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Autore: nightswimming    23/01/2013    6 recensioni
Il quadrante è rotto, ma le lancette si muovono ancora.
(sibling!fic)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: alas, non sono miei, sebbene io li ami come le foto che lo scenografo di Sherlock ha pubblicato su Twitter. Tutti i diritti appartengono a sir Conan Doyle e alle loro altezze reali Moffat e Gatiss. Per questi fiumi di inchiostro pixelato non vedo il becco di un quattrino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Lasciami! Lasciami, mi fai male, mi-”
Mycroft strattona brusco la spalla del fratello minore e lo spinge senza tante cerimonie dentro camera sua. E’ terribilmente arrabbiato, in una maniera fastidiosa che gli fa tremare le mani quando chiude a chiave la porta dietro di sé e si gira a fronteggiare quel bambino con le ginocchia sempre sporche di erba e gli sfacciati occhi azzurri.
Lo prende per il collo come un cucciolo di gatto e lo scuote con decisione. Sherlock caccia un guaito e gli pianta le unghie nelle mani per liberarsi, ma è inutile. Mycroft gli fa dondolare a un soffio dal viso l’orologio d’oro che Sherlock gli ha depositato con un gesto svelto accanto al piatto della colazione – prima di essere inseguito per le scale e costretto a un angolo per rispondere del suo furto, ovviamente.
“Tu” sibila gelido, il tono fermo ma gli occhi frementi d’ira, “non metterai mai più le mani fra le mie cose. E’ chiaro, piccolo delinquente?”
Sherlock alza su di lui uno sguardo rabbioso e tenta ancora di divincolarsi, ma Mycroft ha diciotto anni e lui undici e la differenza di massa corporea è destinata a vincere.
“Non sono un delinquente! Sei tu che sei stupido!” urla il bambino con occhi collerici. Mycroft gli dà un altro violento strattone e Sherlock lo morde; preso di sorpresa, il maggiore lo lascia andare di colpo e lo guarda scappare dietro la scrivania e accucciarsi lì, l’aria guardinga.
Prende un profondo respiro e tenta di calmarsi. Questo disdicevole scatto d’ira deve giungere a un termine. Va all’università, santo cielo, non alle elementari come suo fratello.
Ma Sherlock è capace di scuotere il suo granitico controllo sin nelle fondamenta da quando è nato. Lui, e nessun altro.
“E’ l’orologio che mi è stato regalato per la mia ammissione a Cambridge,” snocciola con voce lenta e minacciosa, sistemandosi la camicia che durante la loro colluttazione si è stropicciata attorno ai polsini. “Vale infinitamente molto più di te. E tu non dovrai mai più neanche pensare di toccarlo, hai capito, Sherlock?” termina piegandosi sulle ginocchia e lanciando uno sguardo tranquillamente assassino sotto alla scrivania.
Sherlock si raccoglie le ginocchia al petto e si incastra con più decisione fra il letto e la sedia.
“Che me ne faccio di un orologio che non può andare sott’acqua?” Tira su con naso, polemico. “Non mi serve a nulla. E’ l’ultima cosa che avrei deciso di rubarti.”
Mycroft cammina a lenti passi attorno alla scrivania, accarezzandone il legno con le dita curate. Alza un sopracciglio con aria di ipocrita interessamento.
“Oh, davvero? Non può andare sott’acqua? Ti interesserà sapere, Sherlock, che un Rolex è dotato di qualità ben più utili.” Si abbassa con un gesto repentino e afferra una caviglia del fratello con presa sicura, trascinandolo da sotto il mobile fra le urla con un ghigno soddisfatto sulle labbra “Non che mi aspetti che tu capisca cose come lo status sociale, ovviamente.”
Sherlock scalcia e graffia e strilla ma Mycroft gli ha bloccato i polsi, riducendolo a una palla molto irrequieta e molto umiliata dall’essersi fatta fregare in quel modo.
“Costa come tutto il nostro salotto ed è sempre in ritardo. L’hai già portato a riparare tre volte,” sibila soffiando come un gatto bagnato. Mycroft lo solleva da terra con leggero sforzo e lo mette in piedi spingendolo contro il muro, deciso a dargli una lezione come si deve. “E comunque so che cos’è lo status sociale ed è una cosa inutile e noiosa.”
Mycroft ride suo malgrado di fronte a quel tono di una saccenza acerba e petulante.
