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Autore: itsbrie    24/01/2013    0 recensioni
"Non penso che mi sia mai capitata una cosa più strana di questa" disse Chiara, e Marco non distinse da quale direzione provenisse la sua voce.
"Che cosa?" chiese il ragazzo.
"Non mi è mai capitato di conoscere una persona e in un giorno solo trascorrere insieme a lei tutto questo tempo. E’ strano, Marco, non so se mi intendi"
Il giovane rimaneva sempre incredulo dalle parole di Chiara, che sembrava parlare anche per i suoi pensieri.
Come aveva fatto quella ragazza ad intrufolarsi nella sua vita in quel modo così particolare proprio non lo sapeva. Non riusciva a spiegarselo, era un insieme di emozioni, silenzi, risate e respiri che si mescolavano e attraversano entrambi in una maniera che non si poteva tradurre in parole.
I silenzi di Chiara lo stordivano, perché urlavano tutte le parole che non poteva dirgli, perché in fondo lo sapeva anche lui che era tutto inverosimile perché potesse funzionare.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Salve a tutti! 
Ebbene sì, manco su EFP da un anno buono e me ne dispiaccio molto.
Ho avuto un periodo piuttosto complicato, esami di stato, università, trasferimenti, voglia di scrivere che altalenava nel vuoto cosmico.
Sono consapevole di essere alquando unpopular su questo sito (sempre per mea culpa) ma scrivere è una passione che mi sento di condivedere, per questo ho deciso di postare questo racconto per molto importante.
E' una trama semplice, forse un pò banale, ma ci ho messo tutta me stessa e spero si capisca.
E' una storia a capitolo unico, sono in tutto 24 pagine e per il momento, posterò le prime 12.
Con la speranza che possa piacervi, vi lascio alla "prima parte".
Vi invito dal profondo del mio cuore a commentare se leggete, ovviamente, sia critiche sia incitamenti, ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensiate.
Un grazie per l'attenzione e un abbraccio a tutti.
Let:)


Una finestra sul Reno.

 a voi che siete stati ispirazione inconsapevole, degli amici sinceri, veri /
a voi, dedico questo racconto.


perché niente è come te
e me insieme
niente vale quanto te e me insieme
siamo due respiri
che vibrano vicini
oltre il male e il bene
niente è come me e te
insieme
(Chiara – Due Respiri)


Sono poche le persone che lasciano in noi tracce visibili del loro passaggio, sono poche le persone in grado di farci ricordare il loro nome subito dopo averle conosciute.
Sarà stato forse per il sorriso, per gli occhi vispi o misteriosi, oppure semplicemente perché quella persona ci è simpatica.
Sono tanti i volti che incrociamo ogni giorno, tra mezzi e luoghi pubblici, ci passano di fronte così tante persone che neanche ce ne accorgiamo.
E’ così difficile ricordarsi di qualcuno, a meno che non sia speciale.
Quando si incontra una persona speciale si riconosce subito; innanzitutto perché sarà una persona bella – in generale, non solo fisicamente – avrà una voce particolarmente profonda, farà dei gesti ipnotici ed organizzati – che risulteranno assolutamente spontanei e naturali - .
E’ facile perdersi nei gesti delle persone, ammesso che siano speciali, perché insieme alle loro parole ed ai loro particolari sguardi, ci dimentichiamo del resto.
Sempre perché è difficile incontrare persone speciali al giorno d’oggi, dovremmo essere ben pronti  a riconoscerne una, perché altrimenti, quando la incontriamo, potrebbe scappare via senza neanche averla potuta osservare per bene.
Prima di conoscere bene una persona, bisogna osservarla bene, altrimenti si rischia di restare ingannati dal bell’aspetto o da quell’attraente modo di fare.
Quante volte ci è capitato di perderci negli sguardi di qualcuno che è seduto di fronte a noi nella metro o in bus? Quante volte abbiamo desiderato spezzare il loro – ed anche il nostro – silenzio con una solo parola?
In un giorno come un altro, molto probabilmente non ci accorgeremmo nemmeno di incontrare una persona speciale, perché di solito siamo sempre troppo presi da altro.
Ed è incredibile come, fra tutte le persone che incontriamo, ci sarà sempre quella che attirerà la nostra attenzione in modo non inequivocabile.


