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Autore: ilGhiro    23/01/2013    1 recensioni
Si tratta di una rielaborazione del proemio della "Medea" di Ennio.
Era nata come una traduzione, ma avendo cambiato totalmente il metro e tradotto liberamente la maggior parte delle espressioni preferisco definirla così.
"[...]ma così ordinò Pelia,
re di Iolco e dell’inganno:
e infatti mai la mia signora
di sua sponte avrebbe smesso
di calcare con il piede la sua patria –
la mia Medea dolente, e
senza meta errante,
trafitta da un amore avvelenato..."
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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  • [N.B: Il frammento da me tradotto costituisce il proemio della tragedia di Ennio, in cui la nutrice di Medea ricorda l'impresa di Giasone e degli Argonauti.]




     

     

    Ma vorrei in cuor mio che gli alberi 
    non fossero crollati
    tra le scuri e tra le fronde del Pelio,
    quanta gioia se quel legno 
    non avesse preso il largo
    - che a gran voce come Argo era invocato -,
    con cui Argivi tra i migliori 
    si recavano in Colchide
    per sfiorare l’aureo vello di un ariete;
    ma così ordinò Pelia, 
    re di Iolco e dell’inganno: 
    e infatti mai la mia signora 
    di sua sponte avrebbe smesso
    di calcare con il piede la sua patria – 
    la mia Medea dolente, e 
    senza meta errante, 
    trafitta da un amore avvelenato...






     

    Metto qui il testo originale, casomai qualche latinista disperato come me volesse confrontare i due testi:


    "Utinam ne in nemore Pelio securibus
    caesa accidissent abiegnae ad terram trabes,
    neve inde navis incohandi exordium
    coepisset quae nunc nominatur nomine
    Argo, quia Argivi in ea delecti viri
    vecti petebant pellem inauratam arietis
    Colcis imperio regis Peliae per dolum;
    nam numquam era errans mea domo efferret pedem
    Medea animo aegro amore saevo saucia. "



    Fatemi sapere che ne pensate. :)



     

   
 
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