“Sei solo un bambino, Sherlock. E’ normale che tu non capisca,” dice con quel tono paternalistico che sa che Sherlock detesta come l’orticaria. Si prende qualche secondo per riflettere se dargli lui stesso uno schiaffo o lasciar fare al loro padre.
Immobilizzato dalla sua stretta quasi dolorosa, Sherlock si agita sempre più debolmente fino a fermarsi del tutto.
Mycroft ignora la fitta di pietà che gli sussurra di limitarsi a mollargli uno scapellotto e lasciarlo andare. E’ solo un bambino, continua a mormorargli nelle orecchie quella vocina fastidiosa. L’orologio è d’oro. Brilla. Ha attirato la sua attenzione. E dopotutto, non gli ha fatto neanche un graffio.
“Cerco quell’orologio da ieri sera,” dice con voce piatta e melliflua ingiungendo a quella vocina di starsene zitta. “Spero che le maniere forti ti inculchino in testa il concetto di proprietà privata una volta per tutte.”
Lo tira per un polso, deciso infine per la soluzione di un discorsetto paterno, ma Sherlock punta i piedi e recalcitra. Ha la testa china, lo sguardo fisso sul pavimento.
“Ieri pomeriggio sei uscito di casa dicendo che andavi a cavallo nel bosco qua vicino,” comincia, la vocina infantile svelta e acuta, “ma hai mentito. Non sei andato a cavallo. Odi i cavalli, ma il papà ha sempre voluto che noi sapessimo fare equitazione, e tu gli hai obbedito come sempre.”
Mycroft, seccato, sta per interromperlo e dirgli qualcosa di pacatamente cattivo come suo solito, ma per qualche ragione che non sa bene spiegarsi, non dice nulla. Si limita a osservare quel bambino leggermente curvo in avanti e perfettamente immobile, gli occhi che saettano in ogni direzione da sotto i ricci che gli coprono la fronte.
“Non potevi essere rimasto in casa, rischiavi che ti scoprissero. Non tanto i nostri genitori, quanto i camerieri: il giovedì puliscono i pavimenti e le finestre di tutta la casa. E comunque la mamma stava suonando il pianoforte in soggiorno e il papà stava telefonando nello studio grande. Troppo rumore, volevi silenzio. Volevi stare da solo. ” Si interruppe brevemente, stirando le labbra in un sorrisino un po’ troppo amaro per un bambino di undici anni. “E poi io, e sono tue testuali parole, ‘non sto mai fermo e produco di continuo una quantità di rumore proporzionale alla mia insopportabilità’. Era solo questione di tempo prima che ti trovassi e cominciassi a darti fastidio in qualche modo.”
Alza i limpidi occhi azzurri su di lui. Mycroft deglutisce e non dice nulla.
“Deduco quindi che sei uscito di casa alla ricerca di un luogo tranquillo. Ieri faceva molto caldo, quindi il luogo tranquillo, essendo all’aperto, doveva essere per forza anche all’ombra. Vicino alle scuderie ci sono i primi alberi del bosco, ma, come ho già detto, tu odi i cavalli, e la sola vicinanza di essi ti irrita. Quindi escludiamo il bosco, almeno il lato esposto ad est, e torniamo all’afa intensa: considerato inoltre che soffri di una leggera bassa pressione e ti piace l’acqua – passi ore in vasca da bagno - direi che il luogo tranquillo e ombroso sono le rocce vicino al fiume che costeggia la tenuta degli Stoner.”
Sherlock raddrizza le spalle e congiunge le mani facendo incontrare tra loro le punte delle dita, il viso trasfigurato dalla concentrazione. E’ buffo e strabiliante e tenero e spaventoso, e Mycroft continua a guardarlo esterrefatto, curandosi di nascondere la sua sorpresa quanto può.
“Arrivato al fiume ti sei tolto gli indumenti da cavallo, hai tirato fuori il libro che ti eri portato dietro – ancora Il Principe di Machiavelli, Mycroft? E’ almeno la decima volta che lo rileggi - e hai cominciato a leggere. Ti sei messo a pensare che se nostro padre si fosse finalmente messo in testa di capire che tu detesti l’attività fisica e preferisci di gran lunga studiare, questi ridicoli sotterfugi non si sarebbero rivelati necessari.” Sherlock pronuncia l’ultima frase con la cadenza sofisticata del fratello e riesce persino ad abbassare la voce di diverse ottave: l’imitazione è perfetta e l’effetto comico impagabile.