 << Che cosa ti fa credere che ti accompagnerò alla festa di stasera? >> mugugnò Marco, passandosi una mano tra i capelli castani.
<< Il fatto che ci sarà Sara, che avanti, lo sappiamo tutti che ti piace >> ribattè divertito Andrea.
<< Non sei un vero amico se mi ricatti in questo modo >> rispose il primo, incrociando le braccia, in segno di disappunto. La grande bocca si piegò in un sorriso e alzò le spalle << Preferirei andare a bene un po’ di vino da Claudio, non ho voglia di ubriacarmi e perdere il controllo >>
<< Come se da lui questo non succedesse >> puntualizzò Andrea come se fosse stata appena pronunciata un’eresia.  Si aggiustò meglio gli occhiali tondi e spessi sugli occhi e attese una risposta soddisfacente.
Marco sospirò << Senti, ci ho pensato >>
<< A cosa? >>
<< A Sara, al fatto che mi sono stancato di mandare la mia vita a puttane, nel vero senso della parola >> affermò con un certo sconforto, come se le sue parole esprimessero una grande angoscia interiore.
<< Beh sono vent’anni che lo fai, che differenza fa? >>
<< C’è che mi sono seccato! Sono anche stanco di passare da una ragazza all’altra senza neanche accorgermene, sono stanco di guardare una ragazza e pensare se potrei farmela o meno >>
Andrea storse il naso << E dunque qual è la morale della favola? >>
<< Che non verrò con te stasera, o almeno non vorrei >>
Gli occhi di Marco si persero un attimo nel grande atrio dell’università, molto probabilmente alla ricerca di qualche sguardo su cui appoggiarsi.
Ma c’erano solo sconosciuti.
Che pensiero strano aveva avuto quella mattina, che cosa strana aveva appena detto al suo amico.
Eppure era da un po’ di tempo che pensava alla sua vita, al fatto che niente in essa fosse veramente stabile a parte la famiglia, gli amici lo sport o qualche scarsa abitudine.
Lui infatti non era tipo da abitudine, eppure faceva tennis e nuoto da una vita, fumava da un po’ di tempo, guidava da due anni e al mare ci andava sempre alle due di pomeriggio.
Tutti questi impieghi non erano per lui abitudini, ma più modi di essere, come se si affezionasse a una qualunque di quelle  perché gli piacevano e non perché voleva farla proprie.
Invece, non si era mai accorto di essersi abituato ad essere quel tipo di Marco, non ad un ragazzo qualunque.
Era quel Marco che beveva litri di vino, che amava le feste con tante gente, che quando abbassava lo sguardo  rideva sempre e quando si passava la mano tra i capelli diceva sempre “Non sono bellissimo?”.
Eppure, da un tempo tutte queste cose, che amava lo stesso, non gli sembravano abbastanza.
Nella sua interpretazione delle cose, stava semplicemente cercando di cambiare stile di vita e darsi una regolata, ma la verità era che aveva bisogno di un’altra abitudine – o meglio, una  nuova cosa a cui affezionarsi.
In quella città, dove arrivavano fiumi di persone, ogni volta si domandava se ci fosse la sua potenziale donna ideale, quella che gli avrebbe fatto perdere la testa e impazzire.
Aveva visto tutti innamorarsi di qualcuno, ma lui no, lui voleva fare l’innamorato, ma non ci riusciva.
Si infatuava delle ragazze, le corteggiava, si divertiva, gli piaceva passare tempo con loro, ma dopo un po’ si accorgeva che non era questo che cercava.
In realtà neanche lui sapeva cosa cercava, la verità era che era semplicemente innamorato della vita, dell’allegria, delle belle ragazze, dell’estate, del chiasso, della musica, del rumore.
Non c’era silenzio nella sua vita, il silenzio distrae e frastorna, proprio come fa il sole quando sorge.
<< Sono certo che varcherai la soglia del locale più in forma che mai >> concluse Andrea.
<< Beh staremo a vedere amico mio, in caso ti devo un bicchiere di birra >>
<< Come mai mi salti il vino, questa volta? >>
<< Perché hanno aperto un pub irlandese nuovo e dobbiamo assolutamente andarci >>
Andrea rise di gusto e si domandò perché lo sguardo di Marco si fosse fissato nel vuoto.

 Bologna era un città che pullulava di ragazzi, che pulsava di vita da tutte le parti.
“Bologna la rossa” così la chiamavano comunemente, per un motivo politico, eppure a Chiara sembrava che fosse chiamata così perché rosso era il colore della passione, dell’euforia, della gioia, e per questo Bologna era rossa, perché era vitale e splendente.
Quando scese dal treno si accorse che la sua permanenza lì sarebbe stata come al solito, perfetta ed in sintonia con se stessa.
Perché quel posto le trasmetteva calma, la rassicurava e la cullava.
Amava uscire per i vicoli che pian piano si incrociavano e si perdevano; amava guardare i ragazzi che si abbandonavano all’euforia della sera e urlavano felici; amava guardava quel posto attraverso il cristallo lucente dei bicchieri di vino che abbondavano.
Come se quello fosse il posto a cui appartenesse da sempre, si diresse verso l’indirizzo del bed&breakfast dove avrebbe alloggiato per le successive settimane.
Era sempre lo stesso, non lo aveva mai cambiato.
Gestito da un anziano signore e la sua altrettanto anziana – quanto scaltra e vivace – sorella.
Non lo sceglieva solo perché le regalavano sempre la pasta fatta in casa o perché le facevano pagare una sciocchezza, ma perché quel luogo era riuscita a darle una casa in un posto che non era il suo.
Quell’odore di vecchia casa misto agli invitanti odori della cucina, garantivano serenità e affetto incondizionato.
E per Chiara, che faticava tanto a fidarsi delle persone, era una mano santa.
Era dura per lei illudersi di avere una vita normale, illudersi avere le stesse abitudini dei suoi coetanei, e immaginarsi - anzi sapere - che ci fosse qualcuno che come lei si era visto strappare una parte della sua giovinezza, una delle più belle.
Non era colpa di suo padre se si era ammalato, neanche di sua madre che era morta più di dieci anni prima.
Eppure non si era mai lamentata, non ci aveva mai provato a prendersela con il mondo per quanto le era capitato, non voleva che le sue disgrazie infierissero con il suo modo di vedere la vita, così straordinario e unico. Perché lei era così, amava la vita tutto e per tutto.
Troppo appassionata, vivace, allegra, sincera, attenta.
Era così che era vista Chiara, troppo onesta nei confronti di se stessa, sciolta dalle briglie di qualunque pregiudizio, amante delle piccole cose, credente nella forza di cuori grandi, dei desideri puri e dei sorrisi veri e lucenti.
Non poteva descriversi in altro modo Chiara, era semplicemente appassionata.
Così, era tornata a Bologna per darsi alcuni esami, e forse sarebbe rimasta lì più delle altre volte in quanto sua zia Gilda si sarebbe presa cura di suo padre per darle modo di fare tutto con calma.
Sarebbe stato difficile per lei una volta tornata affrontare la quotidianità e la malattia di suo padre, ma avrebbe fatto tutto con la dedizione e l’amore lui si meritava.
Come sempre, da tanto tempo.
Per adesso pensava a godersi una Bologna gelida a fine Novembre.
<< Finalmente ti terremo qua più di dieci giorni! Dolce Chiara, era da tanto che mancavi! >>
La ragazza sorrise alla signora anziana che, tutta indaffarata nella sua cucina, faceva valanghe di pasta fresca per sé ed i suoi ospiti.
<< Prometto che stavolta la aiuterò a fare i tortellini! In famiglia si lamentano perché non ho ancora imparato a farli >>
La signora rise << Ora Giovanni è uscito, ma quando tornerai, avrai per tu un delizioso banchetto >>
<< Gli altri ospiti non saranno gelosi del trattamento che mi riservate? Un giorno qualcuno lo farà >>
La signora Elena fece una piccola smorfia divertita << Il giorno in cui qualcuno oserà farlo, stai certa che qui non sarà più il benvenuto! >>
<< Oh su, ora non esageriamo! Prometto che non dirò a nessuno delle torte con doppio cioccolato che mi fa trovare in cucina a colazione.. >>
Entrambe scoppiarono in una risata allegra, e in quel momento a Chiara sembrò quasi di essersi scordata dei dolori che portava con sé.
A Bologna non conosceva troppa gente e non sapeva neppure se valesse la pena conoscerne visto il poco tempo che vi trascorreva.
Molte volte qualcuno le chiedeva per quale motivo venisse a Bologna solo per darsi gli esami e diciamo che, indirettamente, le chiedevano perché sprecasse tutti quei soldi – visto che lei era di Roma e poteva benissimo starsene a casa sua – e ogni volta, lei rispondeva che valeva la pena stare lì anche solo per un’ora!
Insomma, come spiegare ad un estraneo che tuo padre è malato di Alzheimer  e che, anche se volessi, non lo lasceresti mai e, anche se fosse, sono sfatti suoi e non degli idioti che non capiscono nulla?
Per lei era importante staccare un po’ la spina, respirare un po’ d’aria nuova, ma questo ipotetico estraneo, come avrebbe potuto capirlo?
Come avrebbe potuto anche solo comprendere un minimo di quello che provava?
Forse era un suo problema non riuscire a aprirsi, forse era colpa sua se di fronte ad uno sconosciuto aveva sempre paura di venire giudicata o anzi – peggio – di venire compatita ed essere considerata sfortunata.
Ma sfortunata di cosa? Per aver sofferto?
Beh in fondo tutti soffrono, chi prima, chi dopo, a lei era successo e non poteva davvero farci  nulla.
Lo accettava perché era così, cos’altro poteva fare?
Tanto nessuno avrebbe compreso il suo struggimento, nessuno avrebbe intuito la sua infelicità, data la sua – nonostante tutto - incredibile gioia, nessuno avrebbe compreso il vuoto che c’era nei suoi occhi.
Quando si accorse che era arrivato il momento di uscire, sospirò.
<< Vado a liberarmi di questo esame. O la va o la spacca >> disse.
La signora Elena le fece l’occhiolino << La va, la va >>
E Chiara ci credette davvero.
 
