile suono mi scaraventa di nuovo nella coscienza dolorosa, e appena apro gli occhi non c'è più la pioggia battente, ma un viso. Grido tutta l'aria che ho nei polmoni e mi scaravento giù dal letto, rotolando scomposta sul pavimento. Quella sono io.

 

-

 

Prima di realizzare veramente di cosa si tratta mi ci vogliono un paio di minuti, e che la scena si ripeta almeno tre volte nella sua violenta manifestazione. Sono stata una stupida a pensare di cambiare le cose. Di cambiare lui. Sono stata stupida ancora prima, a pensare che fosse possibile che gli interessassi. Che forse sarebbe cambiato. Una roccia mi si deposita sullo stomaco, mentre mi vedo cercare di scappare per la quarta volta. Afferrare una lampada. Mi guardo intorno e mi vedo gridare aiuto, cercare una via di uscita, dappertutto, dovunque, una qualsiasi via d'uscita. Mi sento urlare ancora, vi prego, ti prego, non farmi del male, non farmi del male. Aiuto, qualcuno! Chiudo gli occhi; perché lo so, che non verrà nessuno.

 

-

 

In qualche maniera impossibile ho seppellito tutti gli eco delle sue parole con le mie stesse grida. Non ha mai pianto per me, questo è certo, anche se me l'ha fatto credere. Quando passo ore e ore a guardarmi cercare di coprire i lividi con le ciprie, quando li sfioro con delicatezza pensandoli segni d'amore, lui mi fissa gelido dentro allo specchio, gli occhi ancorati sopra alle ferite che mi ha inferto. In qualche modo la mia sofferenza torna ad appartenermi, in profondità, si riflette sui muri, sopra le pareti, dentro allo specchio, nei muggiti di paura. Piango mentre mi vedo piangere. Piango per lui. Il mio corpo è posseduto da singhiozzi talmente profondi che minacciano di spezzarmi tutte le ossa.

 

-

 

Quando esco di casa per smettere di vedere, continuo a vedere. Fa più male di qualsiasi altra cosa. Non mi sento morta; anche Katherine l'ha detto. Posso sentirmi, posso toccarmi, quasi respirarmi, ma non ci sono più. Entro al Gryll barcollando, e c'è ancora Caroline, ancora dappertutto Caroline. Basta, imploro, basta, quanti altri ricordi devo sentirmi rubare, quanti altri visi di me deturpati devo vedere prima che questa straziante sensazione finisca? Lui sussurra le parole come se fossero dei segreti, talmente basse che solo un vampiro potrebbe sentirle, e io le sento, pulsarle -e pulsarmi nel petto come i fantasmi dei battiti del mio cuore, così casualmente crudeli avvolte dentro un involucro d'onestà. Sembra stupita, e spaventata mentre le ascolta, e ferita, come se tutta la cipria non fosse bastata a coprire i lividi e i morsi antichi, e come se affiorasse in superficie un terribile senso di colpa. Non è abbastanza per lui.

 

-

 

Lui mi guarda -la guarda dormire. Lei lo sa, e nel sonno in qualche modo lo guarda guardarla, sente la sua presenza sopra la spalla destra. È divisa dal terribile desiderio di mandarlo via e quello che invece la divora, di supplicarlo di restare. Invece, resta solo zitta, rabbrividendo dell'intensità di quel momento. Sto zitta anche io. Le sue dita sfiorano il collo bianco. Continua a dormire, e io sbarro gli occhi. Passa sul retro del collo, le accarezza la spalla. Comincio a gridare allora.
«No, no! Lasciala stare, lasciami stare!» Grido e affondo le mie mani dentro di lui mentre lui affonda i denti nella mia carne, lo picchio mentre picchio l'aria, le dita sopra la testata del mio letto, le schegge che mi si infilano nei polpastrelli stremandomi di dolore; grido più forte, grido ancora di smetterla, ancora più forte, ancora più forsennata. Spalanco la bocca e quasi resto senza fiato nel tentativo di fermare questa visione angosciosa, ansiosa al punto che non riesco a smetterla. Urlo finché la gola mi brucia.
«No, no, basta, ti prego, basta! » Anche Caroline si è svegliata. Adesso gridiamo insieme.

 

-

 

Corre da lui, senza pensare, mani tremanti che lo liberano appena lui ha un attimo per guardarla di sfuggita come l'ha sempre guardata. Non c'è tempo per l'amarezza. Non c'è tempo per le mie antiche ferite. C'è solo tempo per fuggire. Ma sembra che non ci sia posto in cui io possa scappare da me stessa.

 

-

 

So come continua questa storia, man mano che ne sono spettatrice; resto a dondolare spenta in un angolo della mia stanza, mangiandomi le dita e tappandomi le orecchie mentre mi sento e mi vedo ancora, gridare e pregare, e poi di nuovo entrare tranquilla in camera. E poi supplicarlo di smettere, e poi implorarlo di ricominciare ancora e ancora e ancora. Ho smesso di cercare di fermarlo. Ho smesso di cercare di evitarlo. Cascate di ricordi rubati che tornano in casa mia come un fiume in piena. Non posso sottrarmici, e c'è un sadico piacere quasi, nel guardarmi porgere il collo, nel vedermi scongiurare. Ancora peggio, nel sentirmi chiamarlo amore.

 

-

 

Il tempo non passa e mi accorgo che non passerà più. È come se fossi paralizzata dentro la sua bolla. Vorrei essere ancora la vecchia me stessa, tornare ad abitare il corpo di quella Caroline, ma non riesco a trovarla da nessuna parte. Scavo dentro al mio cuore, con la profonda consapevolezza che non ne troverò che briciole. Come un pezzo di carta strappato e violentato, e poi gettato per terra e calpestato. Mi avrebbe perfino uccisa. Dopo tutte quelle notti, quasi cento notti e cento ancora in cui mi ha fatta sua, mi ha usata, mi ha deturpata e poi cancellata come un errore... Mi ha semplicemente rispedita da dove sono venuta, e io ubbidiente cerco di barcollare a casa. Mi volto verso Elena. Lei mi fissa. Torno a casa da sola.

 

-

 

Ed eccomi ancora, per l'ultima volta, ad amarlo così.
Allungo una mano nel tentativo di toccarlo. Ma non ho mai potuto nemmeno sfiorarlo.
E qualsiasi ricordo sia questo, in un attimo è svanito.

   
 
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