Mycroft dovrebbe essere arrabbiato ma non lo è. Si limita a incrociare le braccia sul petto e un angolo delle sue labbra si piega all’insù suo malgrado.
“Dopo una mezz’ora hai cominciato a sudare copiosamente e ti sei sentito male. L’umidità dell’aria in prossimità del fiume è molto maggiore di quella qui in casa e hai avvertito un’oppressione all’altezza nei polmoni. Hai pensato di andare a bagnarti i polsi e la fronte nel fiume per abbassare la temperatura corporea. Pur preoccupato di svenire, eri ancora più preoccupato per il tuo prezioso orologio, per cui te lo sei sfilato, lo hai appoggiato sul libro per evitare di bagnarlo e ti sei alzato per cercare un po’ di refrigerio.”
Mycroft pensa distrattamente che è davvero notevole come Sherlock conosca il significato della parola “refrigerio” a undici anni, ma ciò su cui è davvero concentrato è l’espressione aperta sul viso pallido e minuto del fratello, la minuscola ruga di concentrazione fra le sopracciglia che lo fa sembrare molto più grande di quanto in realtà è. Un lampo di comprensione gli attraversa la mente: oh, ma certo.
 Si era dannato per tutta la notte al pensiero di dove potesse essere finito l’orologio. Non appena aveva finito di bagnarsi nel fiume aveva notato in lontananza suo padre uscire da casa in direzione delle scuderie e si era rivestito in tutta fretta per poi correre alle stalle e fingere di avere montato almeno un po’. Verso le sette aveva cominciato a piovere e lui aveva notato l’assenza dell’orologio al polso, ma non era riuscito a ricordarsi dove poteva averlo perso. Temeva che gli fosse caduto in maneggio e che uno di quei dannati cavalli l’avesse calpestato e rotto immediabilmente.
Mycroft allunga una mano verso il fratello e Sherlock diventa rigido, ritraendosi d’istinto: ma la stretta sulle sue spalle ora è di tutt’altro tipo.
“Me l’hai trovato tu?” chiede, ma sa che la domanda è inutile. Vuole solo dare modo al fratellino di poter finire quell’accurata indagine e prendersi la sua meritata gloria.
Sherlock gonfia il petto e sorride.
“Appena ti ho visto tornare ho notato che ti mancava l’orologio. Prima di uscire ce l’avevi, quindi dovevi per forza averlo perso fuori. Ho cercato nei tuoi guanti di equitazione pensando che il cinturino potesse essersi allentato e che sfilandoteli ti fossi tolto anche l’orologio, ma erano vuoti. Mi annoiavo, quindi ho deciso di vedere se riuscivo a capire dove fosse restando in casa, senza doverlo cercare per tutto il nostro giardino. Ho tratto le mie conclusioni e sono andato alle rocce vicino al fiume. Era lì,” conclude con tono orgoglioso.
“E’ per questo che sei arrivato tardi a cena,” ricostruisce Mycroft in tono lento e pensoso. Sherlock annuisce. “Perché non sei andato a prenderlo dopo? Sapevi che la mamma ti avrebbe sgridato.”
Suo fratello arrossisce sugli zigomi e si sfrega le mani tra di loro, chiaramente infastidito e messo a disagio da quell’osservazione.
“Non potevo andare a prenderlo dopo perché avrebbe cominciato a piovere presto e, come ho già detto, il tuo stupido orologio non è resistente all’acqua” mugugna con lo sguardo di nuovo fisso a terra.
Mycroft annuisce con fare distratto, dopodiché si irrigidisce di colpo e per qualche minuto nessuno di loro due dice una parola. Finalmente quegli attimi di silenzioso imbarazzo terminano e Sherlock spalanca piano gli occhi sentendo suo fratello inginocchiarsi per mettersi alla sua altezza. La stretta sulle sue spalle si rafforza.
Trattiene il respiro quando la mano di Mycroft scende dalle sue spalle alla sua vita e lo trascina goffamente verso di sé, attirandolo contro il proprio petto.
La cosa è nuova e sconosciuta per entrambi e l’abbraccio risulta essere breve e incerto e strano, spingendo Sherlock a divincolarsi dopo a malapena dieci secondi.
Mycroft non lo trattiene, stranamente, e nemmeno lo guarda. Si limita a lasciarlo svicolare fuori da camera sua e a fissare l’orologio d’oro che tiene ancora in mano.
E’ solo un bambino, si ripete, pensando a quello che il piccolo e capriccioso Sherlock è stato in grado di fare.
 
