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Autore: E n d l e s s l y    25/01/2013    5 recensioni
«Mi potresti ricalcare le vene del braccio?»
La tua espressione è la fiera determinazione che hanno i bambini piccoli quando fanno i capricci: angoli della bocca piegati all'ingiù, testa inclinata di lato.
«Matt-»
«Ti prego»
Sollevi lo sguardo dal tuo avambraccio e mi fissi socchiudendo le palpebre, oscurando l'azzurro dei tuoi occhi con il nero delle tue ciglia che risaltano così evidentemente sul bianco pallido della tua pelle tirata, che si assottiglia sugli zigomi sporgenti, e sei così emaciato che piuttosto che farti degli stupidi disegni con l'indelebile ti farei nutrire a forza.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera! ^^ sono di nuovo qui con l'ennesima os senza capo né coda, tanto per cambiare; ad ogni modo spero vi piaccia, in caso contrario sono pronta ad accettare tutte le critiche e a prostrarmi ai vostri piedi chiedendo scusa ahahah
I muse non mi appartengono -sigh- e non vengo pagata da loro (ultimamente sono anche piuttosto al verde e avrei una luuunga lista di cose da comprare); il titolo è preso da "Scared of girls" dei placebo.
Questa "storia" è dedicata particolarmente a pwo, probabilmente l'unica al mondo capace di sopportarmi quando sono di cattivo umore (e anche l'unica capace di tirarmi su di morale in questi casi)... e scusa ancora amica perchè in questi giorni sono stata terribile!
Non blatero oltre! ^^

E.

Careenin'

«Mi potresti ricalcare le vene del braccio?»