***
L’università di Bologna si presentava come un luogo aperto e limpido, brulicante di cultura, sorprese,  delusioni, soddisfazioni, rivincite, ma soprattutto, di vita.
Chiara si ricordava  ancora la prima volta che vi mise piede e quello che provò.
L’aria elettrica, l’ambiente stimolante di una università che accoglieva persone di tutti i tipi e che le vedeva passare giorno dopo giorno.
Molte volte si sentiva come un pesce fuor d’acqua, ma poi, quando le capitava di incrociare lo sguardo di una qualunque persona, capiva di essere lì per il suo stesso motivo, e che non aveva nulla da temere se non il professore che avrebbe dovuto affrontare tra breve.
Entrò nel grande atrio della facoltà di Giurisprudenza e si guardò intorno spaesata.
Non aveva idea di dove fosse l’aula che le serviva.
Anzi, non sapeva neanche quale aula le servisse.
Nel gabbiotto all’ingresso avevano disertato tutti e, invano, tentò di chiedere informazioni a qualcuno.
Tutti le rispondevano male, tutti erano nervosi, e capitava che quando qualcuno si accorgeva che lei stesse per parlare, subito si allontanasse per evitarla.
Non aveva beccato la giornata giusta per gli studenti della facoltà.
Con la borsa che le stava tranciando una spalla, si avviò a controllare le innumerevoli bacheche in cerca di qualche informazione.
Ma neanche questa ricerca produsse il risultato sperato.
Stanca e spazientita, decise di fermare il ragazzo che stava venendo nella sua direzione.
Per un attimo si fermò ad osservarlo : alto, mani grandi, spalle larghe e sguardo profondo.
Molto probabilmente però, neanche lui si sarebbe fermato per darle una mano.
Diede un’occhiata all’orologio e vide che aveva a disposizione ancora una buona mezz’ora.
Il problema era che fino a che avesse trovato l’aula, sarebbe passata ancora dell’altro tempo, lei avrebbe fatto tardi e forse il professore non le avrebbe fatto sostenere l’esame.
D’accordo – si disse respirando appena, e decisa come poche volte, fermò quel ragazzo.
<< Scusami >> disse farfugliando – e sperò con tutta se stessa di aver parlato una lingua conoscibile e non avesse solo aperto la bocca per belare come una pecora - << Ho bisogno di sapere dove si trova l’aula dove il professor Tomasi farà gli esami >> terminò la frase mordendosi l’interno della guancia.
Lo sguardo che le rivolse quel ragazzo non fu di sdegno, quanto di divertimento.
Infatti, alzò le spalle e ridacchiò appena << Certo che lo so, ho fatto l’esame un’oretta fa >>
Lei sorrise come non le era ancora capitato di fare quella mattina e sospirò << Meno male, mi stai salvando la vita >> ammise guardandosi intorno << Tutte le persone che ho fermato mi hanno risposto che non lo sapevano oppure dicendomi “Ti pare che non sai l’aula dove devi fare l’esame?” >>
Il giovane rise di gusto, ammirando la scioltezza della ragazza che senza nemmeno conoscerlo, aveva iniziato a parlargli come se fossero amici da sempre.
La guardò negli occhi – verdi, intensi - e scosse il capo << Comunque l’aula è al primo piano, proprio di fronte l’aula studio. Hai presente? >>
Chiara iniziò a fare mente locale, sforzandosi di ricordare il più possibile i luoghi indicati dal ragazzo.
In quell’aula studio del primo piano aveva passato quasi un intero anno della sua vita, certo che se lo ricordava. E’ vero che non vedeva quella università da un po’ di tempo, ma ancora non aveva perso la memoria.
<< Si, si certo! Intendi l’aula C, vero? >> domandò per avere conferma.
<< Esattamente! >> ribadì il ragazzo con una certa enfasi << Ma sbaglio o non sei frequentante? Non mi sembra di averti mai vista in giro >>
Dopo aver detto quelle parole Marco si rese conto di aver fatto la figura di quello che ci stava provando, cosa che in realtà non gli era neanche passata per l’anticamera del cervello.
Per questo, si affrettò ad aggiungere << Giusto per darti una dritta per l’esame, tranquilla >>
Chiara sorrise e annuì << Si, non ho mai frequentato, mi sono preparata da sola >>
<< Che coraggio, e se mi permetti, devi essere molto brava, io per capirci qualcosa di processuale civile ho dovuto sforzare il mio intelletto davvero di tanto >>
Lei arricciò il naso << Mi sono preparata molto effettivamente >>
Marco si passò una mano tra i capelli castani – ma non disse che era bellissimo -  << In ogni caso è fissato con il processo cautelare uniforme e processo sommario di cognizione, te li chiederà senz’altro, sono le sue domande standard >>
Chiara memorizzò tutto mentalmente, sentendosi segretamente grata a quel ragazzo che la stava aiutando così spontaneamente senza troppe domande.
Forse era stato l’unico estraneo che le aveva trasmesso qualcosa che non fosse solo timore.
<< Sei un angelo, grazie mille! Ora devo andare, altrimenti mi boccerà e mi toccherà tornare al prossimo appello, e sinceramente non posso permettermelo >> sospirò appena, senza farsi sentire << Ti ringrazio di nuovo e ti auguro una buona giornata! Ciao! >> gli sorrise – ancora, a trentadue denti, serena e sollevata – e si avviò quasi correndo verso le scale.
Marco rimase lì, interdetto.
Avrebbe almeno voluto sapere come si chiamava.