*
 
Quella notte, entra in camera sua e si siede sul bordo del suo letto, una cosa che non ha mai fatto prima. Nel buio sente Sherlock trattenere il respiro.
“Come hai fatto a sapere che stavo leggendo Machiavelli?” chiede in tono calmo.
Sherlock si districa dalle coperte e balza giù dal letto. Mycroft lo guarda con vaga apprensione arrampicarsi su una sedia per raggiunge uno scaffale in alto della sua già cospicua libreria.
Pochi secondi dopo gli sta porgendo la sua copia de Il Principe.
“Avevi dimenticato anche questo,” mormora Sherlock con gli occhi fissi sulle lenzuola.
Mycroft si appoggia il libro in grembo e lo osserva rimettersi sopra le coperte. In un moto istintivo quanto estraneo di affetto, gliele rimbocca fino al collo. Gli occhi di Sherlock lo guardano vagamente sconcertati.
“Perché ti interessa che un orologio sia capace di resistere all’acqua?” domanda con una mano ancora poggiata sulla trapunta.
“Perché sto facendo esperimenti sull’apnea,” risponde Sherlock con voce squillante ma un po’ confusa.
Mycroft sorride commosso, odiando sé stesso per aver ceduto a quel sentimento da deboli, e spera intensamente che il buio nasconda quella sua eccessiva dimostrazione di affetto.
“Capisco.”
 
*
 
Sherlock sta facendo il bagno quando Mycroft entra senza bussare nella stanza piena di vapore, perfettamente vestito nella sua uniforme di Cambridge.
“Esci!” urla subito Sherlock da sotto una pioggia di ricci umidi sparati in tutte le direzioni. “E’ il mio turno!”
Mycroft solleva gli occhi al cielo.
“Da domani in poi sarà sempre il tuo turno, Sherlock” gli ricorda paziente, sedendosi sul water dopo essersi sistemato i pantaloni sulle cosce. “Mi dovrai sopportare ancora per poche ore.”
Sherlock affonda nell’acqua fino al mento, lo sguardo buio e scocciato fisso sulla punta dei propri piedi che emerge appena.
“Non vedo perché dovrei,” borbotta, e il movimento della sua mascella crea piccole increspature d’acqua attorno al suo corpicino pallido e ossuto.
Mycroft sorride.
“Per festeggiare la nostra sempre desiderata separazione” dice dopo alcuni attimi di teso silenzio, “ti ho preso questo.”
Gli porge una busta di velluto. Sherlock inarca le sopracciglia e la prende con mani bagnate e curiose.
“Così rovini il tessuto” puntualizza Mycroft con un sospiro, ma gliela allunga comunque.
Sherlock, neanche a dirlo, ignora del tutto il suo avvertimento e la apre. Dentro c’è un orologio.
Quando rialza lo sguardo sul fratello, nei suoi occhi c’è lo spaesamento più completo.
“Non è un Rolex, ma i Rolex sono sempre in ritardo, no?” gli ricorda Mycroft con aria ironica. Gli indica il quadrante con un dito pallido. “Svizzero. Resistente all’acqua e alla profondità. La batteria durerà fino alla tua morte, presumo. E si rompe forse solo a farlo precipitare giù da un palazzo.”
Sherlock registra tutte le informazioni con aria famelica. Gli brillano gli occhi. Tiene l’orologio fra le mani come se fosse una santa reliquia.
“E’ provvisto di cronometro e il cinturino è in cuoio, ma è sostituibile.” Mycroft si allenta la cravatta. Sherlock fa dei bagni con l’acqua a temperatura di ebollizione e il calore della stanza è quasi insopportabile. “E questo immagino sia tutto. Il manuale delle istruzioni è nella confezione in camera tua, se vuoi bearti della terminologia tecnica.”
Sherlock ha le labbra leggermente socchiuse e un’espressione incredula sul viso bagnato.
Non si sono mai scambiati un regalo in tutta la loro vita. Non si sono mai parlati più a lungo di dieci minuti per tutta la loro vita. A pensarci bene, questo deve essere anche la prima volta che suo fratello lo vede in vasca da bagno.
E Mycroft quella sera stessa parte per Cambridge.
Sherlock non capisce e la cosa lo irrita. Ha desiderato che si togliesse dai piedi sin da quando è nato, ma improvvisamente, paradossalmente, il pensiero della sua partenza lo immalinconisce.
“Io…”
Sherlock fa fatica a dire grazie. Specialmente a lui.
Mycroft lo sa e decide di risparmiarglielo, e forse il vero regalo è questo.
“Sono sicuro che quello degli esperimenti sull’apnea era un bluff” dice in tono condiscendente, provocatorio.
Sherlock sembra riscuotersi subito dalla sua impasse emozionale e gli lancia uno sguardo furioso.
“Non è vero! Ho fatto dei tempi straordinari!”
Mycroft sorride come una volpe e gli fa segno di dargli l’orologio.
“E allora giù,” dice, sporgendosi sulla vasca. “Testa sotto. Fammi vedere di cosa sei capace.”
Non sa se sia stata una sua impressione, perché suo fratello, come al solito, non sta più nella pelle al pensiero di mettersi in mostra e gli obbedisce subito; ma forse, prima di scomparire sott’acqua, Sherlock gli ha sorriso.
Mycroft fa partire il cronometro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Molly Hooper è nervosa e pallida e terribilmente dispiaciuta per lui, ma proprio non può farlo passare.
Mycroft stringe il manico del suo ombrello e le passa avanti degnandola a malapena del suo sguardo. La donna lo insegue tentando inutilmente di bloccargli il passo.
“Signor Holmes, capisco il suo dolore, ma per motivi di procedura formale non-”
Mycroft sorride amaro e si gira verso di lei con occhi inespressivi.
“Signorina Hooper, la procedura formale di cui parla l’ho creata io,” la informa in tono ragionevole. “La prego di scostarsi. Non vorrei che ci fossero spiacevoli conseguenze a questa sua testardaggine.”
Molly stringe le labbra e deglutisce. Mycroft attende con gelida pazienza.
Molly abbassa lo sguardo con aria sconfitta e si fa di lato.
“Grazie,” si sente dire Mycroft, e ogni parola è persino più vuota del solito.
 