La tua espressione è la fiera determinazione che hanno i bambini piccoli quando fanno i capricci: angoli della bocca piegati all'ingiù, testa inclinata di lato.
«Matt-»
«Ti prego»
Sollevi lo sguardo dal tuo avambraccio e mi fissi socchiudendo le palpebre, oscurando l'azzurro dei tuoi occhi con il nero delle tue ciglia che risaltano così evidentemente sul bianco pallido della tua pelle tirata, che si assottiglia sugli zigomi sporgenti, e sei così emaciato che piuttosto che farti degli stupidi disegni con l'indelebile ti farei nutrire a forza.
«Matt» ripeto, e sospiro.
In risposta mi lanci il pennarello costringendomi ad allungare verso l'alto il braccio -e mi scricchiolano le articolazioni come se avessi già ottant'anni- per prenderlo al volo.
Lo rigiro fra le mani, scuotendo la testa vagamente divertito.
«Sei impossibile»
«Sull'avambraccio sinistro» precisi ignorandomi.
«Fattelo da solo»
«No»
E potrei tirarti di nuovo il pennarello e rifiutarmi di fartelo, ma la tua bocca si è stesa in una lunga riga sottile che a destra punta verso l'alto in un accenno di sorriso, e con la mano ti stai massaggiando deciso il braccio, come se avessi freddo, e non posso davvero dirti di no. Con aria rassegnata tendo la mia destra con il palmo verso l'alto per invitarti a porgermi il tuo avambraccio, che poi sistemo sulla mia coscia. Stappo il pennarello e il suo odore pungente mi invade tanto da costringermi a controllarmi per non avvicinarmelo al naso e annusare.
«Io sul braccio mi ci scrivevo le formule di algebra quando ero a scuola» mormoro cominciando a ricalcare quelle alla base del polso, «non disegnavo le vene».
«Zitto e lavora» ridi.
Per un po' rimaniamo in silenzio, io nella disperata concentrazione di chi sta cercando di fare un lavoro con precisione, tu tenendo gli occhi chiusi e facendo tamburellare le dita lunghe e affusolate della mano destra su un pianoforte immaginario.
«Matt, non riesco a fare nulla se continui a muoverti»
«Scusa»
Mi sorridi con uno sguardo sornione che riservi solo a me, un sorriso che rivela il meglio di te -dente appena accennato, rughe di espressione attorno agli occhi come cerchi concentrici che si allargano in un lago quando si getta un sasso nell'acqua, il breve suono gutturale che si genera nel profondo del tuo petto- e anche se ho mille cose da fare non vorrei essere in nessun altro posto se non qui con te, e mi spaventa l'effetto che mi fai.
«Continua» mi inciti facendo un cenno con la testa.
Deglutisco e riprendo la linea che avevo interrotto, appena due dita sopra la piega del gomito.
Le tue vene sono così visibili al di sotto della tua pelle, che sembra tu sia fatto di cartapesta, e mi costringo ad essere più prudente per paura che una pressione più forte del pennarello possa bucarti.
Ho quasi finito.
«Dom?»
Ti inumidisci le labbra con la lingua in un movimento secco e frettoloso, mentre i tuoi occhi si spostano freneticamente da me, al tuo braccio, al punto più lontano della stanza, al pavimento, sorridi, e il ciclo ricomincia con un'apparente noncuranza, tradendo un'agitazione di fondo.
«Mh mh
Stacco il pennarello dalla tua pelle e lo agito perché ha smesso di funzionare.
«Grazie»
Ti guardo di sbieco corrugando le sopracciglia.
«Beh, prego...Matt, è solo un disegno. Non devi ringraziare per una cagata del genere»
«No, per-»
Me, braccio, stanza, pavimento, sbuffi.
«Per?»
Tiro fuori leggermente la lingua, concentrandomi per completare l'ultimo pezzo.
«Per essere tu»
Alzo di nuovo il pennarello e ti guardo.
«Per essere...io?» ripeto dubbioso.
Annuisci serio, fissi di nuovo il pavimento e un sorriso imbarazzato illumina il tuo volto, facendoti curvare leggermente su te stesso, come se tu potessi occupare sempre meno spazio fino a scomparire, come un buco nero che inghiotte tutto, la mia attenzione, me, il mio cuore che ora batte così forte, me, me, me, e sono così incantato che mi hai chiamato già due volte («Dom?»), ma io riesco solo a vedere la tua bocca che si apre e si chiude («Quello che intendevo dire, quello che-, cioè, ti sono grato per essere tu, per essere...»), la lingua che scatta avanti e indietro e sbatte sul palato o contro i denti per pronunciare le lettere («...così, con tutti i tuoi- non starei bene con nessun altro che non sia tu, capisci? sei- sei»), e il pennarello fermo a mezz'aria con il lavoro mezzo svolto («sei il migliore amico che potessi desiderare...e...e anche grazie per essere qui con me»)
E io sto annuendo con la bocca spalancata ma in realtà non capisco, non riesco a concentrarmi sul senso delle parole, che sfuggono come il tuo sguardo in questo momento.
Rimani in silenzio, con il braccio destro inerme sulla pancia, a guardarmi -finalmente- al di sotto delle tue ciglia.
«Sì» rispondo, continuando ad annuire e domandandomi a cosa, esattamente, io stia dicendo di sì -e sperando che nella marea di cose che mi hai detto fossero comprese anche le domande "mi ami?" "credi che dovremmo stare insieme?" "posso baciarti?"; e allora le risposte sarebbero sì, sì, assolutamente sì-
Poggio il pennarello sulla tua pelle e con un gesto veloce e meno preciso rispetto alle altre, ricalco l'ultima vena.
Finito.
Istintivamente allungo un indice e seguo quelle linee nere lungo la tua pelle fredda.
Ridi, poi ti abbassi la manica della felpa fino a coprire il lavoro dell'ultima mezz'ora.
Ti passi una mano fra i capelli tenendo le dita distanziate come se ti stessi pettinando, sorridendomi riconoscente.
Mi domando se in qualche lingua del mondo sia presente un aggettivo che descriva come mi sento quando ti guardo, forse-
«Io torno a casa» dici, facendo per alzarti.
«Non dire cagate, Bellamy, sono le tre di notte, ormai resta qui»
«Sì, forse hai ragione» ti arrendi subito, forse perché speravi in quell'invito dall'inizio.
Incroci le braccia sul davanti e prendi fra le dita l'orlo della tua felpa, tirandotelo verso l'alto e rivelando un grosso tratto della tua pancia piatta, scoperta perché la maglia che indossi sotto la felpa sta venendo su con quella.
Fai passare il collo, poi le braccia e alla fine getti la felpa alla tua destra, rimanendo solo con una maglietta che ti lascia scoperte le tue braccia scheletriche, su una delle quali il segno nero delle vene è ben evidente.
Sorridi di nuovo, scatenando una reazione in un punto imprecisato del mio corpo, fra il petto e lo stomaco, come se nessun organo avesse un posto fisso e io stessi precipitando nel nulla delle mie stesse sensazioni.
Allo sbando.
Quando mi guardi mi sento allo sbando.
«Ti preparo il letto» dico in un sussurro alzandomi, perché se rimanessi un altro secondo nella stessa stanza dove ci sei tu probabilmente ti direi che mi piaci, mi piaci, mi piaci così tanto che sento il cuore che mi rimbomba nelle orecchie quando mi parli e non mi ricordo più nulla.
«Comunque» e la tua voce mi arriva dall'altra stanza mentre apro l'anta dell'armadio e tiro fuori la trapunta, «prima non mi hai sentito,  e forse- forse non mi sono espresso bene...ma quello che cercavo di dirti è che- che, per farti capire, non è necessario che tu mi prepari il letto in sala, io- io vorrei...rimanere qui per sempre, capito, non solo per una sera, vorrei rimanere qui fino a quando queste vene disegnate non scompariranno dal mio braccio e-»
La trapunta mi è scivolata di mano e ora giace sul pavimento. La calpesto senza neanche pensarci per arrivare da te più in fretta possibile.
Non ci credo nemmeno.
«Stai scherzando?»
Scuoti la testa ridacchiando e strofinandoti gli occhi con il dorso della mano.
«No, Dom. No»
Sospiri, come se ti aspettassi una mia risposta negativa e tutto questo fosse stato un discorso inutile.
«Ti rifarò quel dannato disegno sul braccio ogni mattino» giuro, mentre la voce mi trema.
Alzi di scatto la testa, sorpreso, poi la tua espressione si tramuta in gioia infantile che addolcisce i tuoi tratti.
«Il tuo spazzolino è in bagno» ti ricordo.
   
 
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