Chiara uscì dall’aula C con un bel trenta sul libretto e un mucchio di soddisfazione che sollevarono il suo umore in un modo che neanche lei era capace di decifrare.
Prese il cellulare e chiamò sua zia Gilda per informarla del risultato, poi parlò con suo padre, che stranamente non ebbe bisogno di chiarimenti o spiegazioni per ricordarsi dell’esame di sua figlia.
<< Sei stata veramente brava piccola mia, ora perché non torni a casa a festeggiare? >>
Senza che Chiara se ne accorgesse, i suoi occhi si velarono di tristezza, rivelando tutta quella fragilità che almeno per un paio di ore non si era manifestata.
<< Papà tra un paio di giorni ho un altro esame, sono a Bologna, ci vediamo tra un po’ >> rispose lentamente.
Dall’altro capo del telefono udì un brusio confuso.
Molto probabilmente sua zia Gilda stava spiegando a suo padre che sarebbe tornata solo al termine dei suoi esami, a fine mese.
<< Chiara, scusami, non me lo ricordavo proprio! Al tuo ritorno ci saranno molte cose da festeggiare, però! Salutami i miei amici bolognesi, so che sei da loro >>
<< Certo papà, non temere. Ora stacco, ci sentiamo più tardi? >>
<< Mi raccomando, chiama anche la mamma >>
Chiara fu certa di sentire una lacrime attraversarle il viso.
<< Certo papà, lo farò subito. A dopo >>
Premette il tasto rosso del suo telefonino di vecchia generazione e chiuse gli occhi, iniziando ad immaginare come sarebbe stata la sua vita se le cose non fossero andate come sono diventate.
Immaginò come sarebbe stata la sua vita se sua madre non fosse morta quando aveva sette anni; immaginò come sarebbe stato se suo padre non si fosse mai ammalato due anni prima; immaginò come sarebbe stata la sua vita se avesse visto le cose con occhi più disinteressati e cuore meno pieni di voglia di vivere.
Sicuramente sarebbe stata più semplice, sicuramente avrebbe sofferto di meno e avrebbe sorriso un po’ di più, ma ora come ora non era importante.
Era arrivata ad essere la giovane donna forte che era per tutto quello che aveva passato, era diventata una ragazza appassionata dell’amore e della vita perché ne conosceva – forse non completamente – il vero valore, e voleva conservarla integra e intatta fino a che le fosse stato possibile.
Riaprì gli occhi, le sembrava essere passata un’eternità quando in realtà erano trascorsi solo un paio di secondi.
Si guardò intorno per assicurarsi di non essere stata scambiata per una matta e in fretta, si avviò verso l’uscita della facoltà con un peso in meno.


Marco era stanco di sentirsi cosa fare o cosa non fare, soprattutto non sopportava che a dirglielo fossero i suoi amici che non si rendevano conto di niente, poiché per bastava divertirsi e ubriacarsi, e se non si stava con un paio di ragazze a sera non si era fighi.
Era stanco di vite preconfezionate senza nessun rimborso.
Una volta resi conto dell’errore si poteva tornare indietro?
Anche lui aveva sbagliato a sprecare la sua vita dietro a cose effimere senza niente, si era lasciato trasportare in un vortice che lo aveva risucchiato e dal quale ora, faticava ad uscire.
Aveva acconsentito ad andare alla festa quella sera, aveva acconsentito ad una nuova serata in cui non era importante dove e con chi, ma bisognava darci dentro.
Era stanco, stanco come lo si può essere dopo una settimana di insonnia, stanco come lo si era quando si bruciano tutte le tappe e dietro di te c’è solo un tumulo di cenere.
<<  Ci troviamo alle dieci mezza sotto casa di Andrea e andiamo >> annunciò Paolo.
Tutti annuirono.
Anche Marco sembrò acconsentire nel suo silenzio.
I ragazzi si congedarono e lui non gli rivolse neppure una parola.
Non era arrabbiato con loro, non ne aveva motivo, era semplicemente arrabbiato con se stesso.
Studiare a Bologna non era stata la sua prima scelta, ma la delusione di non essere stato preso a Milano – per la Bocconi, si intende, lui ci teneva tanto – lo aveva indotto a cambiare frontiera.
Così, da Roma era arrivato nella città rossa, che lo aveva accolto con calore.
Non si era mai pentito di quella scelta, anzi, grazie al disguido della città del Nord, si era accorto che la scelta di Bologna era in assoluto la migliore che avesse potuto fare.
Aldilà dell’università, lì persone erano fantastiche – o perlomeno lo erano quasi tutte – e non ci si annoiava mai.
Lui non si era mai annoiato, si era sempre divertito anche nei periodi di esami, aveva sempre tirato fuori da quella città il meglio che potesse dargli.
Così la sua vita non era mai stata grigia o monotona.
Perché in fondo anche lui era così, anche lui amava vedere la sua vita piena di colori, di emozioni forti.
Ma adesso non gli bastava più, adesso aveva bisogno di più certezze, di più tranquillità e stabilità, aveva bisogno di avere un punto fermo nella sua vita.
Certo, aveva la sua famiglia e gli amici, ma non credeva più negli altri, non credeva più nella fiducia di qualcosa di nuovo che non aveva mai conosciuto che potesse cambiargli la vita.
Forse erano state le delusioni o le botte in testa, forse era il suo autocontrollo o troppa attenzione alle cose ad averlo reso così.
Questo non lo sapeva, era troppo difficile conoscere se stesso e farsi una ragione delle proprie ragioni.
Eppure si sentiva incompleto, come poteva sentirsi la luna senza le stelle o l’amore senza gli amanti.
Ma non era così bravo da capirsi totalmente, non era così bravo da decifrare il suo io.
Questi erano i pensieri che lo accompagnavano nel suo tragitto a casa, che mai come quel giorno era costellato di pensieri e vaghezze.
Tra l’altro, era anche a piedi a causa di una ruota bucata della sua bicicletta.
Anche se il tratto non era lungo, ma stava morendo di fame e come sempre dopo un esame, necessitava di una dormita pomeridiana di almeno tre ore.
Imboccò via Zamboni senza indugi e affrettò il passo per non incappare in qualcuno che conosceva.
Seduta ad un tavolo del Caffè Zamboni, però, intravide la ragazza con cui aveva parlato un paio di ore prima.
Il suo primo istinto fu quello di raggiungerla e chiederle dell’esame, ma si trattenne.
Se ne stava seduta lì, tutta sola a sfogliare distrattamente le pagine di un libro che non stava neppure guardando.
Si chiese perché fosse lì senza compagnia, perché faceva di tutto per evitare gli sguardi estranei, fino a che non incrociò il suo.
Si sentì un idiota, perché la stava fissando da un po’ e sperò di riuscire ad abbassare lo sguardo e filare dritto. Ma non fu quello che successe.
Chiara lo fissò, cercando di capire se fosse davvero lui, poi gli sorrise.
Lui ricambiò con un gesto della mano e senza aspettare risposta, andò via esattamente come aveva fatto lei poco prima, lasciando entrambi con un nodo alla gola.