*
 
Il lenzuolo da cui è coperto è leggermente sporco di sangue all’altezza della testa. Quel rosso è l’unica macchia di colore presente nella stanza dai muri bianchi ed asettici.
Mycroft avanza un passo dopo l’altro, un semplice movimento automatico che gli costa una fatica immensa, e si ferma di colpo non appena arriva vicino a sufficienza da poterlo toccare. Le labbra serrate in una sottile linea pallida, scosta il lenzuolo con un movimento deciso.
Gli occhi sono compostamente chiusi, così come la bocca, livida e gonfia. Il viso che è stato pallido tutta una vita ora è cereo e quasi traslucido. I capelli sono incrostati di sangue non ancora secco.
E’ immobile come non è stato mai, silenzioso come non è stato mai.
Va bene, ora basta, Sherlock.
Mycroft chiude gli occhi e si prende la radice del naso fra indice e pollice.
E’ durata abbastanza. Su la testa, avanti. Il tempo non è male.
Non si accorge di stare piangendo fino a quando ritrae dal viso la mano bagnata. I singhiozzi sono violenti, incontrollati, espressione straziante di una parte di sé che è rimasta ferma a quel pomeriggio di vent’anni prima. Si trova a stringere il manico dell’ombrello con tutte le sue forze per riuscire a rimanere in piedi senza cadere.
Lo guarda, e attraverso i suoi occhi offuscati dalle lacrime gli sembra che sia ancora sott’acqua, e che a un suo comando riemergerà da un momento all’altro.
“Va bene, ora basta, Sherlock” sussurra con voce rotta, il tono pieno di rimprovero. “Su la testa.”
Ma non succede nulla.

*
 
“Mi dispiace, Sherlock, ma non ho potuto impedirglielo, non voleva sentire ragioni…”
Sherlock alza la testa dal lavandino macchiato di sangue finto, i capelli bagnati incollati alla fronte. Le lancia uno sguardo indecifrabile attraverso lo specchio e le rivolge un sorriso stanco.
“Fa niente, Molly.”
Aspetta che lei esca dal bagno dell’obitorio prima di esaminare il suo orologio con ansia e tirare un sospiro di sollievo.
Il quadrante è rotto, ma le lancette si muovono ancora.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: scrivere di Mycroft e Sherlock mi piace quanto scrivere di Sherlock e John. Quei due mi fanno il cuore a fettine ç_ç In una maniera bellissima ç_ç
Spero vi sia piaciuta e grazie a chiunque leggerà. :*
 
   
 
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