****

Venerdì, a Bologna splendeva il sole, e uscita dall’università – dopo aver dato il secondo esame della settimana – Chiara si sentiva decisamente più leggera.
Bisognava stringere i denti un altro po’ e poi sarebbe stata libera per quel semestre, che sperava di concludere massimo per metà Febbraio.
Così sarebbe stata a casa fino a Maggio, da suo padre, dalle corse in ospedale, da sua…
No, assolutamente non doveva pensarci, non per quella mattinata almeno.
Ripose i libri nella borsa e si fermò a bere un goccio d’acqua dalla fontana appena fuori dalla facoltà.
Fu in quel momento che intravide il ragazzo che l’aveva aiutata giorni prima, e come se fosse la cosa più giusta o semplicemente perché voleva parlare con qualcuno, gli si avvicinò.
<< L’esame è andato bene alla fine, mi ha fatto anche le domande che mi avevi detto tu, quindi grazie >>
Marco la guardò senza capire per un paio di secondi, sorpreso dal gesto e dalla naturalezza con cui era stato compiuto.
Neanche l’aveva vista quella giovane con i capelli castani, che lei lo aveva sorpreso con pochissime parole.
Di gratitudine tra l’altro, che si ricordasse mai nessuno lo aveva fatto prima.
<< Beh era mio dovere >> rispose incerto << D’altronde ti serviva davvero una mano >>
Chiara annuì << Certo, e non mi vergogno di ammetterlo! Sai, potrei anche dirti che hai avuto un’impressione sbagliata su di me o che so io, ma ci hai davvero preso, bravo >>
Marco ridacchiò << Si beh, devo avere un certo talento >>
Lei alzò le spalle << Non saprei, sicuramente ti devo un favore per avermi predetto le domande dell’esame >>
<< Beh ma qui era risaputo che si orientasse su quelle, diciamo che sono andato a colpo sicuro >>
<< Certo, tu lo sapevi, ma io no, già era tanto se sapevo com’era fatto Tomasi, figuriamoci se potevo immaginarmi le domande >>
<< Giusto, avevo dimenticato che tu non hai frequentato >> aggiunse Marco, avendo avuto paura di un possibile risentimento della ragazza per le sue parole.
<< Ora ho appena dato l’esame di Vicenzi, e poi mi informerò per gli appelli di Gennaio di Borghese, speriamo bene >> gli disse la ragazza, continuando a comportarsi come si conoscessero da troppo tempo.
Marco non sapeva come comportarsi, perché di solito ci avrebbe già provato, le avrebbe già chiesto di offrirle un caffè o di andare alla festa la sera stessa, ma questa volta era davvero bloccato.
Anzi, la parola esatta era paralizzato.
Si sentiva paralizzato dal tono di voce così vivace della ragazza, dal suo sorriso così sincero, dalla risata cristallina e soprattutto dagli occhi – profondi, un po’ misteriosi - .
<< Sei davvero coraggiosa, te lo ripeto, io Vicenzi non ci penso neanche a darlo adesso, e Borghese mi sta di una tale antipatia che potrei insultarlo prima ancora di trovarmi davanti la sua faccia >>
Chiara scoppiò a ridere << Vedi i vantaggi di non frequentare? Almeno se trovo antipatico Borghese lo trovo antipatico per una mezz’ora, tu invece quando ti troverai all’esame di fronte a lui vorrai solo ucciderlo e sarai troppo occupato a pensarci per tutto il tempo >>
Marco annuì divertito << In caso volessi farlo mi aiuteresti? >>
Lei ci pensò su un attimo << Certo, solo dopo aver preso il mio dignitoso voto >>
<< No così non vale, non ha proprio senso, scusami >> protestò lui con un mezzo sorriso.
Chiara storse le labbra << Allora penso proprio che farai a meno del mio aiuto >>
<< Magari, se finalmente mi dici come ti chiami potrei ritirare questa stupida idea di sabotare Borghese e dimenticarcene per sempre, che ne pensi? >>
Marco la guardò negli occhi, stavolta di appurò che anche stesse facendo lo stesso.
E di fatti i loro sguardi si trovarono fusi per un tempo che non seppero determinare.
<< Io sono Chiara >> iniziò a dire << La ragazza che non ti aiuterà a commettere un omicidio >>
<< E io sono Marco, il ragazzo a cui hai appena infranto uno dei più grandi sogni >>
Entrambi sorrisero, arricchiti da uno scambio di occhiate che li stava travolgendo totalmente.
A Chiara sembrò di parlare con l’anima di Marco in quegli istanti, sembrò di comunicare con lui per raccontargli i suoi segreti più intimi, per rivelargli le più nascoste emozioni.
Per dirgli che era l’unica persona di cui si stava fidando senza neppure conoscerla.
Si stavano dicendo un sacco di cose, si stavano parlando nel modo più profondo possibile si stavano scambiando le anime e i pensieri.
<< Non sei di Bologna, Marco, vero? >> osservò Chiara, stavolta con più esitazione.
<< No, esattamente. Sono di Roma, e tu? >>
Lo sguardo della ventenne si illuminò improvvisamente << Oh mio Dio, davvero? >>
Lui la guardò senza capire << Davvero davvero, perché? Non ci credi? >>
<< Certo che ti credo, se però prima tu credi al fatto che sono anche io di Roma >>
Marco sorrise, felice << Questa sì che è una bella notizia >>
<< Lo vedi quante cose che si scoprono? >>
<< Senti, Chiara, risulto sfacciato se ti chiedo di prendere un caffè con me? >>
Lei scosse il capo, decisa << Avrei pensato il contrario se non lo avessi fatto >>
<< In che senso scusa? >> domandò lui, mentre con i suoi passi, la guidava fuori dall’università.
<< In nessun senso, ti sto solo dicendo che mi sarei risentita se tu non lo avessi fatto >>
Marco era spiazzato, semplicemente .
Marco era semplicemente sollevato, perché per la prima volta aveva incontrato una persona che lo stesse smuovendo, che lo avesse richiamato sulla terra facendogli capire che era giusto avere fiducia nelle persone.
Perché lo sentiva che Chiara era una persona speciale.
E perché senz’altro aveva percepito il pensiero di Chiara.
Anche Marco era speciale per lei, non lo sapeva con esattezza, ma - sì -, lo sentiva con tanta forza.
Ed era certa che conoscerlo le avrebbe fatto solo tanto bene.
Ma questo ancora non poteva immaginarselo.

****

<< Se tu mi avessi detto prima che avevi intenzione di trascinarmi in giro per tutto il giorno sarei tornata a posare le mie cose >> borbottò Chiara, quando alle quattro e mezza del pomeriggio, girava per Bologna con Marco, che voleva farle vedere la “vera” città.
<< Beh ci andremo adesso se vuoi >> propose lui vivace << In fondo non credo che ci costi >>
Chiara non seppe che rispondere.
Se lui l’avesse riaccompagnata a casa sua avrebbe scoperto che non era una vera casa e avrebbe dovuto dargli troppe spiegazione e non se la sentiva di parlarne.
O almeno non adesso.
Si erano appena conosciuti, non voleva già adesso fargli pena.
<< No, Marco. Restiamo in giro, in fondo non è così pesante >> disse laconica, senza che lui potesse ribattere in alcun modo.
<< Va bene, come vuoi >> convenne il ventenne senza indagare troppo sul motivo del suo rifiuto.
Certo doveva esserci una giustificazione particolare per essergli costata una risposta così dura.
Ma non voleva rovinare l’armonia di quel pomeriggio, si stava trovando troppo bene con lei per fare in modo che le cose peggiorassero.
Non voleva assolutamente mandarla via.
<< Perché non mi parli di te? Io prima ti ho detto un sacco di cose e tu niente, quindi penso di meritarmi un po’ di notizie sul tuo conto >> disse Chiara risoluta.
Marco ridacchiò appena << Che cosa vuoi sapere? >>
<< Chi sei >> rispose semplicemente la ragazza.
In quel momento si guardarono negli occhi e lui sentì di poter essere sicuro di tutto.
<< Ho vent’anni, mi chiamo Marco Accursi, sono al terzo anno di giurisprudenza e.. >>
<< Hai fatto la primina? >> domandò Chiara.
<< Si, perché? >> ribattè lui.
<< Anche io, ma adesso continua >> ordinò la ragazza con un sorriso.
<< .. Ho un fratello e una sorella, d’estate andiamo a fare le vacanze in Abruzzo, al mare ovviamente. Ho fatto nuoto e tennis, seguo il calcio ma dopo un po’ mi stufa e mi piace tanto il vino >>
<< Il nuovo erede di Bacco >> ironizzò Chiara ridendo.
<< Ma non eri tu che volevi sapere “chi sono”? >>
<< Beh si, è vero, ma questa non poteva tenermela. Scusa >> si salvò lei alzando le spalle doloranti per il peso che stava portando.
<< Dammi i tuoi libri, li porto io >> disse poi Marco, allungando una mano verso di lei.
Le sfiorò il collo appena scoperto, lo sfiorò proprio dove la sciarpa di Chiara era scivolata non coprendola.
La sfiorò proprio dove Chiara sentì i brividi percorrerle tutto il corpo.
Quel contatto le provocò calore, quasi come se le mani di Marco bruciassero.
Si ritrasse involontariamente, intimorita dalla reazione che quel gesto aveva provocato in lei.
<< Dai, se non vuoi andare a posarli, almeno dalli a me >>
Chiara lo guardò negli occhi, che erano diventati quasi lucidi.
Non sapeva perché stava reagendo in quel modo, ma le era quasi sembrato che Marco avesse scoperto la sua fragilità e gliel’avesse mostrata.
Marco aveva appena rivelato la debolezza di Chiara con un solo gesto e non se ne era neppure accorto, aveva appena oltrepassato il confine che lei aveva posto sin dall’inizio.
Aveva fatto in modo che Chiara fosse messa di fronte alla verità.
E non ne era consapevole.
Così rimase ferma, con i piedi incollati al suolo, incapace di muoversi.
<< Ti senti bene? >> chiese lui allarmato.
La sentiva ribellarsi da dentro, ma senza avere la forza di reagire.
Ma lei scosse il capo.
No, no – si ripetè nel cuore e in testa, che le ordinava di chiedergli scusa.
Ma non lo fece.
<< No, sto bene >> disse solo.
Lo guardò negli occhi e Marco capì che mentiva.
<< Vuoi andare via? >>
Il giovane era totalmente impreparato ad una cosa del genere, non gli era mai successa.
Percepiva che Chiara non stava bene ma non sapeva perché, avrebbe voluto scavalcare il muro che lei aveva improvvisamente alzato tra loro ed abbracciarla.
Ma non lo fece.
<< No, per favore >> lo supplicò Chiara.
Marco rimase lì.
<< Per favore >>

****

Quando sulla città calò la sera, di colpo tutti i colori sbiadirono dissolvendosi nel buio di una serata troppo fredda, con il gelo negli angoli e nel cuore.
Chiara era di fronte a Marco che stava fumando una sigaretta con aria passiva.
Si conoscevano da sempre, loro lo sapevano. Lo avvertivano.
<< Non penso che mi sia mai capitata una cosa più strana di questa >> disse Chiara, e Marco non distinse da quale direzione provenisse la sua voce.
<< Che cosa? >> chiese il ragazzo.
<< Non mi è mai capitato di conoscere una persona e in un giorno solo trascorrere insieme a lei tutto questo tempo. E’ strano, Marco, non so se mi intendi >>
Il giovane rimaneva sempre incredulo dalle parole di Chiara, che sembrava parlare anche per i suoi pensieri.
Come aveva fatto quella ragazza ad intrufolarsi nella sua vita in quel modo così particolare proprio non lo sapeva. Non riusciva a spiegarselo, era un insieme di emozioni, silenzi, risate e respiri che si mescolavano e attraversano entrambi in una maniera che non si poteva tradurre in parole.
I silenzi di Chiara lo stordivano, perché urlavano tutte le parole che non poteva dirgli, perché in fondo lo sapeva anche lui che era tutto inverosimile perché potesse funzionare.
<< Lo capisco, ma mi pare che ci siamo troppo dentro per lasciare le cose così come sono >> osservò Marco, dicendole che in realtà avrebbe voluto soltanto che lei restasse.
<< Così come? >> ribattè Chiara, troppo conscia di quello che lui voleva dire.
<< In sospeso! Ma insomma, l’hai detto anche tu che è assurdo, ma intanto siamo qui, è successo, vorresti dirmi che torneresti indietro? >>
Quelle parole riempirono la testa di Chiara di paura e timori.
Da troppo tempo aveva dimenticato di trovare un ragazzo con cui sprecare un po’ del suo tempo, da troppo tempo aveva dimenticato come ci si sentiva con una persona che ti piace semplicemente per come è.
Guardò Marco, con la sua camicia troppo larga coperta da un maglione che non era sufficiente per il freddo che li circondava.
<< Non hai freddo? >>
<< Chiara rispondimi >> disse Marco troppo serio da spaventarla.
<< Non lo so, la verità è tra noi è successo tutto troppo in fretta! Non sono neanche in grado di capire se mi piaci o meno, ho semplicemente troppo da capire e poco tempo per farlo >> ammise con un sospiro.
Marco le si avvicinò senza toccarla << Ti posso dare una mano >>
<< Non baciarmi >> gli ordinò con una espressione più rilassata.
Lui scosse il capo << Non era questo quello che volevo fare, volevo solo darti una mano dicendoti che tu a me, piaci. Mi piaci abbastanza, Chiara >>
La ragazza tremò impercettibilmente.
Nell’oscurità cercò gli occhi di Marco e quando li trovò abbassò il capo << Non so più comportarti così mettendomi di fronte a queste cose, ho bisogno del mio tempo, ma se tu non vuoi darmelo me ne farò una ragione >>
Marco alzò le spalle << Per te stasera ho rinunciato ad una bevuta con i miei amici e ad una possibile scopata con una ragazza qualunque, perché invece di farti problemi non ti ritieni fortunata? >>
<< Perché purtroppo non è abbastanza. Ti conosco da troppo poco tempo per lasciarmi andare >>
<< Non ti sto dicendo che dobbiamo necessariamente innamorarci l’uno dell’altra >> le fece notare Marco, stavolta avvicinandosi al suo volto.
La carezzò il collo, consapevole che ormai il peggio era passato.
<< Ma se accadesse? >>domandò lei, inchiodando i suoi occhi in quelli del ragazzo.
<< Che cosa ci sarebbe di male? >>
Solo allora Chiara sentì sulle sue spalle il peso della sua storia, del suo presente e del suo passato.
Fu in quel momento che impose a se stessa di non provare per Marco niente di niente, perché non poteva permettersi una relazione nella sua condizione.
Non poteva lasciare che anche lui la guardasse dall’alto al basso e pensasse “quanto è sfortunata”, non voleva questo. Non lo voleva da lui.
<< Non guardarmi così >>
Marco scosse il capo << Smettila di darmi ordini >>
Così, accarezzò la pelle di Chiara lentamente, quasi come se sentisse che lei dipendeva da questo.
Le guance, le labbra, di nuovo il collo.
Chiara reagì provando a spostarsi, ma non riuscì.
<< Perché non mi guardi più? Hai paura? Ma non eri tu quella che amava la vita? >> la provocò Marco con un mezzo sorriso.
Ma lei non gli diede soddisfazione << Finiscila, ti prego >>
<< Non voglio >> rispose semplicemente il ragazzo.
<< Beh adesso basta >> decretò Chiara, liberandosi dalla presa del ventenne per allontanarsi di qualche passo.
Respirava affannosamente, e non sentiva più paura, ma un semplice terrore.
<< Te ne vuoi andare così? >> disse Marco con un tono di voce leggermente più basso, quasi ad evidenziare il suo rammarico o anzi, la sua delusione.
<< Neanche mi conosci, non sai quello che provo >>
<< Perché non me lo dici? >>
<< Non posso più sostenere il tuo sguardo >> disse Chiara tutto d’un pelo << Devo andare adesso, Marco >>
Lui alzò le mani in segno di resa << Mi prometti che ci rivedremo? >>
<< Non lo so, forse no >> restò in silenzio – agghiacciante, forte, quasi doloroso - << Anche se so che non lo farai, non cercarmi, non mi troveresti, sono un’estranea qui. Come voglio esserlo per te >>
Quelle parole ferirono Marco che non ebbe la forza di rispondere.
Devastato da quella ragazza che gli piaceva davvero molto si ritrovò di nuovo da solo.
<< Ciao Marco, stammi bene >> sussurrò infine Chiara tra le lacrime.
<< Qualunque cosa sia successa tra noi io non me ne sono pentito >> le disse, e fu certo che lei sentì, perché Chiara singhiozzò forte.

****

Quando si perde la cognizione del tempo i giorni non passano, le ore sono infinite, i secondi eternità.
Non ci sono distrazioni, non ci sono stagioni che trascorrono, non c’è niente che possa in qualche migliorare o fermare il tempo che trascorre.
Dicembre aveva portato con sé un mucchio di malinconia e di freddo in più, freddo che si era accumulato nel cuore tanto da trafiggerlo completamente.
Dalla finestra della sua camera del bed&breakfast Chiara vedeva la pioggia scagliarsi violenta sui tetti delle case, sulle piante dei balconi, sugli ombrelli delle persone.
Era stanca, lo era così tanto che aveva perso totalmente il conto dei giorni.
Magari era arrivato il momento di tornare a Roma e lei non se ne era accorta.
Dentro di lei si era creata una voragine incolmabile.
Da quando aveva scacciato Marco dalla sua vita – l’ennesima persona, l’ennesimo rifiuto, l’ennesima sfiducia – si era accorta di aver buttato al vento molto più di quanto credesse.
Si era convinta di aver fatto la cosa giusta, ma la verità era che non riusciva a capacitarsene, non riusciva a capire come avesse fatto ad essere così sciocca e avventata.
Eppure, le era sembrato così giusto mandarlo via, non sapeva neanche chi fosse quel ragazzo dagli occhi castani – così vivi, sinceri – che in un giorno solo aveva catturato la sua attenzione, facendole totalmente scordare di sé stessa e degli altri.
Tranne quando l’aveva toccata, quando le aveva sbattuto il faccia la verità.
Chi era Marco? Perché era piombato nella sua vita così all’improvviso?
Non credeva al destino, non credeva nelle fortuite condizioni della vita, semplicemente, quel giorno aveva conosciuto un ragazzo simpatico ed affettuoso – quasi speciale - .
Perché aveva avuto così tanta paura di lui? Perché aveva pensato che liberandosi di lui, tutto sarebbe stato più facile? Forse se non lo avesse conosciuto proprio la sua vita sarebbe stata come sempre, difficile e monotona di sicuro, ma non avrebbe avuto altro a cui pensare.
Adesso che Marco la tormentava in continuazione, non sapeva da che parte andare.
Ma soprattutto, non aveva idea di dove fosse, se trovarlo ancora all’università o rinunciare.
Non voleva tornare indietro sui suoi passi, non voleva inciampare nell’errore, ma non sopportava più l’angoscia che l’assaliva ogni volta che il pensiero di Marco la sfiorava.
E così soffriva, si pentiva, si logorava.
Come sempre, di più.
Si sentiva come se avesse perso davvero tutto e non le fosse concessa una seconda possibilità.
Ed era questo che pensava quando stanca di piangersi addosso, prese il giubbotto verde – di montone, caldo, come lo aveva da bambina – ed uscì di corsa.
<< Tesoro dove vai? >> domandò la signora Elena.
Lei esitò un attimo << Mi sono ricordata di dover consegnare dei moduli in università, ci vediamo più tardi >>
La donna annuì poco convinta e la lasciò andare.

Marco si guardava intorno, distrattamente pensava a cosa avrebbe dovuto fare quella sera.
La lezione trascorreva lenta, proprio come a ricordargli che il tempo non è a sua disposizione.
Prendeva qualche appunto sul foglio bianco, esattamente come sentiva la sua vita in quel momento : vuota, senza inchiostro, priva dell’essenza che tanto tempo fa avvertiva pregnante.
Quando si divertiva, quando bastava poco per cambiare la giornata.
Quando bastava una festa, la gonna corta di una ragazza – il suo  collo un po’ scoperto, gli occhi verdi un po’ riservati ma invitanti - , i suoi capelli legati in una coda – o lasciati sciolti sulle spalle, un po’ disordinati-.
Stava di nuovo pensando a Chiara, al suo sorriso sincero, allo sguardo smarrito del primo giorno, alla sensazione che aveva provato quando gli parlò di nuovo, al sorriso che si scambiarono in via Zamboni quel giorno.
Sembrava quasi che stesse ricordando una sua vecchia fidanzata, una a cui era rimasto particolarmente affezionato, e invece stava solo ricordando una ragazza che per un giorno gli aveva preso l’anima per lasciare il suo marchio – particolare, unico – e lui non era riuscito a liberarsene.
Era passata quasi una settimana da quando lei gli aveva voltato le spalle.
Nel momento esatto in cui lei si allontanò dal suo cammino, a Marco era sembrato di sprofondare, di essere lasciato da solo senza rimedio.
Quella sera stessa era andato ad una festa, aveva bevuto così tanto stordirsi e star male.
Non aveva idea di quello che avesse fatto, di quello che fosse successo, e non voleva saperlo, perché non voleva immaginare fino a che punto fosse arrivato.
E perché? Per una stupida ragazza sconosciuta che lo aveva rifiutato?
Chi era Chiara? Cos’era Chiara?
Si interrogava spesso su questo, perché Chiara gli aveva spostato la vita.
Era un’espressione forte, ne era consapevole, ma era così che si sentiva, era così che la vedeva.
Possibile che un solo giorno insieme lo avesse scosso tanto?
Cosa aveva quella ragazza di tanto eccezionale da farlo sentire messo in discussione per la prima volta?
Desiderò di sparire, annullarsi del tutto per tornare al giorno insieme, agli sguardi che si erano scambiati, all’amore ancora troppo acerbo per manifestarsi, alla sensazione di benessere che aveva provato quando lei lo guardava negli occhi.
Era splendente Chiara, esattamente come lo erano stati i suoi occhi nel buio della sera.
Perché mentre Chiara gli parlava di sé, lui la sentiva nuda, nuda come se lei gli stesse rivelando chi fosse veramente, senza bugie, senza alcuna falsità.
Non gli aveva mentito, perché gli aveva dato in mano il suo cuore e lui lo aveva sentito.
Eppure cos’era davvero successo tra di loro? Cosa c’era stato se si erano appena toccati?
Si erano guardati tanto, avevano condiviso il silenzio, avevano mangiato parole.
Erano stati insieme in un senso intimo e sincero, che Marco non era mai stato in grado di sperimentare.
Forse per lui, la visione più completa di intimità era spogliarsi davanti ad una ragazza, ma non aveva capito cosa voleva dire mettere a nudo i sentimenti e rivelarli senza paura.
Con Chiara era stato così, ma era durato troppo poco perché fosse vero.
Aveva letto la paura negli occhi di lei, paura che ci fosse qualcosa di più grande, di incontrollabile.
Ma niente era mai valso quanto il tempo trascorso insieme.
Fu in quel momento che decise di non rispondere alla sua richiesta e di cercarla.

  

   
 
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